La fase di ischemia, come precedentemente illustrato, e’ caratterizzata dal danno miocardico reversibile causato dall’accumulo di cataboliti derivanti dalla glicolisi anaerobia e dal blocco dell’attività delle pompe ioniche di membrana ATP-dipendenti, Nei cardiomiociti ischemici si crea allora una iperosmolarità intracellulare (che può arrivare ad un massimo di 450 mOsm dopo 90 minuti) che è responsabile del richiamo di acqua con finale rigonfiamento cellulare. La normalizzazione delle concentrazioni ioniche anche quando viene ripristinato il flusso ematico richiede tempo perché è necessaria la ricostituzione del pool dell’ATP. Quindi l’eccesso di Na e Ca intracellulare determina un flusso edemigeno prolungato e persistente e lo mantiene fino a quando il potenziale elettrico transmembrana non è completamente ristabilito. L’ingresso di acqua all’interno dei miociti è inoltre favorito dal danneggiamento di membrana che si ha durante l’ischemia[93][94].
Parte dell’edema intramiocardico è anche rappresentato da edema interstiziale : l’osmolarità dell’interstizio aumenta anch’essa, i fibroblasti depongono acido ialuronico con mantenimento del gradiente osmotico, il microcircolo è permeabilizzato[52].
L’edema intramiocardico è un marker di ischemia molto precoce[95]. Studi di RMN cardiaca T2-pesata dimostrano la comparsa di iperintensità del segnale di tipo transmurale in corrispondenza di zone che all’esame ecocardiografico presentano acinesie di nuova comparsa, prima ancora che si abbia innalzamento dei valori sierici della troponina. L’evidenza di edema intramiocardico alla RMN cardiaca può quindi individuare il danno da ischemia dei cardiomiociti prima che si istauri il danno irreversibile. Ciò può rappresentare un marker diagnostico molto utile in caso di angina instabile o di infarto acuto in evoluzione.
Oltre all’ischemia, anche la riperfusione è responsabile di edema intramiocardico. Il ripristino del flusso sanguigno determina la brusca sostituzione di un liquido relativamente iperosmotico, che si era formato durante la fase di ischemia, con un liquido normo-osmotico, cioè il sangue[93]. La formazione dell’edema da riperfusione è stata dimostrata mediante numerosi esperimenti che hanno provato l’aumento del peso secco del cuore prima e dopo la riperfusione.
L’edema miocardico da riperfusione non è libero da conseguenze, infatti il rigonfiamento cellulare cui i cardiomiociti vanno incontro dopo la riperfusione può rappresentare per essi il danno letale : lo stress meccanico che deriva dall’ipercontrattilità per il massivo afflusso intracellulare di ioni calcio, il meccanismo compressivo estrinseco per il concomitante rigonfiamento dei cardiomiociti vicini e dell’edema intracellulare, insistono tutti su una membrana danneggiata e su un citoscheletro reso fragile per il pregresso periodo di ischemia e possono determinare la morte dei cardiomiociti dell’area a rischio. In letteratura diversi studi dimostrano che le cellule acquisiscono la fragilità di membrana durante la fase ischemica e che poi però vanno incontro a rottura e a morte con la riperfusione : i meccanismi coinvolti precedono la riperfusione ma senza di essa non possono determinare la morte cellulare (per questo si parla di danno da ischemia- riperfusione). Il danno sui cardiomiociti danneggiati ancora reversibilmente diviene così da subletale letale, con aumento delle dimensioni finali dell’infarto.
L’edema miocardico da riperfusione infine risulta un determinante del fenomeno del no- reflow[83], compromettendo quindi l’efficacia della riperfusione stessa.
Lo stordimento miocardico è in parte spiegabile a livello subcellulare con l’edema miofibrillare[96] : il rigonfiamento cellulare determina un aumento della distanza tra i filamenti di actina e miosina, comportando l’impossibilità delle teste di miosina di legarsi ai filamenti di actina, con il risultato di una minor efficienza contrattile; quando l’edema intramiocardico viene meno, la funzione contrattile miocitaria migliora nuovamente. L’edema intramiocardico potrebbe rappresentare un importante, se non il solo, marker diagnostico del danno acuto nella cardiomiopatia di Takotsubo[97], che tipicamente è caratterizzata da acuta e reversibile disfunzione contrattile regionale che interessa nella forma classica i segmenti medio-apicali del ventricolo sinistro in assenza di segni angiografici di CAD.
