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In effetti, “maturità” è un termine molto generale, se non generico, polisemico, se non ambiguo, per cui necessita di una precisa definizio

ne. Innanzitutto, non deve essere confuso con “maturazione”. Mentre

“maturazione”, come abbiamo visto, si riferisce all’insieme delle risorse

biologiche dell’individuo e dunque al cambiamento su base organica,

per “maturità” si intende il prodotto finale dello sviluppo, ovvero il li­

vello di sviluppo più evoluto in una determinata area. Esistono diversi

tipi di maturità a seconda del tipo di competenza o abilità di cui con­

sideriamo l’evoluzione nelle diverse aree della personalità (motoria,

percettiva, cognitiva, affettiva ecc.). Non solo, dunque, sono indivi­

duabili maturità qualitativamente diverse, per funzioni diverse, ma se

la maturità funzionale si ha quando l’incremento dell’effìcienza nelle

singole funzioni tende a zero, anche dal punto di vista temporale tale

condizione viene raggiunta in epoche diverse nelle diverse funzioni.

Ad esempio, la maturità sensoriale-percettiva acustica viene acquisita

prima di quella visiva, così come l’abilità motoria prima di quella co­

gnitiva o del pensiero morale. Se è definibile con reladva precisione l’età cronologica in cui si realizza, mediamente, la massima espressione delle abilità nella maggior parte delle funzioni psichiche, secondo una temporalità definita (certamente le abilità percettive e motorie sono mediamente più mature in un individuo di 10 anni rispetto a uno di 5 anni), questo non è possibile asserirlo per la maturità affettiva. Essendo, infatti, la maturità affettiva espressione di un equilibrio psico-relazio- nale, in cui le relazioni interpersonali giocano un ruolo centrale, si può essere meglio affettivamente appagati e relazionalmente maturi a 3 anni mentre frustrati e incapaci di gestire in modo equilibrato la propria vita relazionale in età successive.

In conclusione, nella misura in cui esistono diverse maturità, a se­ conda delle funzioni psichiche considerate, non ha senso parlare di in­ dividuo maturo e/o immaturo tout court, ma è necessario sempre circo­ stanziare precisando quale tipo di maturità stiamo considerando. Ogni valutazione, peraltro, richiede l’utilizzo di criteri e misure di diverso tipo, come si specificherà nel prossimo parametro.

6. Comesi valuta (giudizio sulla adeguatezza o meno del prodotto del cambiamento: normalità/anormalità; tipicità/atipicità). Nel momen­ to in cui lo sviluppo sia giunto alla tappa finale, ma anche nelle diverse tappe intermedie della sua realizzazione, sorge l’esigenza di valutarlo, di esprimere un giudizio sulla sua adeguatezza e qualità. Ciò anche e non secondariamente al fine di adottare interventi correttivi/integrativi, qualora si individuino carenze, difficoltà, difformità rispetto alle attese. Tra i compiti dello psicologo, specie dello psicologo clinico, c’è quello di misurare/valutare diversi tipi di comportamento in diversi momenti della crescita e di esprimere giudizi di normalità/anormalità, tipicità/ atipicità, armonia/disarmonia dello sviluppo. Per poter effettuare una valutazione, bisogna riferirsi a precisi criteri e disporre di misure, sulla base di norme convenzionali di diverso tipo (per un approfondimento del concetto di norma e normalità cfr. riquadro 1.4).

Come si legge nel riquadro 1.4, esistono diversi tipi di norme, da quella statistico-quantitativa, a quella ideale-qualitativa, a quella fun­ zionale-ergonomica, a quella giuridico-coercitiva, intrinsecamente e imprescindibilmente implicate tra loro. Pertanto esprimere un giudi­ zio di normalità/anormalità su un individuo e sul suo comportamento richiede sempre l’esplicitazione della norma su cui basa tale giudizio. Benché i vari tipi di norme e le normalità conseguenti non coincidano, hanno, tuttavia, relazioni e/o influenze reciproche più o meno profonde.

