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Il dialogo dei Melii: duplicità semantica del lessema

Nel documento Tucidide e la tragedia (pagine 140-143)

CAPITOLO IV. ∆Elpiv~ in Tucidide e in Sofocle: la "peste", il dramma e la

IV. 2 ∆Elpiv~ da Omero al V secolo a.C

IV.3. Analisi semantica di ejlpiv~ nella Guerra del Peloponneso: la

IV.3.1. Il dialogo dei Melii: duplicità semantica del lessema

In corrispondenza del passo, molto discusso per la sua pregnanza386, conosciuto come Il dialogo dei Melii, la tabella ci mostra una particolare frequenza del gruppo semantico in questione. Ne isoliamo alcuni spunti, pur essendo essi, senza dubbio, inscindibili dal contesto generale per essere pienamente compresi.

Così parlano i Melii in Thuc. 5.102:

kai; hJmi`n to; me;n ei\xai eujqu;~ ajn evl p ist on, meta; de; tou` drwmevnou e[ti kai; sth`nai ejl pi ;~ ojrqw`~.387

∆Elpi;~ è qui la possibilità di riuscita: la rinuncia alla difesa annullerebbe, infatti, per i Melii qualsiasi prospettiva di salvezza. Notevole è anche l'uso di

ajnevlpisto~ nel senso attivo, impiego che, come vedremo, è una novità del lessico tucidideo, oltre a riscontrarsi negli scritti medici del Corpus Hippocraticum388.

Ribattono gli Ateniesi in Thuc. 5.103:

ejl pi ;~ de; kinduvnw/ paramuvqion ou\sa tou;~ me;n ajpo; periousiva~ crwmevnou~ aujth`/, ka]n blavyh/, ouj kaqei`len: toi`~ d∆ ej~ a{pan to; uJpavrcon ajnarriptou`si (davpano~ ga;r fuvsei) a{ma te gignwvsketai sfalevntwn kai; ejn o{tw/ e[ti fulavxetaiv ti~ aujth;n gnwrisqei`san oujk ejlleivpei. 2. o} uJmei`~ ajsqenei`~ te kai; ejpi; rJoph`~ mia`~ o[nte~ mh; bouvlesqe paqei`n mhde; oJmoiwqh`nai toi`~ polloi`~, oi|~ paro;n ajnqrwpeivw~ e[ti swv/zesqai, ejpeida;n piezomevnou~

386 Sul senso e il ruolo giocato dal dialogo dei Melii nella Guerra del Peloponneso cfr., tra gli altri, WASSERMANN 1947(passim).

387 "E tirarci subito indietro ci priva di ogni aspettativa, mentre con l'agire c'è ancora qualche prospettiva di restare in piedi".

aujtou;~ ejpilivpwsin aiJ fanerai; ejl p iv de~, ejpi; ta;~ ajfanei`~ kaqivstantai mantikhvn te kai; crhsmou;~ kai; o{sa toiau`ta met∆ e jl pi vd w n lumaivnetai.389

(Thuc. 5.103.1-2)

In questo passo il termine, su cui gli Ateniesi, ottimi avvocati, basano la loro disquisizione, si colora di una sfumatura di "illusorietà" che non traspare nell'accezione adottata dai Melii: irresponsabile è chi si affida alla "speranza" e in virtù di essa si consegna ciecamente ai pericoli. Da questo famoso passo sembra prospettarsi una concezione negativa di ejlpiv~, illusione irrazionale e deleteria. Si

tratta della concezione ereditata dalla tradizione, come dimostra, ad esempio, il confronto con Thgn. 1.637 s. (Elpi;" kai; kivnduno" ejn ajnqrwvpoisin oJmoi'oi: É

ou|toi ga;r calepoi; daivmone" ajmfovteroi).

A questo punto i Melii offrono delle basi a sostegno delle loro aspettative, basi piuttosto discutibili, nonostante essi cerchino di dimostrarne il carattere, secondo la loro percezione, tutt'altro che irrazionale (ouj pantavpasin ou{tw~

ajlovgw~ qrasunovmeqa390 - Thuc. 5.104). Queste basi sono costituite dal favore degli dèi, che è dalla parte del giusto, e dalla fiducia nella buona fede degli alleati, gli Spartani, due "puntelli" dell'ejlpiv~ che ci permettono di chiarire ulteriormente la concezione che Tucidide attribuisce ai Melii: ejlpiv~ è una possibilità, percentualmente e statisticamente indeterminata e piuttosto incerta, che dona però il coraggio necessario ad affrontare determinate contingenze.