L’edema da riperfusione è correlato alla durata e alla severità della pregressa fase ischemica. Le differenze che si evidenziano a livello interindividuale nell’entità dell’edema miocardico sono correlate con la differente evoluzione delle aree ischemiche in miocardio necrotico e miocardio salvato, essendo in quest’ultimo caso l’edema meno persistente. Da qui le prime ipotesi circa un ruolo dell’edema come indicatore del danno da ischemia-riperfusione. Se infatti i cardiomiociti ischemici dopo la riperfusione rimangono vitali (cioè il danno su di essi rimane subletale e non diviene letale), la membrana cellulare viene riparata, il gradiente osmotico viene annullato e il normale
ischemici vanno incontro a necrosi l’edema miocardico persiste. Allora tutti gli sforzi tesi a limitare il danno da ischemia-riperfusione sono mirati ad evitare dopo la riperfusione la transizione del danno sui miociti ischemici da subletale a letale, e l’indicatore dell’efficacia di questi provvedimenti potrebbe essere rappresentato dalla più rapida risoluzione dell’edema miocardico.
Secondo altri autori invece [4][5][6] l’edema miocardico risulta essere un marcatore di riperfusione avvenuta con successo e un fattore meccanicamente positivo per il recupero della funzione cardiaca: l’aumentata rigidità miocardica che ne consegue potrebbe prevenire lo sviluppo della discinesia migliorando l’outcome ventricolare sinistro.
Figura 5.1
In figura 5.1 è chiaramente evidente l’edema miocardico interstiziale : il preparato istologico colorato all’ematossilina-eosina mostra ampi spazi bianchi che separano le fibre muscolari cardiache.
Capitolo 6
RIMODELLAMENTO
CARDIACO
POST-
INFARTUALE
Il rimodellamento cardiaco post-ischemico è un fenomeno strutturale a patogenesi multifattoriale che riguarda primariamente il ventricolo sinistro e si realizza successivamente all’IMA nell’arco di settimane-mesi. Le modificazioni che si producono a carico del ventricolo sinistro sono stabili e riguardano la forma, la massa, il volume, la composizione e la funzione del miocardio ventricolare. Esse sono il risultato di esigenze adattative del cuore stesso, che a fronte del calo della funzione contrattile causato dalla pregressa necrosi tenta in ogni modo di mantenere una frazione di eiezione sufficiente a soddisfare, quanto meno in condizioni di riposo, le esigenze metaboliche della periferia, e soprattutto degli organi nobili. Nei meccanismi che iniziano e successivamente mantengono le risposte adattative miocardiche, che infine portano al rimodellamento ventricolare irreversibile, giocano quindi un ruolo fondamentale i messaggi, nervosi e bioumorali, che giungono al cuore dalla periferia.
L’entità del rimodellamento miocardico è correlata alle dimensioni dell’infarto ; il rimodellamento risulta essere maggiore negli STEMI anteriori estesi non adeguatamente e precocemente riperfusi.
L’angioplastica primaria aumenta la quantità di miocardio salvato ed è quindi associata a un minor rimodellamento cardiaco, tuttavia questa correlazione non può essere estesa direttamente anche all’outcome funzionale ventricolare perché nonostante il rimodellamento cardiaco sia uno dei maggiori determinanti della prognosi a lungo termine del paziente con pregresso IMA esso non è l’unico.
Dall’iniziale danno miocardico ischemico esita nell’area infartuata una disfunzione ventricolare sinistra di tipo sistolico che si articola in 4 fasi successive ingravescenti :
• dissincronia : dissociazione nel corso della contrazione di segmenti adiacenti ; • ipocinesia : riduzione dell’entità dell’accorciamento ;
• acinesia : assenza di accorciamento ;
Alla disfunzione sistolica ventricolare sinistra conseguono una serie di risposte adattative compensatorie di tipo circolatorio-emodinamico, neuro-ormonale e infine strutturale del miocardio.