LO SVILUPPO PSICOLOGICO

RIQUADRO 1.4

Concetto di norma e di normalità

Cos e una norma? Etimologicamente il vocabolo deriva dal latino norma, -ae

(verbo nosco, conoscere) che designava lo strumento per misurare gli ango­ li retti (l’attuale squadra o goniometro). Il significato originale del termine rinvia dunque a misura, strumento di misura. Il codice linguistico attuale ha sottratto a norma l’accezione di goniometro, benché ancora in termini deri­ vati permanga l’etimo (ad es., in geometria viene definita normale la retta or­ togonale a un piano), sostituendola con accezioni più ampie, meno concrete ma più potenti. Le norme infatti costituiscono dei parametri di riferimento, per la misura-valutazione del comportamento individuale, per uniformarlo e controllarlo. Le norme hanno una funzione normalizzante, nella misura in cui il loro scopo è trasformare in un minimo comune denominatore i comporta­ menti individuali, riducendone la variabilità, l’eterogeneità. La funzione nor­ malizzante delle norme si esplica nella misura in cui tendono a promuovere il conformismo e a ridurre l’anticonformismo, favorendo dunque la prevedibi­ lità dei comportamenti e la loro gestione sociale.

Esistono diversi tipi di norme e di conseguenti normalità, rilevanti per il nostro ambito di studio, e precisamente: la norma statistica, la norma ideale, la norma funzionale e la norma giuridica.

Per “norma statistica” si intende la misura media della distribuzione di una determinata caratteristica in una specifica popolazione o campione. E una norma eminentemente quantitativa - corrispondente alla media aritmetica +/- una deviazione standard - che varia in funzione del campione considerato (ad es. l’altezza media dei maschi è diversa da quella delle femmine, o l’altezza media dei giocatori di basket è diversa da quella dei calciatori); basta aggiun­ gere al campione su cui è stata calcolata la media anche un solo individuo, con caratteristiche che si discostano dal precedente valore medio, per ottenere una diversa norma statistica. E' noto come in un campione casuale di indivi­ dui i diversi attributi fenomenici che questi presentano tendano a distribuirsi secondo una curva cosiddetta “a campana”, o di Gauss, in quanto la maggior parte degli individui presenta caratteristiche rientranti nei valori centrali, o medi, e solo una piccola minoranza si colloca al di sopra o al di sotto di essi. La psicologia utilizza la norma statistica nella predisposizione di strumenti di valutazione o test di livello per l’assessment di diversi tipi di abilità. Sulla base del grado di discostamento da tali norme statistiche (in genere di due devia­ zioni standard sotto la media) si può avanzare diagnosi di sviluppo atipico e di presenza di qualche disturbo, nella competenza oggetto di valutazione.

Per “norma ideale” si intende un valore culturale, una meta socialmente rilevante che funge da modello per i comportamenti di un gruppo; varia a seconda della cultura, del momento storico e dell’ideologia (ad es. l’essere pacifisti e miti può rappresentare un ideale per certi popoli o gruppi socia­

li, mentre per altri, in condizioni storico/culturali diverse, l’aggressività può costituire lo stimolo propulsivo dei comportamenti). Normalità, in tale acce­ zione, consiste nel far propri (e tendere verso) gli ideali proposti dalla società o dal gruppo di riferimento.

La norma ideale è di tipo qualitativo: a essa si può tendere ma, in quanto ideale, non può essere mai completamente attinta, a differenza della norma statistica che può essere anche superata. Per la psicologia dello sviluppo è senz’altro rilevante tenere presenti le norme ideali rispetto alle quali si orienta il comportamento degli individui e rispetto alle quali si attua un determinato tipo di assessment. Ad esempio l’intelligenza è stato (lo è ancora?) un valo­ re socialmente condiviso nella società occidentale moderna che ha portato a un aumento della scolarizzazione e allo sviluppo di strumenti per valuta­ re le diverse forme di intelligenza. Uno psicologo non può essere un mero tecnico che effettua misurazioni/valutazioni dei comportamenti individuali socialmente desiderabili, ma deve essere un intellettuale con atteggiamento consapevolmente critico rispetto agli strumenti che utilizza e delle finalità per cui li utilizza.

