• Non ci sono risultati.

"Arbitrato e Fallimento"

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi ""Arbitrato e Fallimento""

Copied!
156
0
0

Testo completo

(1)

1

INDICE

Introduzione p.6

PARTE PRIMA

LIMITI DELL’ARBITRATO RITUALE IN MATERIA FALLIMENTARE

- Premessa p.13

- Limiti dell’ammissibilità dell’arbitrato rituale in materia

fallimentare p.16

La ratio dell’esclusione dell’arbitrato: art. 512 c.p.c. p.18

Procedimenti sommari o camerali p.19

La dichiarazione di fallimento p.24

L’opposizione alla sentenza che dichiara il fallimento p.28

Accertamento del passivo p.31

Opposizione allo stato passivo p.34

Procedimento di ripartizione dell’attivo: ex art. 110 l.f. p.37

I reclami p.39

Decreti ingiuntivi emessi dal giudice delegato p.40

- Controversie arbitrabili: ambito residuo p.41

- Problema relativo all’art. 24 l.f. p.44

(2)

2

PARTE SECONDA L’ARBITRATO DEL CURATORE

-Premessa p.51

-Articolo 35 l.f. nella sua vecchia formulazione p.53

-Convenzione di arbitrato del curatore p.55

-Mancata autorizzazione del comitato dei creditori p.62

-Arbitrato di equità p.67

-Articolo 35 l.f. e esercizio provvisorio dell’impresa p.70 -Curatore e la scelta della sede dell’arbitrato p.71

-Curatore e designazione dell’arbitro p.73

PARTE TERZA

LODO EMESSO IN DATA ANTECEDENTE ALLA SENTENZA DICHIARATIVA DI FALLIMENTO

-Premessa p.77

-Arbitrato precedente alla dichiarazione di fallimento p.79 -Lodo irrituale emesso in data antecedente alla

dichiarazione di fallimento p.86

-II curatore e le impugnazioni p.87

(3)

3

-Lodo emesso in data successiva alla sentenza

dichiarativa di fallimento p.92

PARTE QUARTA

COMPROMESSO E CLAUSOLA COMPROMISSORIA STIPULATE DAL FALLITO IN DATA ANTECEDENTE ALLA SENTENZA DICHIARATIVA DI

FALLIMENTO

- Premessa p.94

- Compromesso e clausola compromissoria stipulate dal fallito in data antecedente alla sentenza

dichiarativa di fallimento: presupposti di opponibilità p.94 - Effetti del fallimento sulla convenzione di arbitrato

stipulata dal fallito in data antecedente alla sentenza dichiarativa di fallimento nella dottrina ante riforma:

tesi dell’ inopponibilità p.96

- Tesi dell’opponibilità alla curatela del procedimento

arbitrale pendente p.101

-Tesi dell’applicazione analogica della disciplina

dei contratti pendenti p.107

- Revocabilità della

convenzione arbitrale stipulata dal fallito

prima della dichiarazione di fallimento p.114 - Osservazioni conclusive p.116

(4)

4

PARTE QUINTA

EFFETTI DEL FALLIMENTO SUL PROCEDIMENTO ARBITRALE PENDENTE

- Premessa p.118

-Effetti del fallimento sul procedimento arbitrale in corso p.119 - Articolo 83 bis l.f.: effetti e limiti p.120 - Sospensione o interruzione del procedimento arbitrale? p.122 - Effetti del fallimento sul contratto di arbitrato p.127 -Compenso degli arbitri in caso di

applicazione dell’art. 83 bis l.f. p.130 -Curatore e istruzione probatoria p.131 -Casi di improcedibilità del processo arbitrale p.133

-Osservazioni conclusive p.135

- CONCLUSIONI p.138 - BIBLIOGRAFIA p. 143 - RINGRAZIAMENTI p.154

(5)
(6)

6

INTRODUZIONE

Il presente lavoro di tesi pone come obiettivo di descrivere le possibili connessioni tra arbitrato e fallimento, argomento che ha sempre suscitato in me un certo interesse ogni qualvolta mi sono

trovata ad affrontarlo.

Tuttavia, la mancanza di un quadro normativo completo ha reso la materia carente e lacunosa rimettendola il più delle volte, alla produzione giurisprudenziale e dottrinaria. La produzione soprattutto dottrinaria1, è stata infatti formulata per incentivare un interesse chiarificatore da parte del legislatore. L’arbitrato rappresenta un modo di definizione delle controversie alternativo alla via giudiziaria2 regolato dagli articoli 806-832 c.p.c. La collocazione dell’istituto al termine del codice non è una scelta priva di significato da parte del legislatore del 19423: nel codice previgente la disciplina dell’arbitrato trovava spazio nei primi articoli del codice di procedura civile ma in seguito, grazie all’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura civile, l’istituto è stato relegato in fondo al codice poiché non sembrava coerente iniziare un codice con la figura dell’arbitrato.

1 Berlinguer, Compromettibilità per arbitri, Torino, 1999, 151. Bonsignori, Arbitrati e

fallimenti, Padova, 2000, 1. Cecchella, L’arbitrato, Torino, 1991, 102.

2 La China, L’arbitrato: il sistema e l’esperienza, Milano, 2011, 1.

(7)

7

L’arbitrato per sua natura è idoneo a risolvere soltanto alcuni tipi di controversie, non potendo trovare applicazione in tutte quelle situazioni, ad esempio, in cui sia richiesta dalle parti una tutela di tipo cautelare4 ovvero esecutiva o laddove vi siano questioni di stato e di separazione personale tra coniugi. Sono infatti compromettibili in arbitri le sole controversie che abbiano ad oggetto diritti disponibili. Il limite è dato dall’art. 806 c.p.c. il quale stabilisce che “le parti possono far decidere da arbitri le controversie

tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili,

salvo divieto espresso per legge”.

Il fallimento si colloca, a sua volta, tra le procedure concorsuali5: procedure dirette a regolare la crisi di impresa6. Il fallimento coincide infatti con l’insieme delle norme che regolano l’imprenditore commerciale individuale o sociale in quella

4 Il riferimento è ai procedimenti sommari e cautelari. L’indisponibilità non è data

certo dall’indisponibilità del diritto controverso ma quanto nel fatto che il giudizio arbitrale è previsto solo come alternativo al giudizio ordinario di cognizione.

5 Tra le procedure concorsuali, oltre al fallimento, rientrano: il concordato

preventivo, la liquidazione coatta amministrativa, l’amministrazione controllata ed infine l’amministrazione straordinaria.

6 Fabiani, Diritto fallimentare, un profilo organico, Bologna, 2011, 3. Egli afferma che

“il nuovo fallimento e le nuove altre procedure, se le esaminiamo controluce e cioè oltre quello che le singole disposizioni dicono, esprimono il bisogno di attuare la responsabilità patrimoniale con modalità che non sono rivolte direttamente a reminerare il creditore insoddisfatto, ma sono indirizzate a coordinare tale fine con l’utilità sociale di salvaguardare quel che residua dell’impresa. Ecco la ragione per la quale potremmo discorrere di diritto della regolazione della crisi d’impresa perché il diritto fallimentare se ancora contiene norma mirate alla tutela dei creditori, organizza i procedimenti di attuazione della responsabilità patrimoniale in modo che si coordinino e armonizzino anche altri bisogni che sorgono dal dissesto di

un’impresa. Al fondo è come se si volesse coniugare la gestione dei crediti dei creditori con la gestione di ciò che resta dell’impresa”.

(8)

8

particolare condizione di crisi che è l’insolvenza, ovvero l’incapacità di adempiere, con i normali mezzi, ai rapporti obbligatori di cui è parte7. Dal momento in cui l’imprenditore diviene insolvente perde la disponibilità della crisi e può essergli imposta la regolamentazione attraverso il fallimento. L’art. 5 II comma L.F. stabilisce che “lo stato di insolvenza si manifesta con inadempimenti

o altri fattori esteriori i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”8.

