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Elaborazione giurisprudenziale del diritto all’oblio ed individuazione dei suo

L’immanenza e la facile reperibilità di informazioni anche risalenti riguardanti un soggetto attraverso il web ha posto il problema del conflitto tra il diritto all’oblio e il diritto all’informazione riconosciuto alla collettività260.

254A. Salarelli, Diritto all’oblio, cit.

255Art. 27, 3 c. Cost.: “Le pene (...) devono tendere alla rieducazione del condannato.” 256

Ad esempio, Tonelli, Il diritto all’oblio. Quando la memoria deve cedere alla cronaca. Il nodo Internet e il diritto ad essere dimenticati, in Problemi dell’informazione, Fascicolo 1, marzo 2006

257

S. Rodotà, La vita e le regole, cit., pag. 65

258Si pensi ai crimini contro l’umanità, come l’Olocausto, o a vicende eclatanti come l’attentato al Papa o il

rapimento di Aldo Moro

259D’altro canto, come rileva autorevolmente la Suprema Corte, “il tempo non cancella ogni cosa e la

memoria, anche se dura e crudele, può svolgere un ruolo nel sociale, in una assoluta attualità che ne giustifica il ricordo.”, in Cass., 2013, n.16111, in Foro it., 2013, I, c. 2442

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Il tema del bilanciamento tra il diritto ad essere informati dei consociati ed il diritto alla identità personale, alla riservatezza e alla tutela dell’onore e reputazione del singolo ha dato vita ad un intenso dibattito e ha sollecitato interventi dell'autorità garante per la protezione dei dati personali e dei giudici europei, nonché del legislatore europeo e del legislatore interno, che hanno sancito l’esistenza di un diritto all’oblio261, fino ad allora riconosciuto solo a livello giurisprudenziale.

Dunque, inizialmente il Garante, nell’operare il bilanciamento tra i contrapposti interessi, all’oblio dell’interessato e alla conoscibilità delle notizie da parte della collettività, in caso di reato, ha dato rilievo alla gravità del reato commesso - ricordiamo che secondo le linee guida adottate il 26 novembre 2014 dal gruppo di lavoro introdotto dall’articolo 29 della Direttiva europea 95/46/CE (Article 29 Data Protection Working Party) il diritto all’oblio non sussisterebbe in relazione ai reati più gravi, tra i quali quelli lesivi degli interessi della collettività -, nonchè al tempo trascorso dalla conclusione del processo262, che, se breve, giustificherebbe a detta del Garante la prevalenza dell’interesse della collettività ad informarsi.

Tuttavia, una volta trascorso un periodo di tempo considerevole, tale interesse si affievolisce, riportando il fatto in una dimensione per così dire “privata”, tanto da rendere la permanente disponibilità della notizia non solo inutile in tal senso, ma anche lesiva della reputazione e della privacy del suo protagonista.

Il diritto all’oblio ha ottenuto un primo riconoscimento espresso in ambito unitario- europeo con la nota sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 maggio 2014, sul caso Google Spain versus Mario Costeja González e l’autorità spagnola Agencia Española de Protección de Datos, AEPD263.

Il caso riguardava la persistenza di un articolo in un archivio online di un giornale largamente diffuso, lesivo, a detta del ricorrente, della sua reputazione264, per il quale aveva chiesto la deindicizzazione al motore di ricerca ospitante l’archivio, ritenendo che la reperibilità della notizia avrebbe perpetuato la diffusione di una proiezione negativa della sua persona, recando un danno alla sua identità personale.

La questione, rimessa in via pregiudiziale265 alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea dall'autorità nazionale (l’Agencia Española de Protección de Datos), aveva ad oggetto l’interpretazione della Direttiva 95/46/CE al fine di individuare quali obblighi incombano sui gestori dei motori di ricerca quando i soggetti i cui dati personali o informazioni siano pubblicati sul web non desiderino più che tali dati siano (ancora) disponibili su Internet. Questa sentenza si è rivelata determinante, perché la Corte ha consacrato il diritto a che le notizie che siano facilmente reperibili in rete mediante ricerca tramite parole-chiave, in quanto pubblicate su un giornale online, e ritenute dall’interessato lesive della sua sfera privata e della sua dignità e non più attuali debbano essere deindicizzate, impedendone il reperimento sul web.

