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La possibilità di combinare la disposizione di cui all’art. 377 cod

TRA CONCUSSIONE E INDUZIONE INDEBITA

4. La possibilità di combinare la disposizione di cui all’art. 377 cod

pen. con quelle di cui agli artt. 371-bis e 372 cod. pen.: profili generali. -

Le Sezioni Unite, a questo punto, hanno segnalato che la soluzione percorribile è quella della combinazione tra l’art. 377 e gli artt. 371-bis e 372 cod. pen.

Si premette che il consulente tecnico è esaminato in dibattimento come testimone, a norma dell’art. 501 cod. pen., e, precedentemente, può essere chiamato a rendere dichiarazioni al pubblico ministero che lo ha nominato. Si rileva, quindi, che la figura del consulente tecnico del pubblico ministero si distingue nettamente da quella del consulente tecnico di una parte privata. Quest’ultimo, infatti, è concepito in termini di ausilio della difesa, ed è quindi equiparato, quanto a funzione e garanzie, al difensore: il legislatore, agli artt. 380 e 381 cod. pen., accomuna patrocinio e consulenza infedele, e, con l’art. 103 cod. proc. pen., estende al consulente della difesa le garanzie attribuite al difensore in tema di sequestri ed intercettazioni; la giurisprudenza costituzionale, da ultimo, nella sentenza n. 33 del 1999, ricollegando le prestazioni del consulente tecnico della parte privata all’esercizio del diritto di difesa, ha riconosciuto ai meno abbienti la facoltà di farsi assistere a spese dello Stato da un consulente per ogni accertamento tecnico ritenuto

necessario. Il consulente tecnico del pubblico ministero, invece, nello svolgimento dell’attività commessagli dal magistrato inquirente: riveste natura di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio a norma degli artt. 357 e 358 cod. pen., come risulta dalla costante giurisprudenza di legittimità (cfr., in particolare, Sez. VI, 5 dicembre 1995, n. 2675/1996, Tauzilli, Rv. 204516;

Sez. VI, 9 gennaio 1999, n. 4062, Pizzicaroli, Rv. 214142; Sez. VI, 22 gennaio

2013, n. 5901, Anello, Rv. 254308); concorre oggettivamente all’esercizio della

funzione giudiziaria con il connesso dovere di agire al fine dell’accertamento della verità; non può rifiutare la sua opera ex art. 359 cod. proc. pen.; può beneficiare della causa di non punibilità prevista dall’art. 384, secondo comma, cod. pen.

Si aggiunge, ancora, che l’applicabilità al consulente del pubblico ministero delle disposizioni incriminatrici di cui agli artt. 371-bis e 372 cod. pen., in caso di false dichiarazioni, è confermato proprio dal testo dell’art. 377 cod. pen., che, a seguito dell’interpolazione del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, fa espresso riferimento al “consulente tecnico”. Tale richiamo, infatti, non può essere circoscritto al consulente tecnico nominato dal giudice civile, sia perché la lettera della legge non contiene alcuna specificazione, sia perché tale limitazione renderebbe l’inciso dell’art. 377 cod. pen. superfluo, in quanto l’applicabilità al consulente tecnico del giudice civile delle disposizioni penali relative ai periti è espressamente prevista già dall’art. 64, primo comma, cod. proc. civ.

Si rappresenta, infine, che la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 377 cod. pen. in riferimento alla offerta o promessa indebita al consulente tecnico del pubblico ministero non può ritenersi esclusa quando lo stesso non è stato ancora citato come testimone o come persona informata sui fatti. Si osserva, infatti, che, se la giurisprudenza ritiene, in prevalenza, che il reato previsto dall’art. 377 cod. pen. presuppone che il destinatario della condotta subornatrice abbia già assunto la qualifica processuale richiesta, tanto che con

riferimento ai testimoni è ritenuto configurabile solo a partire dal momento in cui il giudice ha autorizzato la citazione del soggetto (così, tra le altre, Sez. Un.,

30 ottobre 2002, n. 37503, Vanone, Rv. 222347, nonché, da ultimo, con

riferimento all’omologa fattispecie di cui all’art. 377-bis cod. pen., Sez. VI, 25

novembre 2010, n. 45626, Z., Rv. 249321; v., però, per una diversa

conclusione, Sez. I, 10 dicembre 2009, n. 6297/2010, Pesacane, Rv. 246107),

questa soluzione trova un limite con riferimento all’attività induttiva o violenta indirizzata nei confronti del consulente tecnico del pubblico ministero. A fondamento di tale assunto, si richiama “la peculiarità della figura” dell’ausiliario in discorso, che, nello svolgimento della funzione, è pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, e che ha il dovere di “dire la verità”: in conseguenza di ciò, deve ritenersi che il medesimo soggetto, per effetto della nomina da parte del pubblico ministero, “riveste già una precisa veste processuale, potenzialmente destinata a rifluire sull’assunzione della qualità ‘testimoniale’ ex artt. 371-bis o 372 cod. pen.”, la quale “può dunque ritenersi immanente, in quanto prevedibile e necessario sviluppo della funzione assegnata” allo stesso.

