• Non ci sono risultati.

Accanto ai due gruppi familiari, quello dei Cartolari e quello originato da Bianchino dal Leone, nel primo Cinquecento furono attivi a Perugia altri soggetti, alcuni presenti per brevi periodi di tempo, altri in via del tutto oc- casionale. Da qui l’idea di riunire questi casi nella categoria delle extrava- gantes, termine aulico tratto dalla tradizione giuridica (dove sta a significare le aggiunte al corpus principale delle leggi, sia civili che canoniche) utiliz- zato qui per riunire in questo ultimo capitolo alcune informazioni relative ai casi di officine attive per periodi brevi, talvolta brevissimi, presso alcune delle quali, però, si realizzarono iniziative di rilievo. Ai casi più rilevanti è dedicato un paragrafo di commento, da cui restano escluse edizioni non at- tribuite (meno di dieci) e casi isolati come quello di Belardino di Villatuori, Noro Perugino o Ippolito da Ferrara le cui poche edizioni note sono comun- que nel catalogo.

Luca Bini

Originario di Mantova, Bini iniziò la sua attività a Venezia, per poi itine- rare nel centro Italia arrivando a Perugia intorno al 1536. Corretta l’ipotesi che il suo arrivo in città si collegasse all’impresa editoriale della traduzione del Vitruvio, promossa da Giano Bigazzini, Bini risulta aver stampato a Pe- rugia otto edizioni, di cui la metà è attestata da notizia bibliografica, come le

Stanze di Veronica Gambara, uno dei testi più interessanti1. Particolare at-

tenzione merita a mio avviso un’edizione delle istituzioni di grammatica del

1 Voce in DETLI (2013) di Monica Bocchetta e Rosa Marisa Borraccini, pp. 137-140;

maestro perugino Cristoforo Sassi, testimoniata da un esemplare della Bod- leian Library e poco nota ai repertori italiani2.

Lausardo da Ginevra e Vittorio Muzio

È ancora un’edizione di grammatica l’oggetto di un’altra iniziativa iso- lata, intrapresa nel 1533 da Giovanni Lausardo «Gebennensis» e da Vittorio Muzio «Ariminensis». Insieme i due stampano nella civitas Perusina, uno dei testi più diffusi per l’insegnamento del latino, le istituzioni di grammatica di Guarino da Verona. L’operetta veniva infatti composta con grande cura, uso dei caratteri greci dove era previsto, e attenzione per conferire decoro e allineare il risultato alla produzione del genere, mediante l’apposizione di cornicette xilografiche sulla pagina d’apertura, inclusa una celebre scenetta di scuola con il maestro che fustiga l’alunno. L’operazione nasceva all’in- terno dell’ambiente scolastico e agli insegnamenti delle discipline umanisti- che, con il coinvolgimento del poeta Cameni che firmava la prefazione.

Giano Bigazzini, G.B. Caporali e la traduzione del Vitruvio

Più interessante di tutti è il caso, peraltro famoso, rappresentato dal conte Giano Bigazzini, che nel 1536 sottoscrisse, in veste di editore, due iniziative editoriali, una delle quali era l’ambiziosa edizione in italiano del De Archi- tectura di Vitruvio Pollione. Il risultato è uno dei libri più famosi tra quelli pubblicati a Perugia, descritto anche come «il più bel prodotto della tipogra- fia perugina del secolo XVI»3, giudizio a mio parere in gran parte da rive- dere. Certamente si trattò di un’impresa impegnativa ed importante, per ra- gioni però tutte diverse da quelle che motivavano quel giudizio. Vediamo perché. Ad essere pubblicata era una traduzione in italiano del celebre trat- tato di Vitruvio Pollione – in progetto tutti i dieci libri, nei fatti i primi cinque – testo fondamentale per gli architetti del Rinascimento, che vi trovavano tutti i riferimenti per una corretta applicazione delle regole della classicità e che ricominciarono a usarlo a piene mani, dopo che esso era rimasto in disuso per secoli. Per lunga parte del Quattrocento il testo continuò ad essere tràdito in forma manoscritta finché una prima edizione a stampa uscì a Roma, nel

1487, a cura di Giovanni Sulpizio, che a Perugia, come si ricorderà, aveva insegnato nel decennio appena precedente4.

