• Non ci sono risultati.

Un’edizione “sinesiana” degli Inn

Nel documento COMMENTO FILOLOGICO AGLI INNI DI SINESIO. (pagine 34-56)

P RELIMINARI SUL CORPUS INNODICO SINESIANO ∗∗∗∗

1. Un’edizione “sinesiana” degli Inn

Il presunto silenzio osservato dallo stesso autore su queste sue liriche talvolta assai ardue, che in larga parte, forse grazie proprio al loro status di prodotti destinati ad una élite culturale abbastanza preparata da poterle comprendere, veicolano quegli ajpovrrhta, quelle dottrine inviolabili che altrove Sinesio vieta e si vieta di rivelare ai profani9, lascerebbe dunque senza appiglio ogni tentativo di immaginare come avrebbe potuto presentarsi un’edizione di questi carmi licenziata dallo stesso filosofo, ed addirittura se sia mai esistita una siffatta edizione, qualunque fosse la forma da essa assunta (edizione parziale, destinata ad un uso privato, oppure completa e confezionata per un vasto pubblico), se non fosse che uno dei testi summenzionati, una volta che sia riletto alla luce di altri passi sinesiani in prosa, svela informazioni inaspettate, celate dietro ad un linguaggio certamente allusivo, e tuttavia molto preciso: si tratta dell’inizio della ben nota epistola 154, scritta verso la fine dell’anno 40410 e inviata ad Alessandria all’indirizzo di Ipazia per accompagnare la spedizione di due opere ancora inedite, il Dion e il de insomniis, che la filosofa figlia del grande Teone dovrà leggere per poi esprimere un giudizio sulla loro eventuale pubblicazione, e del de dono, già noto all’insigne interlocutrice, ma allegato agli altri due per rendere “perfetto” (cf.

ep. 154.115-116) il numero dei bibliva a lei destinati. Sinesio chiarisce anzitutto il

motivo della composizione dei due scritti, legato per il Dion alle critiche ricevute da due fazioni di detrattori per i suoi interessi non angustamente limitati ad una sorta di sterile “rigorismo contemplativo” ma aperti alla grazia ed al fascino della cultura ellenica (ll. 1-18), per il de insomniis invece ad una folgorante ispirazione divina (uJpo; tou' qeou' kineqeiv"). Poi passa a descrivere con sferzante ironia gli atteggiamenti tipici dei suoi pretenziosi avversari (ll. 19-47), infine offre a Ipazia una breve presentazione delle due operette dichiarandone gli intenti e i contenuti (ll. 49-114). Le accuse cui si fa inizialmente riferimento sembra, a ben vedere, che

9 Sono i bevbhloi di de insomn. proqewriva (cf. S

USANETTI 1992, 91-92) e gli ajnorgiavstoi di hymn. 9.73 (cf. GRUBER-STROHM 1991, 239): per Sinesio la filosofia va annoverata ejn ajrrhvtwn ajrrhtotavtoi" (ep. 137.26-27). Si veda anche l’ep. 143.2, dove con un eloquente tono di rimprovero Sinesio invita l’amico Erculiano a non ricadere nell’errore da lui commesso per aver rivelato ta; a[xia kruvptesqai. Sull’uso della poesia come strumento per “dissimuler ce qui doit rester secret”, cf. SIRINELLI 1989, 141.

10 Cf. R

non fossero del tutto nuove a Sinesio11, tuttavia, come egli stesso precisa, il casus

belli pare sia stato offerto da un episodio ben preciso, evidentemente occorso non

molto tempo prima della missiva stessa:

ÆEnh'ge de; aujtou;" eij" to; katadikavsai mou pro;" movnhn paidia;n ejpithvdeion ei\nai to; ta;" Kunhgetika;" ejk th'" oijkiva" oujk oi\dÆ o{pw" diarrueivsa" spoudasqh'nai diaferovntw" uJpo; neanivskwn ejnivwn oi|" ÔEllhnismou' te kai; cavrito" e[mele kaiv tina tw'n ejk poihtikh'" ejpimelw'" e[conta kai; paradeiknuvnta ti th'" ajrcaiva" ceirov", o{per ejpi; tw'n ajndriavntwn levgein eijwvqamen. (ep. 154.11-18)