Dopo la dichiarazione di fallimento è preclusa ai creditori ogni azione individuale esecutiva e cautelare anche per crediti maturati durante il fallimento: tali creditori hanno il solo onere di presentare domanda di ammissione allo stato passivo per ottenere l’attuazione delle loro pretese da parte degli organi fallimentari. In riferimento all’istituto arbitrale è intervenuto il D.lgs 2 febbraio del 2006 n. 40, entrato in vigore il 1 marzo 2006, che ha apportato significative novità. La riforma ha riguardato in particolar modo la

7 Cecchella, Il diritto fallimentare riformato, Milano, 2007, 3.

8 Lo stato di insolvenza è una situazione di oggettiva impotenza non transitoria ma

funzionale ad adempiere regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, determinata dalla mancanza dei mezzi necessari per effettuare i pagamenti dovuti e dall’impossibilità di procurarsi tali mezzi altrove, mediante ricorso al credito. L’inadempimento è il mancato o inesatto adempimento della prestazione da parte del debitore a cui si ricollega l’obbligo dello stesso di risarcire il danno.

L’obbligazione è infine un rapporto tra due o più soggetti in virtù del quale uno di essi è tenuto ad una determinata prestazione a favore dell’altro o degli altri. Essa può definirsi come il vincolo giuridico caratterizzato dal debito e dalla

responsabilità, momento che consegue all’inadempimento e che comporta, ai sensi dell’art. 2740 c.c., l’assoggettamento di tutto il patrimonio presente e futuro del debitore all’azione esecutiva del creditore.

(9)

9

natura e gli effetti del lodo arbitrale. La dottrina ante riforma9 si era più volte chiesta se il lodo arbitrale avesse effetti equiparabili alla sentenza. In virtù del novellato art. 824 bis, rubricato “efficacia del lodo”, oggi si ritiene che “salvo quanto disposto dall’art. 825 il lodo

ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria”. È possibile osservare come il

legislatore della riforma abbia inteso superare i diversi orientamenti della dottrina e della giurisprudenza che animavano lo scenario ante riforma. Grazie alla novella del 2006 è stato riformulato anche l’art. 806 che oggi prevede espressamente, al primo comma, che “le

parti possono fare decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano ad oggetto diritti indisponibili salvo espresso divieto di legge”. Rileva infine, l’art. 808 bis che, confermando il favor del legislatore per l’arbitrabilità, ha introdotto una nuova

9 La dottrina dominante aveva inquadrato il patto compromissorio come un vero e

proprio “contratto processuale” avente per oggetto la rinuncia alla cognizione ad opera dell’autorità giudiziaria. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1965, 173. Egli definisce il patto compromissorio un contratto processuale che ha per oggetto la rinunzia alla cognizione di una controversia ad opera di un’autorità giudiziaria la cui caratteristica è quella di impedire al giudice ordinario eventualmente adito la cognizione della controversia compromessa in arbitri. Egli mette in luce il primato dell’autonomia contrattuale rispetto al carattere

pubblicistico della giurisdizione.

Altra parte della dottrina si oppone a detta teoria contrattuale per inquadrare il compromesso nella categoria degli accordi e non dei contratti processuali poiché la convenzione arbitrale non risolve alcun conflitto di interessi ma predispone un modo per risolverlo. Carnelutti, Sistema di diritto processuale civile, Padova 1938, 178.

Anche per un altro esponente la tesi contrattuale risulta la più corretta in virtù del fatto che trovava la sua giustificazione nell’art. 807 c.p.c. Redenti, Compromesso, Torino, 1959, 789. Satta, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, Milano, 1932, 154. è possibile notare come la dottrina dominante afferma la natura contrattuale del patto compromissorio.

(10)

10

convenzione arbitrale: la convenzione arbitrale extra contrattuale. Per l’arbitrato irrituale è possibile oggi fare riferimento all’art. 808

ter c.p.c.

Occorre poi prendere atto delle modifiche apportate alla legge fallimentare con il D.lgs 9 gennaio 2006 entrato in vigore il 16 luglio 2007 e delle ulteriori correzioni contenute nel decreto c.d. correttivo. Il governo con tale intervento ha usufruito della delega conferitagli dall’art. 5 bis della legge 14 maggio 2005 n. 80 ed ha varato il D.lgs 169/2007 entrato in vigore il 1 gennaio 2008. La delega aveva lo scopo di consentire al legislatore di correggere le eventuali imperfezioni che fossero emerse dall’applicazione della nuova disciplina. La riforma della legge fallimentare, sebbene sia stata in tal campo significativa ed avendo apportato molte novità, lasciava un vuoto circa il collegamento tra arbitrato e fallimento. L’innovazione più importante è data dall’articolo 69 D.lgs 9 gennaio 2006 n. 5 che ha provveduto ad inserire l’art. 83 bis L.F. rubricato “clausola arbitrale”: nonostante tale rubrica lasci pensare ad una disciplina generale, il legislatore è intervenuto a disciplinare un solo aspetto concernente gli effetti dello scioglimento del contratto in cui è contenuta la clausola compromissoria, sul procedimento arbitrale pendente che non può essere proseguito. L’art. 35 L.F. conferisce invece al curatore il potere di stipulare compromessi

(11)

11

dietro l’autorizzazione del comitato dei creditori. All’articolo in commento è stato aggiunto un comma, il secondo, il quale specifica che nel richiedere l’autorizzazione al comitato dei creditori, il curatore debba aver formulato le proprie decisioni sulla convenienza della proposta. Ancora, grazie al decreto correttivo è stato abolito il comma II dell’art. 24 L.F. volto a richiamare le disposizioni del codice di procedura civile sui procedimenti in camera di consiglio. Infine, l’art. 25 n. 6 prevede la sostituzione del termine “avvocato” con un più generico “difensore”: tale modifica lascia intendere la possibilità per il curatore di nominare qualsiasi persona idonea ad assumere la difesa in giudizio. La trattazione che segue verrà suddivisa in cinque parti. Una prima parte, di carattere generale, chiarirà i limiti dell’arbitrato rituale in materia fallimentare mentre, la seconda parte, si occuperà dell’arbitrato del curatore ossia la possibilità del curatore di dar vita a compromessi o a clausole compromissorie. Questa prima indagine generale, risulta la base imprescindibile per giungere alla seconda parte di questo lavoro, restringendo sempre di più il campo all’arbitrato ed al fallimento in senso stretto. La terza parte infatti affronterà la questione del lodo arbitrale emesso in data antecedente alla sentenza dichiarativa di fallimento mentre la quarta tratterà del compromesso e della clausola compromissoria

(12)

12

stipulate dal fallito nel periodo in cui egli era ancora in bonis. L’ultima parte si occuperà, infine, degli effetti del fallimento sul contratto di arbitrato pendente. Esulano dalla presente trattazione i rapporti tra arbitrato e procedure concorsuali diverse dal fallimento.

(13)

13

PARTE PRIMA

LIMITI DELL’ARBITRATO RITUALE IN MATERIA

FALLIMENTARE

Premessa

Sebbene il rapporto tra arbitrato e fallimento sia stato caratterizzato per moltissimi anni da una forte conflittualità10 oggi non ci sono più dubbi circa la compatibilità tra i due istituti. A fondamento di ciò, meritano attenzione alcuni punti che appaiono sufficientemente fermi da assurgere come criteri-guida per la trattazione dell’argomento. Il primo è dato dal crescente favor

arbitrati che ha contraddistinto non solo la più recente produzione

normativa, ma anche la dottrina e la giurisprudenza. Il secondo è dato dall’introduzione dell’art. 824 bis c.p.c che forse rappresenta l’innovazione più importante introdotta dal d.lgs n. 40/200611: prevede che, salvo quanto disposto dall’art. 825 c.p.c ai fini puramente esecutivi, il lodo arbitrale ha gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria. La disposizione chiarisce una volta per tutte la pari dignità tra arbitrato e processo ordinario. Il rapporto tra i due istituti costituiva il retaggio di molte difficoltà

10 La giurisprudenza aveva affermato più volte l’incompatibilità tra i due istituti.

Cass. 17 aprile 2003 n. 6165.