L’opera, che trattava in dieci libri i diversi generi di costruzioni, nelle edizioni a stampa ritrovò un corredo di illustrazioni che probabilmente aveva anche nella redazione originale, ma che nella tradizione manoscritta erano andate perdute. Si trattava invece di un corredo fondamentale, giacché il testo era di supporto all’applicazione pratica della teoria architettonica. Per la stessa ragione il testo necessitava di commenti e spiegazioni che gli archi- tetti, non necessariamente letterati, potessero intendere facilmente. Da ciò la comparsa delle prime traduzioni in italiano, tra cui la più importante è la celebre edizione curata da Cesare Cesariano e stampata a Como da Gottardo da Ponte nel 15215. Nel giro di pochi anni uscirono quattro diverse tradu- zioni, e fu forse questo a spingere il perugino Giovanbattista Caporali a pub- blicarne una anche lui. Molto interessanti le ragioni che egli addusse a giu- stificazione dello sforzo: reclamava la necessità di chiarire ulteriormente il testo, in troppi punti rimasto oscuro e incomprensibile agli artisti. Non es- sendo letterati erano secondo lui incapaci di intendere il linguaggio astruso degli eruditi, veri destinatari dei lavori precedenti. Perciò, scrisse, egli aveva avvertito la necessità di approntarne una nuova, nonostante altre traduzioni fossero già disponibili6.

Nato a Perugia intorno al 1476 dal pittore Bartolomeo, Giovanbattista Ca- porali s’era formato con Perugino e Pintoricchio, con i quali aveva lavorato anche a Roma, e qui era venuto a contatto con architetti quali Bramante, Giu- liano da Sangallo e Baldassarre Peruzzi, dai quali trasse stimolo verso un approccio teorico all’arte7. Dopo il soggiorno romano, consumatosi alla fine 4 Vitruvius Pollio M., De Architectura. Ed. Sulpitius Verulanus J. [Roma: Silber?, non

prima del 1487] (ISTC iv00306000).

5 Si tratta di una celebre edizione illustrata (Edit16 CNCE 49742), di cui il Polifilo nel

1978 ha pubblicato la facsimilare.

6 «[...] ma poi anchor’ loro [i.e. traduttori e commentatori precedenti] non hauere

pienamente nell’exporre qualunque intelligenza contentata, impercioche oscuramente hanno parlato, & con uocaboli & ragioni & auttoritati latine: Tra me medesimo cominiciai a pensare di non potere per auentura fare opera, la quale più giovevole & grata fusse a questi huomini senza littere, quanto che da questa mia poca dexterità & habitudine in essa arte, di soplire a diffetti del primo & de’ seondi [sic]. […] con tutta quella diligenza d’ingegno la quale può usare un cotal fatto Pittore, mi sono affaticato la metà dei .X. libri, primamente il texto & di poi la expositione, da le lor cose latine & oscure, riducere in questo nostri uolgari & appertissimi. [A2v] Maxime più exquisitamente trattando i luoghi che non erano bene intesi & dichiarati, & aggiontoui di molte altre figure a più chiarezza d’intelligentia, & in ultimo la tauola per nuovo modo aggeuolissima nel ritrovare qualunque cosa si uoglia […]» (dalla dedica, A2rv).

del primo decennio del secolo, Caporali viaggiò nel nord dell’Italia, am- pliando i contatti e conoscendo meglio l’ambiente degli architetti, dai quali l’opera era più apprezzata. Quando esattamente egli compilasse la sua tradu- zione non si sa; forse un lavoro di commento lo fece nel corso del tempo, per conferirgli organicità al momento poi della pubblicazione. Il testo, in ogni caso, era pronto nel 1532, quando cominciarono a stringersi contatti per la sua pubblicazione, e ci si mosse per ottenere un privilegio di stampa che la tutelasse; ottenne il privilegio decennale da papa Clemente VII. Motore dell’iniziativa fu evidentemente Caporali, il quale si rivolse al conte Giano Bigazzini come a un mecenate, amante delle arti e particolarmente dell’ar- chitettura, come un colto condottiero del Rinascimento, da cui ottenne il fi- nanziamento necessario alla realizzazione dell’opera, resa dispendiosa e de- licata per il numero importante di tavole illustrate che conteneva.

