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Il momento consumativo nel delitto di furto. - Fra le più recenti

LA DISTINZIONE TRA CONSUMAZIONE E TENTATIVO

2. Il momento consumativo nel delitto di furto. - Fra le più recenti

decisioni richiamate in tal senso va citata la Sez. V, 23 ottobre 2013, n.

1701/2014, P.G. in proc. Nichiforenco e altro, Rv. 258671, nella quale il

Collegio ravvisa il momento consumativo del delitto di furto nell’impossessamento realizzato dall’autore mediante l’occultamento della merce, in modo da eludere i controlli del personale abilitato, ovvero asportando le placche antitaccheggio, talché il superamento delle casse vale esclusivamente a rivelare la volontà di non effettuare il pagamento dovuto.

Negli stessi termini si pone la sentenza Sez. V, 10 luglio 2013, n. 41327, Caci,

Rv. 257944, secondo la quale, in base al condiviso orientamento della Corte, costituisce furto consumato e non tentato quello che si commette all’atto del superamento della barriera delle casse di un supermercato con merce prelevata dai banchi e sottratta al pagamento, a nulla rilevando che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato, incaricato della sorveglianza.

3. La sorveglianza dell’azione delittuosa. - Osserva il Supremo Collegio

che in Sez. V, 2 ottobre 2013, n. 8395/2014, La Cognata, si nega che il

personale di vigilanza impedisca la consumazione del furto; nella pronunzia si precisa che il superamento della linea delle casse, accompagnato dal mancato pagamento della “res”, rende manifesta l’intenzione del soggetto, a nulla rilevando la circostanza che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato, incaricato della sorveglianza, trattandosi di circostanza del tutto estranea all’operato dell’agente che semplicemente dà all’avente diritto la possibilità di intervenire nella fase post delictum per il recupero della refurtiva.

In termini non dissimili si sono quindi pronunziate le decisioni Sez. IV, 9

gennaio 2014, n. 7062, Bergantino, Rv. 259263; Sez. V, 13 dicembre 2013, n.

3260/2014, Xhafa e Sez. V, 21 novembre 2013, n. 677/2014, Flauto e altro.

Già in precedenza, Sez. V, 7 febbraio 2013, n. 20838, Fornella, Rv. 256499,

richiamata nell’ordinanza di rimessione, aveva affermato che integra il reato di furto consumato, e non tentato, la condotta di colui che si impossessi, superando la barriera delle casse, di merce prelevata dai banchi, sottraendola al pagamento, a nulla rilevando che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato incaricato della sorveglianza.

In termini sostanzialmente adesivi, anche se con riferimento al diverso caso di sottrazione di una somma di danaro nonché di merce non esposta, ma collocata dietro il bancone di un negozio, si pone la sentenza Sez. V, 4 ottobre

2013, n. 584/2014, Romano, Rv. 258711, che ribadisce che costituisce furto

consumato, e non tentato, quello che si commette all’atto del superamento della barriera delle casse con merce prelevata dai banchi e sottratta al pagamento, a nulla rilevando che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del negozio incaricato della vigilanza.

Conformi a tale orientamento sono le decisioni Sez. V, 19 gennaio 2011, n.

7086, P.G. in proc. Marin, Rv. 249842; Sez. V, 13 luglio 2010, n. 37242, Nasi e

altro, Rv. 248650; Sez. V, 8 giugno 2010, n. 27631, Piccolo, Rv. 248388; Sez.

In particolare, il Collegio richiama la citata pronuncia Sez. V, 19 gennaio 2011,

n. 7086, P.G. in proc. Marin, Rv. 249842, oltre che la Sez. II, 24 maggio 1966,

n. 938, Delfino, Rv. 102532 come esempi, nell’ambito dell’indirizzo in oggetto, di quell’orientamento secondo cui si avrebbe consumazione del furto ancor prima del superamento della barriera delle casse, allorché l’agente, prelevata la merce dal banco, “l’abbia nascosta sulla propria persona oppure in una borsa o, comunque, l’abbia occultata”, sulla base della considerazione che la condotta in parola “oltre alla amotio, … determina l’impossessamento della

res, (non importa se per lungo tempo o per pochi secondi) e, dunque, integra,

in presenza del relativo elemento psicologico gli elementi costitutivi del delitto di furto”.

Osserva la Corte come la tesi della consumazione sia sostenuta, in generale, dalla duplice affermazione: a) del perfezionamento della condotta tipizzata dello impossessamento della refurtiva, per effetto del prelievo della merce, senza il successivo pagamento dovuto all’atto del passaggio davanti alla cassa; b) della irrilevanza della circostanza “che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato incaricato della sorveglianza”.