5. (segue): il problema delle valutazioni tecnico-scientifiche. - Le

Sezioni Unite, a conclusione della loro indagine ermeneutica, hanno affrontato, e risolto positivamente, il profilo della applicabilità delle fattispecie di falsa testimonianza o di false informazioni al pubblico ministero (e, quindi, mediatamente, di quella di intralcio alla giustizia in relazione a tali fattispecie) anche a dichiarazioni contenenti valutazioni tecnico-scientifiche.

In proposito, il supremo organo di risoluzione dei contrasti interpretativi premette di accedere ai rilievi operati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 163 del 2014, che ha fatto seguito ad ordinanza di rimessione delle Sezioni Unite nell’ambito del medesimo processo (Sez. Un., 27 giugno 2013,

E’ utile rappresentare che le Sezioni Unite, nell’ordinanza appena indicata, avevano preliminarmente affermato di ritenere inapplicabile la disposizione di cui all’art. 377 cod. pen. con riferimento a proposte o promesse illecite indirizzate al consulente tecnico del pubblico ministero quando l’attività affidatagli implica la formulazione di valutazioni tecnico-scientifiche, poiché queste, costituendo il risultato di “personali opinioni, non sono qualificabili in termini di verità o di falsità”, e avevano ravvisato, di conseguenza, l’astratta configurabilità del reato di istigazione alla corruzione, in linea con quanto già

affermato da Sez. VI, 7 gennaio 1999, n. 4062, Pizzicaroli, Rv. 214146: si era

osservato, infatti, che la figura criminosa di cui all’art. 322 cod. pen. costituisce il paradigma generale rispetto al quale il delitto di intralcio alla giustizia si pone comunque in rapporti di specialità, e che, in quanto norma generale, opera “mancando i presupposti di operatività della previsione punitiva speciale”. Le stesse Sezioni Unite avevano tuttavia rilevato che questa soluzione, pur se rispettosa del principio di tipicità, determinava, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, una disparità di trattamento per il consulente tecnico nominato dal pubblico ministero rispetto al perito nominato dal giudice, al consulente tecnico nominato dal giudice civile, e allo stesso consulente tecnico nominato dal pubblico ministero quando l’ausiliario è chiamato semplicemente a descrivere i fatti accertati: in tutte queste ultime ipotesi, infatti, era applicabile la fattispecie di cui all’art. 377 cod. pen., nel secondo e nel terzo caso in riferimento all’art. 373 cod. pen., e nel quarto in riferimento all’art. 372 cod. pen., e conseguentemente la pena irrogabile poteva oscillare da otto mesi a tre anni di reclusione, mentre l’art. 322 cod. pen. consente di infliggere una pena variabile da un minimo di un anno e quattro mesi ad un massimo di tre anni e quattro mesi di reclusione. Sulla base di questi rilievi, e ritenendo violato il principio di eguaglianza, era stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 322, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui assoggetta la subornazione del consulente tecnico del pubblico ministero ad una pena superiore a quella prevista dall’art.

377, primo comma, in relazione all’art. 373 cod. pen., per la subornazione del perito.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 163 del 2014, ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità. Ha osservato, a fondamento di tale conclusione, che: a) nel caso di specie, il contenuto degli accertamenti demandati richiedeva comunque “un accertamento di natura oggettiva”; b) la dichiarazione d’incostituzionalità richiesta non avrebbe comunque assicurato il rispetto del principio di eguaglianza, poiché, a tacer d’altro, sarebbe stato irragionevole, ed in contrasto con il modello accusatorio del processo penale, equiparare nel trattamento sanzionatorio la subornazione del consulente tecnico del pubblico ministero e quella del perito del giudice; c) la dichiarazione d’incostituzionalità richiesta, ancora, avrebbe avallato la “incongrua” soluzione del concorso formale di reati, con conseguente “duplicazione della risposta punitiva”, qualora al consulente tecnico del pubblico ministero fosse stato chiesta “una attività di accertamento che postuli sia il riscontro di dati oggettivi sia profili valutativi”.

