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Il diritto all'oblio nel mondo digitale tra informazioni online, archivi e privacy

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Facoltà di Giurisprudenza

Il diritto all’oblio nel mondo digitale

tra informazioni online, archivi e privacy

Relatore:

Professoressa Caterina Murgo

Candidato:

Gloria Calamia

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INDICE

Introduzione...

Capitolo I

1. I diritti della personalità

1.1 Introduzione...8

1.2 Il diritto all’identità personale...9

1.3 La tutela dell’onore e della reputazione...12

1.4 Il diritto alla riservatezza...14

Capitolo II 2. Informazioni online 2.1 Introduzione...19

2.1.1 Informazioni e dati personali immessi in rete da privati. Problematiche...19

2.1.2 Il regime di (ir)responsabilità degli hosting providers in relazione ad informazioni illecite immesse in rete dagli utenti. La Direttiva 2000/31/UE...21

2.1.3 Segue. La tendenza giurisprudenziale a circoscrivere l’irresponsabilità degli hosting providers in relazione ad informazioni illecite immesse in rete dagli utenti...22

2.1.4 Sull’ammissibilità di provvedimenti di oscuramento di piattaforme online in conseguenza della pubblicazione di contenuti illeciti...29

2.1.5 Cenni sulla nuova Direttiva UE sul Copyright tra tutela dei diritti economici degli autori di contenuti presenti/diffusi sul web, obbligo di negoziazione di licenze delle piattaforme online con i titolari/detentori di diritti su tali contenuti e diritti degli utenti..32

2.2 Informazione frutto dell’esercizio dell’attività giornalistica. La libertà di stampa e il diritto di cronaca...34

2.3 Il trattamento dei dati personali tra diritto-dovere di informazione del giornalista e tutela dei diritti della personalità dell’individuo...38

Capitolo III 3. Il diritto all’oblio nel mondo digitale 3.1 Il diritto all’oblio. Introduzione...42

3.2 Elaborazione giurisprudenziale del diritto all’oblio ed individuazione dei suoi caratteri...43

3.3 Informazioni presenti negli archivi online dei giornali. Bilanciamento tra il diritto all’oblio e il diritto di essere informati e di libera ricerca storica...56

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3.5 Il diritto all’oblio ex Regolamento 2016/679/UE: nuovo diritto o solo riproposizione

del diritto alla cancellazione?...70

Conclusioni...72

Decisioni delle Corti...78

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Introduzione

Il pervasivo impiego della tecnologia e la sempre maggiore esposizione dell’immagine digitale, proiezione esteriore della personalità del soggetto raffigurato attraverso il web, comportano l’esigenza di proteggere la “forma interiore” individuale attraverso la limitazione della libertà dei terzi di disporre della forma esteriore e dei dati appartenenti all’individuo, imponendo ogni giorno agli interpreti nuove problematiche circa l’efficacia ed effettività della tutela di diritti e valori della persona che godono di protezione costituzionale. In particolare, l’esposizione perdurante o la riproposizione da parte di terzi di una informazione o di una notizia risalente nel tempo attraverso articoli, fotografie o video pubblicati sul web danno a quei contenuti una diffusione incontrollabile che può avere effetti pregiudizievoli sulla reputazione e sull’onore del soggetto cui si riferisce. Da quanto detto risulta evidente come le dinamiche comunicative sul web tanto degli utenti quanto dei giornali online abbiano comportato l’esigenza di un ripensamento del sistema di tutela dei diritti della personalità, ed abbiano condotto all’elaborazione del “diritto all’oblio”, - diritto della personalità di creazione giurisprudenziale, emerso nel secolo scorso, ma solo di recente positivizzato a livello unitario-europeo - il quale solleva non poche problematiche, ponendosi la sua protezione talvolta in contrasto con altri diritti costituzionalmente garantiti, quali in particolare i diritti alla libertà di espressione e alla libertà di informazione.

Infatti, se informazioni relative al passato possono vincolare lo status del soggetto cui si riferiscono al punto tale da avere ripercussioni nel presente ed impedirgli di agire in piena libertà nel futuro, e se del fatto per cui un soggetto sia stato condannato rimanesse per un tempo indefinito traccia che fosse agevole rinvenire, o se quel fatto venisse riproposto, compromettendo gravemente la riabilitazione di colui che sta espiando/ha espiato la pena, d’altra parte, in relazione a fatti particolarmente gravi può essere giusto riconoscere l’operatività del diritto all’oblio? Può sostenersi che simili fatti diventino “privati”? Può l’interesse pubblico alla loro riproposizione venire meno? O devono anzi essere riproposti affinché non vengano dimenticati? Si può privare la collettività del diritto ad informarsi ed effettuare una ricostruzione completa dal punto di vista storico?

Fine del presente lavoro è quello di ricostruire come la giurisprudenza ha risposto a simili interrogativi.

Rientrando il diritto all’oblio tra i diritti della personalità, è parso in primo luogo utile riportare in chiave introduttiva le caratteristiche principali ed il percorso evolutivo dei diritti espressamente riconosciuti nel nostro ordinamento in cui si sostanzia tale categoria, per poi addentrarci nella materia oggetto del nostro approfondimento.

A tal proposito, nella ricostruzione dei caratteri del diritto all’oblio abbiamo analizzato la questione sotto due aspetti, distinguendo a seconda che la comunicazione e diffusione di informazioni in rete sia opera di privati o avvenga comunque in via non professionale, viceversa/oppure costituisca esercizio dell’attività professionale (giornalistica).

Quanto al primo caso, abbiamo approfondito due rilevanti problematiche. Un primo aspetto indagato riguarda la liceità del caricamento da parte di (singoli) utenti del web e della permanenza di contenuti online potenzialmente lesivi di diritti della personalità, o

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illeciti. Al riguardo, una questione di notevole importanza attiene al regime di responsabilità degli hosting providers, - piattaforme online che offrono servizi di archiviazione e memorizzazione di dati, - in relazione ad informazioni illecite immesse in rete dagli utenti. Sebbene il regime vigente nell’Unione Europea previsto dalla Direttiva 2000/31/UE subordini la responsabilità civile del prestatore dei servizi di hosting all’effettiva conoscenza da parte dell’intermediario dell’illecito perpetrato tramite i propri servizi, e si basi sul divieto di obblighi generali di sorveglianza in capo agli hosting

providers, considerata la diffusione in rete di contenuti allarmanti per i valori

democratici, i giudici nazionali e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiamati i primi ad operare ed i secondi a valutare se il bilanciamento tra la libertà di espressione dell’intermediario ed il diritto al rispetto della vita privata e familiare del danneggiato fosse stato operato adeguatamente, hanno progressivamente circoscritto il regime di irresponsabilità degli hosting providers, seppure un simile atteggiamento si ponga in contrasto con il dato positivo vigente. E nella stessa direzione si è mossa negli ultimi anni la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che nelle sentenze emesse sul tema nei casi sottoposti al suo vaglio ha individuato e via via precisato ed arricchito i parametri cui fare riferimento, e le cui decisioni hanno alimentato il dibattito circa la necessità di una revisione della Direttiva 2000/31/UE. In relazione ai contenuti immessi in rete da privati lesivi di diritti della personalità, altra questione problematica qui analizzata attiene all’ammissibilità di provvedimenti giurisdizionali di prevenzione e di repressione penale di oscuramento (consistente nel blocco all’accesso) non di specifici contenuti, ma di intere piattaforme web, nonché all’eventuale legittimazione processuale ad impugnare tali misure del singolo utente estraneo ai fatti contestati in relazione alla libertà di espressione, in assenza di un quadro normativo disciplinante la materia. La Corte EDU ha affrontato il problema di garantire strumenti di ricorso effettivo a tutela della libertà di espressione e di contrasto alla diffusione di contenuti illeciti in rete anche nei casi in cui le piattaforme web in cui erano stati caricati si trovano al di fuori della giurisdizione degli Stati membri (in cui pertanto non trova applicazione la Direttiva 2000/31/UE), ovvero quando sia impossibile perseguire gli autori diretti del fatto illecito, o l’esperimento di richieste di rimozione di specifici contenuti indirizzate ai fornitori di servizi di hosting si sia rivelato infruttuoso. Inoltre, in considerazione dell’insorgere di nuove problematiche giuridiche legate alla possibilità di fruire liberamente tramite il web di opere che dovrebbero considerarsi protette dal Copyright, in un mercato monopolizzato da colossi internazionali che fatturano sull’uso gratuito di contenuti prodotti da terzi e monetizzano sull’intermediazione di opere altrui, nonché delle problematiche giuridiche legate all’attuale tendenza della comunità virtuale a condividere informazioni in modo massiccio e in maniera non sempre autorizzata, in questa sede non poteva mancare un riferimento alla nuova Direttiva sul Copyright approvata di recente.

