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Elementi tradizionali e topici

Nel documento Tucidide e la tragedia (pagine 88-92)

CAPITOLO II. Tucidide, Sofocle e la "peste": il fatto e il tovpo~

II.2. Sofocle, la "peste" d'Atene e la pestilenza tebana

II.2.2. Elementi tradizionali e topici

Nell'interpretazione di una tragedia, per i caratteri intrinseci al genere, prioritaria si impone l'analisi del rapporto fra la tradizione e la creatività poetica del genio del tragediografo: senza mettere affatto in discussione quest'ultima, ma per sottolinearne i procedimenti attraverso cui si esprime, è senz'altro utile rinvenire tracce della tradizione, per prendere atto dei meccanismi che hanno condotto alla sua rielaborazione.

Il modello tradizionale, cui abbiamo fatto riferimento a proposito di Tucidide, nell'Edipo Re si esplica, com'è prevedibile, in maniera più evidente ed il

248 V. infra, cap. III, pp. 110-125.

249 "Sophocles' specific vocabulary for plague in Oedipus the King shows the deep and dangerously volatile relations between epidemic and tragic drama" (MITCHELL-BOYASK 2009, p. 375). Mitchell-Boyask aveva già posto come scopo di una precedente monografia la dimostrazione della tesi secondo la quale "because of traditional associations between song and healing in Greek culture, tragedy becomes a form of therapy for the diseased polis that is projected on to the space of the Theater, a space overlooked, after 420, by Asclepius, a hero/god of healing" (MITCHELL- BOYASK 2008, p. 3). Nel capitolo relativo all'Edipo Re, poi, concludeva che: "the direct, unmediated depiction in the Theater of Dionysus of a plague at a time when one was ravaging Athens, or had recently done so, made the relationship between the world of the stage and the world of the audience (…) «trasgessive»" riconducendo a questa "tensione" il motivo del mancato successo della tragedia alle Grandi Dionisie (ibi, pp. 65 s.). Ricordiamo, per inciso, anche il tentativo di Mitchell-Boyask, che sarebbe senz'altro degno di approfondimento, di trovare dei paralleli tra i sintomi del male di Eracle nelle Trachinie e i sintomi della pestilenza secondo il resoconto tucidideo (ibi, pp. 75-87).

loimov~ si abbatte non soltanto sugli uomini, ma anche sugli animali e non si manifesta disgiunto da carestia e sterilità. Secondo Delcourt, Sofocle sarebbe ancora legato alla tradizionale concezione del loimov~ inteso come sterilità inviata dagli dèi, loimov~ che, a suo parere, Sofocle avrebbe già trovato nella leggenda tebana e che avrebbe spostato nella trama di 12/15 anni in virtù di una maggiore ricchezza psicologica250. A prescindere dalle scarse testimonianze sulla saga tebana, gli elementi ormai consueti risultano presenti: la tradizionale pestilenza di origine divina che si accompagna a sterilità dalla triplice natura (terra, armenti, donne) è riassunta in pochi versi già nel prologo (vv. 25-30).

Tali caratteri, come abbiamo visto nel caso di Tucidide, piuttosto che ricondursi all'influsso diretto di uno specifico poeta, appartenevano ad un patrimonio comune a cui Sofocle non si sottrae. Infatti, oltre ai poeti, bisogna tenere in altrettanta considerazione Erodoto, sia per il rapporto, anche di amicizia, che legava Sofocle allo storiografo, sia per l'influsso che le "letture" dell'opera erodotea potevano aver esercitato sulle sue tragedie251. Abbiamo avuto modo di appurare la topicità dell'immagine e Sofocle deve certamente aver tenuto presente l'ultimo anello della tradizione che lo aveva preceduto.

Ma il tragediografo non dimentica nemmeno i primi anelli di questa tradizione, vale a dire Omero (una situazione che è stata ricollegata ad una analoga circostanza omerica è il confronto fra Tiresia ed Edipo in Soph. OT 300-463, che ricorda quello iliadico fra Calcante ed Agamennone in Hom. Il. 1.68 ss.) ed Esiodo (Hes. Op. 242-247). In entrambi i casi, in effetti, sarebbe più corretto parlare di

tovpoi ereditati252.

250 Delcourt cerca, invece, di dimostrare la derivazione dalla tradizione leggendaria del "fléau" tebano (DELCOURT 1938, pp. 94-103).

