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Eckhart “riformatore”.

A sessantasei anni Eckhart poteva a ben ragione tracciare un bilancio della sua vita e ribadire che contro di lui non era mai stata sollevata l’accusa di eresia e che, dunque, quello che accadeva adesso era piuttosto frutto di una macchinazione di “invidiosi”. Ma l’origine di tale trama non va cercata, a nostro avviso, nell’arcivescovo di Colonia, che appare piuttosto una pedina, sia pure fondamentale, di un gioco che, tuttavia, venne condotto all’interno dei domenicani stessi46.

A prova di ciò è opportuno citare un episodio del 1325, due anni prima dell’apertura del processo. In quell’anno si era trovato a Colonia, quale Visitatore

45 Ivi, pp. 88-89.

46 E’, a nostro avviso, da escludere l’ipotesi che Enrico fosse nemico dei domenicani, mentre la tesi che,

comunque, all’origine della vicenda processuale eckhartiana vi possano essere intrighi e rivalità all’interno dei domenicani – tesi che Vannini nella sua citata Introduzione alle Opere tedesche di Eckhart (p. XVII) mette da parte troppo frettolosamente – trova riscontro nella stessa autodifesa del maestro ed è suffragata da studi come quello di O. Karrer, Meister Eckhart. Das System seiner religiösen Lehre und

papale della Teutonia, provincia di appartenenza del famoso Studium, Nicola di Strasburgo. In virtù delle sue mansioni, egli dovette procedere, durante quella visita, ad una inquisitio super statu. L’azione di Nicola ebbe come risultato l’adozione di provvedimenti disciplinari e una scomunica, che testimoniano come, tra i domenicani di Colonia, vi fossero profonde tensioni. Durante quella “visita”, Eckhart venne accusato presso Nicola, da parte di alcuni confratelli, circa il suo modo di predicare al popolo. Il procedimento di indagine, che il Visitatore papale aprì contro Eckhart, si concluse con la piena assoluzione del maestro. Nell’assoluzione si faceva riferimento anche a scritti eckhartiani, tra i quali il già citato Liber benedictus, che venivano utilizzati dal Visitatore a sostegno della sua risoluzione. Con ciò Nicola “blindava” in particolare un testo, il Liber benedictus, che aveva suscitato non poche polemiche, tanto che a Strasburgo, come ci ricorda Ruh, ne era stata vietata la diffusione, «forse per volontà del vescovo locale di elevare un’accusa contro il vicario generale Eckhart»47; un pericolo

che comunque venne allora scongiurato. Il Liber benedictus, dal quale in seguito sarebbe stato tratto ampio materiale per l’inquisizione, era stato “in modo mirato”, sottolinea ancora Ruh, diffuso a Colonia. Considerato il pieno sostegno che il Visitatore papale aveva mostrato per Eckhart, la “via interna” per colpire il maestro risultava impercorribile. Nicola finirà anch’egli sotto accusa e dunque processato per aver tentato di ostacolare il tribunale dell’inquisizione, costituito dall’arcivescovo, censurando con una punizione uno degli accusatori di Eckhart, Guglielmo di Nidecken. Con il ricorso all’arcivescovo, si percorreva così, contro i privilegi stessi dell’Ordine e forzando il diritto, un’altra via, esterna alle mura del convento domenicano di Colonia, ma che alla

fine risultò la più efficace per chi considerava Eckhart un nemico. Enrico di Virneburg vide, o gli fu fatto vedere, nell’azione riformatrice di Eckhart un pericolo “concreto”.

Una volta avviato un processo per eresia, che segnava una prima grande vittoria degli avversari del maestro, ad Eckhart non rimaneva che difendersi, rivendicando quelli che erano i suoi privilegi e diritti e finendo per cadere nelle pericolosissime maglie della santa Inquisizione. Sturlese sostiene che all’apertura del processo contro Eckhart, nel quale rimane coinvolto anche il vicario papale, Nicola, e che attira immediatamente l’attenzione di tutto l’Ordine, la dirigenza si schiera in modo unanime dalla parte dell’imputato48. In realtà, ad oggi, non si ha notizia di una presa di posizione

