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EFFETTI DEL FALLIMENTO SUL PROCEDIMENTO ARBITRALE PENDENTE

Nel documento "Arbitrato e Fallimento" (pagine 118-150)

Premessa

Verranno analizzati adesso gli effetti del fallimento sul procedimento arbitrale pendente. È opportuno in questa sede precisare da quale momento il procedimento arbitrale si considera pendente. In passato si riteneva che il procedimento arbitrale iniziasse con la costituzione del collegio arbitrale per effetto dell’accettazione degli arbitri. Oggi il procedimento arbitrale si considera in corso a partire dalla notifica dell’atto con il quale la parte, in presenza di compromesso o di clausola compromissoria, dichiara all’altra la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale180. Vista la libertà delle forme che caratterizza l’arbitrato, non esistono requisiti formali richiesti a pena di nullità. Vi è infatti chi ritiene che il collegamento creato dalla legge tra la domanda di arbitrato e gli effetti che ne scaturiscono faccia sì che se la prima non corrisponde allo schema predisposto dal legislatore non solo non si producono i secondi, ma la procedura arbitrale non possa prendere avvio perché non si determina

180 Il legislatore con la novella del 1994 ha espressamente equiparato quanto agli

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nemmeno la litispendenza181. Altri autori sostengono invece che la pendenza del procedimento arbitrale è sufficiente affinché la parte manifesti la volontà di procedere all’arbitrato ed eventualmente alla

nomina degli arbitri182.

Oggi l’individuazione dell’esatto momento della pendenza del procedimento ha una minore rilevanza rispetto al passato, pertanto dalla pendenza del procedimento non dipende più l’opponibilità dell’arbitrato al fallimento.

Effetti del fallimento sul procedimento arbitrale in corso Tra i casi in esame, quello degli effetti del fallimento sul procedimento arbitrale in corso è sicuramente il più articolato e complesso. Oggi il fallimento non comporta l’inefficacia delle convenzioni arbitrali poiché impedirebbe al procedimento arbitrale di concludersi con un lodo di merito. La regola non è dunque quella dell’improcedibilità, salvo casi espressamente stabiliti, così che il procedimento arbitrale possa proseguire. È opportuno fare riferimento all’art. 83 bis L.F introdotto ex novo dalla novella fallimentare del 2006 recante la riforma organica delle procedure concorsuali volta a disciplinare gli effetti conseguenti allo

181 Borghesi, Commento agli articoli 1, 25 e 26 l. 1994 n. 25, Bologna, 2007, 303. 182 Saletti, Domanda di arbitrato e i suoi effetti, Riv. Arb, 2002, 665. Quest’ultimo

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scioglimento di un contratto dovuto al fallimento di una delle parti sul procedimento arbitrale già pendente. L’art. 83 bis, rubricato “clausola arbitrale” sancisce che “se il contratto in cui è contenuta la

clausola compromissoria è sciolto a norma delle disposizioni della presente sezione, il procedimento arbitrale non può essere proseguito”. Alla luce dell’articolo in commento non ci sono più

dubbi circa la compatibilità tra arbitrato e fallimento183. Il legislatore, facendo esclusivo riferimento all’arbitrato pendente ed alla clausola compromissoria inserita in un contratto all’interno del quale il curatore decida di non subentrare, ha perso l’occasione per regolare altre problematiche che rimangono oggi prive di una disposizione specifica: rilevano in proposito le ipotesi in cui vi sia un arbitrato pendente ed il contratto non sia sciolto ma, al contrario, prosegua con la curatela trasformandosi in un rapporto di massa, o come previsto dall’art. 808 bis. La norma nulla dice sugli effetti del

fallimento sulle convenzioni arbitrali.

L’art. 83 bis L.F: effetti e limiti

L’art. 83 bis L.F dispone che lo scioglimento del contratto in cui è contenuta la clausola compromissoria, in base alle disposizioni relative al trattamento dei rapporti giuridici preesistenti, determini

183 Vitolo, Arbitrato e fallimento, fallimento e altre procedure concorsuali, Torino,

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l’improcedibilità del procedimento arbitrale. Il legislatore ha voluto evitare la continuazione del giudizio arbitrale dopo che il rapporto contrattuale sia stato travolto dal fallimento: gli arbitri dovranno quindi dichiarare d’ufficio l’estinzione del procedimento. Se venisse meno la fonte del rapporto negoziale fra le parti, per volontà del curatore o per scioglimento automatico delle norme della sezione IV capo III, non potrebbe sopravvivere l’arbitrato generato da quella clausola compromissoria in esso inserita. La medesima soluzione deve essere data nel caso in cui la norma taccia al riguardo di un arbitrato pendente sorto da un compromesso, il quale sia riferito ad una lite instaurata nel merito ad un rapporto contrattuale sciolto in seguito al fallimento di una parte ad opera della curatela fallimentare. Anche in tal caso, dato il mancato subentro del curatore nel rapporto pendente, il giudizio arbitrale

non può proseguire.

