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Educazione come metafora di “relazione” Il contributo della Psicologia Umanistica di Carl Rogers

A: Atti, atti di comunicazione, di parola, quelle funzioni linguistiche che sono appunto “funzionali” a comunicare in modo efficace.

3.4 Educazione come metafora di “relazione” Il contributo della Psicologia Umanistica di Carl Rogers

La prima e fortissima relazione significativa che si instaura nel “cucciolo d’uomo,” abbiamo visto, è quella diadica madre/bambino. Da questa prima esperienza unica, tutte le successive del bambino che cresce e diventa adulto, saranno indelebilmente legate a quella relazione primaria. Durante la vita la persona sperimenta incontri, occasioni, deve intraprendere scelte, progetti che avranno un’ineluttabile matrice sociale interpersonale. La qualità della sua vita relazionale dipende da queste intersezioni comunicative: se positive, lo affrancheranno nel mondo degli adulti, se viceversa con difficoltà, innescheranno problemi affettivo-relazionali. I tratti di personalità e caratteriali innati si fondono con i dati ambientali dell’esperienza, determinando la complessità della persona che vive, opera, agisce con le risorse genetiche acquisite, con il tipo di attaccamento avuto con la figura primaria di riferimento e con il patrimonio di vita vissuta che lo caratterizza.

Sul piano dell’apprendimento e della vita scolastica e di formazione questo patrimonio pregresso acquisito influenza fortemente ogni processo didattico. Il passaggio di conoscenze non avviene su una tabula rasa candida, ma s’inscrive in un sistema specifico di personalità preesistente, che tende a considerare ogni nuova esperienza, confontandola con un matching

cognitivo ed emotivo strutturato sulle esperienze pregresse.

Questo meccanismo opera in questo modo perché le dinamiche di funzionamento sono contestualmente cognitive ed emozionali, e come dicevamo precedentemente, nelle prime fasi di vita esclusivamente affettive e quindi ogni separazione delle due componenti non avrebbe nessun significato, ne sul piano scientifico, né didattico metodologico. Il coniugare aspetti cognitivi ed emozionali nell’educazione linguistica quindi non è solo una moda o un nuovo approccio, ma è una necessità per l’individuazione di metodi che rispecchino il reale funzionamento della mente umana nella sua globalità.

Da questo punto di vista vale la pena ricordare che la psicologia americana di stampo umanisitico ha dato contributi notevoli e Carl Rogers (1961) ha indicato con chiarezza la strada da percorrere per un approccio umanizzante, sia nella psicoterapia, sia in campo educativo. Nonostante le sue opere siano datate e facciano riferimento alla temperie culturale degli anni 50 e 60, riteniamo che alcuni suoi concetti siano tuttora fecondi, attuali ed

esportabili nel mondo della scuola.

Nel processo didattico, così come in quello psicoterapeutico s’instaura una relazione di aiuto tra le parti che condividono un progetto comune, l’autore specifica:

Con questo termine (relazione di aiuto) mi riferisco ad una relazione in cui almeno uno dei protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità e il raggiungimento di un modo di agire più adeguato ed integrato nell’altro.

Il processo, secondo l’autore americano, s’innesca nel momento in cui scattano atteggiamenti di empatia, di sospensione del giudizio di accettazione incondizionata nell’animo del docente, che deve percepire i vissuti dello studente come componenti vitali della sua personalità e facenti parte dell’unicità di “quella” persona.

Ciò è particolarmente vero nella fase della valutazione della produzione scolastica, laddove un testing può essere vissuto come una minaccia con il rischio di avere un’immagine incompleta o deviante delle reali potenzialità.

Quanto più l’immagine del discente sarà stereotipata, tanto più la valutazione sarà di tipo meccanico e lontano dalla realtà scolastica. L’autore ancora chiarisce:

Se accetto l’altra persona come qualcosa di rigido, di già diagnosticato e classificato, di già formato dal suo passato, contribuisco a confermare questa ipotesi limitata. Se l’accetto come un processo di divenire, contribuisco invece, al limite delle mie possibilità, a confermare ed a rendere reali le sue potenzialità.

Lo stesso atteggiamento empatico favorisce la comunicazione interpersonale, crea un legame intellettuale emozionale tra docente e studente. Ciò avviene mediante una sorta di patto

educativo tra le parti, analogamente a quello che succede nel contratto tra paziente/cliente e

terapista. In questo caso è importante la definizione degli obiettivi da raggiungere, del tipo di lavoro richiesto, delle diverse strategie e tecniche da utilizzare, coinvolgendo in modo diretto e responsabile l’apprendente nel suo progetto di crescita.

In tal modo si può pervenire a quello che Rogers ha definito apprendimento significativo, che è il risultato dell’interessamento diretto dell’allievo. Allargando il campo al gruppo classe, le diverse individualità vanno a formare l’assieme di quello che farà evolvere il gruppo casuale in gruppo di lavoro.

Merito del lavoro rogersiano è indubbiamente quello di avere spostato l’attenzione sul cliente, ma in questo modo ha anche centrato la riflessione sul terapista e sul docente, sui suoi vissuti e sui suoi meccanismi di reazione nel processo terapeutico e didattico. L’autore non esita dichiarare che i presupposti teorici, la formazione del terapista , la sua scuola di appartenenza sono secondari alla relazione con il suo paziente.

Analogamente dobbiamo tenere conto che anche nel processo didattico il rapporto fra le parti può condizionare , nel bene e nel male, profondamente il cima della classe, i risultati e i processi di apprendimento. Quanto più si instaura un clima “democratico” di fiducia

reciproca e di condivisione, maggiori saranno le prospettive didattiche. Caon (2008) afferma: Il rendere trasparente e significativa la propria azione didattica attraverso la negoziazione

e la corresponsabilizzazione i tutti i soggetti favorisce l’instaurarsi di una relazione di fiducia che può permettere allo studente di accettare anche compiti gravosi e impegnativi o compiti distanti dai suoi interessi e bisogni spontanei.

Questa visione sposta in modo deciso l’asse del processo didattico nella direzione di un metodo a mediazione sociale, nel quale lo studente è soggetto attivo e prende parte

direttamente al progetto educativo. In un’ottica di cooperative learning e tutoring il lavoro scolastico compatta gli aspetti cognitivi ed emozionali nella comune conduzione operativa del gruppo, che si assume in parte le proprie responsabilità e il proprio ruolo formativo. La gestione della differenziazione, delle eccelenze e delle difficoltà, dei diversi stili cognitivi, di apprendimento, le diverse intelligenze e le attitudini personali passano

inevitabilmente attraverso un lavoro comune di mediazione e l’insegnante ha la possibilità di lavorare a diversi livelli di complessità, con diverse realtà personologiche individuali che, all’interno del gruppo cooperativo trovano pari dignità e opportunità.

La componente relazionale, quindi, diventa strategica nel momento in cui si abbraccia un approccio di tipo umanistico, in quanto l’attenzione si sposta sulla qualità relazionale, sul “processo” didattico, nell’ottica dell’affrancamento totale della persona nel mondo. Il prendersi cura dello studente nella sua globalità psiconeurobiologica e cognitiva assicura che gli obiettivi formativi educativi e didattici si integrino in un percorso di maturazione di tutte le componenti della personalità, con l’obiettivo di favorire autonomia decisionale, chiarezza nelle scelte e autoapprendimento.