11 Bossi, Rapporto tra arbitrato e fallimento dopo le riforme, Fall. e crisi d’impresa,

(14)

14

interpretative alle quali il legislatore non forniva indicazioni dirimenti. Solo negli ultimi anni, grazie ad una vasta produzione dottrinale, sono state introdotte novità: la più significativa è rappresentata dall’introduzione dell’art. 83 bis L.F e la modifica degli articoli 48 e 72 della medesima legge. Tali innovazioni hanno permesso di fare ulteriormente luce sul rapporto tra arbitrato e fallimento, garantendo oggi una piena compatibilità e disegnando un quadro sicuramente più chiaro dei casi in cui è possibile ricorrere al giudice privato. L’arbitrato rituale è uno strumento alternativo di risoluzione delle controversie, destinato a concludersi con un lodo che presenta i medesimi effetti della sentenza12. L’art. 806 c.p.c indica il limite alla disponibilità dei diritti e risolve in gran parte il problema della compromettibilità delle liti in materia fallimentare. La norma sancisce che “le parti possono far decidere da arbitri le

controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto per legge”. Prima di verificare la

compromettibilità delle liti, andrà sempre e comunque verificata la disponibilità13 del diritto oggetto di controversia. L’arbitrato in

12 Lo stabilisce l’art. 824 bis cpc. La disposizione rappresenta una delle principale

novità introdotte dal d.lgs 40/2006. “salvo quanto disposto dall’art. 825, il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti di una sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria”. Viene modificata dunque la previgente disciplina stabilendo che il lodo, alla data dell’ultima sottoscrizione, non acquista

semplicemente efficacia vincolante fra le parti, bensì gli effetti di una sentenza.

13 Si constata come l’inarbitrabilità coincida con quella dell’indisponibilità del diritto.

Con la novella dell’istituto arbitrale nel 2006 viene chiarito che il concetto di “disponibilità” va riferito esclusivamente al diritto azionato e non alle questioni che

(15)

15

materia di diritti indisponibili richiede un espressa previsione, ma tale fenomeno, è per ora sconosciuto all’ordinamento. L’arbitrato rituale si conclude con un provvedimento che acquista la medesima efficacia della sentenza e trova la sua fonte normativa negli articoli 806 ss c.p.c14. Il presente lavoro si occuperà di analizzare i rapporti tra arbitrato e fallimento atteso che quest’ultimo non influisce sulla natura disponibile o meno dei diritti controversi. Un diritto di credito15, ad esempio, resta di per sé disponibile anche nel caso di fallimento. Ciò che non è più disponibile è la sua tutela che viene vincolata alle forme dell’esecuzione concorsuale. In ambito fallimentare i limiti alla compromettibilità delle liti non sono dunque legati alla disponibilità

dei diritti controversi.

si pongono nel percorso logico-giuridico della decisione, salvo che si tratti di questioni che per legge debbano essere decise con autorità di giudicato.

14 Il testo normativo è stato oggetto di riforma nel 2006 con il d.lgs 2 febbraio n. 40.

Nella previgente disciplina dell’art. 806 si parlava di compromesso con un richiamo quasi automatico all’art. 1966 c.c rubricato “ capacità a transigere”. Le parti per transigere devono avere la capacità di disporre dei diritti. La transazione è nulla se tali diritti sono sottratti alla disponibilità delle parti.

15 Il titolare può rinunciare a far valere il credito nel fallimento semplicemente non

presentando domanda di insinuazione al passivo; può anche rinunciare tout court al credito con rinuncia formale o con pactum de non petendo e può infine, cedere il suo credito ai terzi. Il fallito perde la disponibilità di amministrare ma la stessa capacità viene acquisita dagli organi fallimentari, in particolare dal curatore.

(16)

16

Limiti all’ammissibilità dell’arbitrato rituale in materia fallimentare Come sopra illustrato, nel panorama giuridico attuale può dirsi superata l’incompatibilità tra arbitrato e fallimento16. Se così non fosse, sarebbero privi di significato i tre articoli della legge fallimentare che fanno espresso richiamo all’istituto arbitrale: l’art. 25 n. 7 in relazione al potere di nomina degli arbitri attribuito al giudice delegato su proposta del curatore, l’art. 35 primo comma sul potere del curatore di stipulare compromessi previa autorizzazione del comitato dei creditori ed infine, l’art. 83 bis rubricato “clausola arbitrale” per il quale “se il contratto in cui è

contenuta la clausola compromissoria è sciolta a norma delle disposizioni della presente sezione, il procedimento arbitrale non può

essere proseguito”.

Si analizzeranno in questa sede i limiti alla compromettibilità in arbitri delle procedure fallimentarie, indipendentemente dal fatto che la convenzione arbitrale sia precedente o successiva al fallimento.

Nel problema relativo all’ammissibilità dell’arbitrato si devono tener presenti due principi fondamentali: il primo è dato dall’arbitrato rituale come strumento alternativo all’ordinario procedimento di cognizione. Tale procedimento, abbiamo già detto, è da intendersi

16 Berlinguer, L’arbitrato nelle procedure concorsuali, Arbitrato, Torino, 1999, II, 977

(17)

17

in senso ampio; vengono in considerazione tutti i procedimenti sostitutivi o equivalenti al processo di cognizione. Il secondo principio stabilisce che l’arbitrato può intervenire solo in sostituzione della giurisdizione contenziosa che svolga la funzione dichiarativa, non potendo esso né sostituire la funzione esecutiva, né intervenire nel campo della giurisdizione volontaria17. All’arbitro è data la funzione di risolvere le controversie in materia di diritti soggettivi e non quella di curare interessi. Se la legge prevede il rito camerale al fine della cura degli interessi, l’arbitrato non può sostituirsi alla giurisdizione statuale. Il processo di cognizione del giudice dello stato può essere sostituito con la figura dell’arbitro solo quando la giurisdizione non venga configurata come mezzo esclusivo per l’effetto proposto: sono esclusivi, ad esempio, i procedimenti di impugnazione. È proprio per tale motivo che deve essere esclusa l’eventualità di un arbitrato come strumento alternativo all’appello, al ricorso per cassazione e ad altri mezzi di impugnazione.

Nel caso in cui l’atto impugnato non abbia natura decisoria ma

17La volontaria giurisdizione esprime la normale assenza di contestazione mentre

nella giurisdizione contenziosa il giudice interviene per risolvere una controversia. Nella volontaria giurisdizione manca una pretesa quale oggetto della domanda ed il giudice spiega una funzione di tutela e ingerenza nella formazione e nello

svolgimento di rapporti giuridici meritevoli di tutela. Bove, Arbitrato e fallimento, op. cit. Non è che l’arbitro non possa intervenire in sostituzione del rito camerale, quanto piuttosto che egli non può sostituire la funzione che il giudice sarebbe chiamato a svolgere seguendo quel rito. In dottrina, sulla giurisdizione volontaria: Fazzalari, Giurisdizione volontaria, Padova, 1953, 164

(18)

18

carattere esclusivo, l’arbitrato non può essere concepito come strumento alternativo alla giurisdizione ordinaria.

La ratio dell’ esclusione arbitrato: l’art. 512 c.p.c

L’esclusione dell’arbitrato va estesa alle ipotesi nelle quali non venga impugnato alcun atto ma si verifichino controversie tra

creditori previste dall’art. 512 c.p.c:

“se, in sede di distribuzione, sorge una controversia tra creditori concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all’espropriazione, circa la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione18, il giudice

dell’esecuzione, sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, provvede con ordinanza, impugnabile nelle forme e nei termini di cui

all’articolo 617 II comma”.

Le controversie tra creditori, in tal caso, possono essere risolte

nell’ambito dell’esecuzione forzata19.