In tale contesto, la Corte si sofferma sull’articolata decisione Sez. V, 15 giugno 2012, Magliulo, la quale ribadisce che costituisce furto consumato e non tentato quello che si commette all’atto del superamento della barriera delle casse di un supermercato con merce prelevata dai banchi e sottratta al pagamento, a nulla rilevando che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato incaricato della sorveglianza. Secondo tale pronunzia, le decisioni apparentemente contrastanti con tale

impostazione (come, fra le altre, Sez. V, 28 settembre 2005, n. 44011, Valletti,

Rv. 232806; Sez. IV, 16 gennaio 2004, n. 7235, Coniglio, Rv. 227347; Sez. V,

21 gennaio 1999, n. 3642, Inbrogno, Rv. 213315), non pongono in dubbio la

circostanza che il superamento della barriera delle casse senza provvedere al pagamento della merce prelevata dai banchi integri un’ipotesi di furto, ma aggiungono che la consumazione può verificarsi addirittura prima di tale

momento, qualora l’agente occulti su di se la merce e limitano, quindi, la configurabilità del tentativo alla sola ipotesi in cui tale attività venga compiuta in presenza di personale addetto alla sicurezza. Secondo il Collegio, commettendosi il reato di furto in danno di colui che materialmente “detiene” la cosa, è necessario e sufficiente, perché il reato possa dirsi consumato, che la persona offesa sia stata privata illecitamente della detenzione e, per ciò stesso, sia stata posta nella condizione di doversi attivare, se vuole recuperarla, nei confronti del soggetto che l’ha acquisita. Sarebbe proprio quanto accade nel caso di furto in danno di supermercati, quando l’agente abbia oltrepassato la barriera delle casse senza pagare la merce, della quale egli verrebbe così ad acquisire, in quel momento, la detenzione esclusiva ed illecita mentre, in precedenza, salvo il caso dell’occultamento, la detenzione stessa non avrebbe potuto dirsi né esclusiva né illecita, talché non vi sarebbe stato luogo all’effettuazione di interventi preventivi da parte del personale di vigilanza. Le Sezioni Unite richiamano, a questo punto, il diverso orientamento secondo il quale, ove l’avente diritto o persona da lui incaricata o le forze dell’ordine sorveglino la fase dell’azione furtiva con la possibilità di interromperla in ogni momento, come avviene nei supermercati, l’eventuale sottrazione, seguita dall’intervento nei confronti dell’autore della stessa, non eliminando la signoria sulla cosa dell’avente diritto, fa sì che non si abbia furto consumato, ma soltanto tentato (cfr., fra le altre, Sez. V, 30 ottobre 1992, n. 11947, Di Chiara, Rv. 192608). In particolare, si osserva che, essendo “in re ipsa” l’intervento, in qualsiasi momento dell’azione, dell’avente diritto o di un suo incaricato ed essendo, altresì, l’intervento delle forze dell’ordine atto dovuto, non potrà mai configurarsi, nei casi di specie, il binomio sottrazione-impossessamento consumati arrestandosi, invece, il delitto alla soglia del tentativo. Alla medesima soluzione non può pervenirsi in caso di intervento di un terzo estraneo, e la giurisprudenza, sul punto dell’esclusione del rilievo dell’intervento del terzo, può dirsi costante, ravvisandosi, negli stessi termini,

pronunce Sez. V, 29 ottobre 1992, n. 2622/1993, Demirov Zvonko, Rv. 194318; Sez. V, 3 novembre 1992, n. 837/1993, Zizzo, Rv. 193486; Sez. V, 27 ottobre 1992, n. 398/1993, De Simone ed altro, Rv. 193177).

Secondo tale impostazione, quindi, il prelevamento della merce dai banchi di vendita di un grande magazzino a sistema “self service” e l’allontanamento senza pagare, realizzano il reato di furto consumato, ma allorché l’avente diritto o persona da lui incaricata sorvegli l’azione furtiva, sì da poterla interrompere in ogni momento, il delitto non può dirsi consumato neanche con l’occultamento della cosa sulla persona del colpevole, perché la stessa non è ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto dell’offeso (così,

Sez. V, 20 dicembre 2010, n. 7042/2011, D’Aniello, Rv. 249835; Sez. IV, 22

settembre 2010, n. 38534, Bonora e altri, Rv. 248863; Sez. V, 6 maggio 2010,

n. 21937, Pg. in proc. Lazaar e altri, Rv. 247410; Sez. V, 28 gennaio 2010, n.

11592, Finizio, Rv. 246893; Sez. V, 28 settembre 2005, n. 44011, Valletti, Rv.

232806; nonché le già citate Sez. V, 21 gennaio 1999, n. 3642, Inbrogno, Rv.

213315 e Sez. V, 30 ottobre 1992, n. 11947, Di Chiara Rv. 192608).

Nella più recente pronuncia Sez. V, 20 dicembre 2010, n. 7042/2011,

D’Aniello, Rv. 249835 si legge testualmente che la giurisprudenza di legittimità, ad assoluta maggioranza, ha affermato, nella materia, il principio secondo cui il prelevamento della merce dai banchi di vendita di un grande magazzino a sistema self service e l’allontanamento senza pagare realizzano il reato di furto consumato, ma allorché l’avente diritto o persona da lui incaricata sorvegli l’azione furtiva, sì da poterla interrompere in ogni momento, il delitto non può dirsi consumato neanche con l’occultamento della cosa sulla persona del colpevole, perché la cosa non è ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto dell’offeso.