ufficiale da parte del generale dell’Ordine, Barnaba Cagnoli da Vercelli, che in tutta la vicenda manterrà un atteggiamento abbastanza defilato, certo per nulla simile alla posizione di un Michele da Cesena, generale dei francescani, apertamente schierato al fianco di Guglielmo d’Ockham. Non siamo in grado di stabilire quali fossero i rapporti che intercorrevano tra Barnaba ed Eckhart. Riguardo il predecessore di Barnaba, Herveus Natalis, sappiamo invece che Eckhart aveva legato rapporti di amicizia, in particolare durante il secondo periodo del suo magistero a Parigi, e che probabilmente era stato lo stesso Herveus a far ritornare Eckhart in Germania, a Strasburgo, come vicario generale. Una carica che il domenicano manterrà fino alla morte di Herveus, avvenuta il 7 agosto del 1323. Il nuovo generale dell’ordine, Barnaba, lo chiamerà in quello stesso anno presso lo Studio di Colonia a ricoprire, come lector primarius, l’unica cattedra di teologia. Eckhart tornava a insegnare.

A Colonia, e non solo, ma presso l’Ordine intero, almeno per quella parte che in qualche modo ne fu interessata, dalla dirigenza ai conventi tedeschi maschili e

femminili soprattutto, i domenicani rimasero profondamente divisi tra innocentisti e colpevolisti lungo tutta la vicenda processuale eckhartiana. Tali posizioni a Colonia, in particolare, che era il cuore della Germania domenicana, corrispondevano a due schieramenti opposti che con il processo ad Eckhart, uomo simbolo di uno dei due “partiti”, giungevano ad una sorta di “regolamento di conti”. Per rendere chiaro cosa si vuole dire, si impongono a questo punto alcune considerazioni circa quello che è stato definito il “progetto di riforma” eckhartiano e circa il suo peso effettivo all’interno dell’Ordine e nella Chiesa. Si chiarirà così il senso in cui si vuole qui recepire la tesi sopra ricordata di Trusen, secondo la quale all’origine della “questione Eckhart” vi sarebbe stato l’infuocato dibattito fra ‘tradizionalisti’ e ‘riformatori’, che percorre in quel tempo la Germania. Si tratta di una semplice pista che vogliamo indicare, ma che appare di notevole interesse.

Nell’Ordine domenicano la Germania aveva avuto fin dal 1223, ancora vivo Domenico di Guzman, un suo provinciale. Bernardo Gui si spinge a sostenere che la Teutonia era stata istituita come provincia dell’Ordine fin dal Capitolo generale di Bologna del 1221. Sicuramente il sesto Capitolo generale del 1225 suddivideva l’Ordine in otto Province con pieni diritti: Spagna, Provenza, Francia, Lombardia, Provincia romana, Ungheria, Teutonia, Inghilterra, e forse quattro altre province minori, o provinciae superadditae, non ancora perfettamente formate: Provincia di Gerusalemme, Grecia, Polonia e Dacia49. Al termine provincia si aggiungeva vel

regnum, e con ciò «si voleva appunto precisare l’elasticità e l’ampiezza con la quale

sarebbe stata compiuta tale distribuzione o raggruppamento, seguendo sia le grandi suddivisioni della Chiesa cattolica, sia quelle delle diverse nazioni, a seconda della

convenienza»50. La fondazione dello Studium di Colonia da parte di Alberto Magno

rispondeva con tutta probabilità alla necessità di rendere la provincia tedesca competitiva rispetto a Parigi e punto di riferimento per tutto l’Ordine domenicano. Nel 1303, tuttavia, il Capitolo generale di Besançon (Francia) divideva la Teutonia e scorporava da essa una nuova provincia: la Saxonia. Ciò poteva rispondere al bisogno, di fronte al proliferare di conventi domenicani in Germania, di una riorganizzazione del territorio della provincia tedesca domenicana con la creazione di due province, che garantivano un maggiore controllo, ma poteva essere anche il segnale della volontà di “indebolire” una provincia che, con il prestigio del suo Studium, rischiava di divenire eccessivamente influente nel determinare gli equilibri dell’Ordine e della Chiesa, ed eccessivamente autonoma.