La prima conseguenza della formazione di un’area ventricolare miocardica acinetica o discinetica è l’aumento del volume telesistolico : la perdita di forza contrattile si traduce infatti in una diminuzione della gittata sistolica con calo della frazione di eiezione e aumento del sangue residuo in cavità ventricolare sinistra. Questo porta nella successiva fase diastolica ad un aumento del volume telediastolico. Il sovraccarico di volume si traduce in un aumento dello stretching cui sono sottoposti tutti i cardiomiociti ventricolari, sia quelli dell’area infartuata che non, e questo spiega perché il rimodellamento ventricolare è un processo che coinvolge in maniera globale tutto il ventricolo sinistro (e in senso lato tutto il cuore), e non solamente il miocardio andato in necrosi. La prima risposta che il ventricolo sinistro mette in atto a fronte di ciò è la dilatazione. Lo stress di parete è quindi uno stimolo diretto per il rimodellamento ed è considerabile il suo primum movens. La dilatazione acuta dell’area infartuata non rappresenta il segno di un’ulteriore espansione dell’infarto perché procede parallelamente alla dilatazione dell’area non infartuata e inoltre si realizza secondo processi attivi, che sono stati dimostrati da diversi studi, quali la degradazione del collagene operata dalle metalloproteinasi rilasciate dai neutrofili, l’apposizione in serie delle unità sarcomeriche e lo scivolamento reciproco delle fibre miocardiche in senso perpendicolare al raggio endocavitario; il principale stimolo che determina questi processi precoci è il sovraccarico volumetrico emodinamico.
A causa dello scivolamento dei miociti l’uno sull’altro la zona infartuata diviene assottigliata e allungata.
La dilatazione ventricolare, determinata dall’aumentato stress di parete per il sovraccarico di volume, determina a sua volta, per la legge di Laplace (Tensione di parete = pressione intracavitaria * raggio cavità), un aumento dello stress di parete, cosicchè a causa di questo circolo vizioso la dilatazione porta ad ulteriore dilatazione ventricolare. La dilatazione della camera ventricolare è il meccanismo adattativo iniziale cui tende il cuore con disfunzione sistolica ventricolare sinistra, infatti per il meccanismo di Frank-Starling all’aumentare della distenzione delle fibre miocardiche consegue un aumento della contrattilità.. La dilatazione è accompagnata da uno spostamento verso destra della curva pressione-volume, cosicchè le pressioni di riempimento ventricolare risultano aumentate..
Alla dilatazione ventricolare sinistra partecipa anche l’attivazione periferica del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) : l’angiotensina II e sopratutto l’aldosterone sono dei potenti stimoli pro-fibrotici che aumentano la deposizione del collagene interstiziale, alterando la struttura del miocardio, inoltre il sovraccarico cronico di volume secondario alla sodio-ritenzione promuove la deformazione strutturale della camera ventricolare
Successivamente, ma in realtà in parte contemporaneamente alla dilatazione ventricolare, interviene l’altro pilastro del rimodellamento cardiaco, rappresentato dalla ipertrofia ventricolare eccentrica.
Per gli autori che considerano classicamente il rimodellamento cardiaco come un processo bifasico, l’ipertrofia del ventricolo sinistro caratterizza la fase del cosiddetto rimodellamento tardivo, che si svolge nelle settimane successive all’IMA : sotto lo stimolo dell’aumentato stress meccanico e soprattutto dei mediatori simpatici circolanti il miocardio non infartuato va incontro ad ispessimento di parete con riduzione della camera ventricolare, apposizione in parallelo delle unità sarcomeriche, modesta mitosi miocitaria e fibrosi interstiziale.
Figura 6.1
In figura 6.1 si vede chiaramente che il ventricolo sinistro è dilatato, l’area cicatriziale biancastra assottigliata rappresenta la sede del pregresso infarto e coesiste ipertrofia miocardica delle regioni non infartuate.