Li ha spinti ad accusarmi di essere capace solo di sciocchezze il fatto che le mie Cinegetiche, scomparse non so come da casa, siano state particolarmente apprezzate da alcuni giovani ai quali stava a cuore la cultura greca e la sua grazia, e così pure alcune delle mie composizioni poetiche, scritte con ogni cura e che mostrano un tocco di mano arcaica, come siamo soliti dire per le statue.

Dunque fu la circolazione a Cirene, dove Sinesio si trovava al momento della composizione della lettera, di alcuni suoi scritti a provocargli l’acerbo ed immeritato rimprovero di mancanza di gravità “intellettuale” ed a spingerlo dunque all’appassionata autodifesa che ancor oggi ci testimonia proprio il Dion. Ma di quali scritti si parla in questo passo? Curiosamente, si deve ammettere con sconsolato rammarico che di essi non sappiamo nulla, o quasi. Nel primo caso siamo per lo meno informati del titolo (aiJ Kunhgetikaiv), che tuttavia, se anche lascia pochi dubbi sul suo probabile contenuto, suscita di rimando non poche perplessità: l’opera si incontra già, menzionata ancora una volta en passant, in ep. 101.10-1512, che però è posteriore alla 154 di quasi un anno, e Roques13

11 Sul legame tra le accuse rivolte a Sinesio e la sua (perduta) produzione letteraria si veda B

ALDI

2010.

12 Ta;" Kunhgetika;" h[/tei" ta;" ejma;" wJ" dhv ti spoudai'on aujtai'" ejnovn [...] ouj ga;r hjxivoun tw'n para; sfivsi to;n faulovtaton eijpei'n ejxenevgkai ti paivgnion th'" para; soi; spoudh'" a[xion. Agli occhi dell’amico Pilemene, avvocato del foro costantinopolitano, cui questa lettera è

argomenta, in modo credo convincente, che ad essa si alluda anche in ep. 74.1-2 (e[pemyav soi to;n lovgon ajttikourgh', th'" ajkribou'" ejrgasiva"), che precede di qualche mese la 101 (dunque ancora posteriore al testo in esame, che cronologicamente rappresenta la prima testimonianza su “le Cinegetiche”). Ma il genere femminile del sostantivo ha causato un qualche imbarazzo (e anche

qualche errata conclusione)14 ai commentatori, lasciando non ancora

definitivamente risolta la controversia circa l’esatta natura di quest’opera, sebbene la soluzione proposta ancora una volta da Roques mi sembri decisamente convincente15. Nessun appiglio interpretativo, invece, sembra offrire l’assai vago

tina che introduce il breve accenno ad una non meglio identificata produzione

poetica. Eppure, credo che un’attenta analisi del nostro testo e di altri, che tra breve occorrerà chiamare in causa, permettano di proiettare una luce affatto nuova su questo oscuro riferimento e di sottoporlo all’attenzione che merita.

Abbiamo visto che Sinesio tratteggia assai rapidamente la poesia sotto accusa con le espressioni ejpimelw'" e[conta e paradeiknuvnta ti th'" ajrcaiva" ceirov". La prima di esse non lascia molto margine speculativo: questi poemi sono stati scritti “con cura”, il che non meraviglia, considerando l’importanza attribuita dal nostro filosofo all’attività letteraria in genere, ed a quella poetica in particolare16. Faccio altresì rilevare, però, che in questo caso l’apparentemente superflua indicazione può essere letta in opposizione alle modalità che avevano reso note le Cinegetiche ai neanivai dell’alta società di Cirene: queste ultime, secondo le parole di Sinesio, si erano misteriosamente dileguate dalla sua casa (ejk th'" oijkiva" oujk oi\dÆ o{pw"

