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4. IL CASO VAL D’AGRI

4.2. BIODIVERSITA’ E MONITORAGGIO

4.2.1 ENERGY BIODIVERSITY INITIATIVE, ABD E BAP

Moltissimi sono i progetti e le iniziative sviluppati in Val D’Agri per l’identificazione, tutela e sorveglianza della biodiversità. Molti di essi sono stati previsti e iniziati grazie agli accordi intercorsi tra la società detentrice della concessione petrolifera e le autorità locali e regionali.

Altri sono stati introdotti da Eni S.p.A. in quanto è un’azienda che sviluppa le proprie attività mantenendo anche un’ottica di protezione della biodiversità e degli ecosistemi, rispettando le linee guida e applicando i principi previsti da gruppi di lavoro e organizzazioni internazionali quali Convention on Biological Diversity, Energy Biodiversity Initiative e gli strumenti sviluppati dal Gruppo Biodiversità (Biodiversity and Ecosystem Services Working Group, BESWG) dell’associazione IPIECA-OGP di cui è membro attivo. Eni S.p.A. è inoltre membro di Proteus partnership, un’iniziativa promossa da UNEP-WCMC (Programma Ambientale delle Nazioni Unite e Centro Mondiale di Monitoraggio della Conservazione) che provvede all’accesso e mantenimento di WDPA, il database mondiale delle aree protette e all’IBAT (Integrated Biodiversity Assessment Tool) un tool critico di supporto alle decisioni di business oil & gas con riferimento alle tematiche di biodiversità.

Tra le varie attività svolte, di particolare rilevanza è il progetto AgriBioDiversity (ABD), iniziato su base volontaria nel 2003 e conclusosi nel 2007, in cui Eni S.p.A., con la partecipazione di Shell Italia E&P, Università della Basilicata attraverso lo spin-off ABD Monitoring, Flora e Fauna International e IUNC, ha effettuato per la prima volta delle valutazioni di Biodiversità con l’applicazione e l’attuazione delle linee guida internazionali previste dall’Energy Biodiversity Initiative (EBI), un’iniziativa focalizzata sull’integrazione di procedure, le principali contenute nel report Integrating Biodiversity Conservation into Oil & Gas Development30, atte al mantenimento e alla protezione della biodiversità in tutte le fasi dell’attività petrolifera, dall’esplorazione all’abbandono definitivo dell’area.

Con l’iniziativa promossa in Val D’Agri si è potuta ottenere una chiara identificazione dello stato dell’ambiente naturale e una solida base di informazioni per poter gestire

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i successivi interventi e iniziative indirizzati verso la gestione e protezione della biodiversità tenendo come riferimento e guida le più avanzate pratiche internazionali.

Sono quindi stati focalizzati e identificati i rischi e le opportunità nella gestione di azioni atte a prevenire e mitigare gli effetti diretti ed indiretti delle attività operative, cioè collegate alle operazioni di perforazione, estrazione e coltivazione petrolifera.

Tra i nuovi progetti sorti a partire dal 2008, Eni S.p.A. ha definito un Piano d’Azione Biodiversità (BAP, acronimo dall’inglese Biodiversity Action Plans).

Negli obiettivi principali del progetto vi sono gli interventi di mitigazione degli impatti e di ripristino effettuati in dieci siti operativi collocati in aree di elevata valenza ecologica e ambientale.

Inoltre il monitoraggio e la valutazione nel tempo dell’efficacia delle attività svolte, ha permesso di identificare e gestire anche gli eventuali effetti secondari sia a breve che a lungo termine.

Avendo così identificato nella loro totalità gli effetti dell’impatto dell’attività antropica nel contesto naturale, e avendo seguito un metodo scientifico di analisi degli stessi, in caso di trasformazione di nuove aree da dedicare all’attività petrolifera, ciò ha consentito un’individuazione precoce e una previsione di sviluppo degli effetti impattanti sull’ambiente, consentendo pertanto una migliore e ottimale mitigazione fin dalle prime fasi di realizzazione.

Tra gli impatti riscontrati che hanno necessitato di maggiori sforzi mitigativi e di ripristino, si evidenziano l’effetto margine nelle foreste di faggio (Fagus sylvatica) e la presenza di specie erbacee e arbustive invasive che ritardano o impediscono la ricolonizzazione della flora nativa.

Il fenomeno è osservabile nell’intorno delle piazzole di produzione collocate nei pressi di boschi di montagna, quali Cerro Falcone 2 e Caldarosa 1, e nei tagli dei boschi effettuati per permettere il passaggio delle lunghe condotte.

Il margine è l’area perimetrale delle faggete che confina con le facilities di produzione ed è quella maggiormente esposta agli agenti atmosferici, in particolare al vento e alla irradiazione solare, che limitano la crescita delle nuove piante piantumate e modificano lo sviluppo delle piante già esistenti, con sovente problemi di appassimento della chioma.