Si può inoltre ricavare a contrario dall’art. 83 bis L.F. il principio per cui se il curatore subentrasse nel contratto pendente, sarebbe vincolato anche alla clausola compromissoria e dunque anche al

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Sospensione o interruzione del procedimento arbitrale?

Di particolare importanza è l’art 43 L.F.184 I comma, il quale stabilisce che “ nelle controversie anche in corso relative a rapporti di

diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento, sta in giudizio il curatore”. Oggi la dottrina185 è pacifica nel ritenere che l’art. 43 comma I L.F. trovi applicazione anche per i procedimenti arbitrali, siano essi già pendenti o ancora da attivare. Dall’articolo in commento è possibile ricavare che la dichiarazione di fallimento determina in capo all’imprenditore fallito la perdita della legittimazione processuale per i giudizi instaurati ex novo, sia per quelli pendenti in data della dichiarazione di fallimento e che proseguono durante la procedura concorsuale. Inoltre si prospetta che il giudizio arbitrale si interrompa in maniera definitiva se il contratto in cui è contenuta la clausola compromissoria o il

compromesso si sciolga.

Sussistono invece dei dubbi per quanto concerne l’applicazione all’arbitrato del comma III art. 43 L.F. secondo cui “l’apertura del

fallimento determina l’interruzione del processo”. La dottrina

maggioritaria186, nel silenzio della norma, afferma che la

184 Sono tali le controversie che sorgono dalla custodia e dall’amministrazione dei

beni esistenti nel patrimonio del fallito alla data della dichiarazione di fallimento, le controversie che riguardano l’acquisizione dei beni sopravvenuti ed infine, le controversie relative a rapporti giuridici preesistenti.

185 Ricci, Lezioni sul fallimento, op. cit., 180. 186 Bove, Arbitrato e fallimento, www.Judicium.it

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sostituzione è automatica fatto salvo il potere degli arbitri di sospendere il procedimento ai sensi dell’art. 816 sexies c.p.c. Il procedimento non si interrompe, invece, qualora il contratto continui per il subingresso del curatore, dando però vita ad un’eccezione al principio di cui al III comma art. 43 L.F. Vi sono molte difficoltà che confermano la non applicabilità dell’art. 43 L.F., se non nel suo primo comma187, poiché il procedimento arbitrale non potrebbe riprendere se non in virtù dell’istituto della riassunzione.

E’ necessaria pertanto una precisazione: mentre nel procedimento ordinario l’effetto del fallimento determina l’interruzione ai sensi dell’art. 299 c.p.c.188, in caso di procedimento arbitrale non è così. Per il procedimento arbitrale, anche dopo la novella del 2006, non esiste una disposizione che contempli l’istituto dell’interruzione e come tale, vi è l’impossibilità di applicare la disciplina del codice di

rito in via analogica.

Anche la dottrina189 è d’accordo nel negare il ricorso all’istituto

187 Anche la dottrina ante riforma era a favore della non applicabilità dell’istituto

della interruzione. Vincre, Arbitrato rituale e fallimento, op. cit., 97.

188 Art. 299 c.p.c. “se prima della costituzione in cancelleria o dell’udienza davanti al

giudice istruttore sopravviene la morte oppure la perdita di capacità di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante, il processo è interrotto salvo che coloro ai quali spetta di proseguirlo si costituiscano volontariamente oppure l’altra parte provveda a citarli in riassunzione osservati i termini di cui all’art. 163 bis”.

