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Johannes Vydenast bidello e stampatore (1457/75-1506)

Dall’impiego alle iniziative editoriali: la società per la stampa del

Digestum vetus

Paragonata a quella vissuta da Petrus Petri, la storia professionale di Johannes Vydenast si colloca quasi su un versante opposto1. Quello si era connotato come un artigiano, con competenze che gli avevano consentito di progredire nell’ambito della produzione del libro, occupando via via ruoli di maggiore responsabilità ed autonomia, ma sostanzialmente senza mai allontanarsi da quel settore. Questi invece si mosse in ambiti diversi, attento piuttosto a trovare e poi mantenere una stabile posizione a Perugia, dove era arrivato intorno alla metà del secolo e, per fare ciò, puntando, piuttosto che sulla specializzazione professionale, sulla rete di conoscenze e contatti con persone influenti.

La sua prima apparizione a Perugia fu in qualità di familiare del podestà, nel 14572. Sette anni dopo, il 16 maggio 1464, i priori gli conferivano un

1 Anche per Vydenast un ultimo importante contributo si deve a Paolo Veneziani che, a

quasi trent’anni di distanza dal saggio dedicato a Petrus Petri, proponeva parallelamente una revisione delle pubblicazioni attribuibili a Vydenast (Veneziani 1999).

2 ASPg, Giudiziario, Iura diversa, b. 2, 1451-1460. Cfr. Ricciarelli 1970, p. 121. Lo stesso

Ricciarelli esclude, e giustamente, che il Vydenast possa identificarsi con un omonimo Jo-

hannes Henrici teotonicus e scriptor, che viene iscritto al catasto nel 1448, denunciando l’ec-

cessiva distanza cronologica (ASPg, ASCPg, Catasti, I, 14, c. 632r). Ad avvalorare che si trattasse di due diverse persone è il fatto che lo scriptor, nel 1448, denunciava un’avvenuta acquisizione della cittadinanza nel 1444, mentre Vydenast l’avrebbe acquisita in seguito. Vi è inoltre un documento da cui risulta che nel 1476 lo scriptor era defunto: con data 11 ottobre 1476 fu stilato l’inventario dei suoi beni: «Eisdem millesimo [i.e. 1476] [...] Hoc est inventa- rium rerum, massaritiarum et bonorum olim Johannis Herigi de Alamania, habitatoris Perusii, repertarum in domo in qua idem Johannes retinebat hospitium in rembucho pollaiolorum, fac- tum [...] ad instantiam [...] fratris Bonaventure de Frolivio Ordinis Servorum Sancte Marie et

incarico ufficiale, nominandolo tabulaccinum palatii, sorta di guardia di sicurezza3. Fu probabilmente il servizio prestato al palazzo dei priori a guadagnargli la cittadinanza in tempi più brevi del previsto: nella delibera con cui due anni più tardi gli venne concessa, si evitò di dire da quanto tempo risiedesse stabilmente in città. Semplicemente il diritto di cittadinanza gli veniva riconosciuto e, con esso, quello di essere iscritto al catasto tra i cittadini originari: risiedeva nel quartiere di porta san Pietro, e parrocchia di Santa Maria del Colle; quest’ultima da identificarsi con la chiesa di S. Maria dei Servi presso la quale campeggiavano il palazzo del magnifico Braccio Baglioni e il collegio della Sapienza Nuova. Fu proprio in casa del Baglioni che il notaio registrava la presenza del Vydenast, stavolta citato con questo preciso cognome, il 26 luglio 1471; nell’atto egli compariva insieme a due connazionali come fideiussore dello studente Ermanno Bichelingen, della diocesi di Magonza, per un mutuo di 37 ducati d'oro che lo studente aveva ricevuto da un aromatario perugino4. L'atto, in sé non particolarmente ricco, reca tuttavia informazioni interessanti circa il contesto: un piccolo squarcio sul mondo in cui vivevano gli ultramontani, sulle modalità che avevano elaborato di darsi sostegno a vicenda, nonché sul ruolo svolto da un personaggio come il Baglioni che in quella vicenda non entrava per nulla. Si dovrà allora supporre che il palazzo della sua residenza venisse percepito come un luogo atto alla conclusione di patti fra soggetti appartenenti ad universi distinti; un porto franco, a suo modo capace di offrire, all’una e all’altra parte, le garanzie necessarie. Si ricorderà come in quello stesso palazzo, avanti tre mesi esatti, s’era costituita la prima società di stampa.