In secondo luogo, abbiamo ricostruito in che rapporto il diritto all’oblio, in funzione di tutela dei diritti della personalità dell’individuo, si pone rispetto al diritto ad informare del giornalista - con l’analisi dei requisiti che il professionista deve rispettare affinché il diritto di cronaca venga legittimamente esercitato ed una notizia possa essere legittimamente divulgata - ed al diritto all’informazione della collettività, e quali criteri debbano essere in concreto di volta in volta adottati nel bilanciamento tra i due diritti di pari rango citati: “il bilanciamento tra il diritto di cronaca ed il diritto all’oblio incide sul

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modo di intendere la democrazia nella nostra attuale società civile, che, da un lato fa del pluralismo delle informazioni e della loro conoscenza critica un suo pilastro fondamentale, dall’altro, non può prescindere dalla tutela della personalità della singola persona umana nelle sue diverse espressioni.1”

Abbiamo poi analizzato la relazione tra l’esercizio del diritto all’oblio ed il diritto di libera ricerca storica, che consente agli editori di caricare sul web articoli anche remoti e agli utenti di averne libero accesso, esaminandone i requisiti di ammissibilità.

Infine, abbiamo approfondito il diritto all’oblio così come positivizzato e disciplinato nel Regolamento 2016/679/UE (GDPR), riportando alcuni casi giurisprudenziali in cui ne vengono ricostruiti caratteri e limiti; il che ci ha condotto a valutare se il diritto all’oblio

ex Reg. 2016/679/UE possa essere definito come diritto nuovo, o costituisca piuttosto

solo una riproposizione del diritto alla cancellazione di propri dati personali riconosciuto al suo titolare in presenza di certi requisiti2.

1Cass., 2018, n. 28084, in Cronaca, storia, diritto all’oblio, in canestrinilex.com del 15 maggio 2019

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1. I diritti della personalità

1.1 Introduzione

La Costituzione tutela la persona umana nella sua dimensione individuale e sociale: l’articolo 2 “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo”, che “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Nell’intento di promuovere e garantire “il pieno sviluppo della persona umana” ex articolo 3, la Costituzione traccia un ampio quadro di diritti e libertà, tra i quali un posto di tutto rilievo spetta ai cosiddetti diritti della personalità3.

I diritti della personalità vengono così definiti perché attengono sia la sfera materiale dell’integrità fisica, che la sfera morale ed immateriale, e, considerata l’essenzialità di queste posizioni giuridiche, essi vengono qualificati come diritti assoluti, indisponibili, intrasmissibili, irrinunciabili e imprescrittibili.

La tutela si sostanzia non solo nel riconoscimento di diritti dell’uomo, ma anche nella previsione di strumenti giuridici attraverso i quali riparare ad una eventuale lesione. Tra i rimedi approntati dall’ordinamento, la previsione di una responsabilità extracontrattuale o aquiliana, che, oltre ad avere funzione riparatoria, ha anche funzione deterrente rispetto alla commissione di condotte che possano arrecare danno ad altri4.

La Corte Costituzionale ha ricondotto la categoria dei diritti della personalità ai diritti inviolabili dell’uomo ex art 2 della Costituzione5.

L’articolo 2 della Costituzione si pone al centro dell’intero ordinamento costituzionale. La sua finalità è quella di tutelare la persona umana integralmente: infatti la norma costituzionale non ha la funzione di riassumere i diritti espressamente tutelati; essa è definita “clausola aperta” di tutela del pieno svolgimento della persona umana. Ciò la

3Dal punto di vista storico, la configurazione di questa categoria affonda le proprie radici nelle elaborazioni della cultura giuridica tedesca. Se nell’esperienza francese fu assente un’autonoma elaborazione teorica della tutela della persona, (in Francia era il concetto di proprietà a rappresentare il baricentro culturale e giuridico dell’epoca, pertanto anche la riflessione sulle prerogative spettanti all’individuo in ordine al godimento ed alla protezione dei beni più strettamente inerenti alla persona si svolgeva in un’ottica proprietaria), la dottrina tedesca (Pandettistica), ed in particolare la corrente liberalistica, riconoscendo nuove posizioni di interesse bisognose di razionalizzazione dogmatica, elaborò la nozione di diritti della personalità, gli Individualrechte. Padri della teoria degli Individualrechte furono i giuristi Gareis, Gierke e Kohler, che guardavano l’intera tematica in un’ottica privatistica, riconoscendo autonomi diritti soggettivi sui beni incorporali. La nuova categoria si diffuse in Europa con due distinti approcci teorici: da una parte, la teoria monista, che individua un diritto generale della personalità, un unico diritto che tutela la personalità umana nel suo complesso; dall’altra, la teoria pluralista, che riconosce all’individuo singoli diritti, ciascuno posto a protezione di specifici attributi. Accogliendo la teoria monista, la protezione è generalizzata, non limitata da previsioni normative esplicite; d’altro canto, abbracciando la teoria pluralista, per quegli attribuiti della personalità che non ricevono espressamente tutela si ricorre all’interpretazione estensiva o all’analogia juris per colmare le lacune dell’ordinamento. Nel nostro ordinamento venne adottata in un primo momento la teoria pluralista, prevedendo espressamente singoli diritti. Il cambio di rotta avvenne con il riconoscimento da parte della Corte di Cassazione (Cass, 1963, n. 900, in Giust. civ., 1963, I, 1280) di un unitario diritto della personalità., in F. Morelli, Il diritto all’immagine: origini, evoluzione, tutela, 2015, pagg. 3-11; Sica e Altri, Manuale di diritto dell’informatica, 2016, Napoli, pag. 95

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Breccia e Altri, Diritto privato, 2005, Torino, Utet, pagg. 104-105

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rende “idonea ad abbracciare nel suo ambito nuovi interessi emergenti della persona”6 umana, ossia garantisce alla categoria dei diritti della personalità elasticità ed adattabilità all’evoluzione sociale, economica e politica, permettendo di dare vita, quindi protezione giuridica, anche a figure non espressamente previste da alcun testo legislativo7.

Ripercorreremo prima brevemente il percorso evolutivo dei principali diritti della personalità espressamente riconosciuti nel nostro ordinamento quali il diritto al nome e allo pseudonimo8, il diritto all’immagine9, il diritto all’identità personale, l’integrità morale10, il diritto alla riservatezza (o privacy), per poi analizzare un diritto della personalità particolarmente attuale di elaborazione giurisprudenziale11 solo di recente positivizzato con un regolamento dell’Unione europea12, che solleva non poche problematiche, ponendosi la sua protezione talvolta in contrasto con altri diritti costituzionalmente garantiti, quali in particolare i diritti alla libertà di espressione e alla libertà di informazione.