diarrueivsa"), forse, provo ad immaginare, per un “furto” di qualche curioso

affamato di novità editoriali, senza, dunque, che l’autore avesse potuto personalmente autorizzarne la diffusione, circostanza questa non verificatasi per le composizioni poetiche, che invece dovevano già circolare con il suo consenso,

indirizzata, Sinesio sembra avallare, schernendosi, il giudizio dei suoi detrattori cirenei (di cui qui si coglie un’eco), tuttavia il tono del passo, chiaramente improntato ad una professio modestiae, ribalta quella valutazione grazie al lusinghiero giudizio espresso proprio da Pilemene (cf. anche ep. 74.2-4).

13 Cf. R

OQUES 1989, 133-134 e 225-226 e GARZYA-ROQUES 2000, 329, n. 5 e 354, n. 9. 14 A

SMUS 1900, 147, LACOMBRADE 1951, 28 e SCHMITT 2001,49-50 vi vedevano una raccolta poetica, ma nel testo si distingue nettamente tra le Cinegetiche e tina tw'n ejk poihtikh'".

15 Cf. supra, n. 13. Lo studioso francese identifica quest’opera perduta con il lovgo" ajttikourgh'" dell’ep. 74.

16 Cf. Dion 15.1-4, su cui si veda T

come sembra certo dal silenzio in merito che accompagna la loro menzione nell’ep. 154. L’avverbio ejpimelw'", allora, contrappone qualcosa di licenziato da Sinesio (le poesie) a qualcosa che ancora non lo era (le Cinegetiche), e che in vista della loro “pubblicazione” (verosimilmente nei mesi immediatamente successivi all’episodio stesso, come testimoniano le summenzionate epp. 74 e 101 dell’anno 405) e circolazione anche al di fuori dei confini della sua città natale17 avrebbero richiesto, ci dice ancora il nostro filosofo, un “lavoro minuzioso” (ep. 74.1-2:

e[pemyav soi to;n lovgon ajttikourgh',

th'" ajkribou'" ejrgasiva"

). Ma oltre all’indicazione della cura formale di questi testi, verosimilmente raccolti su uno di quei tetravdia altrove menzionati da Sinesio stesso come “contenitori”di suoi scritti in versi18, troviamo una notazione piuttosto singolare, certamente in parte stilistica, che tuttavia non si lascia ben decifrare: l’ajrcai'a ceivr di cui questi

poihvmata mostrano “un tocco” (ti), infatti, non sembra aver riscontri precisi utili

a decrittarne il senso, soprattutto in considerazione del fatto che ajrcai'on, nel V

secolo dopo Cristo, potrebbe riferirsi ad una finestra cronologica dai confini così ampi da risultare del tutto priva di significato. Credo, però, che queste parole, oltre a connotare stilisticamente questi versi, nascondano anche informazioni relative al loro contenuto. Proprio nel Dione, infatti, si trova chiarito ciò che per Sinesio ajrcai'on vuol significare (Dion 3.3):

ÆExelauvnei gavr toi filosofiva kai; ajpo; th'" glwvtth" trufhvn, to; ejmbriqev" te kai; kovsmion kavllo" ajgapw'sa, oJpoi'ovn ejsti to; ajrcai'on, kata; fuvsin e[con kai; toi'" uJpokeimevnoi" oijkei'on.

La filosofia, infatti, allontana la mollezza anche dalla lingua, poiché predilige la bellezza dotata di gravità e di

17 Roques ipotizza la loro lettura da parte dell’amico Pilemene addirittura nel Panellhvnion di Costantinopoli (cf. GARZYA-ROQUES 2000, 329, n. 4). Sul Panhellenion a Costantinopoli si veda GRÜTZMACHER 1913, 61-72; LACOMBRADE 1951, 122-130; CAMERON-LONG 1993, 71-84 e GARZYA-ROQUES 2000, 357-358, n. 37. Scettico nei confronti dei precedenti si mostra HAGL 1997, 45,che accorda al Panhellenion tutt’al più uno status di cenacolo letterario.