Per “norma funzionale” si intende un principio che definisce il rapporto corretto e/o ottimale tra mezzi e fini, vale a dire si considera funzionalmente normale tutto ciò che consente il miglior raggiungimento dello scopo prefìs­ so o il miglior svolgimento del compito da eseguire, in base a dei parametri oggettivi di efficacia ed efficienza. La normalità funzionale, o ergonomica, è variabile in relazione alla funzione da svolgere, in quanto è a essa commisu­ rata (ad es. una corporatura piccola ed esile è funzionalmente normale per lo svolgimento dell’attività di fantino, mentre una corporatura grande e robusta è altrettanto normale per un discobolo, così come un’intelligenza sopra la media è il requisito minimo per uno scienziato, mentre costituisce una carat­ teristica eccezionale e non richiesta in chi svolge un’attività di tipo esecutivo).

La norma funzionale, o ergonomica, è sia qualitativa che quantitativa in quanto basata sulla corrispondenza tra tipi e quantità dei mezzi e tipi e qualità dei fini.

La “norma giuridica”, infine, sancisce e rende esecutive sul piano pragma­ tico gli altri tipi di norme, ispirandosi prevalentemente all’una e/o all’altra a seconda delle circostanze ideologiche e/o sociali (ad es. la definizione, ope

legis, dei requisiti per l’accesso a certi concorsi per le assunzioni, per la leva

militare, per l’ottenimento della patente di guida ecc.). La norma giurdica, ol­ tre che basarsi su parametri ideali e funzionali, tiene conto anche di parametri puramente statistici, quali indicativamente l’altezza media della popolazione, il livello di scolarità, il livello di reddito, la composizione media del nucleo familiare ecc.

La norma giuridica ha efficacia pragmatica nella misura in cui è suppor­ tata dalla sanzione, ovvero prescrittiva in quanto coercitiva.

LO SVILUPPO PSICOLOGICO

La normalità definita sulla base della norma giuridica dà valore ufficiale agli altri tipi di normalità i quali, per lo più, operano a livello di senso comune e/o di conoscenza scientifica.

Fonte: (Belacchi, 2002).

La contrapposizione più evidente e quasi irriducibile si ha tra normalità statistica e normalità ideale, al punto che ciò che è normale idealmente (ad es. un alto livello di intelligenza e/o di creatività) è per definizio­ ne fuori della norma statistica: quel che caratterizza, statisticamente, la maggioranza non può, inevitabilmente, che essere la mediocrità, vale a dire dimensioni possedute in grado medio, come afferma Eco, nel saggio

Fenomenologìa di Mike Bongiorno (1963). Infatti, da un lato, non può

essere norma ideale, quindi meta da raggiungere ciò che, mediamente, è già posseduto, dall’altro, in una data società, norma ideale e norma statistica tendono ad avvicinarsi, in quanto la norma ideale, per il suo effetto propulsivo sui comportamenti, tende a indurre l’aumento della loro frequenza e ciò contribuisce a modificare la norma statistica (ad es. essendo l’istruzione un valore nella nostra società, sempre più il livello di scolarità medio tende ad aumentare, quindi la norma ideale influenza quella statistica). Anche la normalità funzionale, da un lato, risente di variazioni sia della normalità statistica sia di quella ideale, nella misu­ ra in cui si accettano gradi diversi di funzionalità a seconda dei livelli mediamente posseduti e di quelli ideali perseguibili, dall’altro, tende, a sua volta, a influenzare entrambe, nella misura in cui si generalizzano, diventando mediamente più frequenti, le prestazioni ergonomicamente efficaci ed efficienti.