Con il trasferimento ad Avignone, presso il convento dei domenicani, della corte pontificia, il peso e il prestigio dell’Ordine domenicano nella Chiesa doveva risultare ulteriormente ingrandito e in particolare, l’area domenicana francese doveva avere acquistato un ruolo di primo piano. Rispetto a ciò, la divisione della provincia tedesca in due province dovette suscitare non pochi malumori nella maggioranza dei domenicani tedeschi. A Colonia, in specie, la creazione di un secondo provincialato per la Germania con tutta probabilità apparve come una diminutio, che finiva tra l’altro con l’indebolire l’influenza e il prestigio dello Studium, centro propulsore non solo di dottrina e cultura, ma di governo. E’ dunque possibile che la nomina di Eckhart, già provinciale della

Saxonia, a provinciale della Teutonia, avvenuta durante il capitolo provinciale di Spira,

svoltosi sotto la presidenza dell’amico di Eckhart, Teodorico di Freiberg, e che precedette di poco il capitolo generale di Napoli (1311), rispondesse al preciso disegno

di ricostituire l’unica grande provincia della Teutonia. Eckhart, che succedeva al celebre teologo Giovanni di Lichtemberg, non rifiutò la nomina, sicché di fatto la Germania tornava ad avere un unico provinciale. Nel 1311 il maestro si recava al capitolo generale di Napoli, dove regnava un amico della “Chiesa di Avignone”, Roberto d’Angiò, speranzoso di ricevere da quel capitolo la ratifica della sua nomina a provinciale della

Teutonia e di mantenere, dunque, il suo doppio incarico. Ma a Napoli la spinosa

questione venne risolta in diverso modo: non solo non venne ratificata la nomina, ma il teologo di Erfurt fu dispensato anche dal suo provincialato sassone e gli venne conferito in cambio il prestigioso incarico di tornare a insegnare a Parigi. Venivano pertanto confermate le decisioni del capitolo di Besançon.

L’azione riformatrice di Eckhart, com’è stato sottolineato, si muoveva sulla linea tracciata da Alberto Magno e Dietrich di Freiberg, la quale puntava a fare della Germania con il suo Studium un grande centro del mondo domenicano e oltre, della intera cristianità. L’episodio del doppio incarico, la sconfessione del capitolo di Napoli con la promozione di Eckhart, che significava di fatto la sua rimozione, era quasi la sconfitta di un tale disegno e costituiva per Eckhart un pericoloso “precedente”, appena velato dal riconoscimento che in passato era stato attribuito solo a Tommaso d’Aquino: ricoprire per due volte la carica di professore all’università di Parigi. Un precedente che siamo convinti abbia avuto un suo peso nella vicenda processuale.

L’atteggiamento poco “ossequioso” del maestro nei confronti dell’autorità costituita, che non fosse in grado di esercitare un magistero innanzitutto morale e di vera santità di vita, i suoi sermoni che se da un lato rivelavano l’ingegno e la spiritualità profonda dell’oratore, dall’altro potevano suonare come un pericoloso incitamento ad una religiosità libera da ogni mediazione, l’azione pastorale, di magistero e di governo,

che puntava – e non a caso Eckhart sceglieva, anche in ciò operando una rivoluzione culturale, il volgare per parlare ai fedeli e per scrivere alcune delle sue opere – a fare della Germania un grande centro della cristianità, sono questi gli elementi di una “riforma”, che alla fine comportarono la rovina del maestro, il quale nonostante la sua tarda età apparve, o meglio, venne fatto apparire agli occhi dell’arcivescovo di Colonia, in primo luogo, come un pericoloso sovversivo ed un eretico. E venne fatto apparire tale proprio da chi all’interno dello stesso convento di Colonia era, come dice Eckhart, “invidioso”, renitente alla disciplina e refrattario all’opera più ancora che di moralizzazione, di “spiritualizzazione”, portata avanti dal maestro e dal suo “partito”.

Va precisato che l’azione riformatrice di Eckhart aveva un carattere esclusivamente religioso e culturale. Dovette di ciò rendersi infine ben conto lo stesso pontefice, che esitò a lungo, come abbiamo visto, prima di comminare la Bolla di condanna. A prova di quanto sostengo vi è lo stesso atteggiamento del maestro di assoluta fedeltà alla Chiesa lungo tutto l’arco della sua vita e durante le fasi del processo, la pressoché totale estraneità di Eckhart al mondo della politica e al “partito” dell’imperatore, l’assoluta ortodossia delle fonti eckhartiane, che non ci consentono di accostarlo a nessun movimento ereticale, né di considerarlo fautore di una nuova forma di eresia. La Bolla stessa si limita semplicemente a condannare alcune proposizioni come eretiche, ma non condanna il maestro quale eretico.