Insieme, Bigazzini e Caporali, assoldarono maestranze venute da fuori, Jean de Né e Vittorio Muzio8, perché – è stato ipotizzato – in città non n’erano che fossero capaci di portare avanti quel lavoro. Mi sentirei però di proporre una spiegazione alternativa, poiché in quegli anni a Perugia erano attivi Girolamo Cartolari e Bianchino dal Leone, e avevano pubblicato testi di complessità non molto inferiore, soprattutto il primo. Resta semmai da

(1975). Un vivido affresco dell’ambiente perugino di artisti e letterati, tra i quali in quegli anni era anche Pietro Aretino, che con Caporali strinse una forte amicizia è ora dipinto in Silvestrelli 2019. Vi si trova anche la notizia che l’Aretino a Perugia trovasse forse alloggio presso la Sapienza Nuova, il secondo collegio universitario per data di fondazione, rafforzando ulteriormente il peso esercitato dalle istituzioni che ruotavano attorno allo

Studium.

8 Muzzali nel documento (stante quanto risulta in Capaccioni-Sartore, XI); l’originale si

trova in una raccolta oggi conservata nella Biblioteca Augusta, Carte Mariotti: ms 1490, fasc. XXXII, 1r-2v. Gli accordi erano stabiliti tra «Victorio Muzzali» veneziano, compositore di stampa, il francese «Gian de Né tirator de stampa», entrambi abitanti a Perugia, ed agenti per conto del perugino Sante di Pascuccio, individuato come battitore, da una parte; Giano Bigazzini e Giovan Battista Caporali dall’altra e si impegnavano a prestare la loro opera nella stampa del Vitruvio, in termini di fogli da comporre e stampare quotidianamente (1.750 carte al giorno), in cambio di un salario stabilito in 4,5 ducati al mese (Vittorio) e 7,5 al mese per Jean de Né, inclusivo, quest’ultimo del salario del battitore. Il Caporali si impegnava a consegnare i disegni e gli intagliatori e a provvedere i mezzi per stampare che venivano forniti da Bianchino dal Leone in forma di prestito in favore di Giano Bigazzini: «[...] per la parte sua Johannes Baptista del Caporale cetadino perusino [...] promite [...] consegnare li figuri che occurreronno a dicta opera a li tagliatore del opera disignati de tempo in tempo secundo che occurrerà. Item similiter sub eisdem obligatione magistro Cosmo dicto el Bianchino predicto, un torcolo fornito cum l’utile et testo et fglosa cum le loro casse et cose necessarie et esso torculo cio è li legni da bactere in sino al fine de dicta opera [...]». L’impegno, da parte del Bigazzini, consisteva nel sostegno finanziario: «item per la perfectione de dicta opera li supradicti meser conte Bigazini mette et pagha el denaro che occurrerà per stampare dicta opera et dicto meser Iovanne Batista Caporale mecte el dicto libro dicto Victruvio [...]».

capire perché il Caporali non si fosse rivolto direttamente a loro e forse una risposta sta nel fatto che il Caporali intendesse seguire direttamente la realiz- zazione dell’opera, in particolare la stampa delle tavole che erano sì tante e complesse. Sarebbe stato dispendioso dare in mano il lavoro all’editore, chie- dergli di impiegare i torchi per stampare le incisioni; forse era più semplice pagare degli artigiani che avrebbero eseguito materialmente il lavoro, se- guendo le sue indicazioni, che non dovendo rispettare i ritmi di un’officina avviata.