Muovendo dalla dichiarata condivisione dei rilievi formulati dalla Corte costituzionale, le Sezioni Unite hanno ritenuto che andassero “ripensate” sia le conclusioni assunte nell’ordinanza di rimessione sulla configurabilità del reato di istigazione alla corruzione, sia, in particolare, la premessa secondo cui alle valutazioni tecnico-scientifiche non sono predicabili le categorie di ‘verità’ o di ‘falsità’.

Il Collegio, precisamente, ha osservato, richiamandosi ad un orientamento giurisprudenziale “significativamente esteso”, che “quando intervengano in contesti che implicano l’accettazione di parametri di valutazione normativamente determinati o tecnicamente indiscussi, gli enunciati valutativi assolvono certamente una funzione informativa e possono dirsi veri o falsi”

(così Sez. V, 9 febbraio 1999, n. 3552, Andronico, Rv. 213366, ma anche: Sez.

VI, 6 dicembre 2000, n. 8588/2001, Ciarletta, Rv. 219039; Sez. V, 24 gennaio

Capogrosso, Rv. 257895). Ha evidenziato, a fondamento di questo assunto, che anche le norme positive ammettono espressamente la configurabilità del falso ideologico anche in enunciati valutativi e qualificatori, come avviene nel caso dell’art. 373 cod. pen., relativo alla falsa perizia, ma anche in quello dell’art. 2629 cod. pen., che sanziona(va) penalmente la valutazione esagerata dei conferimenti e degli acquisti della società. Ha poi osservato che: a) la valutazione, quando fa riferimento a criteri predeterminati, “è un modo di rappresentare la realtà analogo alla descrizione o alla constatazione”, la cui maggiore o minore vincolatività dipende dal grado di elasticità o di specificità dei criteri di riferimento; b) la falsità della conclusione può anche dipendere dalla “falsità di una delle premesse”. E’ per queste ragioni che “può dirsi falso l’enunciato valutativo che contraddica criteri di valutazione indiscussi e indiscutibili ovvero che sia posto a conclusione di un ragionamento fondato su premesse contenenti false attestazioni”.

Le Sezioni Unite, ancora, hanno trovato ulteriore conferma della plausibilità di questo approdo ermeneutico sia nella giurisprudenza che ha ritenuto configurabile il falso ideologico in atto pubblico ex art. 479 cod. pen. con riferimento alle valutazioni esposte da un consulente tecnico del pubblico ministero nell’elaborato redatto su incarico del magistrato inquirente (così, Sez. I, Capogrosso, cit.), sia nell’elaborazione relativa al delitto di falsa perizia

(si citano, in particolare, Sez. V, 12 gennaio 2011, n. 7067, Sabolo, Rv. 249836,

nonché Sez. VI, 24 ottobre 2013, n. 45633, Piazza).

Sulla base di queste osservazioni, la Corte di legittimità ha osservato: “deve concludersi che anche in relazione ai giudizi di natura squisitamente tecnico-scientifica può essere svolta una valutazione in termini di verità-falsità”, e che, di conseguenza, “il consulente tecnico del pubblico ministero va equiparato al testimone anche quando formula giudizi tecnico-scientifici”. Sotto il profilo applicativo, allora, il comportamento di chi formula una proposta illecita per influire sul contenuto della consulenza tecnica del pubblico ministero “deve essere inquadrato, a seconda delle fasi processuali in cui viene fatta l’offerta

(rifiutata), nel combinato disposto di cui agli artt. 377 e 371-bis cod. pen. (intralcio alla giustizia per far rendere false dichiarazioni al pubblico ministero) o in quello di cui agli artt. 377 e 372 cod. pen. (intralcio alla giustizia per far rendere una falsa testimonianza)”.

6. L’inapplicabilità di altre disposizioni incriminatrici. - Per

completezza, è opportuno rappresentare che il discorso giustificativo delle Sezioni Unite, laddove ha ripercorso tutte le tappe della complessa vicenda processuale, ha anche escluso inequivocabilmente la sussumibilità in altre fattispecie incriminatrici della condotta di chi formula una proposta illecita per influire sul contenuto della consulenza tecnica del pubblico ministero.

Si è già detto che la Corte ha escluso la configurabilità del reato di istigazione alla corruzione e si è data indicazione delle ragioni poste a base di tale conclusione. Si può solo esplicitare, per maggior chiarezza, che, una volta ritenuta applicabile la fattispecie di intralcio alla giustizia in riferimento agli artt. 371-bis o 371 cod. pen. alle condotte subornatrici indirizzate al consulente tecnico del pubblico ministero, anche quando ciò avvenga per influire sui giudizi tecnico-scientifici allo stesso richiesti, la fattispecie prevista dall’art. 322 cod. pen. è fuori gioco già per ragioni formali, essendo la stessa lex generalis, come tale derogata da quella speciale di cui all’art. 377 cod. pen.