261

V. par. 3.4

262

Garante, provv. 6 ottobre 2016, in www.garanteprivacy.it del 12/2/2019

263

C. Giustizia UE, Grande Sez., 13 maggio 2014, causa C-131/12, in http://curia.europa.eu del 20/1/2019

264L’articolo ricollegava il suo nome ad una “vendita all’asta di immobili connessa ad un pignoramento

effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali”.

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Il fondamento di tale obbligo risiede nel dato di fatto che – come la Corte evidenzia - in assenza dei motori di ricerca il reperimento di quelle informazioni sarebbe (particolarmente) ostico 266.

La Corte ha affermato che l’attività dei sistemi di information retrival tramite motori di ricerca, in quanto “consistente nel localizzare le informazioni pubblicate o messe in rete da terzi, nell’indicizzarle in maniera automatica, nel memorizzarle temporaneamente e [...] nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, qualora tali informazioni contengano dati personali di terzi”267 comporta il trattamento di dati personali ai sensi dell’articolo 2, lett. b) della Direttiva 95/46/CE268. Essendo il gestore del motore di ricerca “a determinare le finalità e gli strumenti [...] del trattamento di dati personali che egli stesso effettua nell’ambito dell’attività medesima, è di conseguenza lui a dover essere considerato come il «responsabile» di tale trattamento a norma del citato articolo 2, lettera d)”269.

Pertanto, il gestore di un motore “di ricerca svolge un ruolo decisivo nella diffusione globale dei dati”, rendendoli “accessibili a qualsiasi utente di Internet che effettui una ricerca”270, per cui, ove “l’attività di un motore di ricerca” possa “incidere in modo significativo […] sui diritti fondamentali alla vita privata ed alla protezione dei dati personali”, “deve assicurare” il rispetto delle prescrizioni della Direttiva 95/46/CE e garantire “una tutela efficace delle persone interessate, in particolare il diritto al rispetto della loro vita privata” sancito dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo271.

Dunque, l’inquadramento del motore di ricerca cambia: non più strumento neutrale272, bensì soggetto attivo. Pertanto, laddove all'interessato debba essere riconosciuta l'operatività del diritto all’oblio, “il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona i link verso pagine web pubblicate da terzi contenenti informazioni relative a quella persona, anche quando la loro pubblicazione su tali pagine

web sia di per sé lecita”273.

Quanto alle (concrete) modalità di azionabilità del diritto, la Corte ha riconosciuto al soggetto cui i dati si riferiscono il diritto di presentare274 direttamente al gestore del

266

Del Ninno, Dopo la sentenza della Corte di Giustizia UE sull’obbligo di Google di cancellare i link a siti web di terzi: quali le regole in Italia sul diritto all’oblio on line?, in Diritto e Giustizia, pag. 3

267

C. Giustizia UE, 13 maggio 2014, cit.

268C. Giustizia UE, 13 maggio 2014, cit., punto 25 (che fa riferimento alla “sentenza Lindqvist”, C-101/01,

EU:C:2003:596, punto 25)

269

C. Giustizia UE, 13 maggio 2014, cit., punto 33

270C. Giustizia UE, 13 maggio 2014, cit., punto 36 271

C. Giustizia UE, 13 maggio 2014, cit., punto 38

272

Si veda al riguardo ad esempio Cass., sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525, in www.ilsole24ore.com del 21/3/2019

273L’articolo 12 lettera b) dispone che l’interessato abbia il diritto di ottenere dal responsabile del

trattamento la rettifica o la cancellazione dei dati ove il loro trattamento non sia conforme alle disposizioni della Direttiva, “in particolare a causa del carattere incompleto o inesatto dei dati”: a quest’ultima precisazione la Corte attribuisce carattere esemplificativo e non esaustivo, allargando le maglie della previsione e ponendo le basi perché qualsiasi difformità rispetto alle norme della Direttiva attribuisca all’interessato il diritto di attivarsi ai sensi della disposizione in questione.

