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Effetti della sentenza di incostituzionalità di una norma sanzionatoria sui termini di durata massima della misura cautelare per

E DEL LEGISLATORE DEL 2014

4.2. Effetti della sentenza di incostituzionalità di una norma sanzionatoria sui termini di durata massima della misura cautelare per

le fasi esaurite prima della pubblicazione della sentenza stessa: la questione dell’efficacia retroattiva cd.“ora per allora”. - Un tema quanto

mai spinoso con il quale si sono dovute confrontare le Sezioni unite della Cassazione ha riguardato la possibilità o meno che, in ragione del più mite trattamento sanzionatorio conseguente alla caducazione delle norme incostituzionali, si producano effetti sui termini di fase della custodia cautelare “ora per allora”, nel caso sia già avvenuto il passaggio alla fase successiva. Appare opportuno trattare sinteticamente dei contenuti della sentenza Pinna (Sez. un. n.44895 del 17 luglio 2014), già citata in relazione ad alcuni importanti aspetti motivazionali, per le implicazioni di ordine ermeneutico generale sulle quali si pronuncia.

Il quesito specificamente proposto alle Sezioni unite era: “Se la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 produca i suoi effetti, incidenti sul calcolo dei termini di fase di durata della misura cautelare, 'ora per allora' sui rapporti

processuali cautelari per i quali la fase cui si riferisce il termine ridotto per effetto di tale declaratoria si sia esaurita prima della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale". Il caso riguardava un soggetto sottoposto alla custodia cautelare in carcere per condotte continuate di detenzione illecita di sostanza stupefacente, nell’ambito di un procedimento per il quale la pronuncia di incostituzionalità era intervenuta, con la sua pubblicazione, in data successiva al passaggio dalla fase delle indagini preliminari a quella dibattimentale, introdotta con giudizio immediato; al momento della decisione delle Sezioni unite, era stato chiesto il rito abbreviato condizionato dalla difesa dell’imputato. L’ordinanza di rimessione della Quarta sezione della Cassazione ha ritenuto assorbente il primo motivo d'impugnazione proposto dal ricorrente (riferito proprio alla scadenza dei termini di fase “ora per allora” in conseguenza della illegittimità costituzionale delle norme sanzionatorie sulla base delle quali era stato calcolato il termine durante la fase delle indagini preliminari), rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale, segnalato anche nell’ordinanza impugnata, relativo alla questione interpretativa sorta con riferimento a un caso diverso, ma per molti aspetti assimilabile: quello degli effetti della sentenza della Corte cost. n. 253 del 2004 che aveva esteso ai termini di fase la disciplina dettata dall’art. 722 cod. proc. pen. in tema di custodia cautelare all’estero.

Ebbene, le Sezioni unite, risolvono il contrasto (mai in realtà sul punto specifico determinatosi) affermando che, in tema di custodia cautelare, la sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità degli articoli 4-bis e 4-vicies ter del d.l. n. 272 del 2005, convertito con modifiche dalla legge n. 49 del 2006, non determina effetti retroattivi “ora per allora” in relazione ai termini di durata massima per le fasi esaurite prima della pubblicazione della sentenza stessa, attesa l’autonomia di ciascuna fase.

Per arrivare a tale affermazione i giudici “passano” anche attraverso la nozione di rapporto cautelare, precisando che esso si struttura come

un’attività complessa composta da segmenti autonomi, costituenti le fasi,

sicché deve ritenersi esaurito in relazione a ciascuna di esse.4

Come già trattato nel paragrafo specificamente dedicato alla pronuncia Sez. Un. Pinna, citando la stessa Corte EDU nella sentenza Scoppola, le Sezioni unite ritengono, come detto, che la retroattività “illimitata” della lex mitior non sia un principio assoluto dell'ordinamento processuale, tanto meno nell'ambito delle misure cautelari, ove, pertanto, resta ragionevole l'applicazione del principio tempus regit actum, con la precisazione, svolta dalla Corte, che le situazioni esaurite o il passaggio in giudicato della sentenza di condanna “potranno sopportare il vaglio di ulteriori valutazioni attraverso l’analisi del filtro di ragionevolezza riconducibile alla considerazione di ulteriori interessi confliggenti, come affermato, positivamente, in tema di prescrizione con la sentenza n. 393 del 2006 della Corte cost., in modo tale che l’esegesi applicativa delle norme aventi valore procedurale potrà trovare una ponderazione di sistema nelle previsioni cui per il cittadino sono legati interessi di natura prettamente sostanziale, primo fra tutti quello alla libertà, che trova il suo presidio costituzionale nell’art. 13 Cost.” Tale affermazione