Nel 1471 dunque Vydenast appariva già bene inserito in città, nei meccanismi istituzionali, più o meno ufficiali, e in familiarità con l’ambiente dello Studium, dove lo troviamo infine con l’incarico di bidello, una figura chiave per tutte le attività legate al procacciamento e alla distribuzione dei testi di studio5. La prima volta che Vydenast viene citato con questa funzione

Johannis Gherardi de Alamania [...] fideicommissariorum in testamento dicti olim Johannis Herici» (ASPg, Notarile, Protocolli, 327, c. 124r-129r).

3 Du Cange, sub voce “Tavolacius”: “Tavolaccini dicuntur apparitores et ministri

magistratuum lanceis et brevioribus scutis armati”. La delibera dei priori è in: ASPg, ASCPg,

Consigli e Riformanze, 100, c. 50v.

4 «Cum hoc sit quod dominus Ermannus Bichelingen de Alamania, diocesis Maguntine,

studens in civitate Perusii, fuit et sit debitor Peri Ioannis Mefii de Perusio, aromatarii in quantitate trigintaseptem ducatorum auri ex causa mutui et dictus dominus Ermannus [...] promicti facere dictam quantitatem per dominum Reymarum Hane d. Johannem Krelys et Johannem Videnast de Alamanea habitatores in civitate Perusii» (ASPg, Notarile, Bastardelli, 356, c. 156rv).

è nel documento di costituzione di una compagnia per la stampa del Digesto vecchio, il 23 febbraio 1476, e forse l’impiego in qualità di bidello aveva appena avuto inizio, se, come si crede, esso è da connettersi con il suo cessato servizio presso il palazzo dei priori6.

A rogare era sempre Francesco di Jacopo che, di nuovo, si trovava a formalizzare un accordo già redatto in forma privata tra «mastro Arigo tedescho et mastro Jacomo Langhebectz tedescho, Jacomo de Arigo bidello et Ranaldo de Francesco de mastro Jacomo de Peruscia»7, quattro soggetti presentati tutti sullo stesso piano, non divisi in due parti, come nelle società in cui era comparso Petrus Petri. Riscritto dal notaio, la lista dei soci veniva riproposta secondo una sequenza rivista, che si apriva con lo studente, si chiudeva con il bidello, nel mezzo l'artigiano e il mercante: «dominus Jacobus Garlasii de Saxonia, studens in civitate Perusii, magister Henricus magistri Henrici de Alamanea impressor librorum, Raynaldus Francisci magistri Iacobi de Perusio, porte Heburnee et Ianne Henrici de Alamanea et nunc civis Perusinus»8 dove si apprezzano le varianti onomastiche all’interno dello stesso documento9, che si devono poi collazionare con le forme, ancora diverse, fornite nel libro stampato. Il volume del Digesto vecchio infatti, che la compagnia effettivamente produsse, arrivò corredato da un apparato paratestuale ricco di informazioni. Vi era un colophon, in cui compariva un

dell’università perugina (cfr. Padelletti 1872).