Gli Ateniesi ribattono sostenendo l'ingenuità e la follia tanto delle aspettative dai Melii riposte negli dèi, in virtù della famosa "legge del più forte", quanto quelle basate su un eventuale intervento degli Spartani:

389 "Però la speranza, incoraggiatrice al pericolo, se anche danneggia quelli che se ne servono partendo dal superfluo, pure non li rovina. Ma quelli che tentano la sorte con tutte le loro sostanze (ché la speranza è per sua natura prodiga), la conoscono subito appena scivolano: essa però non lascia indietro qualche occasione perché uno possa stare attento, una volta che l'ha conosciuta. 2. E voi, che siete deboli e vi potete permettere una sola gettata di dadi, non vogliate subire questo danno o rendervi simili a molti uomini, i quali, pur potendo salvarsi con mezzi umani, una volta che la speranza di manifesti aiuti li abbia abbandonati in mezzo alla sventura, si volgono alla speranza di ricevere dei soccorsi invisibili, e cioè alla mantica e ai vaticini e a tutte le altre cose di questo genere che affliggono gli uomini insieme con le speranze" (trad. F. Ferrari).

th`~ de; ej~ Lakedaimonivou~ dovxh~, h}n dia; to; aijscro;n dh; bohqhvsein uJmi`n pisteuvete aujtouv~, makarivsante~ uJmw`n to; ajpeirovkakon ouj zhlou`men to; a[fron.391

(Thuc. 5.105.3)

"Illogica" la loro decisione, assurdo affidarsi a mere "illusioni", senza tener conto di ciò che può, invece, costituire una garanzia al presente. Così continuano ad infierire gli Ateniesi in Thuc. 5.111.2, in cui emerge ancora una volta il contrasto presente/futuro:

uJmw`n ta; me;n ijscurovtata e jl pi zo vm en a mevlletai, ta; d∆ uJpavrconta braceva pro;~ ta; h[dh ajntitetagmevna perigivgnesqai. pollhvn te ajlogivan th`~ dianoiva~ parevcete, eij mh; metasthsavmenoi e[ti hJma`~ a[llo ti tw`nde swfronevsteron gnwvsesqe.392

In questo caso Tucidide impiega il verbo ejlpivzw, un participio sostantivato che equivale sostanzialmente a ejlpivde~, per indicare appunto le aspettative radicate in un imprecisato e incerto futuro piuttosto che nelle condizioni presenti. La requisitoria degli Ateniesi si conclude con una vera e propria derisione dei Melii:

ajll∆ ou\n movnoi ge ajpo; touvtwn tw`n bouleumavtwn, wJ~ hJmi`n dokei`te, ta; me;n mevllonta tw`n oJrwmevnwn safevstera krivnete, ta; de; ajfanh` tw`/ bouvlesqai wJ~ gignovmena h[dh qea`sqe, kai; Lakedaimonivoi~ kai; tuvch/ kai; ejl p iv si plei`ston dh; parabeblhmevnoi kai; pisteuvsante~ plei`ston kai; sfalhvsesqe.393

(Thuc. 5.113)

Chi si affida alla speranza ed alla fortuna è, dunque, destinato a perdere tutto, perché le sue aspettative sono fondate su future incognite che non dipendono dalla propria volontà.

391 "Quanto alla convinzione che avete nei riguardi dei Lacedemoni, per cui confidate che accorreranno in vostro aiuto per un sentimento d'onore, noi, pur considerando beata la vostra inesperienza, non invidiamo la vostra pazzia" (trad. F. Ferrari).

392 "Le vostre aspettative più forti risiedono nel futuro, mentre le cose presenti sono insufficienti a vincere quelle schierate contro. E voi rivelate grande irrazionalità di pensiero se, dopo averci allontanati, non prenderete qualche altra decisione più sensata di queste".

393 "Certo, a giudicare da queste vostre decisioni, voi, soli tra tutti quelli che conosciamo, considerate più sicuro il futuro del presente e, per il fatto che lo desiderate, contemplate l'incerto come se si stesse già realizzando e, gettandovi nelle braccia dei Lacedemoni e delle speranze e della sorte, quanto più siete pieni di fiducia, tanto più incontrerete gravi sciagure" (trad. F. Ferrari). Dal momento che i Melii avevano parlato di fede negli dèi e fiducia negli uomini, potrebbe prendersi in considerazione una proposta di lettura che intenda l'espressione kai; Lakedaimonivoi~ kai; tuvch/ kai; ejlpivsi come indicante "le aspettative riposte sui Lacedemoni e sulla sorte" in una sorta di "endiadi tripartita".

In questo dibattito vediamo opporsi due mentalità: per gli Ateniesi l'aspettativa riposta nel futuro è mera illusione e il destino un imprevedibile esito che sfugge alla mente umana, anche se laicamente concepito; i Melii, da parte loro, proprio su questa aspettativa basano le proprie azioni e la loro "speranza" ha un retroterra tanto umano quanto religioso e si associa ad una concezione arcaica del destino. Ma, in quella che Méautis definiva una "violent réquisitoire contre l'espérance", in cui questi era sicuro di rintracciare il pensiero dello stesso Tucidide e un suo presunto rifiuto della speranza "en tant que poussant l'homme à négliger, dans la réalité, les éléments rationnels, démonstrables et prévisibles"394, sarei propensa a leggere, piuttosto, l'influsso dei dissoi; lovgoi in una forma drammaticamente animata, come confermeranno i passi in cui sarà possibile riscontrare una concezione alternativa dell'ejlpiv~.

Nel documento Tucidide e la tragedia (pagine 140-143)