4 Sul punto deve darsi atto che la sentenza riepiloga il contrasto sussistente all’interno della giurisprudenza di legittimità circa la definizione di rapporto cautelare esaurito, questione seguita alla sentenza Corte cost., n. 253 del 2004, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 722 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva che la custodia cautelare all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato fosse computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen. Nell’occasione, si è registrato un contrasto di orientamenti in merito all’incidenza del novum normativo, determinato per l’appunto dall’intervento della Consulta, sulle fasi cautelari antecedenti a quella nella quale la questione veniva posta. L’orientamento maggioritario, seguito dalle sezioni unite, ritiene che, in applicazione del principio di autonomia dei termini di custodia cautelare fissati per le singole fasi del procedimento, la dichiarazione di illegittimità costituzionale non produce i suoi effetti "ora per allora" sui rapporti processuali cautelari, per i quali la fase delle indagini preliminari sia esaurita con il rinvio a giudizio prima della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale. Secondo tale impostazione, l’articolazione del rapporto processuale in varie fasi (indagini preliminari, udienza preliminare, dibattimento, impugnazioni), che si dipanano nel tempo e che rappresentano segmenti di una attività complessa finalizzata al risultato ultimo di una decisione irrevocabile su una notitia criminis, comporta la autonomia di ciascuna fase e l’esaurimento della stessa al subentrare della successiva (Sez. VI, 5 febbraio 2008, n. 11059, Gallo, Rv. 239642; Sez. VI, 2 maggio 2005, n. 21019, Incantalupo, Rv. 231346; Sez. I, 5 luglio 2005, n. 26036, Pedetta, Rv. 231348). Il secondo orientamento, minoritario, afferma invece che la sentenza n. 253 del 2004 della Corte costituzionale produce i suoi effetti sul rapporto processuale cautelare in corso, anche quando la fase delle indagini preliminari si sia conclusa prima della sua pubblicazione, con la conseguenza che la scarcerazione per decorrenza termini deve essere disposta "ora per allora". In questo caso il giudice di legittimità ha ritenuto che, mancando una sentenza irrevocabile, fin quando la validità ed efficacia degli atti disciplinati da una norma sono sub iudice, il rapporto processuale non può considerarsi esaurito e va considerato nella sua unitarietà e non nelle singole fasi del procedimento frazionate (Sez. 2, n. 23395 del 03/05/2005, Locatelli, Rv.

circa la necessità di una verifica dell’interprete che bilanci il principio del

tempus regit actum5 con “ulteriori interessi confliggenti”, si ripropone,

peraltro, in sentenza quando si afferma, nel solco della giurisprudenza costituzionale (citando Corte cost., sent. n. 381 del 2001 con riferimento alla successione di leggi penali nel tempo), che, se non sono penalizzate l'autonomia di azione e il diritto di difesa della parte processuale interessata, non può ritenersi violato “il punto minimo di compatibilità costituzionale”. E proprio ricostruendo gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale sul tema (Corte cost., n. 15 del 1982 e n. 265 del 2010), i giudici di legittimità riaffermano la natura eminentemente processuale, e non sostanziale, delle norme che regolano la custodia cautelare, pur con le precisazioni di sistema predette in relazione all’incidenza di esse su un interesse individuale fondamentale quale è quello alla libertà personale.

SEZIONE II - Le novelle legislative intervenute sul fatto di lieve entità. 1. Premessa. - L’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, nel testo già novellato

dalla legge cd. Fini–Giovanardi del 2006, era stato oggetto di modifica normativa poco prima dell’intervento demolitorio della Corte costituzionale: era intervenuto, infatti, l’art. 2, comma 1, lett. a) del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modifiche in legge 21 febbraio 2014, n. 10, che aveva previsto due profili di modifica: in primo luogo, riduceva il massimo edittale della pena detentiva (la reclusione è stata ricompresa nel compasso da uno a cinque anni); in secondo luogo, quella che era una circostanza attenuante ad effetto speciale era configurata come fattispecie autonoma di reato, con la conseguenza che il quadro edittale ivi previsto non può essere eliso (con conseguente ritorno al ben più severo quadro edittale previsto per il

reato-base) nel caso, assai frequente, di concorso con l'aggravante della recidiva.

Nella sentenza della Corte costituzionale è, peraltro, espressamente dato atto che “nessuna incidenza sulle questioni sollevate (innanzi ad essa) possono esplicare le modifiche apportate all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 dall’art. 2 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n.10”. Tale affermazione si fonda sulla considerazione che si tratta di ius superveniens riguardante disposizioni già valutate non applicabili nel giudizio a quo e, comunque, non influenti sullo specifico vizio procedurale lamentato dal giudice rimettente in ordine alla formazione della legge di conversione n. 49 del 2006, con riguardo a disposizioni differenti.