18 Cf. ep. 141.12-13: ajntivgrafon ou\n th'" tetravdo" ajpovsteilon ktl., ed ep. 143.52-53: ejn tw/' tetradivw/ tw'n ijambeivwn eu\ron ejpi; tevlou" tou;" dwvdeka stivcou" ktl. Su queste epistole cf. infra, pp. 44 sgg.

decoro, quale è quella arcaica, conforme alla propria natura e adatta ai contenuti.

Sembra, dunque, non solo che l’ “arcaicità” derivi recta via dallo sprone della filosofia, che in tal modo, quasi personificata, si profila come concorrente all’atto creativo di questi testi poetici, ma anche che la gravità e il decoro, marca distintiva del kavllo" autenticamente ajrcai'on e filosoficamente inteso, contraddistinguano tanto la forma quanto il loro contenuto (ta; uJpokeivmena)19. Ma c’è di più. Questo stesso kavllo" di cui la filosofia informa la produzione letteraria20 viene presentato più avanti nel Dione (riferito genericamente ai lovgoi) con parole che richiamano da vicino un tema quasi assillante proprio degli Inni, quello della fuga dalla materia e dell’elevazione dell’anima alla sua incontaminata dimora originaria21:

Toiou'ton ou\n to; ejn lovgoi" kavllo": ouj baquvnetai pro;" u{lhn oujde; ejmbaptivzei to;n nou'n tai'" ejscavtai" dunavmesin, ajlla; divdwsin ajnaneu'sai diÆ ejlacivstou kai; eij" oujsivan ajnadramei'n. (Dion 6.5)

19 Cf. anche T

REU 1958, 44-45. Su questo ideale di bellezza arcaica cf. anche Plut. Pyth. orac. 6.397a-b Valgiglio: nosou'men gavr [...] ta; w\ta kai; ta; o[mmata, suneiqismevnoi dia; trufh;n kai; malakivan ta; hJdivw kala; nomivzein kai; ajpofaivnesqai […] oJ de; Pivndaro" “ajkou'sai” fhsi; “tou' qeou' to;n Kavdmon ªoujº mousika;n ojrqavn”, oujc hJdei'an oujde; trufera;n oujdÆ ejpikeklasmevnhn toi'" mevlesin.

20 Sinesio ne tratta diffusamente nei capitoli 6-8 del Dion (cf. V

OLLENWEIDER 1985, 189-197). La bellezza dei lovgoi (ovvero della letteratura, qui appassionatamente non meno che lucidamente difesa) è foriera di quella kaqara; hJdonhv, che sola è ammessa come legame (perovnh) capace di far sostenere all’anima la presenza instabile del corpo (6.3-4; cf. TREU 1958, 62-65 e TINNEFELD

1975, 139-154). Sui rapporti tra cultura letteraria e filosofia nel Dione si vedano GARZYA 1972; BRANCACCI 1985, 137-171 e SENG 2006. Un’analoga connessione tra filosofia e lovgoi caratterizzati da una bellezza di tipo “austero” (ejmbriqh') e “divinamente ispirato” (e[nqeon) anche in de reg. 1.3 (aujth; [scl. filosofiva] mevntoi parevxetai lovgou", ouj tou;" iJlarou;" […], ajllÆ e{teron trovpon toi'" ejfikevsqai dunamevnoi", to;n ejmbriqh' te kai; e[nqeon, ajrrenwpou;" kai; semnou;" ktl.).

21 A buon diritto si può parlare in questo caso di un leitmotiv della raccolta innodica: anche dove non esplicitato, il tema è presente come sottofondo costante della poetica sinesiana. Si vedano, a titolo di esempio, i seguenti passi: hymn. 1.37-41, 375-380, 593-608, 726-729; 2.286-295; 3.44-47; 4.35-37; 5.87-91; 7.42-47; 9.100-121, 131-134. Su questo tema si veda VOLLENWEIDER 1985,177- 203eSENG 1996,passim, in particolare 157-170.

