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Il lupo è un predatore dotato di grande forza muscolare, abile e veloce nei movimenti ed estremamente intelligente, la cui elevata capacità d’adattamento ha consentito alla specie di sopravvivere, di adeguarsi alle nuove situazioni e di sfruttare le risorse disponibili presenti nei diversi contesti ambientali, comprese le aree antropizzate (Lopez, 1978).

Sebbene, infatti, il lupo sia essenzialmente un carnivoro predatore, la sua è una dieta varia e opportunistica che dipende dalla disponibilità locale di differenti categorie alimentari. Le prede principali sono generalmente gli ungulati di medie e grosse dimensioni che, localmente e stagionalmente, possono essere affiancati da mammiferi di dimensioni più ridotte come lagomorfi e piccoli roditori. Tuttavia, in aree caratterizzate da scarsa disponibilità di ungulati selvatici e/o da un maggior grado di antropizzazione come in alcune aree di Italia, Israele e Spagna, nella dieta del lupo sono state riscontrate anche altre categorie alimentari come uccelli, pesci, frutta, insetti, vegetali, bestiame e rifiuti (Castroviejo et al., 1975; Meriggi et al., 1991; Peterson e Ciucci, 2003).

In Italia (Meriggi e Lovari, 1996; Ciucci e Boitani, 1998), studi sull’alimentazione del lupo effettuati tramite l’analisi degli escrementi (ad esempio l’identificazione e la quantificazione dei macrocostituenti non digeriti ritrovati nelle fatte) (Ciucci et al.,1996), hanno dimostrato che in territori con popolazioni vitali di ungulati selvatici, questi sono la componente principale della dieta del lupo (Meriggi et al.,1996).

Uno studio condotto nell’appennino Nord-occidentale (Meriggi et al., 2011) ha confrontato la dieta odierna del lupo con i dati ottenuti nella stessa area nel periodo 1988- 2000, ritrovando un maggior consumo degli ungulati selvatici e una minor presenza di bestiame nella dieta rispetto al passato (Gr. 1.1).

Poiché vi è un’evidente correlazione tra disponibilità di ungulati selvatici e loro predilezione nella dieta del lupo (Huggard, 1993), è possibile notare come i dati di Meriggi siano strettamente correlati al fatto che nell’intervallo di tempo compreso fra il 1980 e il 2010, il cervo ha incrementato la sua consistenza più del 700%, il cinghiale del 400%, il capriolo del 350 % circa e le altre specie hanno avuto un tasso di crescita che va dal 120% (camoscio alpino) al 300 % (muflone) (Meriggi et al., 2011).

Invece, in aree maggiormente antropizzate o con ampia disponibilità di categorie alimentari alternative, come rifiuti organici o bestiame, abbiamo una situazione intermedia dove la dieta è costituita in percentuale variabile da tutte le risorse presenti. L’utilizzo degli ungulati domestici come risorsa alimentare è stata più volte confermata anche in condizioni di disponibilità di ungulati selvatici (Meriggi et al.1991), sebbene sia opportuno considerare il fatto che attraverso gli studi condotti in base all’esame degli escrementi, non è possibile distinguere i casi di predazione da quelli in cui i lupi si alimentano di carcasse presenti sul territorio.

Inoltre, poiché il lupo caccia inseguendo la preda, la scelta delle vittime non è casuale, ma avviene in base alla loro abilità fisica nel fuggire. A tal proposito, diversi studi Gr. 1.1 Differente presenza di ungulati selvatici nella dieta del lupo in Appennino centro meridionale, Appennino settentrionale e sulle Alpi occidentali (da Meriggi et al., 2011).

sulla selezione delle prede da parte del lupo dimostrano un’incidenza maggiore della predazione su individui delle classi d’età più avanzate o più giovani; tali soggetti, costituiscono le categorie più deboli della popolazione preda e quindi cacciabili dal lupo con un minor sforzo (Pilmott et al., 1969; Messier, 1994; Mech e Peterson, 2003). Di conseguenza, animali vecchi e giovani vengono uccisi in proporzioni più alte rispetto alla frazione di popolazione che rappresentano. Le ragioni di questa selezione sono da attribuire alla maggior esposizione negli ungulati a varie malattie con l’invecchiamento e alla comparsa d’infermità fisiche che riducono l’abilità motoria (Mech et al., 1995). Gli animali più giovani, d’altro canto, di fronte agli attacchi dei lupi, presentano una vulnerabilità piuttosto elevata dovuta principalmente alla minor resistenza alla fuga. La profondità della neve, l’intensità, la durata dell’inverno e la quantità e qualità del foraggio, sono tutte caratteristiche ambientali che possono influire indirettamente sulla dieta del lupo, poiché possono rendere maggiormente vulnerabili alla predazione alcune specie (Brielli, 2011).