189 Fusai, L’arbitrato nel diritto fallimentare, op. cit, 572. L’autore sostiene che il

fallimento comporta la perdita di capacità della parte a stare in giudizio che viene trasferita al curatore. La perdita della capacità processuale di un parte nel

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dell’interruzione del processo in sede di procedimento arbitrale. Una parte della dottrina, conformemente a quanto sopra detto, sostiene che risulta preferibile, più che un’applicazione analogica delle norme del codice di procedura civile dettate per i giudizi ordinari, un’interpretazione sistematica190. La disciplina generale dell’arbitrato non prevede dunque alcuna causa di interruzione: al contrario, esistono casi in cui è possibile optare per la sospensione. Oggi nel titolo VIII, libro IV del codice di procedura civile dedicato all’arbitrato, si rivengono alcune norme a favore di tale istituto. L’art. 816 sexies c.p.c. rubricato “morte, estinzione o perdita di capacità della parte”, afferma che “se la

parte viene meno per morte o per altra causa ovvero perde la capacità legale, gli arbitri assumono misure idonee a garantire l’applicazione del contraddittorio ai fini della prosecuzione del giudizio. Essi possono sospendere il procedimento. Se nessuna delle parti ottempera alle disposizioni degli arbitri per la prosecuzione del giudizio gli arbitri possono rinunciare all’incarico191”. L’art. 816 sexies c.p.c. è stato riformulato a seguito della riforma della legge fallimentare del 2006: prima di essa faceva capo all’art. 820 III

procedimento ordinario è causa di interruzione dello stesso a norma dell’art. 299 c.p.c. Per esso non vale però l’estensione analogica al procedimento arbitrale. Fazzalari, L’arbitrato, Torino, 1997, 72.

190 La China, L’arbitrato: il sistema e l’esperienza, Milano, 2007, 96.

191 Mentre nel rito ordinario il verificarsi delle situazioni descritte determina

l’interruzione del giudizio , nel procedimento in esame a decidere sull’eventuale sospensione del giudizio sono gli arbitri ai quali è attribuito il potere di determinare le misure idonee a garantire il contraddittorio.

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comma192, il quale in materia di sostituzione della parte in caso di morte negava l’interruzione del procedimento arbitrale e collegava alla sostituzione da parte del curatore la proroga del termine per il deposito del lodo. Oggi la norma, l’art. 816 sexies c.p.c., opera un’equiparazione tra morte e perdita di capacità legale; all’interno di quest’ultima fattispecie, si ricomprendere il caso del fallimento. E’ quindi consentito agli arbitri di avvertire o far avvertire il curatore del procedimento in corso ed assumere tutte le misure ritenute idonee al fine della prosecuzione del giudizio, potendo tutt’al più sospendere il procedimento, non essendo possibile l’interruzione. Gli arbitri dovranno dunque, in primo luogo, fissare un termine entro il quale notificare al curatore gli atti del procedimento. In tale circostanza non deve essere assolutamente pregiudicato il diritto di

difesa ai sensi dell’art. 24 Cost.

Conclusivamente, è possibile affermare che nel procedimento arbitrale, stante la non applicabilità dell’istituto dell’interruzione, il

192 Il testo previgente sostituito con legge del 1994 disponeva che “se le parti non

hanno disposto altrimenti, gli arbitri debbono pronunciare il lodo nel termine di 180 giorni dall’accettazione della nomina. Se gli arbitri sono di più e l’accettazione non è avvenuta contemporaneamente da parte di tutti, il termine decorre dall’ultima accettazione. Il termine è sospeso quando è proposta istanza di ricusazione e fino alla pronuncia su di essa ed è interrotto quando occorre procedere alla sostituzione degli arbitri. La dottrina era concorde nel ritenere che l’unico effetto processuale del fallimento di una delle due parti fosse la proroga del lodo equiparando la morte della parte al suo fallimento. Dottrina: Bozza, Arbitrato e fallimento, op. cit, 489. Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, op. cit., 459. Fusai, L’arbitrato nel diritto

fallimentare, op. cit, 572. Contra Bonsignori, Arbitrati e fallimento, op. cit, 69.

L’autore sostiene che la semplice proroga di 30 non è sufficiente ad assicurare al curatore il pieno diritto di difesa. Oggi però è stato visto come l’art. 816 sexies c.p.c. permette di sospendere anche per un tempo maggiore.

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curatore avrà l’onere di informare il collegio dell’intervenuta sentenza di fallimento ed eventualmente, far sospendere il processo.

Il curatore una volta subentrato nel diritto del fallito si viene a trovare nella sua stessa posizione con la possibilità di esercitare tutte le difese che sarebbero spettate a quest’ultimo. Se il curatore pur essendo stato avvisato, non interviene, il lodo sarà comunque per lui vincolante, non potendosi questi sottrarre alla decisione degli arbitri. Viceversa, se al curatore non è stata data notizia del procedimento arbitrale pendente, il lodo sarà opponibile al fallimento con la possibilità del curatore di provvedere all’impugnazione193.