Come mostrato in figura 6.2, in presenza di disfunzione sistolica ventricolare sinistra si ha una iperattività compensatoria del sistema nervoso autonomo (SNA) simpatico, dimostrabile con il dosaggio dei mediatori plasmatici circolanti, dipendente dalla stimolazione dei sensori periferici (barocettori e chemocettori arteriosi, barocettori cardiopolmonari, recettori muscolari metabolici) i quali avvertono la destabilizzazione
emodinamica conseguente al deficit della funzione di pompa. Tale iperattivazione del SNA simpatico agisce determinando :
• cronotropismo, dromotropismo e inotropismo positivi sul cuore : in effetti cronicamente si sviluppa una progressiva refrattarietà del cuore alla stimolazione adrenergica per la down-regulation dei recettori β1-adrenergici conseguente allo stabile aumento delle concentrazioni di noradrenalina in prossimità degli stessi. Questa evoluzione può essere prevenuta mediante la somministrazione di β-bloccanti ;
• liberazione renale di renina (stimolata anche dalla relativa ipoperfusione renale secondaria al calo della gittata cardiaca) con attivazione del RAAS, cui conseguono sodioritenzione, senso di sete, liberazione di ADH (Anti-Diuretic Hormone) e vasocostrizione periferica. In pratica si hanno un aumento del pre- load (sodio ritenzione, sete) e un aumento dell’after-load (vasocostrizione periferica). L’aumento del pre-load determina per la legge di Frank-Starling un aumento della contrattilità miocardica, quindi in definitiva il meccanismo tende di nuovo al mantenimento della gittata cardiaca.
La vasocostrizione periferica permette il mantenimento della pressione arteriosa, che è tesa ad assicurare la perfusione degli organi nobili.
Gli unici fattori bioumorali che vengono attivati e che hanno azione controregolatoria rispetto a quelli descritti risultano l’ANP (Atrial Natriuretic Peptyde) e il BNP (Brain Natriuretic Peptyde), diuretici naturali endogeni secreti rispettivamente dall’atrio e dal ventricolo in risposta ad una sovradistensione delle fibrocellule cardiache. Il dosaggio seriale del BNP è un parametro utilizzato nella pratica clinica per il monitoraggio della funzione ventricolare sinistra. Recentemente il frammento N-terminale del precursore del BNP (NT-proBNP) è stato valutato e ritenuto più sensibile e in grado anche di correlare, assieme all’imprescindibile valutazione concomitante del quadro clinico, con la qualità di vita e l’outcome del paziente [98][99][100].
Figura 6.2
Le risposte adattative del miocardio in conseguenza di un pregresso IMA possono quindi essere distinte su due livelli :
• meccanismi intrinseci al cardiomiocita :
1. aumentata disponibilità intracellulare di ioni Ca per l’attivazione di canali al calcio stretch-dipendenti : questo cronicamente porta a tossicità cellulare da sovraccarico di calcio ;
2. shift del metabolismo da glucidico a lipidico : questo nel tempo porta a minor rendimento energetico dei cardiomiociti ;
3. attivazione di trasmettitori intracellulari che regolano in positivo l’attività contrattile, modificazioni strutturali delle proteine contrattili atte ad aumentarne l’efficienza, attivazione della trascrizione genica di isoforme fetali dell’actina, della miosina e della troponina : le modificazioni fenotipiche e infine genotipiche delle proteine contrattili portano nel tempo ad una situazione biochimica e funzionale sfavorevole con finale riduzione della contrattilità ;
• meccanismi periferici neurormonali : iperattività del SNA simpatico e del RAAS.
Poiché il compenso alla disfunzione sistolica ventricolare sinistra deve protrarsi nel tempo, le modificazioni strutturali miocardiche tendono a divenire definitive e gli adattamenti emodinamici persistenti. L’aumento della contrattilità miocardica così
ottenuto è alla base del compenso cardiocircolatorio, tuttavia i meccanismi stessi che sono responsabili di tale aumento presentano un limite temporale intrinseco oltre il quale cessano di essere benefici : l’incremento del lavoro richiesto negli anni al miocardio determina infatti un progressivo deterioramento del cuore, di per sé già alterato, e allora insorge il quadro clinico dello scompenso cardiaco. Il rimodellamento cardiaco è perciò considerabile il substrato strutturale sul quale in futuro si svilupperà lo scompenso di cuore.