6 Vydenast fu ‘licenziato’ dai priori con delibera del 28 luglio 1475 (ASPg, ASCPg, Consigli e Riformanze, 111, c. 76r), provvedimento di cui, nei verbali, non si danno le

motivazioni. Sia Ricciarelli che Veneziani hanno voluto ipotizzare che si trattasse di un provvedimento voluto dallo stesso Vydenast, che mirava ad altre e più interessanti occupazioni quali la stampa. Se però si deve credere che l’essere cassato dalla famiglia dei priori fosse voluto dallo stesso Vydenast allora è più facile supporre che anziché per la stampa, attività saltuaria, e sostenuta in forme societarie private, ciò fosse per assumere l’incarico di bidello, che invece poteva ben entrare in conflitto con quello di un’altra funzione salariata dal Comune.

7 «Al nome de Dio Amen. 1476 adi 23 de februario. Sia noto et manifesto a qualunche

persona vedra questa presente scripta overo polizza, la quale se vole fare compagnia a fare libre in forma, cioe al presente se lavorera el Digesto Vecchio [...] coli dicti compagne cioe cum mastro Arigo tedescho et mastro Jacomo Langhebectz tedescho, Iacomo de Arigo bidello et Ranaldo de Francesco de mastro Jacomo de Peruscia» (ASPg, Notarile, Procotolli, 208, c. 96v).

8La redazione avveniva, come in molti altri casi, nell’udienza dell’arte della lana: «Eisdem

millesimo, indictione et pontificatu; die vero XXIII februarii. Actum Perusii in audientia Artis pannorum lane sita in platea Supramuri [...]» (Ibidem).

9Confronto tra le forme onomastiche che più di altri interessa proprio lo stesso Vydenast,

finora citato sempre come Johannes Henrici, più spesso Ianne Henrici, nella versione volgare addirittura con nome mutato in Iacomo. Mentre il cognome compare per la prima volta proprio nel primo libro da lui pubblicato.

nome soltanto: Heinrich Clayn10, che era dunque il magister Henricus magistri Henrici impressor librorum dell’atto di costituzione della compagnia. Teniamolo a mente.

La sua funzione veniva ripetuta anche nella prefatoria, dove egli compariva accanto allo studente e al Vydenast, e dove un esplicito riferimento era fatto al collegio della Sapienza Vecchia (Figg. 2-3), dove forse era conservato il manoscritto di riferimento per la stampa. Clayn vi era identificato come l’esperto nella produzione dei caratteri, Vydenast invece si associava gloriosamente allo studente di diritto, il cui nome era finalmente espresso nella lingua madre e suonava Langenbeck. Di tutti si specificava, con termini ricercati, la regione di provenienza: Clayn ero svevo, sassone il Langebeck, Vydenast veniva invece dalla Valle del Reno11, da dove la stampa s’era diffusa in Europa. Nella prefatoria, vale la pena sottolineare, non si faceva alcuna menzione del quarto socio, quel Ranaldo di Francesco incontrato più volte che evidentemente considerava assai conveniente investire nelle imprese di stampa da cui si attendeva guadagni, senza avvertire l’esigenza di vedere il suo nome ulteriormente riconosciuto. Se nelle stampe silenti di Petrus Petri la sua assenza non si nota, balza invece agli occhi qui, dove molti nomi si fanno, incluso quello di un celebre professore dello Studio, l’umanista Giovanni Sulpizio dalla cui penna uscivano alcuni distici posti in calce al testo, appena prima del colophon e forse anche la prefatoria (Figg. 4-5).

La richiesta all’umanista di scrivere un testo per presentare il lavoro mostra bene la coscienza che i quattro soci avevano di portare avanti un’impresa importante. Quella infatti non era un’edizione qualunque, bensì la princeps del Digestum Vetus, e di questo i tre soci tedeschi erano probabilmente coscienti. L’edizione perugina, infatti, andava a comporre un puzzle (la stampa di tutte le parti del corpus del diritto romano) forse coordinandosi con il gruppo di scolastici e tipografi che in quegli stessi anni operavano a Roma. Infatti, mentre a Perugia si componeva il Digestum vetus, a Roma era appena uscito l’Infortiatum e veniva impresso il Novum, con un’impostazione generale molto simile12. Oltre alla prefatoria, nelle edizioni 10 «Henricus Clayn Ulmae vetusta a nobilissima Germanie civitate ortus. In augusta urbe

Perusia hunc librum diligenter impressit. Anno dominico M.CCCC.Lxxvi tertio kalendas maias pontificatusque divi Sixti papae iiii.» (ISTC ij00546500, dd12v).