Tale è la bellezza insita nei logoi22: non fa affondare nella materia e non immerge la mente nelle potenze di infimo grado, ma permette di risalire in brevissimo tempo e di slanciarsi verso l’essere.

ove risulta trasparente la consonanza, ad esempio, con hymn. 1.702-711:

cavlason perovnan diduvmwn paqevwn, oi|si yuca;"

705 dolovessa fuvsi" kavmptei kata; ga'": dov" me, fugoi'san swvmato" a[tan, qoo;n a{lma balei'n

710 ejpi; sa;" aujlav",

ejpi; sou;" kovlpou" ktl.

Sciogli la fibbia delle duplici passioni, con le quali la natura ingannatrice piega l’anima sotto terra; concedi che, una volta sfuggita alla sventura del corpo, possa spiccare un rapido balzo verso la tua reggia, verso il tuo seno …

In altre parole, sembra che, grazie ai testi sinora chiamati in causa, si possa annodare un filo diretto che collega il concetto di ajrcai'on al ruolo della filosofia nell’ispirazione artistica e ad uno dei contenuti più presenti nell’innografia sinesiana, stabilendo un legame che si fa ancora più saldo qualora si consideri un altro riferimento agli Inni implicito nella definizione di “arcaicità”. Abbiamo visto come questa debba essere dotata di gravità e decoro, e che tali peculiarità si traducano in precise scelte contenutistiche oltre che stilistiche. A tal proposito mi sembra molto indicativo il capitolo finale del primo libro del de providentia (1.18.1-2), dove, secondo la condivisibile opinione della maggioranza degli studiosi, Sinesio indugia nella rappresentazione di sé come rude filosofo (di cui

22 Il senso più perspicuo da dare a lovgoi in questo passo mi pare sia quello ricavabile da Pl. Resp. 811b-c, dove il personaggio chiamato l’Ateniese propone come criterio discriminante per la loro utilità non la forma poetica o prosastica, ma “la loro aderenza al complessivo progetto paideutico del nomothètes” (cf. VELARDI 1991, 220-223): i logoi, dunque, possono essere intesi sia come scritti in versi che in prosa.

non viene rivelata l’identità) apertamente schierato col divino Osiride, legittimo sovrano di Tebe d’Egitto, proditoriamente estromesso dal potere dall’usurpatore e fratello Tifone23. La presa di posizione in favore di Osiride da parte del filosofo e dei cittadini rimasti a lui fedeli si esplica in una aperta propaganda contro la tirannia attraverso la produzione di lovgoi e di mevtra24 in sua lode. Ebbene, la presentazione dell’austero filosofo-Sinesio, alle prese con quella che a tutti gli effetti è vera e propria attività letteraria, richiama molto da vicino le caratteristiche proprie dell’ajrcai'on incontrate nel Dione e a noi già note: egli, infatti, è ejmbriqh'" e ajgroi'ko"25, ovvero estraneo alla trufhv, proprio come il kavllo" di Dion 3.3, incarna, cioè, l’essenza dell’arcaicità, che si riflette nei suoi carmi per Osiride (si potrebbe dire, a buon diritto, scritti con un tocco di ajrcai'a ceivr) con la scelta di un linguaggio nutrito dal rigore e dalla solennità insita nella venerabile tradizione dorica:

oJ de; […] kai; ejpoivei kai; e[grafen kai; pro;" luvran h/\de to;n trovpon to;n Dwvrion, o}n movnon w/[eto cwrei'n bavro" h[qou" kai; levxew".

23

Per una panoramica generale sui molteplici problemi interpretativi connessi all’allegorico racconto sinesiano si veda NICOLOSI 1959 e LAMOUREUX-AUJOULAT 2008b,1-91e la bibliografia ivi segnalata.