In generale, un lupo allo stato selvatico consuma in media 3-5 kg di carne al giorno (Mech, 1974; Carbyn, 1987), anche se in realtà gli eventi di predazione si alternano a lunghi periodi di digiuno e, in condizioni naturali ottimali con una varietà e disponibilità di prede selvatiche, la dieta del lupo si basa su una o due specie principali (Mech, 1970; Fritts e Mech, 1981; Peterson, 1984; Jedrzejewski et al., 1992; Smietana e Klimek, 1993; Mattioli et

al., 1995; Gazzola, 2000; Avanzinelli, 2001).

Secondo vari studi (Meriggi e Lovari 1996), la scarsità di prede selvatiche invece, costringerebbe il lupo ad integrare la propria dieta sia predando animali domestici, sia facendo riferimento a carcasse e rifiuti: del resto, nonostante le specie domestiche, in particolare ovicaprini, siano meno efficienti nella strategia di difesa propria e della prole, gli attacchi al bestiame sono sempre associati, da parte del lupo, ad un alto rischio di scontro con l’uomo (Meriggi e Lovari, 1996).

Le tecniche di caccia dipendono dal tipo di preda. Il lupo localizza le sue prede fino a 3 km di distanza e grazie alla grande resistenza fisica può catturare prede molto più veloci di lui. Se le prede sono animali domestici custoditi da uomini o cani da pastore, prima

dell’attacco possono passare diversi giorni, poiché esso verrà sferrato solo quando le possibilità di riuscita saranno ritenute soddisfacenti. Le prede che vivono in modo gregario, basano la loro difesa nella compattezza del gruppo, perciò diventa fondamentale per il lupo isolare e dividere i singoli individui (Fig. 1.21) in modo da renderli ancora più vulnerabili agli attacchi e facilitarne la cattura. I lupi possono braccare le loro prede o attaccarle frontalmente. Nel catturare un erbivoro adulto, un membro del branco, spesso il maschio alfa, morde la preda sul muso, mentre altri lupi recidono i tendini delle zampe posteriori con i denti e, con un morso all’altezza del collo, che perfora la trachea e danneggia il nervo vago, la preda cade a terra incosciente morendo per arresto cardiocircolatorio. Il morso alla gola è la principale tecnica di cattura usata dai lupi solitari che cacciano prede delle dimensioni di giovani di cervo, daino, cinghiale e caprioli. I lupi consumano anche carcasse di animali trovate sul territorio (Lopez, 1978).

Nelle nostre regioni i lupi sono attivi e cacciano essenzialmente di notte, probabilmente allo scopo di minimizzare i contatti con l’uomo. Le informazioni che derivano dalle ricerche sull’etologia della predazione (dove, come e quando caccia, gli atteggiamenti nei confronti dell’uomo), sull’analisi della dieta (composizione della dieta in funzione delle risorse disponibili, preferenze alimentari) consentono di delineare strategie

Fig.1.21 Branco di lupi isolano e accerchiano un cervo durante una battuta di caccia (foto da www.i.ytimg.it)

di difesa del bestiame e sperimentare appropriati metodi di prevenzione (Randi et al., 2013).

La predazione esercitata dal lupo sulle popolazioni di erbivori selvatici contribuisce a limitarne la pressione trofica sulle componenti vegetali. Questo comporta a cascata una maggiore ricchezza floristica ed un diverso assetto forestale e di conseguenza favorisce la presenza di un più alto numero di specie animali che interagiscono tra loro e con le diverse componenti ambientali determinando dinamiche complesse. Un chiaro esempio è il Parco Nazionale di Yellowstone, dove l’elevato numero di ungulati aveva portato alla scomparsa della vegetazione ripariale causando fenomeni locali di erosione del terreno: il ritorno del lupo ha limitato la pressione esercitata sulle comunità forestali dai cervidi, col risultato di aumentare la presenza delle specie animali e vegetali legate agli ambienti fluviali (Smith et