Molto tempo richiedette la realizzazione dell’opera: dal 1532 quando fu stipulato il contratto, passarono quattro anni prima della pubblicazione, spesi forse per realizzare le tavole, ovvero preparare i disegni, trasferirli sulle ma- trici e procedere alla stampa. È da credere, infatti, che se il testo della tradu- zione e il suo commento erano pronti nel 1532, Caporali cominciasse a lavo- rare alle illustrazioni solo dopo aver avuto la sicurezza che il lavoro sarebbe stato pubblicato. Quanto alle tavole, egli riproponeva quasi perfettamente la sequenza di quelle realizzate per l’edizione curata da Cesariano, con alcune accortezze: nell’edizione comasca compariva anche, come esempio di edifi- cio di culto, il duomo di Milano, che in quella perugina non fu inserito. Per il resto le tavole riproducevano il medesimo disegno, in gran parte ne erano copie perfette. Furono introdotte varianti per le rappresentazioni più com- plesse e significative, come l'uomo di Vitruvio o l’età dell'oro.

Non si può considerare una variante invece il frontespizio dell’opera, que- sto sì un vero capolavoro, per complessità di costruzione retorica, prima an- cora che per la sua traduzione in disegno e poi in stampa. Cartolari incise un frontespizio architettonico, all’interno del quale sistemò il titolo dell'opera, in modo tale, peraltro, che la sua porzione principale, la parola «Architet- tura», comparisse in testa all’immagine che la simboleggia: una donna seduta recante in mano gli strumenti di lavoro. Questa è posta come una cimasa sopra un arco trionfale nell'apertura del quale si colloca il prosieguo del ti- tolo, in due parti: «con il suo comento et figure» cui faceva seguito una ulte- riore spiegazione: «Vetruvio in volgar lingua reportato per meser Gianbatista Caporali di Perugia». Il nome era ripetuto in due parti nella cornice, appena sotto a due medaglioni in cui erano il profilo dell’artista e traduttore, e il grifo rampante, emblema della città. Nella cornice, ai quattro angoli, comparivano i simboli di altrettante discipline, come ad indicare la completezza della for- mazione culturale dell’autore: matematica, musica, letteratura e pittura, quali erano gli ambiti in cui Caporali aveva competenze, non confinabili a una tradizionale partizione tra trivio e quadrivio.

In tutta questa operazione, in cui l’artista perugino svolse un ruolo da pro- tagonista (se si conferma che a lui si deve l’idea, il testo, i disegni, l’inven- zione delle sezioni originali), quello che venne a mancare fu proprio la peri- zia dei tipografi. A discapito di quanto è stato detto e scritto, e della fama che quel volume ancora ha, l’aspetto finale del lavoro è piuttosto deludente. La stampa fu realizzata utilizzando una carta di qualità non buona, e impressa con matrici male inchiostrate. Un errore fu inoltre compiuto da subito, quello di scegliere un formato ridotto, non in folio, come nell’edizione di Como, ma in-4, che costrinse a ridurre le tavole o addirittura a piegarle. Nonostante questo, la bellezza dei disegni originali ancora si lascia apprezzare, dimostra- zione della perizia del Caporali; certo non dei tipografi, maestri assoldati all’uopo, né dell’editore, che infatti editore non era: «Dalla stamperia di Giano Bigazzini» è la formula che compare nel colophon dell’opera e che ha permesso di attribuire a lui lo status di editore occasionale. In verità il conte non aveva una vera e propria tipografia, tant’è che per realizzare quel lavoro lui e il Caporali presero in affitto gli strumenti necessari da Bianchino dal Leone.

Rientrato dalle imprese militari, escluso per effetto di rivolgimenti politici dagli affari di governo, Bigazzini si faceva mecenate nel circolo degli artisti e letterati suoi amici, finanziando l’allestimento di una stamperia che pro- dusse solo due edizioni, ma entrambe degne di nota. Oltre alla traduzione del Vitruvio curata da Caporali, infatti, Bigazzini stampò I primi cinque canti di Sacripante, poema cavalleresco di Ludovico Dolce la cui prima edizione era uscita a Venezia pochi mesi prima. Nota oggi solo dall’esemplare della Bri- tish Library, tale edizione dovrà ricondursi al vivace ambiente culturale pe- rugino che in quegli anni dava vita alle prime accademie letterarie.