24

Cf. de provid. 1.18.1: Pollw'n de; ejpi; polloi'" tovte kai; mevtra poiouvntwn kai; lovgou" grafovntwn, u{mnou" eij" “Osirin.

25 L’ajgroikiva di cui Sinesio anche altrove si fregia va, però, ben intesa alla luce della posa letteraria che, come qui, egli polemicamente assume nei confronti di un certo tipo di retorica, con cui volentieri polemizza (oltremodo indicativo calv. enc. 4.4: ouj dh; kataiscunw' ta; pavtria tw'n ajgrw'n, oujde; fanou'mai strogguvlwn logavria, prooivmiav tina kai; pronovmia: ajllÆ oJ kravtiston hJgou'mai kai; ajgroivkw/ pro;" trovpou [...] ajgwniou'mai toi'" pravgmasin). Tale semplicità e ruvidezza di costumi è esemplarmente presentata anche nell’ep. 148, dove Sinesio si raffigura in una idillica e idealizzata cornice agreste, lontana dal mondo “civilizzato” e per questo adattissima alla filosofia (ll. 64-67: toiou'ton oijkou'nte" ajgro;n povrrw povlew" kai; oJdw'n kai; ejmporiva" kai; trovpwn poikivlwn. hJmi'n gavr ejsti scolh; me;n filosofei'n), dove trova posto anche una produzione poetica di argomento pastorale non a caso definita ajrcai'a (l. 130). È anche evidente, tuttavia, che questa rusticitas (a volte foriera di disagi per Sinesio; cf. ep. 92.1: kako;n ouj mikro;n ajpolauvsw th'" ajgroikiva", livan ajlhqeuvwn), sebbene giustificabile come mezzo per rivendicare la propria franchezza e austerità, va assolutamente rigettata su un piano più puramente formativo e culturale (cf. Dion 4.3: ajxiw' ga;r ejgw; to;n filovsofon mhdÆ a[llo ti kako;n mhdÆ a[groikon ei\nai, e 10.7: dei' gavr toi prw'ton ajpodu'nai th;n ajgroikivan, dove tuttavia “a[groiko" bezeichnet hier nicht die rücksichtslose Offenheit des Philosophen … sondern hat die spezielle Bedeutung ‘nicht vertraut mit der griechischen Bildung, unbelesen’”, cf. TREU 1958, 52- 53). Cf. anche ROQUES 1987, 137-138 e PIZZONE 2006, 13-14. Un’analoga rivendicazione di rusticitas anche in Jul. Mis. 354b, p. 42.24-26 Prato-Micalella.

Ed egli […] componeva, scriveva e cantava sulla lira secondo il modo dorico, che riteneva il solo capace di contenere la profondità dei modi e dell’espressione.

Ecco dunque che la Dwriv" esperita nei mevtra dall’enigmatico personaggio del de

providentia, oltre ad essere l’unica in grado di adeguarsi al loro contenuto ed al

loro stile (si ricordi che nel Dione to; ajrcai'on soddisfa le stesse esigenze, in forza del suo essere kata; fuvsin e[con e toi'" uJpokeimevnoi" oijkei'on), offre un riferimento26 inequivocabile agli Inni, dove essa viene programmaticamente rivendicata in ben due luoghi del corpus poetico27:

ÔUpo; Dwvrion aJrmoga;n ejlefantodevtwn mivtwn

stavsw ligura;n o[pa ktl. (7.1-3)28

Secondo l’armonia dorica fisserò il melodioso suono delle corde intarsiate d’avorio …

“Age moi, livgeia fovrmigx, meta; Thivan ajoidavn, meta; Lesbivan te molpavn, gerarwtevroi" ejfÆ u{mnoi"

kelavdei Dwvrion wj/davn ktl. (9.1-5)

Orsù, lira soave, dopo il canto di Teo, dopo il canto di Lesbo, per inni più austeri intona un’ode dorica …

D’altronde questo capitolo del de providentia mostra importanti analogie anche con Dion 15.3-4, dove Sinesio difende, proprio dai detrattori segnalati nella lettera 154, la sua vocazione poetica accostando la sua poesia a quella scritta da Socrate

26 Per primo segnalato da T

ERZAGHI 1939, 105 tra i loci similes, poi seguito dagli altri commentatori. Sull’uso del dialetto dorico negli Inni cf. SENG 1996,310-311.