Il Giudice delle leggi, inoltre, ha esplicitamente escluso che gli effetti della pronuncia di incostituzionalità potessero riguardare la citata modifica normativa, in quanto stabilita con disposizione successiva a quella censurata e indipendente da quest’ultima. Sotto diverso aspetto ha rimesso al giudice comune, quale interprete delle leggi, il compito sia di verificare gli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale sui singoli imputati, tenendo conto dei principi in materia di successione di leggi penali nel tempo ex art. 2 cod. pen.; sia di individuare quali norme, successive a quelle impugnate, non fossero più applicabili perché divenute prive del loro oggetto (in quanto rinviano a disposizioni caducate) e quali, invece, dovessero continuare ad avere applicazione in quanto non presupponenti la vigenza degli artt. bis e

4-vicies ter, oggetto della decisione de qua.

È in questa situazione di piena reviviscenza della normativa illegittimamente abrogata dalla legge “Fini – Giovanardi” che è intervenuto il decreto legge n. 36/2014, con il quale non si è comunque inciso sul sistema sanzionatorio, nuovamente imperniato sulla distinzione tra “droghe pesanti” e “droghe

leggere” contenuta nell’originaria formulazione dell’art. 73, tornato in vigore grazie alla sentenza n. 32 della Consulta: un sistema che, ovviamente, ha posto una serie di problematiche di diritto intertemporale, sia in relazione ai procedimenti penali in corso, sia a quelli definiti con sentenza irrevocabile. La scelta governativa è stata quella di porre rimedio alle criticità conseguenti alla espunzione, con efficacia ex tunc, di numerose disposizioni del testo unico introdotte dalla “Fini-Giovanardi”: criticità relative, tra l’altro, ai numerosi provvedimenti amministrativi adottati in forza di quelle disposizioni (autorizzazioni alla produzione, fabbricazione ecc. delle sostanze; approvazione dei ricettari utilizzabili per prescrivere medicinali con effetti stupefacenti; registrazione informatica e trasporto dei predetti medicinali, ecc.).

In tale prospettiva, attraverso le disposizioni contenute nell’art. 1 del decreto legge, si è inteso ripristinare sostanzialmente la normativa in vigore alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale; mentre, con l’art. 2, il Governo si è preoccupato di assicurare la continuità degli effetti degli atti amministrativi adottati sino alla sentenza della Consulta, prevedendo appunto che gli atti amministrativi in questione “continuano” a produrre effetti dalla data di entrata in vigore del decreto legge (peraltro, in sede di conversione, l’art. 2 è stato assai significativamente modificato, essendosi disposto che i predetti atti amministrativi “riprendono” a produrre effetti).

Con i commi 2 e 3 dell’art. 1, il Governo è intervenuto sul sistema tabellare di classificazione delle sostanze stupefacenti - che assume ovviamente un centrale ed assoluto rilievo anche ai fini penalistici, avuto riguardo alla nozione prettamente legale di sostanza stupefacente accolta nel nostro ordinamento, ed alla conseguente rilevanza penale delle sole condotte concernenti sostanze incluse in tabella – e risulta rimessa alle Sezioni Unite la questione in ordine alla perdurante rilevanza penale delle condotte di detenzione di sostanze stupefacenti introdotte per la prima volta nelle tabelle seguite alla legge 21

febbraio 2006 n. 49, commesse prima dell’entrata in vigore del decreto legge n. 36/2014 (fattispecie concernente sostanza del tipo nandrolone).

In sede di conversione del decreto, il Parlamento ha introdotto ulteriori rilevanti disposizioni, anche in ordine all’apparato sanzionatorio su cui, come accennato, il Governo aveva invece scelto di non intervenire.

In particolare, con il comma 24-ter inserito nell’art. 1, la legge è intervenuta sull’art. 73 del testo unico, sia modificando le pene previste per le condotte illecite di lieve entità di cui al comma 5, sia reintroducendo nello stesso articolo il comma 5-bis, relativo alla possibilità di applicare per tali condotte, in luogo delle pene detentive e pecuniarie, il lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del d.lgs. n. 274 del 2000 (anche a tale ultimo proposito, può parlarsi di un intervento “ripristinatorio”, avendo il comma 5-bis dell’art. 73 un contenuto sovrapponibile a quello a suo tempo introdotto dall’art. 4-bis della legge “Fini-Giovanardi” e venuto meno per effetto della sentenza n. 32 della Corte costituzionale). Tali modifiche hanno ulteriormente complicato il compito rimesso all’interprete di individuazione della norma più favorevole, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2, comma 4, cod. pen.

Inoltre, con il comma 24-quater, la legge di conversione ha introdotto alcune modifiche anche all’art. 75 del testo unico, che disciplina il sistema delle sanzioni amministrative. Si tratta di disposizioni che appaiono di assoluto interesse e rilievo anche ai fini di un’esposizione, come quella odierna, dedicata ai soli riflessi penalistici della nuova legge: infatti, pur con una tecnica legislativa diversa da quella utilizzata dalla “Fini – Giovanardi”, la novella ha espressamente reintrodotto, nel testo unico, la rilevanza solo amministrativa delle condotte finalizzate all’uso personale dello stupefacente (delle quali faceva menzione il solo comma 1 bis dell’art. 73, travolto dalla declaratoria di illegittimità costituzionale), dettando anche alcuni parametri cui riferirsi nell’accertamento della sussistenza di tale destinazione.

