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L'ELOQUENZA DEL SILENZIO

“Le silence est la seule vraie communication, il est le langage authentique.”

Maurice Blanchot S'è visto come, sulla scia heideggeriana, Bessette denunci l'esclusione dall'esistenza umana di elementi quali il silenzio, il vuoto, la solitudine, nel loro costituzionale rinviare alla dimensione della morte. L'autrice recupera queste lacune, questi divieti della lingua e del pensiero e li introduce all'interno della sua opera, sotto forma sia di una necessità stilistica sia di un'esigenza narrativa. Per questo la negazione e il rifiuto che si esplicano nelle ellissi e nelle lacune sintattiche, si trasformano, sul piano diegetico, in personaggi assenti. La volontà, l'intento dell'autrice risiedono proprio nell'infrangere il continuum costruito per salvaguardare e reiterare l'illusione, l'inganno in cui vive l'individuo. Consapevole della vicinanza assoluta di linguaggio e morte, la Bessette trascina la sua scrittura fino ai suoi stessi limiti, e la spezza e la frantuma per mettere in risalto l'artificiosità della costruzione linguistica e per far risalire in superficie ciò che invece si vorrebbe celato, il silenzio e il vuoto che dimorano nelle parole. Questo linguaggio nuovo, discreto e forte, esprime, suggerisce e allude, riuscendo in questo modo a dire l'indicibile.

Il movimento di sovversione e di rigetto si avvierà necessariamente a partire dal piano linguistico, proprio perché Bessette riconosce al linguaggio la funzione di sorreggere e rispecchiare l'ordine disciplinante e normalizzatore. Da colpire sarà quindi la lingua perché organica, funzionale ai significati, ed organizzata, perché sintatticamente strumentale alla stabilità dell'Ordine.

Bessette prosegue i percorsi intrapresi da Nietzsche a Mallarmè giunti alla domanda quale sia l'essere del linguaggio. Questo non ha smesso di affascinare durante tutto il Novecento la letteratura. Spintasi così a sperimentare le sue possibilità più lontane, ha mostrato i legami profondi tra le forme della finitudine e il linguaggio.

“Raggiungendo la cima di ogni parola possibile, [l'uomo] non perviene al cuore di se stesso, ma all'orlo di ciò che lo limita:

246 N. Piégay- Gros, La Critique littéraire et la pensée de Michel Foucault, in Michel Foucault, la littérature et les ar-

ossia nella regione in cui si aggira la morte, in cui il pensiero si spegne.”247

Lili, Dora, Ida, IolA, Desira (rispettivamente protagoniste di Lili pleure, N'avez-vous pas froid, Ida

ou le délire, MaternA, Si) incorporano l'istanza di rottura che Bessette pone al centro della sua

scrittura, delineandosi come figure del silenzio, del vuoto, della morte e rappresentando narrativamente la disarticolazione che opera a livello formale e stilistico. Tramite queste donne, il silenzio è chiamato a rappresentare la presenza dell'assenza. A ricordarci che esprimendo l'indicibile si contribuisce a eludere l'ordine del discorso.

Il silenzio, modalità tipica dei personaggi bessettiani, funge da catalizzatore di senso la cui significazione risiede nell'assenza. Si afferma nella sua valenza attiva proprio in quanto atto, gesto volontario di smettere di parlare. In questa sua forma transitiva (tacere qualcosa) indica proprio l'azione di far passare sotto silenzio, di produrre deliberatamente un silenzio.

Il valore politico del silenzio risiede nella sua ambiguità e pluralità essenziali. Sospende l'unicità del senso e della verità, aprendo luoghi nuovi e incontrollabili nel processo di produzione del senso, riuscendo invece a moltiplicare la significazione. Attraverso gli spazi bianchi, attraverso i vuoti, all'interno della fluente struttura del discorso, la lingua è ricondotta all'inarticolato. Proprio la molteplicità del silenzio permette a questo di offrirsi con un'eloquenza maggiore del linguaggio. Il linguaggio poetico adottato dalla Bessette, giocando con parole e silenzi e per mezzo della sospensione della sintassi, invece che descrivere come un tradizionale romanziere, suggerisce. La sua potrebbe essere chiamata una scrittura del silenzio, proprio perché caratterizzata da un minimalismo sintattico, dalla tendenza all'allusione e alla frammentazione, dotata di un ritmo sincopato che intervalla il testo con silenzi significativi sotto forma di bianchi spazi. L'esprimersi attraverso la suggestione rende la poesia capace di oscillare tra negazione ed affermazione, tra rifiuto ed offerta, in grado di divaricare spazi inediti di significazione fuori dal linguaggio, oltre la parola. Spazi di apertura al cui interno viene sospeso il senso unico, a vantaggio di una abbondanza di significazioni inattese.

Con Mallarmé è iniziata l'epoca del silenzio all'interno della letteratura, che ha indotto la poesia a diventare poesia dell'assenza, in cui le parole sono segni puri che non denotano e che si sottraggono quindi alla funzione rappresentativa. La Bessette con il suo romanzo poetico attua una scrittura del silenzio, proprio grazie alla produzione di spazi di assenza e di rottura che creano una molteplicità di sensi. L'allusione genera un luogo vuoto in quanto atto di linguaggio indiretto, opponendosi alla denotazione semplice. Viene così a mancare una significazione cristallina e trasparente. Ciò 247 M. Foucault, Le parole e le cose, op. cit., pag. 410.

implicherà che il lettore partecipando alla decifrazione, accederà ad un livello superiore di ricezione, alla più varia ed individualizzata connotazione. Lo stesso lettore sarà chiamato a mettere in discussione le parole, le loro immobili significazioni.

Il silenzio quindi si delinea come una potenza duplice. Da una parte come il vuoto da creare in noi stessi per fermarci davanti al discorso concettuale, alla sua pretesa di farsi espressione del senso unico, del significante supremo; dall'altra parte come il vuoto da scavare nella parola grazie alla poesia, al suo essere metaforica e simbolica (sym-bállein, tenere insieme), capace di tenere insieme la contraddittorietà del reale, smarrendo la verità unica, e riaprendo l'illimitatezza del dire.

La parola metaforica conduce a quella che Rovatti chiama una “densificazione” del linguaggio, che non è più una semplice chiarezza, ma è un'apertura in cui si sospende la strumentalità delle parole, il loro uso rappresentativo e limitante, e se ne scopre l'infinita potenza.