1.2 Il diritto all’identità personale

Il diritto all’identità personale, pur essendo un diritto della personalità, non è contemplato esplicitamente nella Carta fondamentale o nel Codice civile, ove invece trovano garanzia esplicita altri attributi nei quali si sostanzia l’identità personale, quali il nome13 e l’immagine14.

6

Cass., sez. I, 22 giugno 1985, n. 3769 in Lex Aquilia, allegato al n. 3, 2005, Zanichelli

7

Sica e Altri, Manuale di diritto dell’informatica, cit., pag. 95

8Artt. 6 e 7 c.c. 9Art. 10 c.c. 10

Mediante la previsione dei reati di ingiuria e di diffamazione, rispettivamente ex artt. 594 e 595 c.p.

11

C. Giustizia UE, Grande Sez., 13 maggio 2014, causa C-131/12, in http://curia.europa.eu del 3/1/2019

12Reg. 2016/679/UE 13

Il diritto al nome è riconosciuto dall’art. 6 c.c. ad ogni persona ed è mezzo di individuazione della persona fisica ed elemento che riassume con la massima semplicità la personalità individuale. La norma, che ha segnato il superamento della concezione pubblicistica del nome come semplice strumento di identificazione della persona nell’esclusivo interesse della collettività, accorda al titolare del suo diritto a fini di tutela un’azione di reclamo per reagire alla contestazione da parte di terzi del “diritto all’uso del proprio nome”, oppure un’azione di usurpazione del nome contro un uso indebito che altri ne faccia, riconoscendo al soggetto leso il diritto al risarcimento dei danni ex art. 7 c.c., in Breccia e Altri, Diritto privato, cit., pagg. 109 ss.

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L’immagine, secondo l’orientamento prevalente in dottrina, in quanto rappresentazione delle sembianze dell’individuo, costituisce uno dei modi dell’essere personale, espressione concreta della personalità; pertanto va garantito il soggetto contro un’infedele rappresentazione della sua persona attraverso l’immagine quando l’immagine sia stata “esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione” è consentita dalla legge, o qualora abbia arrecato “pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona”. Contro l’illegittima diffusione dell’immagine, così come nel caso di alterazione dell’immagine di un soggetto distorcendone le opinioni, in ogni caso precluso, innanzitutto si riconosce al soggetto leso un’azione inibitoria, con lo scopo di evitare il reiterarsi della condotta lesiva o di far cessare tempestivamente la lesione quando il fatto si svolga nel tempo e ne continuino le conseguenze dannose; nonché la possibilità di chiedere il compimento di atti idonei ad eliminare l’abuso attraverso la reintegrazione in forma specifica, che può comportare in concreto l’eliminazione di tutti i mezzi attraverso i quali l’immagine è stata diffusa; ed infine la pubblicazione della sentenza che ha accertato l’illegittimità della divulgazione dell’immagine.

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Il diritto alla identità personale è il diritto di ciascun individuo ad essere riconosciuto come sé medesimo anche socialmente e trova il suo primo riconoscimento espresso in una sentenza degli anni Settanta in cui il giudice afferma la violazione del diritto all’identità personale dei ricorrenti, riconoscendo loro il diritto a non vedere travisata la propria personalità. Infatti, nella sua enucleazione ed evoluzione è stata determinante l’opera della dottrina15 e della giurisprudenza, intenzionata a garantire tutela a quelle situazioni di fatto che le si presentavano ma che non riguardavano specificamente il diritto al nome o all’immagine16: se il giudice riconosce la tutela per l’utilizzo abusivo dell’immagine ai sensi dell’articolo 10 del Codice civile, la peculiarità della pronuncia consiste nell’accordare tutela ad interessi diversi ed ulteriori rispetto al diritto all’immagine, in quanto attinenti alle idee, ritenuti meritevoli di tutela.

Un importante contributo alla definizione del diritto all’identità personale17 deriva da una sentenza della Cassazione in cui emerge chiaramente come la sua tutela sia strettamente collegata al nome e all’immagine, ma sia da essi distinta.

Ivi si afferma che la tutela del diritto al nome non può ritenersi “ristretta all’ipotesi di usurpazione o a quella di scambio o confusione tra persone, in quanto”, costituendo “il nome il simbolo dell’intera personalità morale, intellettuale e sociale dell’individuo,

Ancora, da un uso abusivo dell’immagine altrui nasce un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, per cui al soggetto leso può essere accordato il risarcimento del danno.

Quanto al danno patrimoniale, il soggetto che assume di aver subìto il danno -sul quale grava l’onere della prova- dovrà provare che il proprio ritratto presenta un interesse per i terzi tale da ottenere un corrispettivo per il suo utilizzo. Ad esempio, è illecita la riproduzione dell’immagine di un personaggio celebre a fini pubblicitari senza il previo consenso del soggetto interessato: il danno è ricollegabile in tal caso all’impossibilità di fare uso del proprio ritratto a fini pubblicitari, essendo stato utilizzato da altri, nonché alla riduzione del suo valore commerciale. (così Cass., sez. I, 6 febbraio 1993, n. 1503: il caso traeva origine dall’uso a fini pubblicitari di una nota fotografia che ritraeva i due campioni di ciclismo Bartali e Coppi senza il loro consenso) Nella quantificazione del danno si dovrà tenere conto ex art. 1223 c.c. tanto del danno emergente che del lucro cessante, e per la cui determinazione si fa ricorso al criterio del cd. prezzo del consenso, (Trib. Torino, 2 aprile 1956, in Riv. Dir. Ind., 1956, II, pag. 261, in F. Morelli, Il diritto all’immagine, cit., pag. 33) valutando il corrispettivo che verosimilmente la persona lesa avrebbe potuto ottenere dallo sfruttamento economico della propria immagine. La Suprema Corte (Cass. 2 maggio 1991, n. 4785, in Foro it., 1992, I, pagg. 831 ss. del 10/2/2019) ha configurato dunque l’esistenza di un diritto patrimoniale assoluto sulla propria effige. Quanto al risarcimento del danno non patrimoniale, ossia il “danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica”, (Cass. Sez. unite, 2008, n. 26972, in Giust.civ., 2009, I, 913) esso è ammesso per le offese a diritti inviolabili della persona di rilievo costituzionale “in virtù dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c.”. (Cass. Sez. III, 2003, n. 8827 e 8828, in Giur. It., 2004 in F. Morelli, Il diritto all’immagine: origini, evoluzione, tutela, 2015, pag. 33)

15 A. De Cupis, Il diritto all’identità personale, Giuffrè Editore, 1949

16 Pretura Roma, 6 maggio 1974, in F. Morelli, Il diritto all’immagine, cit., pag. 70: il ricorso di un uomo

ed una donna riguardava l’illecito utilizzo, in quanto privo di consenso, della loro immagine raffigurata in una fotografia in un manifesto di propaganda a sostegno del no al referendum sul divorzio, posizione opposta a quella sostenuta dai due soggetti raffigurati

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Cass., 1985, n. 3769, cit.: il cd. “caso Veronesi”: i ricorrenti - l’Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori e il suo direttore prof. Veronesi- assumevano la lesione della reputazione e dell’immagine dell’Istituto -impegnato allo “scopo non solo di curare gli ammalati di cancro, ma anche di svolgere opera di prevenzione contro la malattia” - a seguito della pubblicazione sulla” stampa periodica di un inserto di pubblicità per promuovere la vendita di una marca di sigarette” che riportava una frase pronunciata dal prof. Veronesi secondo cui queste sigarette sarebbe meno nocive per la salute; i ricorrenti deducevano la “violazione del diritto all’intangibilità” della personalità morale e del nome del prof. Veronesi, e chiedevano la riparazione.