Le Sezioni Unite, richiamando puntualmente la loro precedente ordinanza di rimessione della questione alla Corte costituzionale, hanno anche escluso l’ipotizzabilità della fattispecie del tentativo di corruzione in atti giudiziari o dell’istigazione non accolta (e, quindi, non punibile) a commettere una consulenza infedele. Quanto alla prima ipotesi, ammessa da Sez. VI, 6

febbraio 2007, n. 12409, Sghinolfi, Rv. 2336830, si è osservato che la

configurabilità della stessa è preclusa in radice dalla mancanza di accordo corruttivo. In ordine alla seconda, si è rilevato che l’attività svolta dal consulente tecnico del pubblico ministero non può essere definita come attività di parte, alla quale soltanto, invece, si riferisce l’art. 380 cod. pen.

CAPITOLO V

L’INDUZIONENELLAPROSTITUZIONEMINORILE

(Pietro Molino)

SOMMARIO: 1. I caratteri della condotta induttiva nella “vecchia” giurisprudenza . – 2. La giurisprudenza formatasi sull’art. 600-bis c.p. – 3. L’intervento delle Sezioni unite.

1. I caratteri della condotta induttiva nella “vecchia” giurisprudenza. -

Le Sezioni Unite, 19 dicembre 2013, n. 16207/2014, S., Rv. 258757 - si sono

pronunciate in materia di prostituzione minorile, affermando il principio per cui “la condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una persona di età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integra gli estremi della fattispecie di cui al comma secondo e non al comma primo dell'art. 600-bis cod. pen.”.

La sezione terza aveva richiesto al supremo collegio di chiarire se il concetto di induzione alla prostituzione minorile sia integrato dalla sola condotta di promessa o dazione o altra utilità posta in essere nei confronti di persona minore di età convinta così a compiere una o più volte atti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, e se il soggetto attivo del reato previsto dall’art. 600-bis cod. pen. possa essere anche colui che si limita a compiere gli atti sessuali con minore.

Nella giurisprudenza della Corte formatasi nel vigore della cd. legge “Merlin” (legge 20 febbraio 1958, n.75), l’induzione si caratterizza per lasciare alla

persona offesa un margine di scelta (Sez. III, 19 dicembre 2004, n.21019, X.,

Rv. 229037); peraltro, la circostanza che la persona non sia aliena da precedenti esperienze sessuali o che sia addirittura già dedita alla vendita del

proprio corpo (Sez. I, 13 marzo 1986, n.7947, R., RV. 173482; Sez. I, 26

escludere che la stessa possa essere “indotta” alla prostituzione, in presenza di una condotta che ne coarti la volontà e ne superi le resistenze di ordine morale, ivi incluse le ipotesi di rafforzamento del soggetto passivo nella determinazione di prostituirsi ovvero di convincimento a persistere nella attività di prostituzione dalla quale il soggetto abbia più volte manifestato la volontà di allontanarsi (Sez. III, 13 maggio 1987, n.7424, C., Rv. 176185).

2. La giurisprudenza formatasi sull’art. 600-bis c.p. –L’utilizzo del

concetto di “induzione” anche con riferimento alla prostituzione minorile, per effetto del disposto di cui all’art. 600-bis cod. pen. (introdotto dall’art. 2 della legge 3 agosto 1998, n. 269 e poi modificato prima con legge 6 febbraio 2006, n. 38 ed infine con l’art. 4 della legge 1 ottobre 2012, n. 172), generava tuttavia uno scostamento della giurisprudenza di legittimità rispetto alle linee interpretative maturate con riguardo alla legge n. 75 del 1958: nel caso di maggiorenne, la mera proposta con la quale si prospetta la partecipazione ad incontri sessuali a pagamento con il proponente non costituisce condotta induttiva se non è accompagnata da condotte ulteriori, sotto forma di pressioni fisiche e psicologiche che, superando le resistenze di ordine morale (o di altra natura) che trattengono la persona dall’attività di prostituzione, incidono sulla libertà fisica e/o psichica della persona che viene spinta a

prostituirsi (Sez. III, 3 giugno 2004, n.36156, P.M. in proc. N. ed altri, Rv.