Per ovviare a ciò sono state introdotte altre specie vegetali, ad esempio piante arbustive eliofile tipiche del sottobosco, che limitano l’effetto margine e creano un

ambiente più favorevole alla reintroduzione delle specie arboree a maggiore altezza e un rigeneramento delle chiome degli alberi già esistenti. I risultati mitigativi ottenuti sono stati positivi e apprezzabili, anche se in alcune aree, essendo la crescita degli alberi lenta, necessitano di ulteriori controlli e di un prolungato monitoraggio.

Figura 23 Effetti dell’effetto margine nelle aree circostanti piazzola di produzione e introduzione arbusti e alberi per ripristino ambientale

Figura 24 Risultati delle azioni di mitigazione dell’effetto margine delle faggete e rigenerazione delle chiome degli alberi già presenti in situ

Figura 25 Dettaglio area di ripristino in ambiente di prateria montana

Figura 26 Dettaglio area di ripristino lungo dorsale montagna

Il secondo fenomeno ha avuto maggiore sviluppo nelle aree di prateria montana segnate dal passaggio delle lunghe condotte. L’attività di mitigazione effettuata ha compreso il contenimento e in alcuni casi l’estirpazione di tutte quelle piante invasive e dannose allo sviluppo delle specie autoctone. I risultati ottenuti sono stati estremamente positivi tanto che nella maggior parte delle aree, se non ci fossero le paline previste per legge per indicare la presenza del passaggio di una tubazione, non ci si accorgerebbe quasi del fatto che l’area sia stata precedentemente interessata da lavori di escavazione

Un altro punto cardine contemplato dal Piano d’Azione Biodiversità è il monitoraggio periodico dei seguenti indicatori di biodiversità:

• % di suolo coperto da vegetazione; • analisi floristiche;

• % copertura specie invasive;

• % di copertura delle specie perenni chiave nelle praterie montane;

• ricchezza e dominanza di flora erbacea eliofila e distanza raggiunta tra le installazioni di produzione e l’interno delle foreste;

• monitoraggio del pH, umidità e temperatura del suolo; • accrescimento radiale medio annuo del tallo nei licheni; • tasso di mortalità delle piantine messe a dimora;

• % di seccume dei rami delle piante;

• estensione dell’inaridimento o ingiallimento delle chiome delle piante.

L’analisi di questi indicatori fornisce una valutazione dell’efficacia e dell’evolversi delle azioni di mitigazione e ripristino.

Tutte le aree di ripristino, una volta valutate positivamente come completamente ripristinate, non necessitano più di interventi e di ulteriori monitoraggi.

Molte delle dieci aree di ripristino collocate in zone ad alto valore ecologico, oggi non necessitano più di interventi correttivi, a dimostrazione di come le pratiche attuate siano state efficaci e abbiano permesso un recupero della biodiversità pre- esistente.

All’interno dei BAP attuati da Eni S.p.A., a partire dal 2013 sono stati avviati ulteriori progetti, tuttora in corso.

Uno di essi prevede il monitoraggio della flora con l’utilizzo del metodo fitosociologico per identificare i diversi habitat in cui le comunità vegetali vivono, cioè quegli ambienti omogenei identificabili dalla presenza di uno specifico insieme di popolazioni di specie vegetali diverse che si sviluppano e trovano giovamento dalla loro coesistenza e copresenza.

L’output finale previsto dal progetto è l’elaborazione di una cartografia indicante la vegetazione e i diversi habitat individuati, che permetterà ulteriori studi sull’evoluzione e diffusione delle comunità vegetali.

Un altro progetto, avviato nel 2013 con il coinvolgimento del Dipartimento Scienze della Vita dell’Università di Siena, prevede il biomonitoraggio lichenico e lo studio della flora lichenica.

Tra gli output previsti vi è una mappa cartografica rappresentante la distribuzione e il progredire della diffusione delle varie specie, specialmente rare.

Infine un ulteriore progetto legato alla biodiversità, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia, prevede il monitoraggio della fauna e l’identificazione di ciascun organismo presente nell’area.

Per la macrofauna sono stati istituiti dei punti di ascolto e di osservazione, uscite notturne per l’identificazione di chirotteri e rapaci notturni, trappole fotografiche. Per la microteriofauna si utilizzano delle apposite trappole per la cattura temporanea e il censimento dei micro mammiferi terrestri presenti nell’area.

Così come suggerito dalle migliori pratiche internazionali, un ultimo gruppo di bioindicatori monitorato e caratterizzato è quello della carabidiofauna, in particolare i coleotteri carabidi che sono artropodi predat ori molto attivi sia sulla superficie del suolo e sottosuolo che sulla vegetazione.

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