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anche nella sua proiezione esterna e nell’immagine che la persona offre di sé alla collettività, deve considerarsi illecito l’uso del nome altrui” quando, a prescindere da un’offesa al decoro e alla reputazione, sia “tale da incidere negativamente sulla personalità del soggetto” che con esso si identifica18.

Stessa tutela viene accordata alle persone giuridiche, anch’esse portatrici di una “propria immagine sociale nell’ambito della realtà sociale nel cui contesto operano”, che può subire un pregiudizio “nella considerazione di cui gode presso i terzi a causa di un uso illecito dell’immagine che si ricollega” al nome19.

Tuttavia, a differenza di quella parte della dottrina che riteneva il diritto all’identità personale estensione degli altri due diritti, perciò tutelabile ricorrendo alle norme ad essi riferibili, la giurisprudenza della Cassazione20 precisa che tra i diritti in questione non vi è coincidenza, identificando il nome “il soggetto sul piano dell’esistenza materiale e della condizione civile e legale, ed evocando l’immagine le mere sembianze fisiche della persona”21, rappresentando invece “l’identità una formula sintetica che contraddistingue il soggetto da un punto di vista globale nella molteplicità delle sue specifiche caratteristiche e manifestazioni morali, sociali, politiche, intellettuali”, professionali22. Pertanto, l’identità personale va oltre l’identità fisica del soggetto: contempla altresì il profilo ideale della persona proiettato nel contesto delle relazioni sociali23, e si estrinseca in un generale diritto, distinto dal diritto al nome e più ampio del diritto all’immagine. Dunque, “il diritto all’identità personale mira a garantire la fedele e completa rappresentazione della personalità individuale del soggetto nell’ambito della comunità in cui tale personalità individuale”24 si è espressa.

L’identità personale, bene essenziale, fondamentale e qualificante della persona, si configura quindi da un lato come “freedom from, consistente nel diritto a non veder travisata l’immagine che si ha di sé”, dall’altro come “freedom to, ossia il diritto di partecipare alla costruzione e alla tutela della propria identità nel contesto delle relazioni sociali in cui si è calati”25.

Quanto alla sua tutela, in mancanza di una formalizzazione del diritto all’identità personale26, il suo fondamento giuridico si rinviene nell’articolo 2 della Costituzione, fulcro della tutela dei diritti della personalità, come abbiamo visto clausola aperta idonea a tutelare interessi emergenti della persona.

Il soggetto leso può rivolgersi al giudice per chiedere la cessazione del fatto lesivo, il riconoscimento del risarcimento del danno, nonché l’ordine di pubblicazione della

18

Cass., 1985, n. 3769, cit.

19 Cass., 1985, n. 3769, cit. 20 Cass., 1985, n. 3769, cit.

21Si tratterebbe “di alterare in sede interpretativa il contenuto normativo dell’art. 7 c.c. e dell’art. 10 c.c.

oltre i limiti consenti dallo strumento dell’interpretazione estensiva e di quella evolutiva, di attribuire alle due norme una portata innovativa incompatibile con la loro struttura e con la ratio legislativa di entrambe”.

22 Cass., 1985, n. 3769, cit. 23

Sica e Altri, Manuale di diritto dell’informatica, cit., pag. 96

24

Cass., 1985, n. 3769, cit.

25 M. G. Stanzione, Il nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati personali: genesi e ambito di

applicazione, in Comparazione e diritto civile, Vol. giugno 2016, pagg.1-16

26Il diritto all’identità personale, come abbiamo visto di creazione giurisprudenziale, è positivizzato per la

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sentenza ex art. 120 c.p.c.; inoltre, “se la lesione è arrecata a mezzo stampa” può ottenere “la pubblicazione di una rettifica dello scritto giudicato lesivo”27.

Il diritto all’identità personale va distinto anche dal diritto alla riservatezza28: se “il primo assicura la fedele rappresentazione alla propria proiezione sociale, il secondo mira a garantire la non rappresentazione all’esterno delle proprie vicende personali non aventi per i terzi un interesse socialmente” apprezzabile29.

1.3 La tutela dell’onore e della reputazione

Al diritto all’identità personale si ricollega la tutela dell’integrità morale della persona, rappresentata dal riferimento all’onore, al decoro e alla reputazione.

Ai fini dello svolgimento della sua personalità, sia nella dimensione individuale che sociale30, all’uomo deve essere garantito il rispetto della sua dignità31. Ricorrendo all’articolo 3 della Carta fondamentale32, la Corte Costituzionale ha ricondotto “il diritto all’onore, che traduce in termini giuridici il valore essenziale dell’insopprimibile dignità dell’individuo”, nell’ambito dei “diritti inviolabili dell’uomo garantiti dalla Costituzione”33. Nel delineare il diritto all’onore è bene sottolineare in via preliminare la sua autonomia concettuale rispetto al diritto all’immagine, il che emerge anche dalla lettura dell’articolo 10 del Codice Civile, il quale colpisce l’illegittima esposizione o pubblicazione dell’immagine indipendentemente “dal pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona ritratta”34.

Non si esclude d’altra parte lo stretto legame che sussiste tra tutela dell’immagine e tutela dell’onore, ed in caso di violazione di entrambi (lesione della reputazione mediante condotta abusiva in riferimento all’immagine), si riconosce il risarcimento del danno patrimoniale indiretto consistente nel mancato conseguimento di utilità patrimoniali collegate alla reputazione personale35; inoltre, l’articolo 97, 2 comma della Legge 633 del 1941 consente di esercitare l’azione inibitoria “quando l’esposizione, la pubblicazione o la messa in commercio dell’immagine rechino pregiudizio all’onore e al decoro o alla reputazione della persona o dei suoi più stretti congiunti”.

Le nozioni di onore e reputazione sono state elaborate in un primo momento dalla dottrina penalistica, e definiti rispettivamente come l’integrità morale di ciascun uomo, l’onore, e come la considerazione di cui il soggetto gode presso la comunità, nell’ambiente sociale in cui vive ed opera, la reputazione.

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Art. 42, L. 1981, n. 416

28Cass., 1985, n. 3769, cit.

29 Cass. 27 maggio 1975, n. 2129, in Foro it., 1976, I, c. 2895 30

Art. 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”

31Art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale” 32

A. Bevere, A. Cerri, Il diritto di informazione e i diritti della persona, Giuffrè Editore, 2006

33Corte Cost., 1973, n. 38, cit. 34

Art. 10 c.c.: “Qualora l’imagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni”

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L’onore e la reputazione hanno trovato un primo riconoscimento nelle norme che disciplinano i delitti di ingiuria e di diffamazione, rispettivamente gli articoli 594 e 595 del Codice penale. Considerata la rilevanza dei diritti in gioco, è stata prevista una tutela di carattere penale.

Tuttavia, con la depenalizzazione ad opera del Decreto legislativo 7 del 201636del delitto di ingiuria, il quale prevedeva la pena della reclusione o la multa per “chi offende l’onore o il decoro di una persona” presente37, la condotta lesiva non configura più un reato, bensì un illecito civile38.

L’articolo 595 c.p. tutela dalla diffamazione, punendo con la reclusione o la multa “chiunque offende l’altrui reputazione comunicando con più persone”; le pene vengono aumentate progressivamente in caso di “attribuzione di un fatto determinato”, nonché laddove l’offesa sia “arrecata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico”.

Gli elementi costitutivi di questo reato sono: l’offesa alla reputazione altrui, intesa come l’”opinione o stima di cui l’individuo gode in seno alla società per carattere, ingegno, abilità professionale, ed anche qualità fisiche o altri attributi personali”; l’assenza della persona offesa; il fatto che il messaggio a contenuto diffamatorio venga veicolato comunicando con più persone. Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, affinché si configuri il delitto in questione è richiesto il dolo specifico, l’animus iniurandi; tuttavia, la dottrina più recente reputa sufficiente il dolo generico o il dolo eventuale, ossia la consapevolezza da parte del soggetto dell’offensività dell’azione posta in essere.