Per quanto detto, il rimodellamento cardiaco post-infartuale può quindi essere definito come quell’insieme di modificazioni biochimiche e strutturali a carico del compartimento muscolare, vascolare e interstiziale miocardico espresso da modificazioni di massa, volume, forma e composizione che conseguono ad un sovraccarico emodinamico protratto, sia primitivo (sovraccarico iniziale di volume per la riduzione della gittata sistolica) che secondario (conseguente ai meccanismi simpatici di compenso che subentrano per aumentare la contrattilità).
Gli effetti dei mediatori simpatici non si esauriscono a livello emodinamico ma hanno anche un’azione diretta a livello cardiaco. L’angiotensina II e le catecolamine plasmatiche rappresentato per i cardiomiociti dei fattori di crescita che si rendono responsabili della evoluzione ipertrofica. Un aspetto fondamentale e fortemente maladattativo dell’ipertrofia miocardica eccentrica è la fibrosi intramiocardica [101]. La deposizione di fibre collagene, il cui mediatore principale è il TGF-β1 (Trasforming Growth Factor β1) che viene liberato sotto l’influsso dell’angiotensina II e causa attivazione fibroblastica , determina una riduzione della densità capillare, aumentando la distanza di diffusione dell’ossigeno, e una maggiore rigidità strutturale. Si deve inoltre considerare che l’ipertrofia dei cardiomiociti non procede parallelamente ad un adeguato supporto vascolare neoangiogenetico. Tutto ciò porta ad uno stato di aumentate richieste metaboliche da parte dei cardiomiociti iperftrofici a fronte di un’offerta che non può essere sufficientemente incrementata, cosicchè si realizza una situazione di ischemia subendocardica cronica. Qualsiasi fattore scatenante che affatichi il cuore, come una crisi ipertensiva o uno stato anemico acuto, può far precipitare questo equilibrio precario. La deposizione di collagene è inoltre aumentata a causa dello stimolo alla riparazione tissutale che proviene dalla degradazione della matrice extracellulare operata dalle metalloproteinasi attivate dallo stress ossidativo e dalle citochine pro-infiammatorie [102][103].
Figura 6.3
La figura 6.3 mostra i livelli di espressione del TGF-β1 [A-B], dell’enzima che converte l’angiotensina I (ACE) [C-D] e dell’isoforma 1 del recettore per l’angiotensina II (AT1) [E-F] misurati su cuore normale [A-C-E] e su cuore con infarto pregresso di 1 settimana [B-D-F]. I livelli di espressione del TGF-β1 sono stati indagati con la FISH (Fluorescence In Situ Hybridization), quelli dell’ACE e dell’AT1 con la tecnica dell’autoradiografia. L’espressione del TGF-β1, minima nel miocardio normale, dell’ACE e dell’ AT1 aumentano in maniera cospicua nel miocardio con pregresso infarto, sia nell’area infartuata che nell’area non infartuata.
In numerose situazioni di alterazione strutturale cardiaca, tra cui il miocardio affetto da pregresso infarto, si accumulano cronicamente i mastociti : recenti studi [104] hanno dimostrato che l’aumento della densità mastocitica intramiocardica è associata ad un concomitante aumento dell’attività delle metalloproteinasi con incrementata degradazione della matrice extracellulare. I mastociti procederebbero concomitatamente ad un’attivazione fibroblastica tramite il TNF-α e altre citochine non ancora ben definite assumendo un fenotipo pro-fibrotico, e inoltre potrebbero anche aumentare la complessità dell’infiltrato infiammatorio richiamando i linfociti T, aumentando in definitiva il grado
di infiammazione e di rimodellamento (figura 6.4). Gli estrogeni potrebbero rappresentare nel sesso femminile prima della menopausa un fattore protettivo verso questo meccanismo mediante l’inibizione dei mastociti [105].