Per le materie per le quali la disciplina fallimentare prevede un rito non sostituibile da un giudizio arbitrale, questo dovrà essere dichiarato improcedibile. La regola, in assenza di disposizioni diverse, rimane quella della sospensione del rapporto e non quella

della improcedibilità.

La giurisprudenza di Cassazione194 ha affermato più volte che il lodo pronunciato dopo la dichiarazione di fallimento il quale accerti un

193 Cass. 26 ottobre 2004 n. 17003. In tema di procedimento arbitrale la

dichiarazione di nullità, per violazione del principio del contraddittorio del lodo pronunciato nei confronti del fallimento di una delle parti, non può basarsi sull’esclusione della qualità di parte del procedimento stesso in capo al curatore fallimentare ma presuppone la sussistenza di tale qualità la quale, non può più essere esclusa in base alla mera constatazione della mancata costituzione del curatore nel procedimento arbitrale in corso.

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credito della massa nei confronti della parte fallita, pur essendo inopponibile alla massa, è opponibile al fallito stesso una volta

tornato in bonis.

Effetti del fallimento sul contratto di arbitrato

Verranno analizzati adesso gli effetti del fallimento sul contratto di arbitrato. Gli interpreti non concordano sulla natura del contratto di arbitrato: in epoca risalente alcuni Autori, ritenendo il contratto di arbitrato simile al rapporto tra parti e giudici statali, hanno attribuito ad esso un carattere pubblicistico, ritendendo che l’investitura trovasse la propria legittimazione nella legge195: secondo tale tesi il potere- dovere degli arbitri deriva infatti direttamente dalla legge. Oggi tale tesi deve essere respinta: è più corretto infatti porre l’accento sull’accordo di natura privatistica in forza del quale gli arbitri verrebbero investiti del potere-dovere di emettere il lodo così da inquadrare il vincolo che lega quest’ultimo in termini contrattuali196. Oggi infatti il potere dovere degli arbitri deriva dal rapporto contrattuale istaurato con le parti.

195 Vocino, Schema di teoria della clausola compromissoria, Fall., 1932, 109.

Capaccioli, L’amministrazione fallimentare di fronte all’arbitrato, op. cit., 543. L’autore ritiene che la nomina integri semplicemente l’investitura della persona designata come arbitro cioè che essa produca come effetto proprio e tipico la legittimazione dell’arbitro a svolgere la funzione di giudice. Dal punto di vista del rapporto arbitri-parti questo si pone sul piano processuale in termini corrispondenti a quelli del rapporto giudice ufficiale-parti.

196 Bozza, Arbitrato e fallimento, op. cit., 190. L’autore sostiene che l’attività degli

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L’incertezza circa quale norma fare riferimento per qualificare il contratto di arbitrato ricade su una duplice scelta: o l’art. 72 L.F. dedicato ai rapporti pendenti o, l’art. 78 L.F dedicato al mandato. Una parte di dottrina197 ha ritenuto di poter assimilare il contratto di arbitrato alla disciplina del mandato con conseguente applicazione

dell’art. 78 L.F.

Prima della riforma del 2006 l’articolo in commento contemplava lo scioglimento automatico in caso di fallimento ad opera di una delle

due parti.

Gli interpreti consideravano il contratto di arbitrato alla stregua di un mandato, negando che lo stesso si sciogliesse ed invocando l’art. 1723 II comma dedicato al mandato conferito nell’interesse di tutte le parti. Con la riforma si assiste al mutamento dell’art. 78 L.F. Oggi non è più previsto lo scioglimento automatico atteso che il contratto di mandato opera solo in caso di fallimento del mandatario.