18 I creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore. La par

condicio però è derogata se sussiste a favore di un creditore una legittima causa di diritto di prelazione, cioè una causa di preferenza in sede di distribuzione a scapito dei creditori semplici detti chirografari. Quando si ha il diritto di prelazione il creditore, non concorre con i chirografari ma ha il diritto di far valere per intero il suo credito sul bene oggetto di prelazione: gli altri creditori concorreranno proporzionalmente su ciò che rimane. Il diritto di prelazione si divide in due tipi: privilegi e garanzie reali (pegno e ipoteca).

19 La disposizione sancisce la competenza esclusiva del giudice dell’esecuzione in

ordine alle controversie sorte in sede di distribuzione. La precedente disciplina, modificata dal d.l 35/2005, convertita in l. 80/2005, prevedeva la rimessione al giudice competente che provvedeva con sentenza. Le contestazioni disciplinate dalla norma, sono quelle che possono sorgere tra creditori, sull’ammontare dei rispettivi crediti ove la somma ricavata sia insufficiente. Le contestazioni possono

(19)

19

Pertanto, l’arbitrato in questa sede è da escludere perchè il processo dell’art. 512 c.p.c è l’unico strumento attraverso cui possono essere risolte le controversie tra creditori. I limiti all’ammissibilità dell’arbitrato appena detti, hanno in materia fallimentare una grande importanza. La ratio dell’esclusività del procedimento fallimentare impone, in molti casi, di escludere l’arbitrabilità delle controversie. Il problema dell’ammissibilità è ridotto entro un ambito che risulta essere solo residuale al più vasto

campo delle controversie fallimentari.

Procedimenti sommari o camerali

Per quanto concerne l’arbitrabilità dei vari procedimenti camerali, il legislatore, dopo le riforme della legge fallimentare, ha previsto l’applicazione di forme camerali in tutta la procedura a partire

proprio dall’art. 15 L.F.

La recente normativa, sull’adozione di forme camerali nei procedimenti contenziosi aventi per oggetto la tutela dei diritti, costituiscono l’ennesima affermazione di un nuovo rito speciale al di fuori dei modelli di cognizione sommaria, di cui il rito camerale è

essere proposte oralmente nell’udienza fissata per la distribuzione o con separato ricorso al giudice dell’esecuzione. La modifica dell’art. 512 c.p.c ha espunto il procedimento di cognizione per le decisioni delle questioni sorte in sede di distribuzione dal contesto del procedimento di esecuzione. Il giudice procedente non è più tenuto ad osservare le forme della cognizione ordinaria né rimettere gli atti al giudice competente ove non sussista la propria competenza.

(20)

20

espressione. La riprova è data dalla disciplina delle tutele sommarie e anticipatorie cui la tutela cautelare fa parte. Nella disciplina ante riforma il modello seguito era rappresentato da una duplice fase: in una prima fase, a carattere sommario, il giudice godeva di accentuati poteri istruttori e offriva una pronuncia in forma di decreto. La seconda fase, invece, era disciplinata dalle regole comuni particolarmente in relazione alle prove e alle forme della cognizione ordinaria. La fase sommaria assicurava celerità ed agilità e confluiva in un provvedimento immediatamente efficace. Il rispetto del giusto processo, d’altro canto, era garantito dalla possibilità di poter introdurre un giudizio di merito secondo le regole comuni. La riforma ha abbandonato tale modello -optando appunto- per la cameralizzazione del processo concorsuale. Lo schema previgente trovava la sua giustificazione in relazione agli atti di gestione dell’attivo fallimentare e dunque sul piano esclusivamente sostanziale. Il modello del rito camerale era sicuramente coerente nel 1942 quando l’ordinamento era molto meno sensibile al rispetto delle garanzie processuali, in virtù della mancanza di una costituzione rigida ispirata ai principi del diritto di difesa e del giusto processo. Ben presto infatti, si è posto il problema dell’inadeguatezza delle forme camerali rispetto ai nuovi

(21)

21

Grazie al cammino svolto dalla giurisprudenza20 ha avuto luogo una progressiva “ristrutturazione costituzionale” finalizzata a colmare le lacune di un legislatore disattento dopo le declaratorie di incostituzionalità21. L’ordinamento fallimentare novellato adotta un rito camerale ambiguo assoggettando il processo concorsuale ad un modello ibrido. Ciò che esiste adesso non è più una fase sommaria seguita da una fase a cognizione piena ma un processo camerale spurio che, già di per sè, è una fase di giudizio. Ad esso può seguire un giudizio che è di secondo grado al quale si applicano non più le regole del processo a cognizione piena ma le regole di un giudizio di impugnazione. La natura di tale secondo giudizio è sostanzialmente impugnatoria: si tratta di un giudizio di gravame celebrato davanti ad un organo terzo con cognizione tendenzialmente estesa per tutti gli aspetti trattati in primo grado. Il rito camerale puro è lasciato ad ipotesi residuali, come i reclami contro gli atti del curatore ai sensi dell’art. 36 L.F, seguiti però da

20 Cass.22 marzo 1990 n. 2496. La stessa corte aveva sottoposto il rito camerale ad

un’intensa revisione sul piano interpretativo. In primo luogo, dal breve termine di 3 giorni oggi per il reclamo è quello ordinario di cui all’art. 739 c.p.c di 10 giorni dalla comunicazione del provvedimento . In secondo luogo è necessario garantire il contraddittorio imponendo la notifica del ricorso e del decreto cui è fissata l’udienza. In terzo luogo è necessaria la motivazione del decreto sotto sanzione di nullità.

21 C.Cost 9 luglio 1963 n. 118. Il giudice costituzionale avverte subito il contrasto

delle regole processuali della legge fallimentare con le garanzie, quando il reclamo aveva per oggetto diritti soggettivi. C.Cost. 23 marzo 1981 n. 42: Fu necessario però un nuovo intervento che avvenne con la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 26 l.f in relazione alle controversie in sede di riparto. Un’ulteriore pronuncia di incostituzionalità è dettata nel caso della controversia sui compensi a qualunque incaricato in sede fallimentare. C.Cost. 19 novembre 1985 n. 303.

(22)

22

un’ulteriore fase dovuta al reclamo ex art. 26 L.F. Ad accentuare le difficoltà per l’interprete sono stati i diversi modelli di rito camerale ibrido, riti speciali a cognizione piena, diversi da azione a azione: infatti, le regole del processo per la dichiarazione di fallimento sono diverse da quelle dell’accertamento del passivo o da quelle dei giudizi di reclamo. Rientrano tra i procedimenti di natura sommaria, tutti i procedimenti conclusi con decreto del giudice delegato, con i quali si provvede su diritti soggettivi vantati da creditori e da terzi nel fallimento. Si pensi, in proposito, al decreto del giudice delegato che ammette il creditore al concorso in via tardiva, ai procedimenti conclusi con decreto ingiuntivo (vale a dire i decreti con il quale il giudice delegato pronuncia ingiunzione nei confronti dell’associato in partecipazione o nei confronti dei soci della società fallita) ed infine, i procedimenti provocati da reclamo ai sensi dell’art. 26 L.F. In questo ultimo caso l’incompatibilità si manifesta per due diverse ragioni: per il carattere sommario-camerale del procedimento e per il carattere impugnatorio dello stesso che ha sempre la funzione di riesame.

In relazione all’ammissibilità dell’arbitrato in materia fallimentare, un importante dottrina22 afferma che devono essere estromessi

22 Vincre , Arbitrato rituale e fallimento, op. cit p. 16, Non molto diversa è la

posizione di Bonsignori, Arbitrati e fallimento, Padova, 2000. Groppoli, Sulla

potestas iudicandi degli arbitri in materia fallimentare, Fall, 2009, 134 : “ l’arbitrato dovrebbe cedere, pertanto, dinanzi a tutti i casi che non rientrano nella giurisdizione

(23)

23

tutti i casi in cui il procedimento è sommario o camerale. Parte delle dottrina23 afferma che nel caso di procedimenti sommari o camerali l’impossibilità di ricorrere al procedimento arbitrale non è rinvenibile nell’indisponibilità del diritto controverso, quanto nel fatto che “il giudizio arbitrale è previsto dalla legge come strumento

alternativo al giudizio ordinario di cognizione da cui discende l’impossibilità di instaurare di fronte agli arbitri procedimenti diretti all’emanazione di provvedimenti cautelari sommari o anticipatori

esperibili solo dinanzi al giudice ordinario”.