274

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motore di ricerca275, indipendentemente dall’avere adìto previamente l’autorità competente in materia, una richiesta, in virtù del diritto riconosciuto dal Codice privacy al titolare dei dati “di opporsi al trattamento dei dati personali che lo riguardano” ex art. 7, 4 c. lett. b) e “di ottenere la cancellazione” dei dati ex art. 7, 3 c., lett. b).276

Il giudice di Lussemburgo ricorda che l’incompatibilità del trattamento ai sensi dell’articolo 6 paragrafo 1 lettere da c) ad e) della Direttiva può derivare “dal fatto che essi siano inadeguati, non pertinenti o eccessivi in rapporto alle finalità del trattamento, che non siano aggiornati, oppure che siano conservati per un arco di tempo superiore a quello necessario”277.

Dunque, “anche un trattamento inizialmente lecito di dati (esatti) può divenire, con il tempo, incompatibile con la direttiva [...] qualora tali dati non siano più necessari in rapporto alle finalità per le quali sono stati raccolti o trattati”278.

Nella valutazione sulla fondatezza dell’istanza, il gestore del motore di ricerca deve ricercare un equilibrio279tra i diritti fondamentali della persona garantiti dagli articoli 7280 e 8281 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea282 e il potenzialmente configgente diritto all’informazione, in particolare nella sua declinazione passiva come diritto degli utenti a ricercare e reperire notizie.

La Corte ha previsto che in caso di rigetto dell’istanza o di mancato risconto, l’interessato possa rivolgersi alternativamente “all’autorità amministrativa di controllo in materia di

privacy o all’autorità giudiziaria”, “affinché verifichi la correttezza della posizione

assunta dal responsabile del trattamento” ed eventualmente ordini al motore di ricerca “l’adozione di determinate misure”283.

Va sottolineato che “in linea di principio” “i diritti dell'interessato prevalgono”284, anche in assenza di un effettivo pregiudizio sulla sua reputazione.

275

E’ stata così introdotta una procedura che mette in relazione direttamente l’interessato e il gestore del motore di ricerca.

276

C. Giustizia UE, 13 maggio 2014, cit.

277C. Giustizia UE, 13 maggio 2014, cit., punto 92 278C. Giustizia UE, 13 maggio 2014, cit., punto 93 279

C. Giustizia UE, 13 maggio 2014, cit.

280Art. 7 CDFUE: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio

domicilio e delle proprie comunicazioni.”

281Art. 8 CDFUE: “Protezione dei dati di carattere personale: 1. Ogni persona ha diritto alla protezione dei

dati di carattere personale che la riguardano. 2. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica. 3. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente.”

282 La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), nota anche come Carta di Nizza, è

stata solennemente proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza e una seconda volta in una versione adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo da Parlamento, Consiglio e Commissione. Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009, ai sensi dell’art. 6 del TUE, la Carta di Nizza ha assunto il medesimo valore giuridico dei Trattati, dunque si pone come pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri dell’Unione.

283C. Giustizia UE, 13 maggio 2014, cit. 284

C. Giustizia UE, 13 maggio 2014, cit.: “non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse del pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona”

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L’unica eccezione a tale principio riguarda l’ipotesi in cui la persona oggetto della ricerca su Internet sia un personaggio pubblico, o più in generale “che l’ingerenza nei diritti fondamentali dell’interessato sia giustificata dall’interesse preponderante del pubblico ad avere accesso […] all’informazione”285. Si noti che il criterio scelto dalla Corte è di tipo soggettivo e non oggettivo: non è l’interesse sociale oppure l’interesse pubblico dell’informazione a renderla meritevole di sopravvivenza contro un’eventuale richiesta di oblio; è semmai il carattere del soggetto e il suo rapporto con il pubblico a determinare l’ampiezza del suo diritto all’oblio.

L’attribuzione ai privati della facoltà di chiedere ai motori di ricerca la deindicizzazione dei collegamenti alle pagine contenenti dati reputati lesivi dei diritti fondamentali della persona286 rappresenta espressione del diritto di autodeterminazione informativa riconosciuto agli individui.