11 «[...] unius almae domus Sapientiae Veteris Perusinae scolastici Jacobi Languenbeke

Saxonis et Ioannis Wydenast Sicambri singulari beneficio. Et coelandi sculpendique Henrici Clayn Sueui arte consequetur illorum enim impensis et huius ingenio ffm [i.e. Digestum] vetus quo nullum nostra secula quod ad antiquas illas Pisanorum pandectas propius accederet habuere diligenter Perusii impressus est.» (a1v).

romane a firma di docenti dello Studium Urbis, simile era soprattutto l’impostazione della pagina, frutto della giustapposizione di due cassette di caratteri, gotici per il testo e romani, di modulo minore, per la glossa. L’idea era la stessa, ma veniva realizzata con un altro set di caratteri13. Secondo Veneziani (cui sembra essere sfuggito che l’accostamento, a detta sua eccentrico, tra gotico e romano, era già nelle edizioni stampate a Roma) i tipi usati a Perugia erano praticamente identici a quelli con cui Georg Lauer, a Roma, aveva stampato le sue edizioni negli anni immediatamente precedenti; riteneva anzi che fossero stati prodotti a partire dalle stesse matrici14. Ciò vorrebbe dire che il compito di «fabricare le lettere» affidato ad Heinrich Clayn (Henricus magistri Henrici)15 si risolvesse nel procacciamento degli stessi o dei materiali necessari a produrli, le matrici o i punzoni; oppure che egli li possedesse già, per rapporti pregressi con Lauer.

La cosa, in effetti, è tutt’altro che improbabile. Lo si deduce in generale dalle molte relazioni attestate tra le comunità degli ultramontani delle due città, che potrà considerarsi un’unica comunità in movimento: si pensi alla petizione di Petrus Petri che reclamava a Federico Tietz il prestito fattogli durante il periodo da questi speso a Roma, tra 1476 e 1486. Lo si deduce altresì nello specifico da una testimonianza precisa, in cui vediamo ricomparire lo stesso Tietz che nel 1479 era citato in una procura, insieme proprio a Georg Lauer. Venivano nominati procuratori da Georgius Osterberger, studente della diocesi di Würzburg e residente in Sapienza Nuova, tra le altre cose per il recupero di crediti maturati anche presso il fondaco dei Norimbergensi16.

13 Le due edizioni romane, uscite entrambe dall’officina di Vitus Puecher, erano stampate

con G103/106 e R98 (ISTC ij00555000 e ij00565000); l’edizione perugina con G117 e R101.

14 «It is a rather eccentric production, typographically speaking, for the text was printed

in a gothic of 117 mm (type 1A), while the commentary was printed in a roman of 103 mm (type 2A). Both are practically indistinguishable from types of the same measurement used by Georg Lauer in Rome in the years immediately preceding, and were no doubt cast from the same matrices» (Veneziani 1999, p. 177). Dei vari tipi utilizzati da Lauer questi sono rispettivamente accostabili a quelli usati a Perugia: il gotico tipo 7 (TW ma09675) e il romano tipo 6 (TW ma09673).

15 Il contratto, in effetti, menzionava la produzione dei caratteri, senza specificare come:

«In prima sonno d’acordo che el dicto mastro Arigo debbia extendere la sua persona bene et diligentemente a uso de buono et leale compagno in fabricare lectere» (Ibidem).