Un’altra dottrina 24 ha posto obiezioni al riguardo, sostenendo che, nemmeno la scelta del rito camerale può essere di ostacolo quando ha per oggetto diritti soggettivi compromettibili. L’esclusione, pertanto, si deve trovare nella “riconducibilità dell’effetto

perseguito allo svolgimento di un procedimento endo fallimentare”,

con la conseguenza che il mancato utilizzo del procedimento fallimentare non consentirebbe un effetto opponibile alla procedura. Indipendentemente dal tipo di rito e di cognizione, ciò che ostacola la compromettibilità in caso di fallimento è il fatto che si tratta di un procedimento esecutivo, che comporta la regolazione

contenziosa, dinanzi a tutte le domande che non sono volte ad ottenere una cognizione piena in ordine a diritti disponibili e che, non si concludono con un atto, assimilabile, quanto agli effetti, ad una sentenza. Si pensi ai procedimenti esecutivi, di volontaria giurisdizione, camerali, cautelari e in generale a tutti i procedimenti speciali che si caratterizzano per la cognizione sommaria”

23 Bove, La giustizia privata, Padova,2009, 3

24 Elena Zucconi Galli Fonseca, Convenzione arbitrale rituale rispetto a terzi,

(24)

24

di tutte le pretese fatte valere nei confronti del fallito. L’esecuzione concorsuale si compone di fasi cognitorie ed esecutive, a differenza dell’esecuzione individuale, tuttavia, le fasi cognitorie non sono eventuali ma risultano inserite nell’ambito del procedimento esecutivo. Secondo tale dottrina, l’arbitrato non può essere considerato una valida alternativa al procedimento fallimentare.

La dichiarazione di fallimento

La dichiarazione di fallimento è disciplinata all’art. 15 L.F25. Si tratta

di uno dei processi di maggior rilievo perché attraverso essa si giunge alla sentenza che apre le prospettive per l’applicazione delle regole speciali. Per l’applicazione di tale regime è necessario che la situazione di crisi o di insolvenza dell’imprenditore commerciale sia giudizialmente accertata. La dichiarazione di fallimento ha quindi la tipica funzione di accertamento costitutivo. Come tutti gli episodi che caratterizzano la materia, si pongono problemi in relazione al coordinamento con la disciplina generale del processo cautelare uniforme. Con la l. 80/2005 il legislatore ha riformato tale processo

25 L’art 15 è stato oggetto di riforma nel 2007. Nel titolo è stata soppressa

l’accezione “istruttoria prefallimentare” con “procedimento per la dichiarazione di fallimento”. Il richiamo che il terzo comma faceva erroneamente al quinto è stato corretto indicando il sesto comma. Il terzo comma non prevede più che il termine minimo di 15 giorni, che deve intercorrere tra la data di notificazione del ricorso per il fallimento e la data dell’udienza davanti al tribunale, sia costituito da giorni liberi. Si torna quindi ad applicare la regola generale secondo cui il dies a quo non

computatur in termino. Meno condivisibile appare l’intervento sul sesto comma che attribuisce al tribunale poteri ufficiosi . Resta inoltre perplesso il fatto che non sia prescritto il rispetto del principio del contraddittorio in questa fase istruttoria.

(25)

25

avviandolo a forme unitarie e abrogando la diversificazione dei riti. L’art. 15 nella sua originaria formulazione stabiliva che il tribunale, prima di dichiarare il fallimento, potesse ordinare la comparizione dell’imprenditore in camera di consiglio e sentirlo anche in confronto dei creditori istanti. Non era dettata nessuna regola processuale e tutto era lasciato alla discrezionalità del giudice26. La mancanza di disposizioni processuali cogenti e puntuali originava alcune lacune, colmate dal giudice ogni volta che egli riteneva opportuno. E’ già stata evidenziato come il rito camerale-sommario, con la sua mancanza di regole e quindi di garanzie, non potesse essere compatibile con un processo contenzioso, come quello che conduce alla dichiarazione di fallimento, per i gravi riflessi patrimoniali e personali sullo status dell’imprenditore, soggetto alle garanzie degli artt. 24 e 111 Cost. Il processo per la dichiarazione di fallimento richiama un modello processuale cameral-sommario: per le sue caratteristiche ibride, tuttavia, esso arriva ad assumere i connotati di un procedimento a cognizione piena27. La recente normativa sull’adozione di forme camerali nei processi contenziosi,

26 La struttura marcamente deformalizzata dall’imprenditore del 1942 per la

dichiarazione di fallimento non ha tardato ad apparire agli interpreti come radicalmente inadeguata a garantire il rispetto delle esigenze minimali del giusto processo. La reazione che ne è seguita è sfociata con la sentenza della corte costituzionale del 16 luglio 1970 n. 141. L’originaria mera facoltà di audizione del debitore, ha trasformato, a tutela del diritto di difesa di tale soggetto, in un obbligo di comparizione in camera di consiglio da attuarsi compatibilmente con le finalità di tutela dell’interesse pubblico.

27 Cecchella,Il processo per la dichiarazione di fallimento, un rito camerale ibrido,

(26)

26

costituisce l’ennesima affermazione di un nuovo rito speciale in un contesto di piena cognizione della fattispecie e dei diritti, al di fuori di modelli di cognizione sommaria di cui il rito camerale è espressione. Infatti il rito camerale si caratterizza per la propria autosufficienza e autonomia e per l’intolleranza verso forme giurisdizionali alternative. Tali elementi si devono unire ad altre peculiarità cui il rito fallimentare è rivolto. Il formalismo della fase introduttiva, con un’attenzione particolare alla forma necessaria a garantire il contraddittorio, non costituisce prerogativa delle forme a cognizione sommaria. Inoltre, l’accentuazione di un’iniziativa istruttoria d’ufficio e la particolarità della materia, escludono il carattere perentorio del termine per la costituzione dell’imprenditore28. Nella dichiarazione di fallimento, il termine per la difesa delle parti, non può assurgere i caratteri della perentorietà e decadenza per la particolarità della materia e per gli interessi generali coinvolti. La sentenza che dichiara il fallimento, nell’unione tra fattispecie costituita dall’insolvenza e dalla qualità di imprenditore commerciale, da origine al concorso cioè il diritto di tutti i creditori e dell’imprenditore, di beneficiare del regime speciale che garantisce il coinvolgimento di tutta la massa passiva, attiva e la tutela patrimoniale. Deve essere quindi smentita

28 Il fenomeno è ben più evidente nel procedimento di accertamento del passivo

ove esiste un termine a pena di inammissibilità per la presentazione della domanda di cui all’art. 93 I comma L.F.

(27)

27

l’impostazione del passato tendente a qualificare il fallimento come espressione di volontaria giurisdizione29. Oggi, grazie all’intervento della giurisprudenza volto a colmare le lacune, il procedimento assume i caratteri pieni di una giurisdizione contenziosa. In relazione agli elementi di contenuto della sentenza, particolare attenzione viene data alla conferma e alla revoca dei provvedimenti cautelari pronunciati incidentalmente ai sensi dell’art. 15 comma 8 L.F. La dichiarazione di fallimento dovrà inoltre contenere, gli elementi imposti ad una sentenza in virtù dell’art. 132 c.p.c. Alla luce delle caratteristiche principali dell’istituto ed in particolare per le caratteristiche ibride del procedimento, è opportuno concludere che la materia è sicuramente indisponibile30 e dunque non compromettibile. L’impossibilità di compromettere in arbitri è data dunque dal carattere ibrido del procedimento. Il legislatore delle riforme degli anni 2006-2007 ha continuato a suggerire il modello cameral-sommario anche se in realtà, non ha più nulla a che vedere con il modello letteralmente indicato. Viene introdotto “un vero e

proprio processo contenzioso di pari grado a cognizione piena,

29 Bonelli, Del fallimento, Milano, I, 1923, 310. Nega la natura giurisdizionale della

sentenza che dichiara il fallimento ritenendola atto amministrativo inidoneo al giudicato.