Fig. 1. Prefatoria alle prime edizioni da: Baldo degli Ubaldi, Super VI Codicis (1471/72)

Fig. 2. La prefatoria in apertura all’editio princeps del Digesto Vecchio (1476)

(Bayerische Staatsbibliothek München, 2 Inc.c.a. 472, a1v, urn:nbn:de:bvb:12-bsb00014993-1)

Fig. 3. La Sapienza Vecchia, cortile interno (per gentile concessione della O.N.A.O.S.I, Perugia)

Fig. 4-5. Incipit e colophon della princeps del Digesto Vecchio

Fig. 6. Il frontespizio delle edizioni Cartolari in cui compare il grifo emblema della città

Fig. 7. Frontespizio del quarto volume degli Statuti di Perugia

Fig. 8. La dedica: Girolamo Cartolari consegna gli statuti a Malatesta Baglioni

Fig.9. Il maestro e l’allievo nella vignetta firmata da Eustachio Celebrino

Fig. 10. La marca di Bianchino dal Leone nella sua prima apparizione

I documenti

L’indice contiene una selezione dei documenti d’archivio, quelli che recano notizie chiaramente attinenti le attività di stampa, non anche tutti i documenti recanti notizie collaterali sugli stessi soggetti. Tutti i fondi esplorati si trovano presso l’Archivio di Stato di Perugia (ASPg): Notarile, Protocolli, 124, 173, 174, 175, 201, 203, 204, 205, 206, 207, 208, 209, 210, 211, 212, 213, 214, 216, 225, 278, 309, 310, 315, 319, 327, 349, 367, 396, 397, 398, 399, 400, 401, 404, 405, 406, 460, 467, 496, 560, 568, 625, 626, 627, 628, 630, 631, 632, 633, 637, 652, 656, 660, 661, 662, 737, 745, 821, 826, 903, 904, 907, 948, 1035. Notarile, Bastardelli, 356, 357, 374, 574, 612, 613, 626, 640, 649, 652, 690, 691, 713, 775, 824, 825, 1098, 1099.

Giudiziario antico, Iura diversa, b. 2, 1451-1460; Processus, 1477, Tomo III, fasc. 14;

Processus, busta 79 (a. 1483-84); Processus, b. 85 (1486).

Sapienza Vecchia, Libri del Rettore, reg. 1, 2, 3, 4. ASCPg, Camera Apostolica Perugina, reg. 2, 3, 16, 17. ASCPg, Catasti, I Gruppo, 34; 14; II Gruppo, 18.

ASCPg, Consigli e Riformanze, registri 100, 102, 111, 125, 126, 130.

1464, mag. 11: Johann Vydenast ufficiale del Palazzo dei Priori (ASCPg, Consigli e

Riformanze, 100, c. 50v) [Ricciarelli 1970]

1466, mag. 15: Concessione della cittadinanza a Vydenast (ASCPg, Consigli e

Riformanze, 102, c. 26v) [Ricciarelli 1970, p. 122, n. 70]

1471, apr. 26: Costituzione della più antica società di stampa a Perugia (Notarile,

Protocolli, 203, cc. 154r-155r) [Rossi 1868, doc. 1 (ed.)]

1471, lug. 26: Johannes Vydenast compare come fideiussore dello studente Ermanno Bichelingen (Notarile, Bastardelli, 356, 156rv) [Ricciarelli 1970, p. 121, n. 67] 1472, sett. 2: Johannes Johannis de Augusta acquista una casa a Perugia (Notarile,

Protocolli, 173, c. 515r-516r) [Ricciarelli 1970, p. 98, n. 37]

1472, ott. 20: Scioglimento della società costituita il 26 aprile 1471 (Notarile,

Protocolli, 204, c. 300r) [Rossi 1868, doc. 2 (ed.)]

1472, ott. 21: Mutuo contratto da Petrus Petri e Costantino di Andrea per 40 ducati d'oro (Notarile, Bastardelli, 775, c. 60r-61r) [Ricciarelli 1970, p. 81]