È bene sottolineare che la deindicizzazione non comporta l’eliminazione del contenuto multimediale pregiudizievole: tenendo conto che ogni informazione compare sul sito che la riporta, ma anche sulla copia cache della pagina web, sui titoletti che costituiscono il risultato della ricerca tramite motore di ricerca, e che ognuno di questi luoghi virtuali ha un titolare di trattamento diverso, in virtù della distinzione tra servizio svolto dai motori di ricerca, inteso come autonomo trattamento dei dati personali, e quello svolto dai gestori delle pagine sorgente, per eliminare definitivamente un contenuto occorrerà rivolgersi a ciascun titolare del trattamento ovvero responsabile del trattamento di quel dato e chiederne la cancellazione dal proprio sito Internet. E la situazione si fa più complessa rispetto a richieste di cancellazione rivolte a gestori di motori di ricerca extraeuropei.

Quando sussistano prevalenti finalità informative, la permanenza dell’informazione, benché eliminata dai risultati generati dal motore di ricerca mediante l’associazione con il nome dell’interessato, è assicurata sul sito sorgente. La situazione appare problematica287 perché la notizia non solo continuerebbe a essere disponibile sul web, ma a questa sarebbe possibile risalire anche tramite il motore di ricerca mediante l’uso di parole- chiave diverse dal nome della persona interessata che ne abbia chiesto la rimozione.

È pure importante precisare la distinzione tra il diritto alla cancellazione dei dati, ossia il diritto del soggetto interessato di richiedere ed ottenere, in presenza dei presupposti, la cancellazione dei dati che lo riguardano, e il diritto all’oblio, consistente nel diritto del soggetto cui i dati si riferiscono di rivolgersi direttamente al motore di ricerca per richiedere ed ottenere, in presenza dei presupposti, la rimozione dei link risultanti a seguito di una ricerca effettuata288 a partire dal suo nominativo.

285

C. Giustizia UE, 13 maggio 2014, cit., punto 99: “tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso all’informazione di cui trattasi”

286

L’art. 2, 1 c. Codice privacy afferma quale sua finalità principale la necessità di garantire “che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza e all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali”

287 Bassini, Google davanti alla Corte di giustizia: il diritto all’oblio, in Quaderni costituzionali, Fascicolo

3, settembre 2014

288

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Bisogna dare conto del fatto che la sentenza Google Spain ha sollevato da più parti critiche ed interrogativi.

Un primo problema attiene al soggetto, che ricordiamo è un operatore di mercato privato, chiamato a decidere circa la rimozione di contenuti online, che si ripercuote sulla tutela dell’interesse della collettività alla conoscenza. In considerazione della rilevanza degli interessi in gioco, il delicato bilanciamento tra il diritto all’oblio e il diritto di informare ed essere informati dovrebbe spettare all’organo giudiziario, non al motore di ricerca289. Altro aspetto da evidenziare riguarda la considerazione ivi assegnata dai giudici della Corte di Giustizia alle libertà di espressione e di informazione, il che potrebbe costituire un precedente pericoloso. Il timore è che non solo i gestori di motori di ricerca non diano ad esse la giusta importanza nel valutare le richieste di rimozione di contenuti, ma anche che le autorità e i giudici nazionali, facendo riferimento alla sentenza Google Spain, assegnino a tali libertà un ruolo di secondo piano290.

Altro problema deriva dal fatto che mancano precise indicazioni della Corte sia circa il limite temporale minimo prima del quale non possano essere rimosse dal web dati o informazioni in virtù del diritto all’informazione della collettività291, sia in presenza di quali circostanze un soggetto possa essere considerato alla stregua di una “figura pubblica”, situazioni che incidono entrambe sul diniego del diritto all’oblio.

Infine, sorge un ulteriore interrogativo per il caso in cui un’informazione giudicata non pertinente in un certo momento storico, e dunque rimossa, torni ad esserlo in futuro: chi agirà per conto del pubblico interesse alla conoscenza?292

Nel nostro ordinamento giuridico, il diritto all’oblio è stato inizialmente frutto dell’opera interpretativa e della creazione giurisprudenziale prima, e della dottrina poi.

