Figura 10.6: Composizione per settore di attività economica dei liberi professionisti dichiarati (primo e secondo lavoro) e non dichiarati
12 L’equo compenso delle prestazioni professionali nelle regolazioni regionali
Equo compenso: lo stato dell’arte
L’approvazione della normativa in materia di equo compenso delle prestazioni professionali (introdotta con l’art. 19-quaterdecies del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, convertito con legge 4 dicembre 2017, n. 172) ha dato vita ad un vivace dibattito che ha coinvolto istituzioni, partiti politici e organizzazioni rappresentative del mondo dei professionisti.
La riflessione ha preso le mosse dalla diffusa percezione del limitato impatto delle norme introdotte e della loro inadeguatezza a contrastare il fenomeno del ridimensionamento dei compensi professionali al di sotto di livelli accettabili per la dignità del professionista. Sono state dunque avanzate proposte per un ampliamento del raggio d’azione della normativa statale, sia nel senso dell’estensione del principio dell’equo compenso oltre il perimetro dei rapporti con i grandi committenti, sia nel senso di un pieno ritorno al sistema delle tariffe; sono state altresì avanzate proposte per rendere più stringente il rispetto dell’equo compenso da parte delle pubbliche amministrazioni e per adeguare la normativa in materia di contratti pubblici – nella quale le prestazioni professionali sono comunque soggette alla logica del ribasso – alle norme sull’equità del compenso, anche in ragione dei costi che il professionista è necessariamente tenuto a sostenere per eseguire la prestazione.
Parlamento e Governo, tuttavia, non hanno fin qui recepito le sollecitazioni provenienti dalle organizzazioni rappresentative del settore, anche a causa delle strettoie imposte dal principio della libera determinazione dei compensi professionali a suo tempo introdotta dall’art. 9 del decreto-legge n. 1/2012 e dallo stato della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di tariffe professionali.
L’unica iniziativa degna di menzione è rappresentata dal Protocollo d’intesa tra il Ministero della Giustizia e il Consiglio Nazionale Forense, del 2 luglio 2019, finalizzato all’istituzione, presso il Ministero della Giustizia, di un Nucleo centrale di monitoraggio della corretta applicazione della disciplina in materia di equo compenso. Secondo il Protocollo, il Nucleo e le sue articolazioni territoriali sono centri di monitoraggio ed analisi dell’applicazione della norma, anche ai fini della formulazione di segnalazioni delle sue violazioni agli organi competenti e di proposte di revisione della normativa.
Osservato rio delle lib ere professi oni 133 L’iniziativa politica delle Regioni
In questo contesto di perdurante criticità, diverse Regioni italiane hanno adottato iniziative volte a garantire il rispetto del principio dell’equo compenso delle prestazioni professionali tramite la legislazione regionale.
In diverse occasioni, le delegazioni regionali di Confprofessioni sono state coinvolte in questo processo, ed invitate a presentare le proprie osservazioni. Al momento in cui questo rapporto va in stampa, risultano adottate le seguenti leggi: legge regionale della Calabria del 3 agosto 2018, n. 25 ; legge regionale della Sicilia del 22 febbraio 2019, n. 1 (art. 36) ; legge regionale della Basilicata del 30 novembre 2018, n. 41; legge regionale della Campania del 29 dicembre 2018, n. 59; legge regionale del Lazio del 12 aprile 2019, n. 6; legge regionale dell’Abruzzo del 4 luglio 2019, n. 15; legge regionale della Puglia del 5 luglio 2019, n. 30, cui si è poi aggiunta la legge regionale della Puglia del 5 luglio 2019, n. 32; legge regionale del Veneto del 10 settembre 2019, n. 37. In Toscana, pur in assenza di una legge regionale, è stata adottata la decisione della Giunta Toscana n. 29 del 6 marzo 2018, recante «Procedure di acquisizione di servizi professionali: indirizzi». Inoltre, nelle Marche e in Molise il Consiglio regionale sta esaminando progetti di legge affini alle leggi regionali fin qui approvate.
La competenza legislativa regionale in materia di professioni
Prima di analizzare i contenuti delle leggi regionali sopra menzionate e darne una prima valutazione, occorre chiarire quali sono le basi giuridiche che hanno consentito l’intervento legislativo regionale in materia di equo compenso professionale.
Lo spazio della competenza legislativa regionale in questa materia è particolarmente limitato a causa del riparto delle competenze legislativo stabilito a livello costituzionale, anche alla luce di una giurisprudenza singolarmente restrittiva della Corte costituzionale. La disciplina dell’equo compenso dei professionisti, infatti, si pone al crocevia tra diversi ambiti competenziali che risultano preclusi alla legislazione regionale: non ci si riferisce solo alla materia «professioni» (art. 117, co. 3, Cost.), ma anche alle materie «ordinamento civile» (art. 117, co. 2, lett. l), Cost.) e «tutela della concorrenza» (aer. 117, co. 2, lett. e), Cost.).
