C APITOLO QUARTO
8. Ipotesi per la mise en page dell’inno: le testimonianze manoscritte
A questo punto un’altra osservazione merita di essere considerata. Essa è collegata alla constatazione che le due porzioni di inno, danneggiate dalla supposta inversione di fogli, presentano del resto una notevole disuguaglianza relativa alla quantità di testo conservato. Ebbene, contando il numero di versi di ciascuna108, si ottiene 60 vv. per la parte “finale” (vv. 548-608) e 120 vv. per la parte qui considerata “precedente” (vv. 609-729). Ora, trattandosi di due fogli manoscritti, viene a configurarsi un manufatto in cui la mise en page preveda 60 vv. per pagina, verosimilmente su tre colonne a lettura progressiva orizzontale di 20 righi ciascuna, vista la piccola quantità di spazio occupata dai monomentri anapestici. Questa nuova ipotesi appena prospettata non appare, peraltro, priva di riscontri codicologici, seppur indiretti. A blocchi di 60 monometri farebbe pensare, infatti, una singolare coincidenza che, come abbiamo visto109, accomuna quattro manoscritti tra loro stemmaticamente indipendenti. Sia l’Ath. Vatop. 685 (= V), che il Patm. 668 (= R,), che il Vat. gr. 94 (= G) e l’Oxon. Barocc. gr. 139 (= N) segnalano tutti una netta cesura dopo hymn. 2.59, ovvero dopo 60 versi dall’inizio del secondo carme: il codice N fa seguire al luogo segnalato uno spazio bianco, come se si trattasse di una indicazione di lacuna, e inoltre la lettera iniziale di hymn. 2.60, di modulo maggiore, si trova in aggetto rispetto al resto della colonna di scrittura, R invece segnala proprio dopo hymn. 2.59 una conclusione con la formula caratteristica e{teroi (similmente G, che però omette la formula di transizione a[lla, tipica della famiglia b), e così pure V, dove, come abbiamo visto110, all’altezza di hymn. 2.60 si trova vergata una vistosa stauros, un fraintendimento del segnale di fine inno costituito dal dicolon + stauros, evidentemente usato anche dal suo modello. Che per i manoscritti più antichi degli Inni, poi, si potesse dare il caso di una superficie scrittoria organizzata secondo i criteri appena suggeriti (ovvero con il testo disposto su tre colonne di 20 versi ciascuna), è una possibilità resa verosimile ancora una volta grazie alla
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Dal computo ometto i vv. 730-734, che come ho accennato in una precedente nota (cf. n. 105), mi riservo di trattare più avanti.
109 Su questo dato si veda supra, pp. 22-24. 110 Cf. supra, p. 24.
testimonianza del ms. Barocci 139, uno dei quattro appena menzionati. Sappiamo già che esso è un codice mutilo, dal momento che ci conserva solo hymn. 2, (10), 5.65-91, 6 e 7, tuttavia non è stato ancora rilevato un particolare, all’apparenza trascurabile, ma forse rivelatore. La disposizione del testo in N, infatti, risulta abbastanza regolare, e in particolare ogni inno appare correttamente separato dal suo precedente tramite uno spazio bianco di almeno un rigo. Questo non si verifica, però, nel punto di passaggio dallo spurio inno 10 al mutilo inno 5, all’altezza della prima metà del f. 216v. Qui i due inni si susseguono senza soluzione di continuità, come se il copista avesse pensato che fossero un unico componimento, tanto che dopo hymn. 10.20 (ovvero dopo l’ultimo verso) non si trova, come alla fine degli altri inni, l’usuale dicolon + paragraphos per segnalarne la conclusione, ma si vede benissimo una semplice stigmhv che assicura l’erroneo legame con i versi seguenti dell’inno 5, che peraltro sono in anacreontici e non in anapesti (fig. 1). Non solo, il testo dell’inno 5 prosegue, sulla scia dell’impaginazione dell’inno di Giorgio Scellerato, su tre colonne invece che su due come il seguente inno 6, obbligando lo scriba a servirsi di un elevato numero di abbreviazioni tachigrafiche, il cui uso nel resto dei fogli riservati agli Inni risulta peraltro moderato:
fig. 1: la fine di hymn. 10 e l’attacco di hymn. 5.65 nel ms. Oxon. Barocc. gr. 139 (f. 216v).