Qualificando quindi il contratto come mandato non è possibile arrivare ad una soluzione: la conseguenza in seguito al fallimento del mandante sarebbe la mancata applicazione dell’art. 78 L.F E’ necessario capire quindi quale sia la norma da applicare in caso di fallimento del mandante. È ipotizzabile o l’applicazione dell’art. 72

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L.F., avente per oggetto la sospensione del contratto in attesa che il curatore subentri o decida per lo scioglimento, o l’applicazione dell’art. 1723 II comma198 il quale stabilisce che “il mandato conferito

anche nell’interesse del mandatario o di terzi non si estingue per revoca da parte del mandante, salvo che sia diversamente stabilito o ricorra una giusta di revoca; non si estingue per la morte o per la sopravvenuta incapacità del mandante”. Optando per l’adesione

all’art. 1372 II comma il rapporto parti-arbitri non configurandosi come mandato semplice, rientrerebbe appunto nel dettato di tale norma. La norma sancisce che il mandato conferito nell’interesse del terzo non si estingue per morte o sopravvenuta incapacità del mandante. Il curatore oltre ad essere vincolato al giudizio in corso sarebbe assoggettato anche alla nomina degli arbitri fatta dalla parte fallita. Tale tesi però non può essere accettata. La figura dell’arbitro non può essere equiparata a quella del mandatario, perché il primo ha il compito di decidere la controversia: nell’arbitrato, a differenza del mandato, manca

l’affare da trattare e concludere.

Concludendo, la soluzione più convincente pare quella che configura il contratto di arbitrato come un contratto atipico che,

198 A favore dell’applicazione dell’articolo 1723 II comma: Vincre, Arbitrato rituale e

fallimento, op. cit., 94. A tale tesi è possibile obiettare. Perché applicare al mandato

l’art. 1723 II comma e non l’art. 72 l.f essendoci una norma generale applicabile ai contratti pendenti? È da escludere quindi, a mio avviso, la disciplina dell’art. 1723. La norma applicabile dovrebbe essere comunque l’art. 72 l.f.

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non essendo previsto tra le norme della legge fallimentare, verrebbe assoggettato all’art. 72 L.F. così che il curatore, non vincolato alla scelta effettuata dalle parti riguardo alla nomina degli arbitri, potrebbe sciogliersi da tale vincolo e provvedere ad una nuova nomina degli arbitri nell’interesse della massa. Per la nomina degli arbitri viene richiamato l’art. 811 c.p.c. il quale stabilisce che “quando per qualsiasi motivo vengono a mancare tutti o alcuni degli

arbitri nominati, si provvede alla loro sostituzione secondo quanto è stabilito per la loro nomina nella convenzione di arbitrato. Se la parte a cui spetta o il terzo non vi provvede, o se la convenzione di arbitrato non dispone nulla al riguardo, si applicano le disposizioni dell’articolo precedente”. La sostituzione degli arbitri non fa venire meno

l’unitarietà della procedura.

Compenso degli arbitri in caso di applicazione articolo 83 bis l.f Nel caso in cui il curatore decida di continuare nel contratto sottoscritto dal fallito, l’altro contraente avrà diritto al pagamento dei crediti in prededuzione; viceversa ove il curatore decidesse di sciogliere il contratto, tali crediti concorreranno alla divisione del patrimonio residuo del fallimento. Nonostante possano essere confermate le regole che valgono per il terzo contraente, è

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Gli arbitri avranno diritto al rimborso delle spese senza ricorrere al meccanismo di liquidazione ai sensi dell’art. 814 c.p.c.199 Tali crediti dovranno però essere iscritti al passivo fallimentare. Se il curatore decide di non sciogliersi e dunque subentrare nel procedimento arbitrale pendente, gli onorari degli arbitri potranno essere qualificati come crediti prededucibili. Nel caso in cui il curatore decida invece di non subentrare, gli onorari degli arbitri dovranno essere iscritti al passivo e concorrere insieme agli altri crediti. La valutazione di congruità degli onorari spetta al Presidente del Tribunale ai sensi dell’art. 810 c.p.c. Sarà preclusa al giudice delegato ogni valutazione ai sensi dell’art. 111 VII comma Cost.

Il curatore e l’istruzione probatoria

Un altro aspetto che merita approfondimento è l’istruzione probatoria200 compiuta prima del subentro del curatore. Il caso tipico è dato dalla confessione resa dal fallito sostituito

199 L’art. 814 stabilisce che “gli arbitri hanno diritto al rimborso delle spese e

all’onorario per l’opera prestata se non vi hanno rinunciato al momento

dell’accettazione o con atto scritto successivo. Le parti sono tenute solidalmente al pagamento, salvo rivalsa tra loro (…)”.

200 La disposizione dell’art. 816 ter, inserita dal d.lgs 40/2006, disciplina l’assunzione

di mezzi istruttori da parte degli arbitri avvicinandola a quella dettata per il giudizio

Nel documento "Arbitrato e Fallimento" (pagine 118-150)

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