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È il caso di editoriali come Il rito stanco dell’Onda, pubblicato da Pierluigi Batti sta sul “Corriere della sera” del 20 novembre.

Nel documento Eredità (pagine 173-177)

e altra-riforma

2. È il caso di editoriali come Il rito stanco dell’Onda, pubblicato da Pierluigi Batti sta sul “Corriere della sera” del 20 novembre.

Senti che bel rumore

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me coordinamento permanente, segnò l’inizio di una nuova fase, costringendo i media e la politica a rivedere il proprio approccio nei confronti del disegno di legge. Se a mobilitarsi non erano più solo i soliti studenti ideologizzati e sfaticati, sobillati dai baroni, ma anche migliaia di giovani ricercatori, proprio quelli che il ministro Gelmini prometteva di favorire attraverso meccanismi meritocratici, era evidente che qual- cosa non tornava. Fu in quel momento e in quel punto che la narrazione dominante sul disegno di legge iniziò a incri- narsi. I giornalisti cominciarono a guardare con occhio un po’ più sospettoso le veline governative, a chiedere a studen- ti e ricercatori cosa pensavano della riforma, talvolta (udite udite) addirittura a leggere il testo del disegno di legge. Le mobilitazioni studentesche primaverili di Bari, Torino, Ca- tania, Siena, Padova e Roma, con intensità diverse, seppero inserirsi in quella crepa e iniziare ad allargarla, mostrando nelle vertenze territoriali gli effetti concreti della legge 133 del 2008, di cui il disegno di legge Gelmini era la prosecu- zione naturale.

I margini per la mobilitazione restavano comunque stret- tissimi e la forma di protesta scelta dai ricercatori, cioè l’in- disponibilità ad assumere incarichi didattici, non avrebbe dispiegato i suoi effetti prima dell’inizio dell’autunno, dopo l’approvazione del disegno di legge da parte di Camera e Senato, prevista per l’estate. Ma poche ore dopo l’approva- zione della riforma da parte del Senato, il 29 luglio, arrivò una notizia inattesa: il rapporto, da tempo logoro, tra Berlu- sconi e Fini era arrivato ormai al punto di rottura. Iniziava quel giorno una fase di estrema debolezza per il governo, sottoposto a continue oscillazioni per l’instabilità della mag- gioranza parlamentare. Una fase che apriva uno spazio di possibilità insperate per chi si opponeva al disegno di legge Gelmini: c’era la concreta possibilità che il governo cadesse, o che comunque la riforma universitaria finisse masticata nello scontro interno.

Entrambe le notizie ci raggiunsero mentre eravamo al Ri- ot Village di Otranto, il campeggio studentesco organizzato insieme all’Unione degli studenti, il sindacato degli studenti medi. Quella sera era nostro ospite Maurizio Landini, se- gretario generale della fiom, con cui, un mese dopo il re- ferendum alla Fiat di Pomigliano, discutevamo della mani- festazione nazionale convocata per il 16 ottobre, della crisi

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economica e del ruolo dei saperi nel suo superamento, della precarietà del lavoro e del reddito di cittadinanza. Qualche giorno dopo, nello stesso spiazzo del Riot Village, discutem- mo con Domenico Pantaleo, segretario generale della flc (Federazione lavoratori della conoscenza) e con Alessandro Ferretti, ricercatore della Rete29Aprile, dell’autunno che ci aspettava, dell’indisponibilità dei ricercatori, di come pro- vare a fermare il disegno di legge Gelmini. Il rapporto con ricercatori e precari era per noi un punto particolarmente delicato: da una parte ci rendevamo conto di come la lo- ro protesta fosse centrale per la legittimazione della critica al disegno di legge e per la realizzazione di un vero blocco dell’università; dall’altro sapevamo che l’indisponibilità po- teva danneggiare gli studenti, creando conflitti interni po- tenzialmente distruttivi per ogni prospettiva di movimento. Andava costruito fin da subito un quadro comune, in modo che fossero chiari a tutti gli obiettivi condivisi della mobilita- zione e che si evitasse ogni deriva corporativa: il responsabile dello sfascio dell’università era il governo, non certo chi de- cideva, di fronte all’ennesima controriforma, di smettere di lavorare gratis. Per sconfiggerlo, il disegno di legge andava contestato in toto da un unico fronte di mobilitazione, e non frammentato in mille vertenze di categoria.

Proprio al Riot Village, in quel contesto nacque l’idea del manifesto “Vogliamo potere - saperi contro la crisi”, l’idea di un approccio alle mobilitazioni autunnali che partisse dal- la vertenza nazionale sulla riforma universitaria e da quelle locali sugli effetti della legge 133 (aumenti delle tasse, tagli dei servizi, ecc.), collegandosi alla protesta dei ricercatori, per poi investire i temi generali della crisi, della precarietà, della questione generazionale come questione sociale. Im- maginavamo un autunno in cui la soggettività studentesca, universitaria e generazionale emersa nell’Onda si ponesse al centro di un vasto fronte di opposizione sociale, a partire dal- la manifestazione nazionale del 16 ottobre, in grado di pro- porsi come soluzione alla crisi e come alternativa alla fuga, approfittando della debolezza del governo per far avanzare un’agenda di cambiamento radicale. La battaglia sull’uni- versità, ci dicevamo, può essere vinta solo se giocata a tutto campo, oltre i ristretti confini dei nostri atenei, investendo i nodi della crisi economica e ambientale e della questione generazionale come questione sociale.