È evidente che il copista ha qui riprodotto, come in copia facsimile, la disastrosa situazione che si trovava sul suo antigrafo, le cui mutilazioni mi pare possano riverberare i criteri di una mise en page coerenti con quelli ipotizzati poco fa e che in questa sede possiamo tentare di ricostruire proprio grazie alla fedeltà di questo anonimo scriba al suo modello. Prima di procedere, è utile però ricordare che il Barocci 139, pur appartenendo alla famiglia a, non presenta il peculiare ordine della raccolta (ovvero hymn. 4, 5, 6, 7, 9, 1, 2, 10), ma è caratterizzato, oltre che
dalle consistenti lacune, dalla sequenza ricordata poc’anzi. Mi sembra condivisibile l’ipotesi, sostenuta già da Terzaghi111, secondo cui gli inni 2 e 10 siano stati ricollocati in prima sede una volta verificatasi la perdita degli altri, e tuttavia l’anomala fusione di hymn. 10 e 5, che denuncia un completo fraintendimento dello status dei due inni, ci assicura che di tale operazione non è responsabile N, bensì un suo antenato, quanto prossimo non possiamo sapere. Ebbene, la conflazione tra questi due inni, avvenuta in seguito alla mutilazione e al riposizionamento dei fogli del ms., può essere stata possibile solo nel caso in cui hymn. 10 avesse occupato i righi finali del verso di un foglio e hymn. 5.65 sgg. i primi del recto del foglio successivo, secondo il seguente schema:
Ciò significa anche che la quantità di testo conservata a partire da hymn. 5.65 fino alla seguente mutilazione (ovvero fino ad hymn. 9 escluso) doveva stare in un numero intero di fogli, visto che hymn. 7 è completo e non rimane invece nulla di
hymn. 9. Se contiamo il numero di versi di questa sezione superstite, ovvero hymn. 5.65-91 (27 vv.) + hymn. 6 (42 vv.) + hymn. 7 (53 vv.), otteniamo 122
versi, una quantità perfettamente compatibile con la mise en page supposta in precedenza (di 60 versi per pagina), che dunque poteva entrare in un solo foglio. Non solo, il calcolo torna anche con la parte di testo che si è perduta. Difatti, considerando che hymn. 1 è scomparso senza lasciare traccia e che hymn. 2, in origine disposto in immediata successione a quest’ultimo, è integro, ne consegue
111 L’idea dello studioso, però, prendeva le mosse dal più ambizioso intento di “ricostruire” il manufatto originario contenente gli Inni e forse risalente a Sinesio stesso, cf. TERZAGHI 1913, 476- 477 (cf. anche DELL’ERA 1969, 39).
verso
recto
testo hymn. 10.1-20
testo hymn. 5.65 sgg.
che anche la sequenza hymn. 9 + hymn. 1 (962 vv.)112 era contenuta in un numero intero di fogli, che, sempre nell’ipotesi di 60 versi per pagina, dovevano ammontare a 16, ovvero ad un quaternione esatto. Così anche per hymn. 4 + hymn. 5.1-65 (37 vv. + 65 vv.), sebbene in questo caso si debba supporre una disposizione su due colonne per i lunghi “tetrametri ionici a minore” di hymn. 4, in modo tale da ridurre a 40 i cola sul recto del foglio perduto.
112 Nei mss. della famiglia a, gli inni 9 e 1 hanno un numero di versi leggermente inferiore rispetto ai mss. di b (che ne conteggiano in totale 968) a causa di alcune omissioni, cf. TERZAGHI 1939, xxvi-xxviii.