16 «D. Georgius Georgii Osterberger, clericus Ervipolensis diocesis, scolarus Sapientie

Nove Perusine [...] promisit M. Georgium Lauuer impressorem librorum, M. Johannem Brotreich […] D. Johannes Cluppfel, D. Federicum Tietz de Alamania […] ad exigendum […] quantitatem pecuniarum et florenorum […] et maxime in bancho sive fundico Nurem- bergensium […]» (ASPg, Notarile, Bastardelli, 358, cc. 34v-35r). Torna ora in mente un altro

La comparsa di Georg Lauer nel panorama perugino ci porta a riaprire, seppur velocemente, un altro fascicolo, quello del Georgius Teutonicus che vedemmo entrare in Sapienza Vecchia nel 1472. Esiste infatti un Georgius Teutonicus che a Roma stampò con Sixtus Riessinger una decina di edizioni, intorno al 1481, e che viene alternativamente identificato con Georg Herolt o anche proprio Georg Lauer17. Al di là delle identificazioni, importava quanto frequenti potessero essere gli scambi tra Perugia e Roma, e quanto numerose potessero essere le occasioni di incontro e scambio, soprattutto all’interno della comunità degli ultramontani. Chiusa la parentesi, torniamo alla stampa perugina del Digesto per le ultime informazioni meritevoli di nota che non sono state ancora commentate. Oltre al rilievo culturale dell’iniziativa, ben raccontato nella prefatoria, l’operazione, importante era il risvolto economico, che nel contratto veniva programmato con assai minore precisione quanto agli impegni di ciascuno, rispetto ai contratti sottoscritti da Petrus. Forse appunto perché diversi erano i rapporti interni. Il Languenbeck e Vydenast infatti s’impegnavano a mettere quanto paresse loro opportuno; Ranaldo avrebbe invece fornito la carta, specificando che dovesse essere carta reale bolognese, e questo è una importante conferma circa la tipologia di carta utilizzata per le edizioni giuridiche18. Volendo, Ranaldo avrebbe potuto fornire il vitto e i materiali per produrre i caratteri19. Maggiore precisione era dedicata a definire la gestione delle vendite e relativi ricavi. Anzitutto, i volumi sarebbero stati venduti in solido dalla compagnia fino al ripianamento di ogni debito, al prezzo di 4 ducati d’oro ogni volume20. Allo stampatore (Clayn) era data tuttavia facoltà di vendere

“Georgius scolare in Sapienza Nuova”, pure lui interessato al recupero di un credito, che ab- biamo incontrato nel giugno 1478 per aver citato in giudizio Fridericus Eber; si trattava pro- babilmente dello stesso.

17 L’identificazione non convinse Veneziani, che proponeva di aggiungere un Georgius

Teutonicus alla lista degli stampatori attivi a Roma, senza identificarlo con altri (Veneziani 2005). Chiunque egli fosse, è interessante la collaborazione con Riessinger, che nei primi anni ’70 stampava una serie di edizione giuridiche, delle opere di Bartolo in particolare, quasi in concorrenza con la produzione perugina.

18 La definizione infatti identifica una misura e non la produzione della carta. Si tratta di

un formato che sta a metà tra l’imperiale e il reale, su cui molto ha indagato Paul Needham. Cfr. Gaskell 1972 pp. 66-77; Needham 1994.

19 «Et sonno dacordo che Ranaldo sopradicto debbia mectere carte reale bolognese quanto

sera de bisogno de dicta compagnia et si pur volesse mectere gle sia lecito de mectere denare grano vino olio stagno piombo o altre cose quanto sera di piacere et volonta de dicto Ranaldo» (ASPg, Notarile, Protocolli, 208, c. 96v).