251 Secondo Perrotta, "il particolare dell'infecondità di piante, animali e uomini, deriva certamente da Erodoto", facendo riferimento a Hdt. 6.139.1 (PERROTTA 1935, p. 257). Nenci, inoltre, nel commento a Hdt. 6.139 cita "per analoghi effetti della pestilenza" Soph. OT 22 ss. e 171-174 (NENCI VI, p. 319, ad loc.).

252 Kirk a proposito di Hom. Il. 1.74-83 commenta: "The dangerous wrath of kings against bearers of bad news was a commonplace later, for example in Sophocles' Oedipus Tyrannus and Euripides' Bacchae, and was probably already in the epic tradition before Homer's time" (KIRK I,p. 61, ad vv. 74-83). Inoltre, Di Benedetto (DI BENEDETTO 19882, p. 87) ricorda un altro nesso riconducibile alla tradizione, quello tra Soph. OT 58 (gnwta; koujk a[gnwta) ed Hes. Theog. 551 (gnw' rJ∆ oujd∆ hjgnoivhse), per cui si rimanda a Schneidewin (SCHNEIDEWIN II, p. 37, ad loc.), e tra questi passi ed Hymn. Herm. 243 (gnw' d∆ oujd∆ hjgnoivhse).

Nel dramma attico del V secolo confluisce la tradizione epica e confluiscono i tovpoi arcaici, insieme agli elementi formali, metrici e linguistici. Anche se non troviamo altri racconti di pestilenze paragonabili a questo dell'Edipo

Re di Sofocle né paralleli quanto al suo legame con una colpa in altri drammi253, è possibile rinvenirvi il nesso tra pestilenza e guerra civile e tra guerra e pestilenza, la quale, nel caso di Aesch. Supp. 656-666, è "di uomini":

Ba. (...) diapepovrqhtai ta; Persw'n pravgmaq∆, wJ" eijpei'n e[po". Da. tivni trovpwi… loimou' ti" h\lqe skhpto;" h] stavsi" povlei… Ba. oujdamw'", ajll∆ ajmf∆ ∆Aqhvna" pa'" katevfqartai stratov". Da. tiv~ d∆ ejmw'n ejkei'se paivdwn ejstrathlavtei, fravson. Ba. qouvrio~ Xevrxh~, kenwvsa~ pa'san hjpeivrou plavka.254

(Aesch. Pers. 714-718) toiga;r uJposkivwn

ejk stomavtwn potavs- qw filovtimo" eujcav: mhvpote loimo;" ajndrw'n tavnde povlin kenwvsai, mhd∆ ejpicwrivoi" < k l >255 ptwvmasin aiJmativsai pevdon ga'".

h{ba" d∆ a[nqo" a[drepton e[stw, mhd∆ ∆Afrodivta" eujnavtwr brotoloigo;" “A-

rh" kevrseien a[wton.256

(Aesch. Supp. 656-666)

Da confrontare con questi versi è anche il finale delle Eumenidi, con il lungo augurio che scongiura carestie, guerre e discordie civili (Aesch. Eu. 916-

253 Se non nell'Antigone dello stesso Sofocle ai vv. 1140 s.: kai; nu'n, wJ~ biaiva~ e[cetai / pavndamo~ povli~ ejpi; novsou, / (...). Per un breve confronto con l'Edipo Re, cfr. CESCHI 2009, pp. 238 s.

254 "(Regina) A dirla in breve, la potenza persiana è stata annientata. / (Ombra) In che modo? Il flagello di una pestilenza? Una guerra civile? / (Regina) No, assolutamente. Il fatto è che ad Atene l'esercito è stato completamente distrutto. / (Ombra) Dimmi: quale dei miei figli guidò l'armata fin laggiù? / (Regina) Serse, l'impetuoso Serse, svuotando di gente ogni nostra contrada" (trad. F. Ferrari).

255 Per il v. 661, anche sulla base del luogo eschileo citato (Aesch. Pers. 715) dove si legge la medesima coppia di termini, Bamberger congettura, appunto, stavsi~; West preferisce lasciare la lacuna: < k l > (WEST 1998, ad loc.); Mazon congettura < dovru > (MAZON 1920, ad loc.), ma

nella quarta edizione accetta la congettura di Havet < xevno~ > (MAZON 19464, ad loc.); < e[ri~ > è invece ipotesi di Heath, accolta in LLOYD-JONES 1963 (ad loc.). Per una discussione sulla lacuna cfr. JOHANSEN-WHITTLE III, pp. 28-30, in cui si predilige l'ipotesi di un conflitto esterno.