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Per noi di link, a un anno dall’inizio del nostro percorso di coordinamento nazionale alcune delle più radicate realtà universitarie italiane, l’autunno era l’opportunità di speri- mentare le intuizioni su cui avevamo fondato il nostro proget- to. Ci siamo detti fin dall’inizio che l’obiettivo era la costru- zione di una proposta politica radicale e di massa, in grado di superare le tendenze all’autoreferenzialità, al compromesso, all’oligarchia e al settarismo che avevano tradizionalmente caratterizzato le componenti organizzate del movimento. Ci siamo spesso definiti una piattaforma avanzata al servizio del movimento: una rete organizzata per l’azione sindacale e la partecipazione politica, che partecipa attivamente al movi- mento, se ne sente parte interna e integrante e ne rispetta pienamente i meccanismi e le scelte, sacrificando spesso la propria visibilità, e al tempo stesso, potendo contare su un radicamento molto maggiore rispetto a qualsiasi altra rete di movimento, dà un contributo determinante in termini di elaborazione, proposta e coordinamento. Non sovradetermi- nare le scelte del movimento, e al tempo stesso non scioglier- si al suo interno ma mantenere una struttura orizzontale e visibile di dibattito democratico. Questa era la nostra sfida, che abbiamo colto mantenendo ben presente il fatto che essere la più grossa tra le reti di movimento non significa essere maggioritari né tanto meno egemoni o addirittura autosufficienti: il pezzo più ampio del movimento è sempre quello dei singoli studenti in mobilitazione, da coinvolgere e interpellare continuamente.

Questa rivendicazione esplicita del nostro esistere come associazione, come realtà organizzata indipendente e demo- cratica, durante questa stagione è stata per la prima volta condivisa, per forza o per amore, da gran parte delle strutture presenti nel movimento, e questo è un carattere di assolu- ta novità, almeno all’interno del ciclo di proteste iniziato nel 2005. Nell’Onda del 2008 far parte di un gruppo studen- tesco era considerato praticamente un delitto, ogni apparte- nenza collettiva era vista con sospetto e ogni ragionamento che andasse oltre l’opposizione alla legge 133 era bandito.

L’evoluzione della soggettività emersa nell’Onda è visibile anche da questo punto di vista: l’idea che un movimento esista solo quando esplodono proteste clamorose per nu- meri e incisività è assolutamente superficiale. Tra il 2008 e il 2009, anche nelle fasi in cui non c’era mobilitazione ap-

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parente, una parte significativa degli studenti dell’Onda ha continuato a darsi da fare, a formarsi, a organizzare inizia- tive pubbliche, a diffondere informazione e consapevolezza sui mutamenti che interessavano l’università. Alcuni sono entrati nelle realtà storicamente più radicate, altri ne han- no formate di nuove. Di certo quel movimento, dopo tanto parlare di “irrappresentabilità”, ha inciso parecchio anche sulla rappresentanza studentesca3. Molti si sono posti il pro-

blema di come darsi un’organizzazione che permettesse di superare i limiti dell’Onda. Di link si è già detto: proprio durante l’Onda, noi che all’epoca militavamo per la maggior parte in associazioni locali, iniziammo a vedere la necessità di un coor dinamento nazionale 4. Ma sono arrivati più o meno

organizzati all’inizio della mobilitazione anche i ricercatori strutturati, con la nascita della Rete29Aprile, e i precari, con l’assemblea nazionale dell’8 ottobre che fondò il Coordina- mento precari dell’università.

Insomma, il processo di maturazione collettiva della sog- gettività studentesca emersa nell’Onda ha superato i dogmi e i pregiudizi contrari all’organizzazione e alla rappresen- tanza, contaminando allo stesso tempo l’organizzazione e la rappresentanza con pratiche sempre nuove di partecipazione democratica, con dinamiche assembleari, con un generale senso di appartenenza a un collettivo più ampio, a un movi- mento di cui le realtà organizzate sono solo una parte e a cui devono costantemente rispondere.

Un percorso ancora attraversato da nodi problematici, come quello dei processi decisionali: chi decide per il movi- mento? Il metodo assembleare è l’unico condiviso da tutti, ma ha dei limiti evidenti, sia tattici (discutere pubblicamente le azioni di mobilitazione previste per un corteo renderà più difficile poterle mettere in pratica) sia politici (l’assemblea incentiva alla rappresentazione teatrale delle differenti posi- zioni per la conquista dell’applauso, rendendo più difficile

3. Come dimostrano le vittorie alle elezioni universitarie del 2009 di realtà come

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