gassose delle cementerie, portò ad un aumento del riciclo dei flussi gassosi dei forni di trattamento. I cementi prodotti a partire da quegli anni risultarono pertanto maggiormente ricchi di componenti idrosolubili, passibili di portare alla formazione di efflorescenze o subflorescenze e quindi di degrado, anche sui materiali in opera contigui se le realizzazioni non erano a perfetta regola d’arte (impermeabilità).
I cementi prodotti inoltre presentavano una maggiore resistenza specifica a compressione, e questo induceva gli operatori ad un dosaggio di legante inferiore nella realizzazione di malte e calcestruzzi (tabella 4.1), con risultato di non avere in taluni casi abbastanza pasta legante da garantire la completa impermeabilità e alcalinità del materiale, inducendo quindi una serie di fenomeni di degrado che assunsero dimensioni preoccupanti anche nelle costruzioni moderne. La durabilità del calcestruzzo divenne quindi una vera e propria specialità nell’ambito degli studi su questo materiale, portando alla fine del secolo anche ad un esplicito riconoscimento normativo nella qualificazione dei cementi, prima limitata al controllo del tenore di solfati e cloruri.
Tabella 4.1 – Caratteristiche delle composizioni dei calcestruzzi nel corso degli anni, necessarie per ottenere una resistenza a compressione di 30 MPa.
ANNI CEMENTO (kg/m3) ACQUA (kg/m3) ACQUA/CEMENTO
1945-1950 340 170 0.50
1950-1960 300 170 0.57
1960-1980 270 170 0.63
È noto che per un rapporto acqua/cemento di 0.50 l’isolamento dei pori capillari si consegue a circa 2 settimane dal getto, mentre con un rapporto 0.60 occorrono per lo meno 6 mesi ed oltre 0.70 è praticamente impossibile da conseguire [COLLEPARDI 1992].
Le Carte del Restauro e documenti similari emessi più di recente registrano una maggiore prudenza nel raccomandare l’utilizzo di materiali a base cementizia. I fenomeni di degrado, infatti, divennero estremamente evidenti nei siti archeologici, dove gli interventi venivano attuati da una forza lavoro scarsamente consapevole delle problematiche tecnologiche sull’impiego del materiale cementizio. Inoltre l’esperienza oramai decennale nell’affiancamento di materiali moderni a quelli antichi, aveva mostrato la scarsa collaborazione tra i due, oltrechè la sopravvalutazione della durabilità dei primi. Da qui l’emergere in modo determinante della richiesta di reversibilità dei materiali e delle tecniche impiegate, richiesta questa che il materiale cementizio evidentemente non era in grado di soddisfare. Le citazioni che seguono sono una manifestazione di questa nuova linea di prudenza progettuale invalsa nel settore della conservazione.
“Art. 8 – Ogni intervento sull’opera o anche in contiguità con l’opera… deve essere eseguito in modo tale e con tali tecniche e materie da potere fare affidamento che nel futuro non renderà impossibile un nuovo intervento di salvaguardia o di restauro.” “Istruzioni… Per il restauro dei monumenti archeologici… L’uso di cemento con superficie rivestita di polvere del materasso stesso del monumento da restaurare può risultare utile anche nell’integrazione di rocchi di colonne antiche di marmo o di tufo o calcare….”
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[CARTA ITALIANA DEL RESTAURO 1972]
“Nel caso specifico dell’architettura, l’esperienza degli ultimi venti anni ha insegnato a diffidare delle inserzioni occulte in materiali speciali quali l’acciaio, l’acciaio armonico pre-teso, le cuciture armate ed iniettate con malte di cemento… a causa della loro invasività, poca durabilità, irreversibilità e relativamente scarsa affidabilità.”
“Ogni intervento sull’opera, o anche in continuità di essa… deve essere eseguito in modo tale e con tali tecniche e materie da poter dare affidamento che nel futuro non renderà impossibile un nuovo eventuale intervento di conservazione e restauro.”
[CARTA C.N.R.1987]
Esistono attualmente innumerevoli applicazioni generalmente legate al consolidamento statico-strutturale, comprese le iniezioni nei nuclei delle vecchie murature a sacco [COPPOLA &
COLLEPARDI 1993], ma non solo, ad esempio nella ricostruzione dei massetti di fondazione dei
mosaici, che sono spesso interessati da macroscopici fenomeni di alterazione e degrado. Talvolta la rimozione di questi materiali utilizzati in passato nel restauro, pone problemi estremamente gravi. Nell’ambito della presente ricerca, si sono incontrati una serie di concreti fenomeni di degrado associati all’utilizzo del calcestruzzo armato e non in siti archeologici.