30 Frascaroli Santi, Art. 83 bis e problemi irrisolti nei rapporti tra fallimento e

procedura arbitrale, Napoli, 2010, 367. Nonostante l’autore sia a favore

dell’indisponibilità, sostiene che abbia perso rilievo dopo la riforma data la caducazione degli effetti personali del fallito e la soppressione dell’albo dei falliti.

(28)

28

ancorchè differenziato31”. Inoltre, dovendo avviare il procedimento

fallimentare, contiene statuizioni a carattere ordinatorio quali la nomina del giudice delegato e del curatore che sono impensabili per un arbitro. Tutto questo senza considerare che l’iniziativa può essere anche pubblica, da parte del pubblico ministero, oltre che

privata da parte di ogni creditore.

L’opposizione alla sentenza che dichiara il fallimento

L’art. 18 L.F regolamenta l’impugnazione avverso la sentenza che dichiara il fallimento e introduce l’istituto utilizzando il termine reclamo. Il reclamo evoca un mezzo spendibile contro il decreto che chiude il rito camerale. Il legislatore continua ad utilizzare terminologie formali, ma che in realtà, celano una sostanza totalmente diversa. Nel 2007 il legislatore è tornato ad utilizzare il

nomen reclamo, anche se in realtà la norma contiene un richiamo

solo nominalistico alla forma della camera di consiglio, mentre nella sostanza, il legislatore introduce un vero e proprio giudizio di appello in continuità con le caratteristiche del provvedimento che aveva caratterizzato il primo grado di giudizio32. Il primo comma dell’art. 18 L.F stabilisce che il reclamo deve essere introdotto entro

31 Cass. 29 ottobre 2009 n.22926. Viene fatto valere il procedimento della

dichiarazione di fallimento come procedimento a cognizione piena, regolato però da forme speciali.

(29)

29

30 giorni. Il termine è soggetto a un dies a quo diverso a seconda che l’impugnante sia il fallito o altri legittimati. La norma prevede una legittimazione diffusa tale da consentire il reclamo anche ad opera del debitore o di altri interessati. Il termine di 30 giorni decorre per il fallito dalla notifica della sentenza che dichiara il fallimento, mentre, per gli altri legittimati dalla pubblicazione della sentenza che dichiara il fallimento. Il provvedimento conclusivo della fase di primo grado si può concludere con sentenza, in caso di accoglimento o con decreto, in caso di rigetto. Il reclamo avverso la sentenza che dichiara il fallimento costituisce un “appello speciale” che fuoriesce dal modello dell’appello ordinario e al pieno effetto devolutivo dopo la legge 134/2012. Grazie a quest’ultimo intervento legislativo, è stato evidenziato il diverso regime del reclamo fallimentare rispetto all’appello comune, con minore evidenza delle accentuazioni estreme in ordine all’onere della motivazione dell’impugnazione e al divieto di nuove difese. È necessario introdurre l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l’impugnazione con le relative conclusioni. Per ciò che concerne la compromettibilità in arbitri, anche in tal caso, deve essere esclusa non solo in virtù dell’art. 806 c.p.c che richiama la disponibilità del diritto, ma soprattutto in virtù del carattere impugnatorio. È proprio tale carattere ad impedire la sostituzione,

(30)

30

anche nel caso in cui il thema decidendum fosse disponibile. La dottrina si è occupata di tale argomento per negare l’esistenza stessa del problema, quando si sostiene che si tratterebbe di un’azione derivante dal fallimento a norma dell’art. 24 L.F dato che, rispetto ad esso, il procedimento concorsuale opera come presupposto33. Inoltre, l’opposizione alla sentenza non può essere considerata come azione derivante dal fallimento perché essa, è parte integrante del fallimento stesso. Per cui a maggior ragione deve essere considerata non suscettibile di arbitrato34. Ancora, si è sostenuta l’inammissibilità del ricorso in arbitri in alternativa al giudizio di opposizione, partendo proprio dall’art. 806 c.p.c in quanto si tratta di materia oggettivamente indisponibile35. Risulta confermato che l’impossibilità di costituire oggetto di arbitrato discende dall’essere inserito, il giudizio di opposizione, nella struttura elementare e indefettibile del processo di fallimento, anche se eventuale. In virtù di tali aspetti è possibile concludere affermando la non compromettibilità in arbitri dell’opposizione alla

sentenza che dichiara il fallimento.

33 Capaccioli, L’amministrazione fallimentare di fronte all’arbitrato, Riv. Dir.Proc. Civ,

1959, 531.

34 Bonsignori, Arbitrati e fallimento, op. cit, 59.

35 Bozza, Arbitrato e fallimento, Fall, 1993, 483. L’autore afferma l’indisponibilità

(31)

31

Accertamento del passivo

L’accertamento del passivo in ambito fallimentare rappresenta una sorta di banco di prova utile a desumere e ad elaborare i principi del concorso36. Le modifiche introdotte dalla riforma della legge fallimentare hanno portato elementi di chiarezza e stimolato profonde analisi sulla natura del procedimento fallimentare. E’ proprio in questa sede che si riscontrano tutti i connotati tipizzanti la classica tutela contenziosa propria dei giudizi ordinari di cognizione. La riforma fallimentare ha modificato sia l’ambito sia la forma dell’accertamento37. L’accertamento del passivo è un processo che si caratterizza per il rito camerale ibrido: dietro la definizione di processo camerale si annida nella sostanza, un processo a cognizione piena di rito speciale. Esso si caratterizza per l’accertamento dei crediti e dei diritti reali e personali di godimento che appartengono all’attivo fallimentare, ma che in realtà, sono nella titolarità di terzi soggetti che fanno valere il loro diritto di credito o reale contro il fallimento al fine di vederselo riconosciuto contro la liquidazione. Ha inoltre la funzione di consentire, per esigenze legate all’universalità, il concorso tutti i creditori e di tutti i titolari dei diritti opponibili al fallimento su beni dell’attivo

36 Tomasso, Accertamento del passivo nel fallimento, Fall, 2,2013, 194

37 Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2011, 209. Nel sistema previgente la

verificazione era affidata al giudice delegato il quale poteva sollevare d’ufficio ogni eccezione di rito o di merito. Il curatore era considerato solo un ausiliario.

(32)

32

fallimentare, che segue regole diverse da quelle comuni: è necessario, dunque, che siano coinvolti in un unico procedimento tutti i soggetti. La domanda di accertamento del passivo produce gli effetti della domanda giudiziale per tutto il corso del fallimento. Il provvedimento che conclude il passivo fallimentare non acquista l’efficacia di giudicato e non può dunque spiegare effetti al di fuori della procedura fallimentare. Il decreto che rende esecutivo lo stato passivo produce effetti soltanto ai fini del concorso: chiuso il fallimento, il provvedimento non produce effetti ulteriori. In tal senso, l’art. 96 L.F stabilisce che “il decreto che rende esecutivo lo

stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale all’esito dei giudizi di cui all’art. 99, producono effetti soltanto ai fini del concorso”. Nel

fallimento opera una sorta di sottosistema che si sovrappone al rapporto creditore-debitore, tanto nel campo soggettivo (creditore e curatore), quanto in senso oggettivo (selezionando i partecipanti al concorso). Ai sensi dell’art. 52 L.F il quale stabilisce che “ il

fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito. Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell’art. 111 I comma n. 1, nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo V , salvo diverse disposizioni della legge”. Accanto

(33)

33

stata oggi introdotta una disposizione in virtù della quale ogni diritto reale o personale mobiliare o immobiliare, deve essere accertato nelle forme di verificazione del passivo. A differenza del passato, in sede di accertamento del passivo, devono essere fatti valere anche eventuali diritti reali su beni immobili del fallimento, diversi dal diritto di proprietà. Il vecchio art. 103 L.F, escludeva infatti dalla verifica dello stato passivo le controversie riguardanti diritti immobiliari fatti valere da terzi38. Oggi queste liti sono attratte dagli artt. 93 e ss L.F. Secondo parte della dottrina39, l’ampliamento dell’art. 52 L.F, ha reso ancora più evidente lo spazio residuale dell’arbitrato in collegamento al fallimento. L’improcedibilità dell’arbitrato nell’accertamento del passivo è ampliamente condiviso in dottrina. Secondo alcuni interpreti l’improcedibilità discende dall’automatica caducazione del compromesso e della clausola compromissoria40, altri41 invece, fanno appello all’art. 52 L.F secondo cui, ogni credito deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo quinto, riguardante l’accertamento del passivo e diritti reali mobiliari di terzi. Un’ altra

38 Le controversie riguardanti beni immobiliari, prima del 2006, erano escluse

dall’art. 103 .F con la conseguenza che l’esistenza di un diritto di proprietà di un terzo era incompatibile con l’assoggettamento di un bene alla procedura concorsuale. L’esecuzione concorsuale doveva essere fatta nelle forme ordinarie previste.