229389); nell’ipotesi di vittima minorenne, invece, è stato ritenuto che la condotta induttiva può consistere nella semplice dazione di denaro che persuada il minore a consentire agli atti sessuali, non essendo peraltro necessario che la persona sia “non iniziata e non dedita alla vendita del

proprio corpo” (Sez. III, 14 aprile 2010, n.18315, R.S., Rv. 247163).

Nell’ordinanza di rimessione il collegio dava dunque conto dell’evoluzione del percorso interpretativo, segnato dalla riaffermazione del principio secondo cui anche gli atti sessuali a pagamento con minore, posti in essere in unica occasione con il solo autore del reato, possono integrare la fattispecie di

induzione alla prostituzione, con la precisazione tuttavia della necessità che la dazione del corrispettivo sia accompagnata da una opera di convincimento

finalizzata a vincerne la resistenza (Sez. III, 4 luglio 2006, n.33470, C., Rv.

234787; Sez. III, 19 maggio 2010, n. 216, P.M. in proc. A., Rv. 247696).

Esposti i nuclei essenziali degli orientamenti di legittimità, il collegio remittente sottolineava come l’attuale formulazione dell’art. 600-bis cod. pen. – per effetto delle ultime modificazioni dalla legge n. 172 del 2012 – palesa una ancora più marcata differenziazione fra la più grave ipotesi di cui al primo comma, fattispecie destinata a punire coloro che avviano i minori all’attività di prostituzione, li trattengono in tale attività e ne traggono vantaggio, e quella di cui al capoverso, funzionale alla punizione di coloro che si limitano a compiere atti sessuali a pagamento con soggetti minorenni, indipendentemente dal fatto che questi ultimi siano o meno già dediti ad attività di mercimonio sessuale del proprio corpo; di qui la domanda, a fronte di un concetto di “prostituzione” riferito a soggetti maggiorenni che si collega tradizionalmente alla messa a disposizione del proprio corpo in cambio di denaro o altra utilità nei confronti di un numero almeno tendenzialmente indiscriminato di persone, se le esigenze di tutela dei minori possano giustificare invece un approccio differenziato, sino al punto di ritenere che il concetto giuridico di “prostituzione minorile” sia integrato anche nella ipotesi che la relazione sessuale dietro compenso sia limitata ad un unico adulto in assenza di intermediari e/o sfruttatori e, successivamente, che l’attività di “induzione” nei confronti del/della minorenne possa essere configurata anche nella sola condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, così da convincere la vittima a compiere una o più volte atti sessuali esclusivamente con il soggetto agente.

3. L’intervento delle Sezioni unite. - Al quesito le Sezione Unite hanno

fornito risposta negativa, statuendo che la condotta consistente nel promettere o dare denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una persona di età

compresa tra i quattordici ed i diciotto anni ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integra gli estremi della fattispecie di cui al comma secondo dell’art. 600-bis cod. pen., e non quella di induzione alla prostituzione minorile di cui al comma primo dello stesso articolo.

Il supremo consesso nomofilattico giunge a tale conclusione innanzitutto precisando che il concetto di "induzione alla prostituzione", anche con riferimento alla fattispecie di "prostituzione minorile", non può essere diverso dalla nozione tradizionalmente accolta con riferimento alle fattispecie di prostituzione fra adulti, che ha da sempre consentito pacificamente di escludere la punibilità del "cliente".

Le Sezioni Unite ricordano poi che l’atto sessuale compiuto dal minore prostituito, a differenza di quanto avviene per i maggiorenni, non può essere inquadrato in un’area di libertà e che proprio da tale assenza di libertà della prostituzione minorile - di cui il fruitore della prestazione sessuale non può non essere a conoscenza – discende, in forza della precisa incriminazione prevista dal comma secondo dell’art. 600-bis cod. pen., la punibilità della condotta del cliente medesimo, che diversamente è immune da sanzione penale quando viene in rapporto, sempre da cliente, con la prostituzione del soggetto adulto.

In tale logica punitiva del “cliente” del minorenne, la condotta di induzione alla prostituzione minorile di cui al primo comma della disposizione citata è necessariamente sganciata dal rapporto sessuale singolo, dovendosi avere riguardo alla prostituzione esercitata nei confronti di terzi, anche identificabili in un solo soggetto purché diverso dall’induttore.

Il supremo collegio osserva infatti che la nozione di "induzione alla prostituzione" fa riferimento a condotte che vanno inserite nel versante dell'offerta della prostituzione altrui, e non già nel diverso versante della domanda di prostituzione, al quale va tipicamente ricondotto il c.d. "fatto del cliente"; diversamente, ove si ritenesse cioè che il mero pagamento di una prestazione sessuale sia di per sé una condotta di "induzione alla