256 "Ed ecco voli da ombrose labbra una preghiera di buon augurio. Mai pestilenza d'uomini svuoti questa città né <...> insanguini la pianura di corpi di cittadini caduti. E il fiore dei giovani non sia divelto, né osi troncarne il rigoglio l'amante di Afrodite, Ares, rovina dei mortali".

1047). Gli elementi in questione dovevano essere tipici tanto delle formule di imprecazione quanto di quelle augurali, basate proprio sulla negazione dei medesimi elementi257. È importante, inoltre, notare anche un'altra coincidenza: sia nei versi tratti dai Persiani, sia in quelli citati dalle Supplici viene impiegato il verbo kenovw e, se nei primi esso è riferito alla guerra, nelle Supplici si applica alla pestilenza; lo ritroveremo nell'Edipo Re, che riprende con chiara evidenza questi versi, come basta, a questo punto, la mera citazione a dimostrare:

(...) ejn d∆ oJ purfovro" qeo;"

skhvya" ejlauvnei, loimo;" e[cqisto", povlin, uJf∆ ou| kenou'tai dw'ma Kadmei'on, mevla" d∆ ”Aidh" stenagmoi'" kai; govoi" ploutivzetai.258

(Soph. OT 27-30)

È certamente elemento da ricollegare alla tradizione tale accostamento tra pestilenza e guerra che passa attraverso quello del "dio portatore di fuoco" con Ares, fin quasi a confonderne le immagini: il male attacca come una guerra da fronteggiare, in questo caso, piuttosto che in concomitanza con essa, come secondo la tradizione (vv. 190-215, ma già ai vv. 170 s. si lamenta l'assenza di un

frontivdo~ e[gco~, ovvero un pensiero che si erga come spada a difesa della città). Guerra e pestilenza, che abbiamo visto essere associati sin da Omero e, dal Poeta in poi, in diversi luoghi poetici, rappresentano una coppia ormai topica e sviluppata dai tragediografi in modo del tutto personale, come vuole la legge antica dell'aemulatio.

In diversi dei loci considerati la guerra, alla quale si fa riferimento, è guerra civile259, come è possibile riscontrare in un altro passo dell'Edipo Re, quello in cui Edipo viene a conoscenza della morte del padre:

257 Cfr. la formula dei Suovitaurilia, riportata da Catone e non a caso rivolta proprio a

Mars pater: "uti t˻u mo˼rbos uisos inuisosque, uiduertatem uastitudinemque, calamitates intemperiasque prohibessis defendas aue˻r˼runcesque" (Cato. Agr. 141.2); analogo è anche il noto

carmen dei Fratres Aruales: " neue lue rue marmar sins incurrere in pleores / neue lue rue marmar sers incurrere in pleores / satur fu fere Mars limen sali sta berber" (Carm. Arv. 3-5).

258 "Il dio della febbre, / la peste odiosa, si è abbattuta sulla città / e le case dei Cadmei si svuotano, / mentre il nero Ade si fa ricco di gemiti e lamenti" (trad. M.G. Ciani).

259 Rimando ancora una volta a GRANDOLINI 2002 (passim), già citato a proposito di Tucidide (V. supra, p. 71).

AG. eij tou`to prw`ton dei` m∆ ajpaggei`lai safw`~, eu\ i[sq∆ ejkei`non qanavsimon bebhkovta. OI. povtera dovloisin, h] novsou xunallagh`i…260

(Soph. OT 958-960)

E che cos'è un inganno, una congiura, se non un disordine interno che ben si allinea con gli esempi precedenti?

Non ci soffermeremo in questa sede su un altro elemento ereditato dalla tradizione ed esito anch'esso di originale rielaborazione quale è la metafora della città come una nave (vv. 22-24, metafora che si ripresenta al v. 56)261 e su tutta una serie di riprese anche lessicali, omeriche e non, che un tragediografo aveva licenza di inserire in un genere che si presentava come erede di quel mondo epico. Non sorprende, infatti, che la tradizione abbia un ruolo centrale nella descrizione della pestilenza tebana, anche se essa, pur rappresentando un patrimonio di tovpoi cui attingere, ottiene l'effetto di dare slancio al genio piuttosto che ingabbiarlo.

Nel documento Tucidide e la tragedia (pagine 88-92)