In un secondo tempo, dottrina e giurisprudenza hanno tracciato una diversa e più ampia definizione del diritto all’onore e alla reputazione sul piano civilistico, prendendo le mosse dall’articolo 2 della Costituzione, e hanno precisato la portata dei rimedi in caso di violazione.

L’onore è inteso come la percezione interiore e psichica della persona in rapporto al proprio valore. La reputazione è definita come rappresentazione esteriore della personalità di un soggetto in relazione ad un gruppo di consociati.

I rimedi civilistici posti a tutela di tali diritti della personalità garantiscono un differente e autonomo ambito di tutela, anche in casi diversi da quelli di rilevanza penale.

In primo luogo, attraverso la funzione preventiva garantita dall’azione inibitoria, è possibile richiedere all’autorità giudiziaria competente di disporre la rimozione dei contenuti ingiuriosi e/o diffamatori, subordinando eventualmente all’inerzia della parte soccombente l’attivazione di una misura coercitiva indiretta ex articolo 614 bis c.p.c..39 Il danneggiato può altresì ricorrere al rimedio del risarcimento del danno ex articolo 2043 c.c. al fine di ottenere la compensazione della perdita patrimoniale subìta a seguito della lesione, nonché il risarcimento del danno non patrimoniale ex articolo 2059 c.c. per la

36D. lgs., 15 gennaio 2016, n. 7 37

Art. 594 c.p., 1 c.

38

Ne consegue che nel caso in cui un soggetto sia vittima di una condotta che integra gli estremi dell’ingiuria, non potrà più rivolgersi al giudice penale ma potrà solo chiedere in sede civile il risarcimento del danno. L’eventuale sentenza di condanna, in seguito alla depenalizzazione, deve essere annullata perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, fatto salvo il diritto del danneggiato di agire in sede civile per il risarcimento del danno.

39

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14

lesione di diritti e valori costituzionalmente garantiti40: si è parlato in proposito di “danno esistenziale per lesione della reputazione”41. Inoltre, su richiesta dell’istante, il giudice può disporre la misura della pubblicazione della sentenza di condanna ai sensi dell’articolo 120 c.p.c.42.

1.4 Il diritto alla riservatezza

Tra i diritti della personalità un ruolo importante spetta al diritto alla riservatezza, incluso43 insieme al diritto all’intimità tra i diritti inviolabili dell’uomo. Quanto alle sue origini, il diritto alla riservatezza affonda le sue radici nel mondo anglosassone del XIX secolo, teorizzato come “right to be let alone” da due avvocati americani44, Samuel D. Warren e Louis D. Brandeis45. I due, percependo certe iniziative giornalistiche come invasive dei naturali confini della vita privata e domestica, e causa di danni e sofferenze psicologiche, concepirono il “diritto a essere lasciati soli”, invocando il rispetto per la sfera privata e la riservatezza, esaltando perciò l’indispensabilità della solitudine e del riserbo46. Tuttavia, per circa sessant’anni i tribunali degli Stati Uniti esitarono nella sua applicazione. Ciò fino agli anni Sessanta, quando, in contemporanea con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, un altro giurista, Dean William Prosser47, sistematizzò il concetto di Privacy, facendo riferimento a quattro categorie: “penetrare in uno spazio chiuso”; “rivelare in pubblico fatti privati; mettere qualcuno in cattiva luce”; “appropriarsi a fini commerciali del nome o dell’immagine di un privato senza che questi abbia dato il suo consenso”48. Tale ricostruzione per cui la privacy veniva fatta coincidere con uno spazio della vita dal quale il soggetto aveva il diritto di tenere esclusi gli altri, a loro volta vincolati a rispettarne l’individualità, venne però presto abbandonata.

Nel nostro ordinamento mancava una protezione espressa in termini generali di un diritto al rispetto della vita privata in sé indipendentemente dalla lesione del decoro, dell’onore e

40 Trib. Monza, 3 marzo 2010, in Sica e Altri, Manuale di diritto dell’informatica, cit., pag. 121 41

Cassano, Sgroi, La diffamazione civile e penale, 2010, Giuffrè ed., pagg. 30 ss.

42Sica e Altri, Manuale di diritto dell’informatica, cit., pag. 128 43 Corte Cost., 1973, n. 38, cit.

44

Rodotà riferisce tuttavia che ancor prima, a metà dell’Ottocento, lo scrittore R. Kerr aveva fatto cenno ad un “diritto ad essere lasciato solo”, ritenendo fulcro della privacy il rispetto reciproco e l’intimità”., in Rodotà, Privacy, libertà, dignità in Discorso conclusivo della 26a Conferenza Internazionale sulla Privacy

e sulla Protezione dei Dati Personali, Wroclaw (PL), 14, 15, 16 settembre 2004 in www.privacy.it del 11/2/2019

45

Warren, Brandeis, The right to privacy, Boston, dicembre 1890, in Harvard Law Review, in groups.csail.mit.edu del 5/12/2019

46

“D’altro canto, la frenesia e la complessità della vita, che accompagnano il progredire della civiltà, hanno reso necessario un certo ritiro dal mondo, e l’uomo, raffinato dall’influsso della cultura, è divenuto più sensibile alla pubblicità, in modo che la solitudine e il riserbo gli sono diventati indispensabili, mentre le iniziative moderne e le invenzioni, tramite l’invasione della sua vita privata, gli hanno causato danni e sofferenze psicologiche di gran lunga peggiori di quelle che possono essere inflitte per mezzo di una aggressione fisica.”, in Warren, Brandeis, The right to privacy, cit.

47 Prosser, California Law Review, 383, 1960, in https://scholarship.law.berkeley.edu/californialawreview

del 24/3/2019

48

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della reputazione della persona; e mancavano previsioni di strumenti normativi posti espressamente a tutela di un generale diritto alla riservatezza, al di là delle sporadiche disposizioni normative che ne individuavano occasionalmente o indirettamente la rilevanza49.

In questo contesto, il problema di un’affermazione della garanzia del rispetto della vita privata da ingerenze altrui si è posto all’attenzione della giurisprudenza, in particolare in relazione all’ammissibilità di una tutela risarcitoria contro la divulgazione di fatti o vicende della vita privata di persone famose, quindi particolarmente esposte all’interesse del pubblico50.

Inizialmente la giurisprudenza negò espressamente l’esistenza di un diritto alla riservatezza51,di conseguenza negò il risarcimento del danno, affermando esplicitamente che “l’aspirazione alla privatezza non riceve protezione” nel nostro ordinamento, e suggerendo a chi non volesse essere soggetto a invasioni nella propria vita privata “di condurre una vita claustrale”52. Ciò, nonostante la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali del 1950, ratificata dall’Italia nel 1955 con la legge n. 484, affermasse (già) il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Bisogna attendere la metà degli anni Settanta perché il diritto alla riservatezza venga accolto nel nostro ordinamento come diritto fondamentale dell’uomo e riceva perciò tutela. A questo risultato si giunse grazie all’apporto di dottrina e giurisprudenza53.

Infatti, la Corte Costituzionale incluse “il diritto alla riservatezza e all’intimità tra i diritti inviolabili dell’uomo”54, e la Corte di Cassazione sancì nella nota sentenza n. 2129 del 1975, - cui la dottrina attribuisce il valore di leading precedent, - l’esistenza di un diritto

49Ad esempio gli artt. 14 e 15 Cost.: La Carta fondamentale tutela l’”inviolabilità del domicilio” e la

“libertà e segretezza della corrispondenza”; l’articolo 615 bis, 2 comma del Codice penale, rubricato “Interferenze illecite nella vita privata”, punisce “chiunque riveli o diffonda al pubblico, mediante qualsiasi mezzo di informazione, notizie o immagini attinenti alla vita privata ottenute indebitamente mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora”; o ancora alle norme contenute nello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970, in particolare artt. 4, 5, 6, 2 c., 8) volte a proteggere la riservatezza del lavoratore subordinato, al quale veniva riconosciuto il diritto di non essere sorvegliato e di non essere oggetto di controlli da parte del datore di lavoro “sulle opinioni politiche, religiose o sindacali, nonché su fatti non rilevanti ai fini dell’attitudine professionale del lavoratore”.