L’azione riformatrice di Eckhart ambiva, dunque, a porsi sulla linea che Alberto Magno aveva tracciata fondando lo Studium di Colonia. Ma la fedeltà al grande maestro e santo domenicano rimase anche, almeno nelle intenzioni, sul piano dottrinale: Alberto e Tommaso, come abbiamo visto, furono due poli costanti di riferimento nelle opere eckhartiane. Ciò pone una questione di fondo sull’identità degli effettivi nemici di

Eckhart. Si trattava, come sarebbe naturale pensare, di domenicani contrari al magistero e all’azione di Alberto e pertanto a quelli di Eckhart, che ne raccoglieva l’eredità? O piuttosto, nemici di Eckhart furono domenicani che negli scritti e nell’opera del maestro di Erfurt vedevano sostanzialmente tradito o travisato, e ancora, “volgarizzato”, il lascito di Alberto? O infine, non appare probabile che sia i primi che i secondi abbiano fatto fronte comune, irrobustendo le accuse contro il teologo? Vero è che la sintesi che Eckhart aveva operato nei sui scritti e nei suoi sermoni del pensiero di Alberto e di Tommaso, dei Padri e Dottori della Chiesa, dell’aristotelismo e del platonismo in generale, aveva un carattere del tutto peculiare e non mancava di una sua originalità, che lo rendeva per gli estimatori inconfondibile, ma anche, per i più fedeli al tracciato dell’ortodossia, per così dire indigesto. Eckhart, come ogni uomo interiormente libero e di grande ingegno, divise profondamente l’opinione che si ebbe su di lui.

Ma all’origine dell’ “invidia” nei confronti del maestro non poteva esservi anche un motivo, per così dire, “politico”, interno all’Ordine domenicano in Germania? Non poteva Eckhart, con il suo disegno di riforma, sia pure spirituale, ma che rischiava di tradursi in un’azione che incideva sui nuovi assetti dopo Besançon, esser visto come un pericolo per gli equilibri di potere costituitisi all’indomani della divisione della Germania domenicana in due province? Eckhart, visto quanto era accaduto alla vigilia del capitolo generale di Napoli (1311), sarebbe potuto apparire come campione di un’azione mirante a restaurare in Germania un’unica provincia domenicana: quella della

Teutonia. Ciò non poteva creare, tra l’altro, “invidia” nei confratelli, ma soprattutto

apprensione nell’altra provincia, la Saxonia, che rischiava di perdere del tutto la conquistata autonomia, rispetto alla più antica e forte provincia teutonica? Ad accompagnare Eckhart ad Avignone fu, quale esponente della gerarchia domenicana,

Enrico di Cigno, provinciale della Teutonia, nel sostanziale silenzio del generale Barnaba. Vero è che la presenza di Enrico di Cigno appare giustificata dal fatto che Eckhart, al tempo, dirigeva lo Studium coloniense, appartenente alla Teutonia, ma essa è anche, a nostro avviso, una conferma del “sodalizio” di Eckhart con le gerarchie teutoniche. Non è possibile, infine, che simili questioni di “ politica interna” all’Ordine, siano state fatte passare, con un’azione mirata dei nemici di Eckhart, come inquadrate in un contesto più generale di tentativi di riforma, che ponevano in discussione l’autorità, ed estremamente pericolosi, quindi, per la Chiesa tedesca e la Chiesa tutta?

Eckhart sceglieva inoltre di schierarsi con i più semplici, con chi non era dotto, con il popolo, e di avere in esso l’interlocutore privilegiato. In questo il maestro turingio non seguiva soltanto le orme del Cristo, ma rivelava una sua naturale inclinazione verso quegli uomini che non avevano un bagaglio di erudizione e di studio, ma che proprio in virtù di ciò, e spesso in misura maggiore di chi si considerava “dotto”, potevano lasciarsi ammaestrare e senza malizia, riconoscere se non altro la bellezza e la profondità della sua dottrina.