27 Sinesio potrebbe aver avuto presenti, anche per la scelta della lingua con cui comporre gli Inni, le significative parole di Lachete nell’omonimo dialogo platonico, che esaltano il modo dorico come l’unico veramente greco (cf. Lach. 118d): kai; komidh/' moi dokei' mousiko;" oJ toiou'to" ei\nai, aJrmonivan kallivsthn hJrmosmevno" ouj luvran oujde; paidia'" o[rgana, ajlla; tw/' o[nti ªzh'n hJrmosmevno" ou|º aujto;" auJtou' ton bivon suvmfwnon toi'" lovgoi" pro;" ta; e[rga, ajtecnw'" dwristi; ajllÆ oujk ijastiv, oi[omai de; oujde; frugisti; oujde; ludistiv, ajllÆ h{per movnh ÔEllhnikhv ejsti a[rmoniva (cf. anche de insomn. 4.6). Cf. anche HAWKINS 1939, 36-38.

28 Sull’interpretazione di questi versi e sul significato e l’importanza del riferimento all’armonia dorica per gli inni 6-8 cf. infra, pp. 155 sgg.

su invito divino (come leggiamo in Phaed. 60e-61b)29, e connettendola, oltre che con la filosofia, anche con la mantica30 (h] ouj poihthv" ejstin oJ to; crhsthvrion

e[cwn to; Puqoi' kaiv, nh; Diva, to; ejn Bragcivdai"…): in relazione agli eventi

egiziani che lo vedono coinvolto, infatti, il filosofo ajgroi'ko" riveste il ruolo proprio della figura di Socrate, difensore della verità e fiero avversario della tirannia grazie alla sua parrhsiva. Che qui, poi, non si tratti di poesia lato sensu, ma di una produzione tematicamente impegnata (del tipo di quella innodica), mi sembra assicurato sia dall’uso per i propri fini apologetici del testo platonico, visto che Sinesio sottolinea con forza il carattere tutt’altro che giocoso delle circostanze ricordate nel Fedone31, sia dalla forzatura della citazione omerica di Il. 9.443 (muvqwn te rJhth'rÆ e[menai prhkth'rav te e[rgwn) in 15.1, che introduce questa lunga tirata, di cui Sinesio riscrive ex novo la seconda parte (muvqwn te

rJhth'rÆ e[menai gnwsth'rav te o[ntwn)32

: così facendo, stravolto il senso delle parole rivolte da Fenice ad Achille, Sinesio è libero di attribuire un’altissima funzione contemplativa proprio alla poesia33. Difatti, non solo in tutto il Dione la difesa dell’attività letteraria è condotta sul doppio versante di retorica e poesia34 (e ciò non meraviglia, se si tiene presente che l’opuscolo è concepito come risposta alle critiche rivolte alle Cinegetiche, scritto in prosa retorica, e alle composizioni

ejk poihtikh'"), ma soprattutto in questo capitolo, che costituisce la conclusione e

29 In questo passo iniziale del Fedone, Platone riporta la risposta di Socrate alla domanda del suo interlocutore Cebete sul motivo della composizione da parte del filosofo ateniese di un inno ad Apollo e della versificazione delle favole di Esopo. Socrate racconta, dunque, dell’ordine (w\ Swvkrate", mousikh;n poivei kai; ejrgavzou) impartitogli da un dio a più riprese durante il sonno,

Nel documento COMMENTO FILOLOGICO AGLI INNI DI SINESIO. (pagine 34-56)