50

Breccia e Altri, Diritto privato, cit., pag. 111

51

Cass., Sez. I, 22 dicembre 1956 n. 4487, in Foro it., 1957, I, 4: cd. “caso Caruso”: il giudizio era stato promosso dagli eredi di un noto tenore, i quali chiedevano in virtù del rispetto della riservatezza la condanna della casa cinematrografica produttrice di un film a lui dedicato per aver toccato aspetti privati della sua vita.

52Cass., n. 4487/’56, cit. 53

Breccia e Altri, Diritto privato, cit., pag. 111. Già la giurisprudenza di merito aveva sancito il “divieto di qualsiasi ingerenza estranea nella sfera della vita privata della persona e di qualsiasi indiscrezione da parte di terzi, su quei fatti o comportamenti personali che, non pubblici per loro natura, non sono destinati alla pubblicità delle persone che essi riguardano” (Trib. Roma 14 settembre 1953, in primo grado sul “caso Caruso”); analogamente, Corte d’Appello, Milano, 21 gennaio 1955 e Corte d’Appello, Milano, 26 agosto 1960, entrambe sul caso originato dai familiari di Claretta Petacci, con cui Mussolini ebbe una relazione, i quali si dolevano della violazione della privacy della donna a causa del contenuto di un libro; ancora, Cass., 20 aprile 1963, n. 990, in Foro it., 1963, 2, 877, in cui il diritto alla riservatezza veniva ricondotto all’“autodeterminazione della (propria) personalità”.

54

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16

della persona alla riservatezza55, meritevole di “tutela contro ingerenze non giustificate da interessi pubblici” preminenti, “anche se compiute con mezzi leciti, per scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l’onore, la reputazione o il decoro”56. Inoltre, la tutela delle situazioni e vicende “strettamente personali e familiari” che “non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile” viene riconosciuta anche fuori del domicilio domestico57.

Le norme nelle quali la Corte individua il fondamento del diritto alla riservatezza sono gli articoli 2 e 3 della Costituzione e gli articoli 8 e 10 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali.

Un simile approccio volto ad assicurare tutela all’individuo rispetto ad ingerenze nella propria vita frutto di un ingiustificato trattamento dei dati personali si riscontra in una serie di pronunce della Corte di Strasburgo.

Essa infatti, mediante una interpretazione estensiva dell’articolo 8 CEDU, dichiara58 che nell’ambito della tutela vanno ricomprese anche le informazioni inerenti alla vita privata. Nell’ambito della vita privata ex articolo 8 CEDU la Corte giunge59 poi a ricomprendere anche le attività esercizio dell’attività professionale o imprenditoriale, affermando che in tale nozione vadano ricomprese anche le occasioni in cui l’individuo stabilisce e sviluppa relazioni sociali.

D’altro canto quella di “vita privata” viene definita dalla Corte stessa60 come nozione non suscettibile di esaustiva definizione.

Altra svolta nella configurazione del diritto alla riservatezza fu avviata per rispondere alle esigenze emergenti dagli effetti della rivoluzione informatica e di quella telematica. Dagli anni Settanta in poi, la diffusione dell’impiego della tecnologia informatica, progressivamente sempre più pregnante, ha imposto la delicata questione del rischio di lesioni dei diritti della personalità dell’individuo legati alla circolazione e diffusione dei dati personali e delle informazioni, in primis della riservatezza.

Rodotà fu tra i primi ad intuire61 sin da allora il cambiamento che la rivoluzione tecnologica, dei computer, poi della rete e dei social network avrebbe avviato62, e avvertiva circa il rischio che la disponibilità dei nuovi strumenti, oltre a regalare

55 Cass., Sez. I, 27 maggio 1975 n. 2129, in Foro it., 1976, I, 2895: il “caso Soraya” era relativo ad una

controversia instaurata dall’ex imperatrice Soraya Esfandiari contro alcuni giornali per la pubblicazione di fotografie che la ritraevano in atteggiamenti intimi nelle mura della sua abitazione.

56Cass., 1975, n. 2129, cit. 57

Si parla di domicilio “ideale”, in Cass., 1975, n. 2129, cit.

58

C.EDU, 26 marzo 1987, “Leander contro Svezia”, in https://swarb.co.uk/leander-v-sweden-ECHR-26-Mar-1987/ del 25/5/2019: il caso traeva origine da un ricorso contro la registrazione da parte di organi dello Stato di informazioni relative alla vita privata del ricorrente, a prescindere dall’effettivo utilizzo di esse.

59C.EDU, 16 dicembre 1992, “Niemietz contro Germania”: il caso era stato sollevato a seguito di

un’ispezione nello studio di un avvocato nel contesto di un procedimento penale nei confronti di un terzo.

60

C.EDU, 6 febbraio 2001, Bensaid contro Regno Unito, in https://ecitydoc.com/download/bensaid-c-regno-unito_pdf del 29/5/2019

61

Barra Caracciolo, La tutela della personalità in internet, in Dir. inf., 2018, pagg. 201 ss.

62

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17

all’uomo una enorme libertà, lo avrebbe reso al contempo un “uomo di vetro”, “sottoposto ad infiniti sguardi indiscreti” altrui63.

Affermava pertanto la necessità di affiancare alla (mera) difesa “statica” dei diritti della personalità, affidata ai tradizionali mezzi risarcitori ed ai provvedimenti d’urgenza di natura inibitoria e sequestro quando consentiti64, una difesa “attiva”, riconoscendo all’individuo un “diritto all’autodeterminazione informativa”, consistente nel diritto di disporre e di mantenere il controllo sulle proprie informazioni personali.

Ciò segna il passaggio dalla concezione di una tutela della riservatezza statica e negativa, volta ad escludere interferenze altrui in virtù di una protezione dei dati personali dell’individuo, a quella di una “tutela dinamica”, che conferisce al suo titolare poteri di controllo sull’utilizzo e sul destino di essi65, allo scopo di (permettergli di) sviluppare liberamente la propria personalità e di agire in piena autonomia66.

L’autodeterminazione informativa diviene così “precondizione per l’esercizio di altri diritti e libertà fondamentali”67.

Tale concezione dinamica della tutela è oggi rimarcata anche nel Regolamento 2016/679/UE con riferimento al diritto alla protezione dei dati68 personali69.

Negli anni successivi dottrina e giurisprudenza si sono occupate delle problematiche relative alla riservatezza, aumentate parallelamente ed in conseguenza del moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione70.

In una “realtà caratterizzata da un controllo permanente, ovvero di sempre maggiore ed indiscriminata identificazione ed identificabilità dei singoli”71, la difesa della privacy “necessita di un uso della tecnologia razionale e razionalizzato anche da parte di norme giuridiche”72: “senza una forte tutela del “corpo elettronico”, ossia dell’insieme delle informazioni raccolte sugli individui”, la stessa “libertà personale è in pericolo”73. Pertanto, nell’ottica di tutela degli individui, è necessaria la costruzione di un “sistema di diritti”74.

In tale direzione va la Carta dei Diritti in Internet, redatta a cura di Rodotà ed approvata dalla Camera dei Deputati nel 2015, testo normativo che intende regolare alcuni rilevanti aspetti della materia, in un’ottica di tutela delle libertà individuali e collettive (tra cui la

63S. Rodotà, La vita e le regole: tra diritto e non diritto, 2006, Feltrinelli Editore 64

Barra Caracciolo, La tutela, cit., pagg. 201 ss.