Il diritto all’oblio è stato solamente “sfiorato”293 in un’occasione, in cui non è però stato configurato quale diritto a sé stante, ma si è fatto ricorso alla tutela penale per assicurare

289 È quanto emerge da una recente sentenza del Tribunale di Milano (in Trib. Milano, 5 settembre 2018, n.

7846) A tal proposito ricordiamo un’affermazione delle Sezioni Unite della Suprema Corte (in Cass., SS. UU., 2016, n. 23469): “chi invoca la tutela del diritto all’onore e alla reputazione deve adire il giudice ordinario e, prima di ottenere un provvedimento che limiti il diritto di espressione, tutelato ex art. 21 Cost., deve attendere una pronuncia almeno esecutiva e irretrattabile dell’effettiva violazione del diritto individuale all’onore e alla reputazione”. Se è auspicabile che il suddetto bilanciamento (sia quello tra riservatezza e libertà di espressione, sia quello tra onore e reputazione e libertà di espressione) sia opera di un giudice, “i tempi tuttavia muovono in direzioni diverse, sia per una celere gestione delle richieste, sia per attribuire il potere di controllo al soggetto che maggiormente è in grado di esercitarlo e di sostenerne i costi”., in Silvia Martinelli, Il bilanciamento dei diritti nella giurisprudenza e nei provvedimenti del Garante, in Dirittoallobliode-indicizzazioneemotoridiricercaCONVEGNOISLC25settembre2018.pdf, settembre 2018

290

S. Kulk, F. Z. Borgesius, Freedom of Expression and “Right to be Forgotten” Cases in the Netherlands after Google Spain, in European Data Protection Law Review, 2015, pagg. 113 ss, in Rugani, Il Nuovo Pacchetto europeo, cit.

291

E. Stradella, Cancellazione e oblio: come la rimozione del passato, in bilico tra tutela dell’identità personale e protezione dei dati, si impone anche nella rete, quali anticorpi si possono sviluppare, e, infine, cui prodest?, in Rivista AIC, 4/2016, pag. 10, in Rugani, Il Nuovo Pacchetto europeo, cit.

292 P. Valcke, sul blog della London School of Economics and Political Science, 4 novembre 2014, in

http://blogs.lse.ac.uk/mediapolicyproject/2014/11/04/right-to-be-forgottentackling-the-grey-zones-and- striking-the-right-balance/, in Rugani, Il Nuovo Pacchetto europeo, cit.

293

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tutela al soggetto leso dalla ripubblicazione di una notizia294: in particolare, il giudice295 ha condannato il giornale per diffamazione a mezzo stampa al risarcimento dei danni morali in favore del ricorrente.

Il diritto all’oblio comincia timidamente a delinearsi alla fine degli anni Novanta, quando in una sentenza296 viene evidenziata una peculiarità della situazione soggettiva nel caso sottoposto al giudice: si invocava il suo intervento al fine di tutelare l'individuo dalla rievocazione di fatti posti in passato all'attenzione della collettività in assenza del requisito dell'attualità dell'informazione297.

È però con la sentenza della Cassazione 3679 del 1998298 che si delineano meglio i caratteri del diritto all’oblio299, definito in quella sede come “il giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata”. La Corte, nella valutazione sulla liceità della ripubblicazione di una notizia potenzialmente lesiva di diritti della personalità, pone l’attenzione sull’attualità e sul grado di aggiornamento della notizia, e conferma come l’attualità della notizia costituisca un limite al diritto di cronaca: il legittimo esercizio del diritto di cronaca deve tenere conto non solo dell’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti, ma anche della loro attualità. Per cui fatti avvenuti in passato non possono essere nuovamente oggetto di pubblicazione, salva la sopravvenienza di nuovi fatti che rendano attuale l’interesse del pubblico alla conoscenza dei primi300.

In altre parole, un limite al riconoscimento del diritto all’oblio riguarda il caso in cui un episodio di cronaca (attuale) si colleghi direttamente a vicende passate rispetto alle quali riemerga l’interesse pubblico, rinnovandosi perciò anche per queste ultime l’attualità dell’informazione. Sarà pertanto legittima la rievocazione del reato commesso in passato