La Corte di cassazione si è quindi trovata ad affrontare problemi analoghi a quelli già accennati sopra con riguardo ai quesiti sottoposti alle Sezioni Unite,

con la differenza relativa all’applicabilità della disciplina di favore venuta in essere per legislazione successiva piuttosto che di quella nuovamente vigente a seguito della sentenza di incostituzionalità.

Nell’affrontare dette questioni e, segnatamente, quella riguardante la rilevabilità d’ufficio dell’illegalità della pena inflitta, la Corte si è preliminarmente pronunciata sulla rilevabilità d’ufficio della stessa.

Distinta è invece la prospettiva nel caso in cui vi sia stato il passaggio in giudicato della sentenza, atteso che nelle ipotesi in esame non può farsi luogo all’applicazione dello ius superveniens più favorevole ostandovi il disposto dell’art.2, comma 4, cod. pen., ferma la possibilità di rivalutare la sanzione inflitta in ragione dell’intervento demolitorio della Corte costituzionale.

2. La trasformazione della fattispecie di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 da circostanza attenuante a reato autonomo. - In premessa si è anticipato dell’intervento normativo riferito all’ipotesi di

lieve entità prevista dall’art. 73, comma 5, del testo unico, attuato con il d.l. n. 146 del 2013, convertito poi con modifiche nella l. n. 10 del 2014, del quale ora deve più specificamente trattarsi, per verificare le ricadute sui procedimenti in corso della novella legislativa, poi confermata dal successivo d.l. n. 36 del 2014, conv. in l. n. 79 del 2014, che, quanto alla citata disposizione del comma quinto, ha operato solo sul fronte sanzionatorio, lasciandola inalterata nei suoi caratteri principali riferiti alla struttura della fattispecie.

Il legislatore, con il d.l. 23 dicembre 2013 n.146, non modificato sul punto in sede di conversione in legge 21 febbraio 2014, n. 10, ha introdotto una nuova formulazione del fatto di lieve entità previsto dall'art. 73, comma 5, del testo unico, con un intervento che, rispetto alla versione antecedente riferita alla riforma attuata con il d.l. n. 272 del 2005, conv. in l. n. 49 del 2006, si è proposto attraverso due profili: -in primo luogo, quella che era una circostanza attenuante ad effetto speciale è stata configurata come fattispecie

autonoma di reato, con il dichiarato intento di sottrarre la fattispecie agli effetti del bilanciamento in caso di concorso con aggravanti eventualmente contestate; -in secondo luogo è stato ridotto il massimo edittale della pena detentiva (la reclusione è stata ricompresa nel compasso da uno a cinque anni).

Successivamente all’intervento della Corte costituzionale, che non ha comportato alcun effetto caducante della novella riferita al d.l. n. 146 del 2013, il legislatore ha sostituito la disposizione come riformulata dal citato d.l. n. 146, adottando il d.l. 20 marzo 2014, n. 36 (recante disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali meno onerosi per il Servizio sanitario nazionale), convertito nella legge 16 maggio 2014, n. 79. Il testo attuale, dunque, dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 risulta quello modificato dall’art. 24-ter, lett. a) del d.l. n. 36 del 2014, conv. con mod. in l. n. 79 del 2014, con cui, in sintesi, deve rilevarsi che il legislatore ha confermato la scelta di rendere fattispecie autonoma di reato e non più circostanza attenuante il c.d. fatto di lieve entità, pur tenendo ferma la sanzione omogenea per condotte riferite a droghe pesanti e droghe leggere. Si deve sottolineare come, però, ancora una volta, è stato rimodulato il quadro edittale di riferimento, passando dalla pena della reclusione da uno a cinque anni (e della multa da 3.000 a 26.000 euro) a quella della reclusione da sei mesi a quattro anni (e della multa da 1.032 a 10.329 euro).

I primi percorsi interpretativi della giurisprudenza di legittimità si sono disegnati, pertanto, nell’alveo delle pronunce sul problema della successione di leggi nel tempo all’indomani dell’entrata in vigore del citato d.l. n. 146 del 2013, conv. in l. n. 10 del 2014, dovendo quasi sempre la Corte di cassazione confrontarsi con il pressoché coevo intervento demolitorio della Corte

costituzionale sul dettato normativo riferito al comma quinto ante modifica derivata dal d.l. n. 146 del 2013, e, successivamente, con il d.l. n. 36 del 2014.