20 «E sonno dacordo che finite che seranno li dicti libri non se possono dividere dicti libri

insino a tanto che non e veduta la ragione e pagata tucta la carta tolta [...] E per pagare esse creditore se debbia vendere libri in comunione et pagate seranno dicti creditore quelli avessero avere e fossero creditori li dicti messer Iacomo Ranaldo et Ianne debbiano tolglere li dicti libri

fuori città due balle di volumi, che gli venivano riconosciute come compenso per il lavoro svolto21. Ripianati i debiti, i volumi restanti venivano divisi secondo l’impegno, ma Languenbeck e Vydenast avrebbero comunque otto volumi a testa, e un compenso in denaro: due ducati d’oro al mese22. Il resto sarebbe stato ulteriormente ripartito in proporzione alle spese sostenute. Si decideva infine un prezzo minimo, fissato a 5 ducati d'oro a esemplare, per la vendita in città, da potersi ridurre solo su espressa licenza dei soci23. L’accordo era simile a quelli già esaminati solo in apparenza: qui non ci si preoccupava di fissare le modalità di distribuzione fuori città, e il rapporto non era tra artigiani tedeschi, da una parte, e finanziatori locali dall'altra, bensì tra i due titolari dell'iniziativa, studente e bidello, e l'artigiano incaricato di portarla a compimento. Il perugino Ranaldo di Francesco sembrava meno coinvolto, sicuramente meno di quanto non fosse presente nelle imprese di Petrus. Era evidente qui una maggiore autonomia di Languenbeck e Vydenast, legata al loro essere intrinseci allo Studio: l’iniziativa appariva maturata in seno ai collegi universitari, in un clima di vivace partecipazione al generale rinnovamento culturale, di cui l’arte della stampa era uno dei fattori principali. Anche economicamente l’iniziativa sembrò avere un discreto successo. Il 4 febbraio 1479, con quattro copie del Digesto, Vydenast era in grado di ripianare un debito superiore a 34 fiorini, a un valore cioè quasi raddoppiato, se i soci avevano concordato di non vendere le copie a meno di 5 fiorini ciascuna24 e in diverse altre operazioni egli avrebbe utilizzato quei volumi in luogo del contante.

Tanto importante quanto fugace fu invece la partecipazione a quella iniziativa di Heinrich Clayn, in quel contesto il più autenticamente professionista. Il suo nome, comparso per la prima nella princeps perugina

a ragione de quactro ducate luno et el resto se debbiano dividere como ne la presente scripta de contiene» (Ivi, 97r).

21 « Quisto dechiarato che sia leceto al dicto mastro Herigo [...] Togliere e avere doi balle

de dicte libre e esse vendere de fuore Peroscia dove a lui piacera non obstante che dicte cre- detore non fossero satisfacte. Et quelli da puoi mectere a suo conto.» (Ibidem).

22 «Et sonno dacordo che l’altra mita de dicti libri FF vecchie el dicto messer Iacomo et

el dicto Ianne debbiano avere octo libri de dicte Digeste Vecchie per uno [...] Et piu sonno dacordo che per la fatigha [...] dicto Ianne et messer Iacomo abbia ducate (doi) doro el mese, per lo passato et per lo avenire» (Ibidem).

23 «Et sonno dacordo che li sopradicti libri non se possino vendere qui in Peroscia mancho

de ducate cinque doro l’uno senza expressa licentia de li altri compagni socto la pena de ducate xxv doro» (Ibidem).

24 «Ventura Abrae Venture de Perusio ebreus [...] fecit finem et refutationem [...] Johanni

Herigi bidello Studii perusini, presenti etc de florenis xxxiiii ad rationem xl bol. pro floreno [...] contentus habuisse quatuor volumina Digestorum veterum in forma factorum prout a que consignavit in fundaco Francisci Oddi» (ASPg, Notarile, Protocolli, 310, c. 46r).

del Digestum Vetus, con essa pure sparì. Che la sua non fosse una figura di secondo piano lo dicono le modalità di partecipazione all’iniziativa; è difficile pensare che continuasse a collaborare con Vydenast restando nell’ombra, nell’anonimato del lavoro in officina. Piuttosto è da credere che altre cause provocassero la cessazione della collaborazione tra Clayn e Vydenast, come un allontanamento dalla città, magari repentino e non programmato, ma reso necessario dall'arrivo di una forte epidemia di peste.