Il sito archeologico di Nora-Pula, in prossimità del mare, che per altri aspetti sarà oggetto di più ampia trattazione nei paragrafi II-5.3 e II-5.4, costituisce un caso esemplare della leggerezza con la quale sono stati condotti interventi di ‘restauro’ nel corso degli anni ’60-’70 del secolo scorso, adottando nel sito archeologico materiali, tecniche e personale dell’ordinario cantiere edile. Particolarmente drammatico è risultato il riposizionamento di una serie di importanti mosaici romani su massetto in calcestruzzo armato con rete elettrosaldata e l’impiego di pilastri e mensole realizzate con gli stessi materiali per riposizionare parti delle strutture originarie quali cisterne o pavimenti sopraelevati (calidarium e tepidarium delle terme).
La figura 4.9 mostra il tipico distacco del copriferro in presenza di ossidazione delle armature [ATZENI,CINCOTTI,DEMURTAS,MASSIDDA,SANNA 1997].
Figura 4.9 – Sito archeologico Romano di Nora-Pula: esempi di corrosione delle armature su opere di consolidamento.
Le macrografie riportate in figura 4.10 mostrano alcuni esempi di ferri di armatura ossidatisi in opera nel sito di Nora-Pula.
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Figura 4.10 – Esempi di corrosione di ferri provenienti dal sito archeologico di Nora-Pula.
La riduzione di sezione è drammatica e per interi tratti dei ferri originari non resta che l’‘ombra’ dell’ossido che impregna la malta, come può osservarsi in figura 4.11.
Figura 4.11 – Frammenti di un massetto di ri-fondazione di mosaici dal sito di Nora-Pula.
Il processo corrosivo sulla superficie dei ferri d’armatura può notoriamente essere schematizzato con la reazione [PEDEFERRI &BERTOLINI 1996;COLLEPARDI 2000]:
2 Fe + 2H2O + O2 → 2Fe(OH)2 .
Lo svolgersi delle reazioni richiede quindi un’attività non nulla dei tre reagenti ferro, acqua e ossigeno. Il concorso di questi tre fattori è stato brillantemente posto in evidenza in una
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comunicazione nell’anno 2000 da Collepardi, che fornì una ‘rappresentazione ternaria del modello olistico’ per alcuni aspetti della durabilità dei calcestruzzi [COLLEPARDI 2000].
Nella nota citata, importanti processi di degrado quali la reazione alcali-silice (ASR), la corrosione delle barre di armatura e diverse manifestazioni di attacco solfatico (ESA) vennero qualitativamente interpretate come derivanti ciascuno dal concorso di tre fattori (rispettivamente: contenuto di alcali / presenza di silice reattiva / ambiente umido, depassivazione dell’acciaio / presenza di ossigeno / intermittente umidità, permeabilità / ambiente umido / attività di solfati). Le rappresentazioni grafiche ‘ternarie’ di tale lavoro richiamavano implicitamente i noti diagrammi di Venn dell’Algebra degli Insiemi, e la condizione di degrado era associata alla concomitante presenza dei tre fattori, rappresentata come intersezione.
Figura 4.12 – Riproposizione degli schemi di [COLLEPARDI 2000].
In questa ricerca si sostiene che l’intersezione può essere interpretata in senso insiemistico, utilizzando però gli insiemi non ordinari ma fuzzy. Si fornisce quindi di seguito un modello per la corrosione dei ferri d’armatura.
È noto che l’attività è una funzione termodinamica, ed esprime la concentrazione effettiva o efficace di una specie, con riferimento alla sua capacità di reagire nelle condizioni reali [ATKINS
1986]. Nel caso particolare del ferro, l’attività può essere vista come una misura dell’entità della depassivazione.
La figura 4.13 mostra le funzioni di appartenenza (ipotetiche) degli insiemi ‘attività del ferro’, ‘dell’acqua’ e ‘dell’ossigeno’, secondo la rappresentazione di FuzzyTECH®: si definiscono
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Figura 4.13 – Rappresentazioni fuzzy dei tre insiemi ‘attività del ferro’, ‘attività dell’acqua’ e ‘attività dell’ossigeno’.
La figura 4.14 riporta i subsets fuzzy della variabile linguistica ‘velocità di corrosione’: bassa / moderata / intermedia / alta / molto alta.
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Figura 4.14 – Funzioni di appartenenza per la velocità di corrosione (in µm/anno).
Come già riscontrato nelle precedenti applicazioni, il numero di regole definibili considerando tutte le possibili combinazioni è in genere molto alto (uguale al prodotto del numero dei subsets fuzzy definiti per ciascuna delle variabili); nel nostro caso esse risulterebbero 135, ma generalmente un gran numero di quelle possibili sono corrispondenti a situazioni irrealistiche e pertanto non vengono inserite nel modello finale, per esempio, nessun esperto potrebbe associare un’attività bassa dei tre reagenti a condizioni di corrosione alta.
La figura 4.15 riporta, secondo la rappresentazione di FuzzyTECH®, alcune delle regole che
costituiscono la KB per la determinazione della corrosione.