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Fonte: Piattaforma di richieste del Coordinamento precari università (cpu) per la scrittura degli statuti di ateneo e i decreti attuativi.

Nel documento Eredità (pagine 73-76)

e altra-riforma

3. Fonte: Piattaforma di richieste del Coordinamento precari università (cpu) per la scrittura degli statuti di ateneo e i decreti attuativi.

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plicemente privo di senso. L’attuazione di una strategia di valutazione che preveda premialità e disincentivi deve quindi necessariamente prevedere un periodo di normalizzazione del funzionamento del sistema universitario e della ricerca. Si devono poter stabilire obiettivi e progettare futuro. È vitale perciò che le risorse disponibili siano programmate su base pluriennale, con sistemi di finanziamento certi e vincolati, con importi, tempi e obiettivi d’investimento tali da ripor- tare l’Italia in linea con i parametri di spesa internazionali che l’Italia stessa ha accettato sottoscrivendo la strategia di Li- sbona. Inoltre, per raggiungere ogni tipo di obiettivo scienti- fico – scoperte, brevetti, formazione, investigazioni originali, comprensione e previsione di eventi, nuove interpretazioni, ecc. – è indispensabile che nello sforzo di valutazione non vada perso il principio fondamentale della promozione della collaborazione fra ricercatori, ora sacrificato a uno sterile, se interpretato alla lettera, principio di “competizione”. Una scienza fertile è una scienza che amplia le conoscenze, il con- fronto metodologico, e la sinergia delle competenze. […] Del resto, la crisi delle università di impronta neoliberale (corporate universities) sta animando un dibattito internazio- nale sull’opportunità di agire in base a criteri di valutazione totalmente centrati sul mercato e su logiche aziendali di bre- ve veduta, proprio per i deficit causati da tale strategia non sul solo versante culturale e sociale, ma anche sul versante economico e tecnologico4.

Associati. Ci sono i professori associati. Che sono già profes-

sori. I quali però possono ancora far carriera, per diventa- re ordinari. Dovrebbe piacergli, innanzitutto per le stesse ragioni per cui dovrebbe far piacere ai ricercatori, quanto alla carriera e poi perché, poiché sono professori non ba- roni, la riduzione del potere dei baroni significa renderli effettivamente partecipi del governo dell’università. Ci sono anche i professori ordinari “illuminati”. Perché non tutti gli ordinari sono baroni. Come non tutti i berga maschi sono cretini e non tutti i siciliani mafiosi, e non tutti i napoletani imbroglioni e così via di luogo comune in luogo comune.

4. Fonte: documento del 5 luglio 2010 elaborato dal gruppo di lavoro della Re- te29Aprile su mandato e sulle linee guida dell’assemblea di Milano del 29 aprile 2010 (www.rete29aprile.it).

La parola magica: meritocrazia

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Perché per essere barone (cioè oligarca) non basta essere ordinario, magari bravo, ce ne sono anche lì, occorre essere inquadrato in consorterie extra-accademiche. E questo agli accademici, anche ordinari, non piace. […] Ma altra cosa è fare discendere dalla valutazione, con la media di Trilussa, il finanziamento dell’intero ateneo. L’idea è balzana perché considera l’istruzione una merce e gli studenti dei clienti e contraddice poi l’idea stessa di merito e di ruoli. […] Il ddl […] moltiplica i ruoli (oltre gli attuali anche il ricercatore a termine) e li separa nettamente tra loro (fasce chiuse con proporzioni prestabilite). Ogni volta, insomma, che si vuol fare carriera si viene assunti di nuovo. Come accade ora. Si viene assunti di nuovo se… Molti se. Nessuno dei quali atti- nente alla qualità del singolo aspirante. Cioè il meccanismo che viene additato essere baronale, perché condiziona la vita accademica dello studioso, dalla laurea all’ordinariato. Il ddl Gelmini non modifica questo meccanismo, anzi lo accentua. Da un lato attribuisce a cinque soggetti il potere abilitativo, da un altro lascia a ristrette oligarchie locali la decisione fi- nale e l’unica effettiva. E la situazione è ancora più grave per i giovani5.

Scuola. Le parole sono cavalli. Si cavalcano. Prendiamo la

parola me-ri-to-cra-zia. A destra e a sinistra, quando si parla di pubblico impiego, oggi, in Italia, non c’è parola più alla moda. Ogni politico italiano se ne riempie la bocca. Pietà, non ne possiamo più. Anche quando si parla di scuola. Per me è un evidente riflesso condizionato di un’impostazione di società e di scuola tipicamente economicista: lo Stato- Azienda, la Scuola-Azienda. In questo Berlusconi ha fatto scuola. La formulazione è lapalissiana: dare più soldi e pre- stigio a chi lavora meglio, darne meno a chi lavora peggio. Crea consenso. Perché non c’è persona che io conosca che pensi di essere tra quelli che lavorano meno o peggio. Quan- do poi si inizia a indagare su cosa sia il meglio o il peggio, soprattutto nella scuola, le cose si complicano. Prendiamo i docenti. Don Milani, Loris Malaguzzi o Gianni Rodari, oggi, sarebbero considerati meritevoli? O, piuttosto, facinorosi? Il dibattito è aperto. Simile discorso vale tra gli studenti. Per

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dare merito ai meritevoli, occorre avere idee chiare sul me- rito. Nella nostra scuola dell’obbligo le idee non sono certo chiare, se i politici in vent’anni hanno costretto una decina di volte i docenti a cambiare il sistema di valutazione dei loro studenti. Dunque, è meritevole l’alunno più obbediente o il più ordinato? Il più preciso? Il più creativo? Quello che studia di più? O quello che ottiene con maggior facilità i risultati? O il più disciplinato? […]

Quanto ai criteri utilizzati per definire il merito, pren- diamo quello della produzione: il numero di promossi. È indice di scuola migliore? Posso promuovere di più alzan- do i voti o posso avere più diplomati solo perché ho alunni non problematici o la cui famiglia può permettersi corsi di lingua all’estero e corsi di recupero a pagamento. E allora? Il merito è della scuola o delle famiglie? O delle ammini- strazioni pubbliche in cui scuola e famiglia sono inserite? O di tutti insieme? Comunque la pensiate, con tale criterio, il premio “produzione” andrebbe alle scuole dei quartieri più agiati e a minor rischio di dispersione scolastica. Certamente non a quelle scuole più disagiate, come invece suggerirebbe la lettura dell’articolo 3 della nostra Costituzione. Ecco, il risultato più eclatante dell’applicazione coatta e strumentale di una ideologia del merito a un’istituzione così complessa e delicata come quella scolastica, specie quando si parla di scuola dell’obbligo, è proprio questo attacco violento e irre- sponsabile ai principi di sussidiarietà, di solidarietà, di aiuto: i pilastri della nostra Costituzione e della nostra convivenza democratica6.

L’uso delle parole e la democrazia

Gustavo Zagrebelsky ha detto:

Il numero di parole conosciute e usate è direttamen- te proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità. Poche parole e poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le paro- le che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica7.

6. G. Caliceti, Appunti di scuola. Quanti scempi in nome della meritocrazia, “il manife-

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