39 Bonsignori, Arbitrati e fallimento, op.cit, 55 40 Pajardi, Manuale di dir. Fall, Milano, 1993, 349

(34)

34

parte della dottrina42 stabilisce che il rito, in quanto sommario e concludendosi con decreto, non ammette l’arbitrato, il quale costituisce solo un’alternativa all’ordinario procedimento di cognizione. Ecco che la Giurisprudenza, ribadisce come il divieto di far valere in sede di arbitrato ragioni di credito vantate nei confronti di una parte sottoposta a fallimento, discende dall’esigenza di concentrare davanti ad un unico organo tutte le azioni dirette a far valere diritti di credito sul patrimonio del debitore insolvente per realizzare così nel simultaneus processus il principio della par

condicio creditorum43.

Opposizioni allo stato passivo

La riforma del 2006 ha profondamente inciso sulle impugnazioni allo stato passivo. La novità più significativa è costituita da un procedimento uniforme che segue l’impostazione adottata nella riforma dell’esecuzione singolare introdotta dalla legge 80/2005 secondo cui, la verifica dei crediti ha un’efficacia endo procedimentale perché circoscrive gli effetti dell’accertamento compiuto al procedimento nel quale i provvedimenti adottati si

42 Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1990, 195

43 Cass, SS UU 6 giugno 2003 n. 9070.Questo sistema risponde all’esigenza di

concentrare davanti ad un unico organo, individuato attraverso il procedimento stabilito dalla legge speciale, tutte le azioni dirette a far valere diritti di credito sul patrimonio del debitore insolvente per assicurare nel simultaneus processus il principio della par condicio creditorum.

(35)

35

riferiscono44. Grazie al lavoro svolto dalla giurisprudenza45 è possibile esaminare il procedimento di opposizione allo stato passivo che puntualizza quali siano gli incombenti a carico delle parti in giudizio, sia con riguardo alla prova della tempestività dell’opposizione, sia con riguardo alla prova dei crediti azionati. Con l’opposizione, il creditore che è stato escluso o tutto o in parte dallo stato passivo, o al quale non è stato riconosciuto un diritto di prelazione invocato, può impugnare il provvedimento di esecutività dello stato passivo e richiederne la riforma limitatamente alla propria posizione. L’opposizione è volta dunque a contestare il rigetto parziale o integrale della domanda. La legittimazione attiva è riconosciuta oltre che ai creditori la cui domanda sia stata respinta o accolta solo in parte, ai creditori ammessi con riserva46 qualora ritengano ingiustificata la riserva e in generale a tutti coloro che abbiano avuto un pregiudizio dal provvedimento o mancato provvedimento del giudice delegato che dichiara esecutivo la stato passivo. La legittimazione passiva spetta necessariamente al curatore.

In virtù del carattere impugnatorio oggi non si può più dubitare

44 Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009, 212. 45 Cass. 23 marzo 2012 n. 4744, Fall, 1,2012 , 1218

46 La dottrina e la giurisprudenza distinguevano tra i c.d creditori condizionali e

creditori ammessi con riserva. Mentre per questi ultimi si riteneva che dovessero opporsi ai sensi dell’art. 98 L.F per gli altri, veniva affermata la necessità

dell’opposizione allo stato passivo. Una delle novità della ridorma stabilisce che i creditori ammessi con riserva non sono più autorizzati a proporre opposizione.

(36)

36

della non compromettibilità delle relative controversie. L’opposizione allo stato passivo viene visto come mezzo di impugnazione contro atti della pubblica autorità e come tale insuscettibile di arbitrato. Costituiscono fasi interne o giudizi incidentali di ampi processi esecutivi o che comunque non sono preordinati all’attuazione della responsabilità patrimoniale. In dottrina tale argomento è stato molto discusso. Mentre si negò che l’arbitrato potesse riguardare l’opposizione allo stato passivo47 per contro, si sostenne che una volta proposta l’opposizione avrebbe inizio un processo di cognizione di primo grado destinato a terminare con una sentenza ordinaria. Secondo tale dottrina non vi sarebbe motivo di escludere l’alternativa alla via arbitrale48. La tesi sicuramente più accreditata afferma che l’arbitrato non può mai ricevere attuazione in questa sede. La tesi dell’ammissibilità del procedimento arbitrale relativamente all’opposizione dello stato passivo urta con una prima difficoltà costituita dalla non coincidenza con il diritto di credito o con la prelazione, caratteristiche che per di più sono influenzate dalle norme sul fallimento e dunque insuscettibili di essere affidate ad arbitri in virtù dell’art. 24 L.F49. Una seconda difficoltà riguarda l’unitarietà del procedimento di opposizione assicurato dall’art. 99 L.F: unitarietà

47 Satta, Istituzioni di diritto fallimentare, Roma, 1948, 273.

48 Capaccioli, L’amministrazione fallimentare di fronte all’arbitrato, op. cit, 539. 49 Bonsignori, arbitrati e fallimento, op. cit, 57.

(37)

37

che contrasta con l’assoggettabilità al procedimento arbitrale legata alla struttura del singolo compromesso. La terza ed ultima difficoltà discende dall’essere, l’opposizione allo stato passivo, un giudizio che per quanto assimilato ad un ordinario giudizio di cognizione, è retto da un rito che non pone le parti nella stessa posizione in cui si troverebbero in un ordinario giudizio di cognizione.

Procedimento di ripartizione dell’attivo ex art.110 L.F

L’art. 110 stabilisce che “ il curatore, ogni quattro mesi a partire dalla

data del decreto previsto dall’art 97 o nel diverso termine stabilito dal giudice delegato, presenta un prospetto delle somme disponibili ed un progetto di ripartizione delle medesime, riservate quelle

occorrenti per la procedura”.