Se si pensa all’uditorio dei sermoni eckhartiani tedeschi in particolare, e cioè il popolo, si potrà cogliere, ancora, un contrasto, il sublime linguaggio del maestro proveniente dall’Università di Parigi e la rozzezza di chi ascoltava, che non nasconde per nulla il desiderio da parte di Eckhart di far mostra di sé e del proprio ingegno, ma che rivela invece il profondo amore del maestro per l’umanità, un volersi per così dire ogni volta vestire degli abiti migliori per un incontro d’eccezione: l’umanità, appunto. «Io dico: l’«umanità» è altrettanto perfetta nel più povero e disprezzato degli uomini, quanto nel papa e nell’imperatore; e infatti l’umanità in se stessa mi è più cara dell’uomo che porto in me stesso» (Ich spriche: menscheit ist an dem ermsten oder

versmæhesten menschen als volkomen al san dem bâbeste oder an dem kaiser, wan menscheit in ir selber ist mir lieber dan der mensche, den ich an mir trage)51. Tutti,

indistintamente, possono provare la gioia di essere uno con Dio, abbandonate tutte le cose e se stessi, liberi nell’intelletto e nella volontà:

«Dio ha posto questo servo tra il tempo e l’eternità. Egli non era assegnato né all’uno né all’altra, ma era libero nell’intelletto, nella volontà, ed anche di fronte a tutte le cose. Col suo intelletto attraversa tutte le cose che Dio ha creato, con la sua volontà si distacca da tutte le cose, ed anche da se stesso, e da tutto quel che Dio ha creato e che non è Dio stesso. Prende con l’intelletto le cose, rende lode e onore a Dio per esse, e le riconsegna a Dio nella sua insondabile natura, insieme a se stesso, in quanto creato. Là egli abbandona se stesso e tutte le cose, in modo da non toccare con la volontà creata né se stesso né alcuna cosa creata. Veramente! Chi fosse in tal modo fedele, in lui Dio avrebbe indicibilmente grande gioia, in modo tale che, se gli si togliesse questa gioia, gli si toglierebbe del tutto la sua vita, il suo essere e la sua divinità. Dico di più – non vi spaventate! perché questa gioia è a voi vicina ed in voi! –: non v’è alcuno di voi così rozzo o povero di intendimento o lontano da esso, da non poter trovare in sé questa gioia, così come essa è in verità, con piacere e conoscenza, ancor prima di andarsene da questa chiesa, o ancor prima che io finisca la mia predica; egli può trovarla, viverla ed averla in sé, quanto è vero che Dio è Dio e che io sono uomo!»52.

51 Predigt 25, DW, 18, 2-5 (in Sermoni tedeschi, tr. it. M Vannini, Adelphi, Milano 1985, p. 70).

52 Predigt 66, DW, 112-114, 4-6 1-11 1-2 (in Sermoni tedeschi, cit., pp. 165-166): «Got hât disen kncht

gesast zwischen zît und êwicheit. Ze keinem enwas er geeigent, sunder er was vrî mit vernunft und mit willen und ouch in allen dingen. Vernünfticlîche durchgiene er alliu dine, diu got geschaffen hât; williclîche liez er alliu dine und ouch sich selber und allez, daz got geschaffen hât, daz got selber niht

Sul piano sociale simili prediche comportavano una chiara messa in discussione delle distinzioni di classe e dunque, dell’ordine sociale stesso. La vera nobiltà è quella dell’anima, sicuramente non quella acquistata col denaro, ed essa può essere posseduta da tutti. Anzi, essa è riservata da Dio non ai sapienti e agli intelligenti, ma a chi nel mondo è ultimo. Quella di Eckhart era una scelta precisa: stare dalla parte dei cosiddetti ultimi, esercitare in essi quell’arte che fu già di Socrate, la maieutica, per trarre fuori quanto di divino vi è nell’umanità di ognuno. Fiducioso nelle capacità dell’intelletto umano, il maestro domenicano al crepuscolo del medioevo ripete che a nessuno è preclusa la via della sapienza e della scienza, anzi che esse sono fatte per essere apprese:

«Un maestro pagano, Seneca, dice che si deve parlare di cose grandi e sublimi con pensieri grandi e sublimi, e con un’anima elevata. Si dirà anche che non bisogna dire o scrivere tali dottrine per gli ignoranti, ma io rispondo che nessuno sarà mai istruito se non si insegna agli ignoranti, e nessuno potrà allora insegnare o scrivere. Si istruiscono gli ignoranti perché essi divengano, da ignoranti che erano, persone istruite. Se non vi fosse niente di nuovo, nulla diventerebbe vecchio»53.

enist; vernünfticlîche nam er sie ûf und gap gote dar abe lop und êre und antwurte sie gote in sîne