Figura 6.4
E’ stato recentemente evidenziato che molte delle modificazioni adattative intramiocardiche sono mediate da specifici mircoRNA (miRNA) [106]. I miRNA sono piccole sequenze nucleotidiche (18-24 nucleotidi) non codificanti che esercitano ruolo regolatorio post-trascrizionale sugli mRNA codificanti legandosi a questi ultimi, spesso inibendone la traduzione : i miRNA 21/133/150/195/214 sono stati per esempio legati alla ipertrofia cardiomiocitica, i miRNA 1/133/208 alla funzione proteica contrattile, i miRNA 29/21 alla fibrosi miocardica. Dato il ruolo di alcuni miRNA anche nella regolazione dell’apoptosi cellulare [107][108], essi sono stati recentemente chiamati in causa anche nella patogenesi del danno stesso da ischemia-riperfusione.
Negli anni, il destino finale del miocardio rimodellato è quello di scompensarsi : il meccanismo adattativo di Frank-Starling viene superato, si sconfina nella fase discendente della curva con netto calo della funzione contrattile e il quadro clinico si deteriora. L’ipertrofia è la causa organica stessa del decadimento della funzione cardiaca. Nelle fasi finali, quando si assiste al crollo della funzione ventricolare e il miocardio ipertrofico va incontro ad una vera e propria disfunzione sistolica, è stato dimostrato un relativo squilibrio tra l’attività delle metalloproteinasi e l’attività dei loro inibitori che rappresenterebbe un fattore chiave nella progressione del danno.
In conclusione il rimodellamento ventricolare ha patogenesi multifattoriale e i fattori coinvolti risultano :
• l’estensione dell’infarto [109] : il sovraccarico di volume del ventricolo, dal quale dipende lo stress di parete, aumenta in rapporto alle dimensioni dell’area infartuata, ed è uno stimolo diretto per il rimodellamento. Negli infarti non transmurali il rimodellamento cardiaco è molto minore. Il dosaggio della troponina [110] a 24 e 48 ore dalla procedura di rivascolarizzazione coronarica correla bene con lo sviluppo di rimodellamento cardiaco nei successivi mesi ; • la localizzazione dell’infarto : negli IMA anteriori il rimodellamento è
maggiore ;
• il livello di infiammazione : elevati livelli sierici di PCR[111] e di neoproteina[112] (marcatore infiammatorio e dell’attivazione macrofagica) correlano con lo sviluppo di un maggiore rimodellamento miocardico ;
• la precocità e l’efficacia dell’intervento di rivascolarizzazione e l’eventuale presenza di circoli collaterali : sulla base delle differenti quote di miocardio salvato, in pazienti con minima o assente vitalità miocardica il volume ventricolare continua ad aumentare mentre in pazienti con maggiore miocardio vitale si ha una ridotta dilatazione e un rimodellamento minore;
• l’eventuale presenza del fenomeno del no-reflow [113] : il danno microvascolare è stato identificato quale un importante fattore predittivo di rimodellamento cardiaco indipendente dalle dimensioni dell’infarto e fattore prognostico sfavorevole dell’outcome ventricolare sinistro a lungo termine [114]. I livelli circolanti di osteoprotegerina [115] e di BNP [116] all’ammissione sono stati recentemente associati ad una significativa presenza di no-reflow dopo PTCA primaria e successivo maggior rimodellamento cardiaco : ciò potrebbe essere utile per individuare i pazienti con IMA STEMI a maggior rischio di sviluppare il fenomeno del no-reflow dopo PTCA primaria aprendo per questi ultimi prospettive terapeutiche di tipo preventivo ; • l’eventuale emorragia intramiocardica [117] : è una complicanza possibile dopo la rivascolarizzazione coronarica evidenziabile con la RMN cardiaca T2- pesata ;
• l’edema miocardico da riperfusione : la questione è dibattuta perché se da un lato l’edema da riperfusione è espressione del danno da ischemia riperfusione,
il quale può aggiungere necrosi miocardica e intaccare negativamente la funzione sisto-diastolica ventricolare sinistra, dall’altro determinando un aumento dello spessore della parete miocardica irrigidisce la struttura potendo contrastare la dilatazione ventricolare.