65

S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, cit., pag. 397

66 S. Rodotà, Privacy, libertà, dignità, cit.

67Ad esempio, “la tutela dei dati sulle opinioni diventa una premessa per esercitare la libertà di espressione,

comunicazione, associazione, culto”., in Rodotà, Privacy, libertà, dignità, cit.

68

In ambito sovranazionale, il diritto alla protezione dei dati personali è stato introdotto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea dall’articolo 8; ed è sancito anche all’articolo 16 TFUE par. 1, che attribuisce ad ogni persona il diritto alla protezione dei propri dati personali.

69

“Right to the protection of personal data” in Reg. 2016/679/UE

70

Sui problemi legati al delicato bilanciamento tra diritto alla vita privata e diritto di cronaca v. par. 2.3

71 S. Rodotà, Tecnopolitica, Laterza, 1997

72 S. Rodotà, Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli, Roma-Bari, 2014 , pagg. 61 ss. 73

S. Rodotà, Privacy, libertà, dignità, cit.

74

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sicurezza della privacy e il diritto all’oblio), che pur non avendo carattere vincolante, si pone come importante punto di riferimento per una discussione istituzionale sul tema.

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19 2. Informazioni online

2.1 Introduzione

Come abbiamo visto, il sistema dei diritti della personalità ha affrontato un complesso percorso evolutivo, e negli ultimi decenni ha dovuto fare i conti con la grande rivoluzione del nostro tempo, la tecnologia. Tramite Internet è possibile raccogliere, archiviare, scambiare e diffondere informazioni, notizie, dati e opinioni quasi senza limiti spaziali e temporali. È sufficiente accedere ad un qualsiasi motore di ricerca e digitare un nome, una data o un’espressione relativa ad un soggetto o ad un fatto, che mediante i meccanismi automatici di indicizzazione, le search engine technologies, si ricevono nell’immediato tutte le informazioni ad esso correlate.

Il pervasivo impiego della tecnologia ha imposto e impone ogni giorno agli interpreti nuove problematiche circa l’efficacia ed effettività della tutela di diritti e valori della persona che godono di protezione costituzionale, quali i diritti alla riservatezza, alla segretezza delle comunicazioni, alla protezione dei dati personali, all’onore e alla reputazione.

La sempre maggiore esposizione dell’immagine digitale75, intesa non solo come raffigurazione delle sembianze fisiche ma anche come proiezione esteriore della personalità del soggetto raffigurato attraverso il web, comporta l’esigenza di proteggere la “forma interiore” individuale attraverso la limitazione della libertà dei terzi di disporre della forma esteriore e dei dati76 appartenenti all’individuo77.

A tal proposito, è utile ai nostri fini distinguere il caso in cui la comunicazione e diffusione di informazioni in rete sia opera di privati o avvenga comunque in via non professionale, dal caso in cui la comunicazione e diffusione di notizie costituisca esercizio dell’attività professionale.

2.1.1 Informazioni e dati personali immessi in rete da privati. Problematiche

Quanto al primo caso, con l’imporsi della tecnologia nella nostra vita quotidiana la raccolta e la condivisione dei dati è aumentata nel tempo in modo significativo, e spesso sono gli stessi privati a rendere pubbliche le proprie informazioni personali78.

Il mondo della rete è stato autorevolmente definito come “il più grande spazio pubblico che l’umanità abbia mai conosciuto”79, ed Internet è anche il prodotto dell’attività di un

75 Lo sviluppo tecnologico ed informatico ha condotto all’elaborazione della figura di identità digitale., in

L. 2013, n. 119, in www.altalex.com del 30/3/2019 codificata nel Codice penale con il D.L. n. 93 del 2014, convertito nella L. n. 19 del 2014

76De Vita, sub art.10, Delle persone fisiche, in Scialoja e Branca, Comm. Cod. civ. Bologna-Roma, 1988 77 La Relazione alla “Proposta di Regolamento” ossia il “Nuovo Pacchetto europeo sulla protezione dei

dati personali” del 2012: “Le nuove tecnologie non hanno trasformato solo l’economia ma anche le relazioni sociali. Instaurare un clima di fiducia negli ambienti online è fondamentale per lo sviluppo economico. La mancanza di fiducia frena i consumatori dall’acquistare online e utilizzare nuovi servizi”.

78Cons. 6, “Proposta di Regolamento concernente la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento

dei dati personali e la libera circolazione di tali dati” del Consiglio dell’Unione Europea, ossia il “Nuovo Pacchetto europeo sulla protezione dei dati personali” del 2012, 8 aprile 2016, in www.eur-lex.europa.eu del 19/4/2019

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numero sterminato di persone, “che ne rivendicano la partecipazione80 come strumento di realizzazione personale”,81 in quella che potrebbe definirsi una “corsa senza freni ad una qualsiasi presenza pubblica”82: è l’“era dello user-genereted content”83.

Tratti caratterizzanti il c.d. web 2.084 sono la pubblicazione, la partecipazione, la personalizzazione. Gli utenti hanno un ruolo attivo: possono aprire e tenere un blog, pubblicare e condividere foto (ad esempio Flickr) e video (ad esempio YouTube), votare i contenuti immessi in rete, oppure costruire virtualmente comunità di utenti superando le limitazioni del tempo e dello spazio (ad esempio Facebook e Linkedin).

L’esercizio del diritto alla libera manifestazione del pensiero sancito costituzionalmente dall’art. 21, accordando ad ogni individuo libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e di rendere pubbliche informazioni sugli individui, nonchè il diritto di satira e libera creazione artistica85, può rivelarsi in concreto lesivo di diritti della personalità, i quali godono di protezione costituzionale.

Si pone pertanto il problema di operare di volta in volta un bilanciamento tra diritti umani di pari rango dei gestori delle piattaforme, dei loro utilizzatori e dei danneggiati.

Fuor di ogni dubbio è che i diritti della personalità debbano essere tutelati dalla comunicazione e diffusione di contenuti e scritti denigratori lesivi, dei quali risponde del reato di diffamazione aggravata l’intestatario del profilo sul social network utilizzato in fase di upload del contenuto, anche quando non sia possibile giungere ad un’univoca identificabilità del soggetto che ha elaborato tali scritti86.Anche laddove la veicolazione87

79 S. Rodotà, Il mondo della rete, cit. 80 S. Rodotà, Il mondo nella rete, cit., 61 ss. 81

Art 6 Reg. 2016/679/UE: “La portata della condivisione e della raccolta di dati personali è aumentata in modo significativo. (...) Sempre più spesso, le persone fisiche rendono disponibili al pubblico su scala mondiale informazioni personali che li riguardano.”

82

S. Rodotà, Il mondo nella rete, cit., 61 ss.

83

Per UGC si intende qualsiasi contenuto -video, foto, post, file, audio- creato dagli utenti della rete e pubblicato su internet.