Il rapporto tra la norma giuridica e le altre norme è, come già detto, molto stretto e complesso, in quanto i princìpi normativi in sé costitui­ scono l’espressione di aspetti socio-culturali di tipo sia statistico che ide­ ale che funzionale (ad es. i parametri che la legge definisce per stabilire la potabilità dell’acqua sono di fatto una sorta di compromesso tra i tre tipi di criteri normativi). In particolare, quanto più un comportamento infrange un valore ideale socialmente riconosciuto e giuridicamente tute­ lato tanto più, in genere, è elevata la sanzione corrispondente (è il caso dei crimini contro la persona, come stupri e/o violenze sui minori, che oggi sono maggiormente puniti rispetto al passato, anche recente, in cui erano più tollerati, invocando il diritto a difendere il proprio onore, ad es.).

Ogni valutazione, in particolare ogni valutazione psicodiagnostica che individui disarmonie nello sviluppo, o carenze in specifiche aree,

che fanno presumere rischi di sviluppo atipico, deve essere completata da una proposta di progetti e di interventi mirati sia a livello educativo sia terapeutico-riabilitativo.

7. Come si può promuovere e/o recuperare (quali gli interventi di pre­ venzione e/o intervento nel caso di sviluppo atipico?). La conoscenza dello sviluppo psicologico nelle diverse aree e tipi di abilità, secondo gli aspetti sopra considerati, non è finalizzata solo a produrre acquisizioni teoriche, ma ha anche lo scopo di indirizzare verso l’elaborazione di specifici interventi sia educativi (a sostegno dello sviluppo spontaneo) sia riabilitativi (nel caso di sviluppo atipico e/o patologico).

La psicologia dello sviluppo, che si declina anche in psicologia dell’educazione (come prevede la doppia denominazione della discipli­ na secondo i regolamenti ministeriali), presenta infatti componenti sia teoriche sia applicative, per cui non è propriamente né una disciplina singolare, né plurale, ma esiste e si realizza secondo l’aspettualità del duale greco, per cui 1+1 non fa 2 ma 1, nella misura in cui è espressione di una unità sostanziale, perseguita con prospettive e approcci com­ plementari e indisgiungibili. Non solo, questa “duplice disciplina” ha rapporti molto stretti con altre discipline “cugine” che si occupano elet­ tivamente di problematiche educative, quali la pedagogia generale e la pedagogia speciale. Le imprescindibili valenze applicative della psicolo­ gia dello sviluppo sono evidenziate dall’attenzione degli studiosi dello sviluppo psicologico, spesso stimolata dall’interesse per lo sviluppo ati­ pico e/o con specifici disturbi ( Vygotskij, ad es., ha iniziato a interessarsi alla psicologia dello sviluppo a partire dalla sua esperienza con bambini che presentavano minorazioni sensoriale; l’esperienza di Bowlby con bambini orfani a seguito della Seconda guerra mondiale ha avuto un ruolo non secondario nella elaborazione del costrutto di attaccamento).

L’individuazione del ruolo distinto e/o congiunto dei fattori dello sviluppo continua a essere rilevante dunque non solo per l’accrescimen­ to della conoscenza, in generale, ma soprattutto per le implicazioni concrete sia in termini di possibilità di prevenzione-promozione dello sviluppo tipico sia di interventi di recupero-riabilitazione nei casi di sviluppo atipico.

Nel cap. 2, prima di entrare nel merito delle principali teorie dello sviluppo psicologico, si presenteranno, da un lato, l’origine storica della disciplina e i modelli di uomo impliciti nelle principali teorie, dall’al­ tro, la questione del metodo nella ricerca scientifica, in generale, e nella psicologia dello sviluppo, in particolare.

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