Il procedimento di ripartizione è stato oggetto di alcune modifiche volte ad abbreviare i tempi della procedura. Il legislatore ha recepito prassi virtuose ed indirizzi interpretativi miranti a rendere più celere l’iter processuale. Diversamente dalla previgente disciplina, il giudice delegato non può operare modifiche sul contenuto del prospetto delle somme disponibili e sul progetto di ripartizione delle medesime. Egli può solo sollecitare il curatore ad apportare correzioni nell’esercizio della sua funzione di vigilanza e

(38)

38

di controllo. Con la riforma è stata introdotta inoltre la possibilità di reclamare, avanti il giudice delegato, il progetto di riparto ai sensi dell’art. 36 L.F: la legittimazione spetta a tutti i creditori, compresi quelli ammessi con riserva. Alcuni interpreti, pur riconoscendo la volontà di ricercare una maggiore speditezza50, hanno espresso perplessità sul raggiungimento di tali obiettivi sostenendo che il legislatore, al di fuori di sistemi di informazione innovativi, avrebbe perseguito le finalità di una massima tutela dei creditori dagli errori piuttosto che ridurre i tempi di distribuzione. Tutti concordano invece sull’ufficiosità dell’iniziativa del curatore e l’intangibilità endo fallimentare dello stato passivo, il cui accertamento è posto in un momento antecedente alla distribuzione. In questa fase i creditori possono ottenere soltanto la graduazione ed il pagamento dei crediti ammessi. Le numerose novità evidenziano il mutato ruolo degli organi fallimentari nel procedimento di riparto: il giudice delegato non è più il motore della procedura non svolgendo più attività di direzione ma piuttosto di controllo. Anche tale procedimento risulta essere escluso dall’arbitrabilità. Oggi non è più previsto il procedimento in due fasi concernenti la prima, la presentazione delle osservazioni dei creditori al progetto di ripartizione e la seconda l’emanazione del decreto di esecutività

50 Roveroni, Ripartizione dell’attivo, nuovi profili con prudenza in nuovo dir.

(39)

39

impugnabile con reclamo al collegio ai sensi art. 26 L.F. Oggi il curatore si limita a depositare il progetto. Ogni contestazione dovrà essere fatta valere mediante reclamo al giudice delegato contro gli

atti del curatore.

I reclami

Il sistema attuale, con la sua frammentazione dei riti, include la disciplina dei reclami nell’ambito dei riti camerali ibridi che aprono uno svolgimento analogo ad un processo a cognizione piena con rito speciale. I reclami contro gli atti degli organi amministrativi seguono invece le regole delle forme camerali pure ai sensi degli articoli 737 ss. Con il reclamo dell’art. 36 L.F, il legislatore si preoccupa del rispetto del solo contraddittorio, abbandonandone le forme alla discrezionalità del giudicante, con una difficile costituzionalità alla luce dei principi della riserva di legge. Stabilisce che “il giudice delegato, sentite le parti, decide con decreto motivato,

omessa ogni formalità non indispensabile al contraddittorio”. Contro

il decreto del giudice delegato è ammesso ricorso al tribunale, il quale decide entro 30 giorni sentito il curatore e il reclamante. il reclamo dell’art. 26 L.F si introduce mediante ricorso e la costituzione del convenuto si perfeziona con memoria da depositarsi cinque giorni prima dell’udienza. Il ricorso non sospende

(40)

40

gli effetti dell’atto impugnato. Nell’udienza il giudice dispone ed assume la prova anche per iniziativa officiosa51. In virtù dell’attenzione prestata dal legislatore nella regolamentazione dei procedimenti camerali ibridi, si evidenzia il divieto del giudice delegato di far parte del collegio investito del reclamo proposto

contro i suoi atti.

Per ciò che concerne la disciplina dei reclami di cui agli artt. 26 e 36 L.F, l’arbitrabilità è da escludere circa la riconducibilità ad un procedimento endo fallimentare. Per il reclamo contro gli atti del curatore, quest’ultimo pone in essere atti esterni ed il reclamo non può incidere sull’atto da lui compiuto. Occorre dunque, impugnare l’atto nelle forme del procedimento contenzioso ordinario o mediante arbitrato. Se dalle azioni derivano, pretese creditorie, occorrerà presentare domanda di insinuazione al passivo.

Decreti ingiuntivi emessi dal giudice delegato

Il procedimento d’ingiunzione appartiene alla categoria dei procedimenti speciali a contraddittorio eventuale e differito per far conseguire al creditore che se ne avvalga una pronuncia di condanna in forme più agili e spedite rispetto a quelle tipiche della

cognizione ordinaria.

51 La novella del 2007 ha significativamente sostituito la dizione di “informazioni”

(41)

41

Per ciò che concerne i decreti ingiuntivi emessi dal giudice delegato, egli può su proposta del curatore, ingiungere con decreto ai soci a responsabilità limitata i versamenti ancora dovuti, quantunque non sia scaduto il termine stabilito per il pagamento. L’art. 150 L.F stabilisce che “nelle società con soci a responsabilità limitata il

giudice delegato può, su proposta del curatore, ingiungere con decreto ai soci a responsabilità limitata e ai precedenti titolari delle quote o delle azioni, di eseguire versamenti ancora dovuti quantunque non sia scaduto il termine stabilito per il pagamento. Contro il decreto può essere proposta opposizione ai sensi art. 645 c.p.c”. La materia si occupa di un atto emanato dal giudice delegato

e come tale, è da escludere l’arbitrabilità delle relative controversie. L’opposizione a decreto ingiuntivo va distinta dalla controversia sul merito avente per oggetto il medesimo credito sotteso al decreto di ingiunzione52.

Controversie arbitrabili: ambito residuo

Analizzate le esclusioni viste sopra, rimane da chiarire quale è l’ambito residuo di applicazione e quali controversie non incontrano

52Cass 14 settembre 1999 n.9803. Si applica alla procedura fallimentare il principio

secondo cui, qualora tra le stesse parti ed aventi esse il medesimo ufficio giudiziario, siano contemporaneamente pendenti un procedimento introdotto in via monitoria e un giudizio a cognizione ordinaria aventi per oggetto il medesimo diritto, si applica la riunione delle due azioni ai sensi dell’art. 273 c.p.c.

(42)

42

i limiti precedentemente illustrati. Parte della dottrina53 anteriore alla legge fallimentare ammetteva il ricorso all’arbitrato in relazione

a tre tipi di controversie.

In una prima categoria vengono ricomprese le controversie tra curatore e crediti della massa. Con tale espressione ci si riferisce ad una categoria che risulta essere accumunata dalla c.d “prededucibilità del credito”, che comprende non solo i crediti vantati in virtù dell’art. 111 n. 1 L.F, ma anche quelli previsti dalle norme di settore54. Questi ultimi, a titolo esemplificativo, sono i crediti per le spese sostenute nell’interesse della collettività dei creditori per il conseguimento degli scopi e i crediti sorti in occasione del procedimento fallimentare nei confronti dell’amministrazione o quelli da quest’ultima assunti a causa della continuazione del rapporto contrattuale posto in essere dal fallito. Oggi, con riguardo ai crediti prededucibili, non si può dubitare che siano soggetti al procedimento di verificazione del passivo, perciò, è da escludere la compromettibilità di tali controversie. In una seconda categoria sono ricomprese le liti dell’amministrazione fallimentare contro i terzi che tentano di sottrarre all’espropriazione fallimentare beni o diritti quando

l’oggetto non riguardi beni mobili.

53 Vincre, Arbitrato rituale e fallimento, op. cit, 23. 54 Vincre, Arbitrato rituale e fallimento, op. cit,23.

Riferimenti

Documenti correlati

Il 20 ottobre 2016 ci ha lasciato il Prof Augusto Palmonari, Professore Emerito presso l’Alma Mater, Dottore honoris causa dalla Faculté de Psychologie et Sciences de

E qui casca l’asino, perché mentre l’età media alla decorrenza della prestazione di anzianità – come abbiamo anticipato – è di poco superiore ai 60 anni per gli uomini ed

Ma è evidente come in relazione alla questione che abbiamo di fronte, ossia se sopravviva o meno alla dichiarazione di fallimento l’efficacia di una convenzione di arbitrato,

(19) In questo senso v. Menchini, Osservazioni critiche sul c.d. onere di allegazione dei fatti giuridici nel processo civile, in Scritti in onore di Fazzalari, vol. infra nel

Ciò premesso, ove il credito che l’ente vanta verso la società fallita non sia da ritenere accertabile per cassa, la mancata riscossione dell’entrata nei confronti

Per il secondo tipo di matrici la scelta della posizione nella prima riga in cui inserire il valore 1 si può effettuare in 7 modi diversi; fissata una di tali scelte, la scelta

Passando al procedimento arbitrale, occorre nuovamente richiamare il principio di cui al (vecchio) art. 7, per il quale le forme previste a pena di nullità per i giudizi

• Nel diciottesimo secolo il concetto di trasparenza puó essere associato all'idea emergente di ottenere il controllo sulla natura attraverso la sua osservazione, sorveglianza