84 G. M. Riccio, Social networks e responsabilità civile, cit., pagg. 859 ss.  85Art. 33 Cost.: “l’arte e la scienza sono libere”

86

G.i.p. Trib. Livorno, 31 dicembre 2012, in www.lawyersonweb.it/ del 15/2/2019: il caso riguardava la pubblicazione sul social network Facebook di messaggi offensivi nei confronti del centro estetico gestito a Livorno dal querelante: “L’uso di espressioni di valenza denigratoria e lesiva della reputazione del profilo professionale della parte civile integra sicuramente gli estremi della diffamazione alla luce del detto carattere pubblico del contesto in cui quelle espressioni sono manifestate, della sua conoscenza da parte di più persone e della possibile sua incontrollata diffusione tra i partecipanti alla rete del social network. Lo specifico episodio in trattazione va più esattamente qualificato come delitto di diffamazione aggravato dall’avere arrecato l’offesa con un mezzo di pubblicità (fattispecie considerata al terzo comma dell’art. 595 c.p. e equiparata, sotto il profilo sanzionatorio, alla diffamazione commessa con il mezzo stampa)”; Cass. pen. sez. V, 7 maggio 2014, n. 18887: per la Suprema Corte la denuncia di furto delle credenziali di autenticazione del profilo Facebook per far ricadere su terzi la responsabilità del reato di diffamazione commesso attraverso la pubblicazione di messaggi offensivi diffusi attraverso il proprio account non è sufficiente a elidere l’antigiuridicità della condotta., in https://www.laleggepertutti.it/ del 3/3/2019

87Sul problema dell’individuazione della giurisdizione e della competenza per l’illecito trattamento dei dati

personali quando condotta ed evento non sono unici nel luogo e nel tempo, si è stabilito (Trib. Milano, 4 gennaio 2017) che occorre far riferimento al centro di interessi prevalente della persona e quindi alla sua residenza o domicilio, e che il momento di verificazione dell’illecito va individuato in quello in cui è stato

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di contenuti lesivi avvenga nel contesto di una conversazione virtuale privata (mediante invio di messaggi ad un unico destinatario) potrebbe configurarsi un’ipotesi di ingiuria88. 2.1.2 Il regime di (ir)responsabilità degli hosting providers in relazione ad

informazioni illecite immesse in rete dagli utenti. La Direttiva 2000/31/UE

Una prima questione di fondamentale importanza al riguardo attiene alle piattaforme

online che offrono servizi di hosting, ossia di archiviazione e memorizzazione di dati, i

c.d. hosting providers89, così come coloro che forniscono servizi di accesso alla rete e di memorizzazione temporanea90.

Il regime vigente nell’Unione Europea, contenuto nella Direttiva 2000/31/UE che ha recepito il modello statunitense, è incentrato su un regime di responsabilità civile del prestatore dei servizi di hosting subordinata all’effettiva conoscenza da parte dell’intermediario dell’illecito perpetrato tramite i propri servizi91,  e sul divieto di obblighi generali di sorveglianza92 in capo ad essi.93 

Più precisamente, la normativa europea prevede l’esclusione da responsabilità per gli

hosting providers, nonché il divieto di imporre agli intermediari dei servizi di base di Internet94 obblighi generali di sorveglianza e/o di ricerca di fatti o di circostanze che possano indicare la commissione di fatti illeciti95. Alla regola generale si deroga nelle ipotesi in cui l’hosting provider sia divenuto in qualche modo partecipe dell’illiceità, essendo stato messo a conoscenza del contenuto illecito ma non essendosi curato di rimuoverlo prontamente96.

interrogato il motore di ricerca tramite nome e cognome del soggetto cui appartengono i dati trattati in violazione della normativa., in Barra Caracciolo, La tutela, cit., pagg. 201 ss.

88

Non configurandosi la fattispecie del reato di diffamazione nel caso di pubblicazione in una sezione ad accesso limitato del profilo Facebook di post in assenza dell’elemento della comunicazione a terzi., (Trib. Gela, 23 novembre 2011), in www.amministrazioneincammino.luiss.it/2014/05/15/ del 10/2/2019

89

Ad esempio YouTube, Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat

90

Petruso, Responsabilità delle piattaforme online, oscuramento di siti web e libertà di espressione nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo, in Dir. inf., 2018, pagg. 511 ss.

91

Digital Millennium Copyright Act (DMCA), 1998, sez. 512 (c)

92Digital Millennium Copyright Act (DMCA), 1998, sez. 512 (m) 93 Petruso, Responsabilità delle piattaforme, cit., pagg. 511 ss. 94

Fornitori di servizi di accesso, di memorizzazione temporanea e di memorizzazione permanente

95Dir. 2000/31/UE, art. 15, “Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza: Nella prestazione dei servizi di

cui agli articoli 12, 13 e 14, gli Stati membri non impongono ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite”

96

Dir. 2000/31/UE, art. 14, 1 c., “Hosting: Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione”, o “b) non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso”

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22

2.1.3 Segue. La tendenza giurisprudenziale a circoscrivere l’irresponsabilità degli

hosting providers in relazione ad informazioni illecite immesse in rete dagli utenti

Tuttavia, i giudici nazionali, cui è stata affidata la regolamentazione di dettaglio in virtù del principio di sussidiarietà e dell’autonomia procedurale riservata agli Stati membri97, e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, interpellata in materia con lo strumento del rinvio pregiudiziale98, hanno progressivamente circoscritto il regime di irresponsabilità degli hosting providers99 ed hanno attribuito al danneggiato dalla circolazione in rete di contenuti illeciti due rimedi alternativi o cumulativi da attivare nei confronti degli intermediari di Internet: la responsabilità civile per il fatto illecito altrui100 e/o l’esperibilità di provvedimenti inibitori volti a prevenire violazioni future101.

A sollecitare nel legislatore europeo l’idea della necessità che i gestori delle piattaforme

online, considerato il ruolo centrale che esse hanno assunto nella società102, assumano maggiori responsabilità e intensifichino gli sforzi volti al contrasto dei contenuti illegali

online, in cooperazione con le autorità nazionali, gli Stati membri e i portatori d’interessi

pertinenti103, e agiscano attivamente nell’eliminazione di tali contenuti è stata la diffusione in rete di contenuti allarmanti per i valori democratici, quali incitamento al terrorismo104, istigazione ad azioni xenofobe o razziste, fomentazione dell’odio e della violenza, sfruttamento della pornografia minorile, organizzazione della tratta di esseri umani.105

Nella stessa direzione si è mossa negli ultimi anni la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali106, le cui decisioni107 hanno alimentato il dibattito circa la necessità di una revisione della Direttiva 2000/31/UE.

La prima occasione in cui la Corte di Strasburgo si è occupata del tema della responsabilità civile degli intermediari della rete per la presenza nelle piattaforme web di contenuti lesivi di diritti fondamentali dell’individuo è stato il “caso Delfi contro Estonia108. In particolare, la questione era stata sollevata in merito alla pronuncia del

97TUE, art. 19: “gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela

giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione ”

98

V. art. 276 TFUE

99Petruso, Responsabilità delle piattaforme, cit., pagg. 511 ss. 100

C. Giustizia UE, 23 marzo 2010, punti 106 ss., in www.miolegale.it/sentenze/corte-giustizia-ue-236-2010/; C. Giustizia UE, 12 luglio 2011, in www.scuolagiuridica.it/repertorio/proprieta-industriale/corte-di-giustizia-dellunione-europea-grande-sezione-12-luglio-2011-c-32409/ del 4/1/2019

101Petruso, Responsabilità delle piattaforme, cit., pagg. 511 ss. 102

“Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni - Lotta ai contenuti illeciti online - Verso una maggiore responsabilizzazione delle piattaforme online, 28 settembre 2017 COM(2017) 555 final”, 3 ss

103

Comunicazione della Commissione, cit.

104

Petruso, Responsabilità delle piattaforme, cit., pagg. 511 ss.

105

La Racc. UE n. R 97(20) parla di “discorsi dell’odio” (hate speech)

106Petruso, Responsabilità delle piattaforme, cit., pagg. 511 ss. 107

Si ricordi tuttavia che la CEDU, non essendo stato portato a termine il processo di adesione previsto dall’art. 6, 2 c. TUE, a differenza di quanto avviene nei confronti degli Stati membri UE in quanto parti contraenti della Convenzione, non ha forza vincolante diretta nei confronti dell’Unione europea.

108C.EDU, Grande Camera, 16 giugno 2015, “caso Delfi contro Estonia”, in www.echr.coe.int del

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