Le Sezioni Unite ritengono, quindi, di comporre il contrasto insorto fra le Sezioni semplici mediante la riaffermazione di tale secondo orientamento, nel senso della qualificazione giuridica della condotta in esame in termini di furto tentato.

Osserva la Corte che tale soluzione si colloca, peraltro, in linea di continuità

con il “dictum” della sentenza Sez. Un., 19 aprile 2012, n. 34952, Reina, Rv.

253153.

4. La rapina impropria e l’impossessamento della cosa altrui. - Nel

risolvere positivamente la questione della configurabilità della rapina impropria (anche) in difetto della materiale sottrazione del bene all’impossessamento del quale l’azione era finalizzata, tale pronunzia ha affermato, infatti, proprio con riguardo al furto che “finché la cosa non sia uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore, questi è ancora in grado di recuperarla”, circostanza, questa, che fa “degradare la condotta di apprensione del bene a mero tentativo”.

Secondo il Supremo Collegio, la questione involge il tema più ampio della definizione giuridica dell’azione di impossessamento della cosa altrui, tipizzata dalla norma.

La norma incriminatrice ha espunto, infatti, il criterio della “amotio”, talchè la descrizione della condotta criminosa risulta scandita dal sintagma impossessamento – sottrazione.

In tale prospettiva, la condotta dell’agente il quale oltrepassi la cassa, senza pagare la merce prelevata, rende difficilmente contestabile, ad avviso del Collegio, l’intento furtivo, ma lascia impregiudicata la questione se la circostanza comporti per sé sola la consumazione del reato qualora l’azione delittuosa sia stata rilevata nel suo divenire dalla persona offesa ovvero dagli addetti alla vigilanza.

Secondo le Sezioni Unite, allora, è decisiva la premessa che, in difetto del perfezionamento del possesso della refurtiva in capo all’agente, debba senz’altro escludersi che il reato possa definirsi consumato, considerazione, questa, che assorbe la disamina del controverso rapporto tra la sottrazione e l’impossessamento.

Non appare revocabile in dubbio, secondo il Collegio, la circostanza che l’impossessamento postuli il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della cosa.

Conseguentemente, laddove esso debba ritenersi escluso dalla concomitante vigilanza, attuale ed immanente, della persona offesa e dall’intervento esercitato “in continenti” a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera di controllo del soggetto passivo, la incompiutezza dell’impossessamento osta alla consumazione del reato e circoscrive la condotta delittuosa nell’ambito del tentativo.

Tale conclusione, ad avviso delle Sezioni Unite, riceve conforto dalla considerazione dell’oggetto giuridico del reato alla luce del principio di offensività, prospettiva, questa, valorizzata di recente quale canone ermeneutico di ricostruzione dei “singoli tipi di reato”, dalle Sezioni Unite in

Sez. Un., 18 luglio 2013, n. 40354, Sciuscio, alla luce della quale il fondamento

della giustapposizione fra il delitto tentato e quello consumato (e del differenziato regime sanzionatorio) risiede nella compromissione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice.

Coerente con tale assunto è, allora, la Sez. II, 5 febbraio 2013, n. 8445, Niang,

per la quale deve ritenersi preferibile la tesi che tende a privilegiare un connotato di “effettività” che deve caratterizzare l’impossessamento quale momento consumativo del delitto di furto, rispetto al semplice momento sottrattivo, con la conseguenza che l’autonoma disponibilità del bene potrà dirsi realizzata solo ove sia stata correlativamente rescissa la altrettanto autonoma signoria che sul bene esercitava il detentore. Conseguentemente, in caso di oggetti esposti per la vendita in un esercizio commerciale ai quali sia stata applicata la cosiddetta placca antitaccheggio, il titolare del bene non può dirsi ne perda il possesso se non dopo il superamento o l’elusione dell’apparato destinato ad operare il relativo controllo.

Conclusivamente, la Corte, formulando il principio di diritto che opta per la configurabilità del tentativo in caso di perdurante sorveglianza della persona

offesa o di personale addetto, nonché di intervento difensivo “in continenti”, ha reputato anacronistica la teoria della amotio non confortata dall’addentellato normativo offerto in precedenza dall’art. 402, comma 1, del codice Zanardelli del 1889, ritenendo, altresì, non concludente, né pertinente, l’argomento secondo cui la sorveglianza dell’offeso non impedisce la violazione della norma penale e non calzanti, infine, gli ulteriori argomenti espressi dal contrario orientamento con riguardo al rilievo della attivazione della persona offesa per il recupero della refurtiva ed in ordine alla collocazione dell’attività nella fase post delictum.

CAPITOLO VII

CRISI ECONOMICA E REATI IN MATERIA