Quanto alla materia «professioni», la Costituzione, con la riforma del 2001, la inserisce tra le materie di competenza legislativa concorrente, ovvero settori la cui regolazione è rimessa ad una compartecipazione della legge statale e regionale, chiamata la prima a porre le norme fondamentali della materia, la seconda a dettare la normativa di dettaglio per la specifica Regione, nel rispetto delle norme statali.
È opinione diffusa che l’inclusione della materia «professioni» nell’elencazione del terzo comma dell’art. 117 Cost. rappresenti una delle più gravi leggerezze compiute dal legislatore di revisione del 2001. Anche in ragione della storia legislativa del nostro paese, infatti, la materia manifesta un’evidente vocazione
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ad una disciplina unitaria. Non stupisce, pertanto, che la giurisprudenza costituzionale abbia manifestato, sin dalle pronunce immediatamente successive alla riforma del Titolo V, una speciale accortezza a circoscrivere la potestà legislativa regionale in materia, almeno con riferimento alle professioni regolamentate, escludendo soprattutto una competenza regionale nella «individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e ordinamenti didattici» (C. Cost., sent. n. 353/2003, 319/2005, 138/2009). Da questa giurisprudenza si evince che – almeno negli ambiti di maggior rilievo che compongono la materia – lo schema generale della potestà concorrente è stato di fatto abbandonato.
Quanto alla materia dell’«ordinamento civile», che la Costituzione include nell’elenco delle materie di esclusiva competenza legislativa statale, essa comprende senza dubbio la regolazione del contratto d’opera professionale, che trova la sua definizione giuridica negli artt. 2230 e ss. del codice civile (C. cost., sent. n. 443/2007), peraltro ora riformato con l’inclusione del principio della libera pattuizione del compenso in base ad un preventivo che il professionista è tenuto a presentare in forma scritta.
Un intervento legislativo regionale che mirasse, attraverso regole in materia di equo compenso, a limitare l’applicazione di queste regole statali che complessivamente definiscono il contratto d’opera professionale rischierebbe altresì di interferire con la competenza esclusiva statale alla «tutela della concorrenza» (art. 117, comma 2, lett. e), Cost.), proprio perché il principio della libera pattuizione delle prestazioni professionali – al di là dei giudizi assai critici che si possono dare a proposito dei suoi effetti nel quadro economico e sociale – è funzionale, nella prospettiva del legislatore, a promuovere un mercato concorrenziale dei servizi professionali (C. cost., sent. n. 443/2007). Come si vede, lo spazio lasciato alla potestà legislativa regionale per incidere sulla materia dell’equo compenso appare limitato e pieno di ostacoli. È vero, tuttavia, che la Corte costituzionale ha affermato che rientra nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale (C. cost., sent. n. 355/2005). Questa apertura di carattere generale è stata negli scorsi anni concretizzata attraverso l’adozione da parte delle Regioni di una legislazione di sostegno del lavoro professionale e di raccordo dell’attività produttiva con le istituzioni e gli altri ambiti della vita economica regionale: il modello, diffusosi in diverse Regioni, è rappresentato dalla l.r. Calabria 26 novembre 2001, n. 27, «Costituzione e disciplina della Consulta per la valorizzazione degli Ordini, Collegi, Associazioni professionali», che istituisce un’apposita Consulta regionale delle professioni, chiamata ad interloquire con le istituzioni regionali.
È proprio a questo approccio “promozionale” che si sono ispirati i Consigli regionali che negli ultimi mesi hanno adottato leggi in materia di equo compenso, come le stesse intitolazioni delle leggi lasciano trapelare.
Osservato rio delle lib ere professi oni 135 I contenuti delle leggi regionali in materia di equo compenso professionale: a)
considerazioni generali
Come spesso avviene nella prassi della legislazione regionale, anche in materia di equo compenso la maggior parte delle leggi regionali fin qui approvate si conforma ad un modello comune, talora riproducendone pedissequamente il testo.
Le leggi regioni in materia di equo compenso hanno fin qui perseguito due strategie generali, consistenti (i) nel porre vincoli all’amministrazione regionale a tutela del lavoro professionale e del principio dell’equo compenso, e (ii) nell’imporre aggravi di ordine procedurale nell’ambito dei procedimenti di competenza dell’amministrazione regionale, a tutela dell’equità del compenso e della certezza dei pagamenti dei privati nei confronti dei professionisti.
I contenuti delle leggi regionali in materia di equo compenso professionale: b) il vincolo all’amministrazione regionale
Una prima strategia perseguita da gran parte delle Regioni che sono state menzionate è orientata a vincolare le amministrazioni regionali – inclusi gli enti regionali e le società controllate dalla Regione – al rispetto del principio dell’equo compenso nelle prestazioni professionali commissionate.
In queste leggi, la nozione di equo compenso è sovente definita attraverso il rinvio alla legge statale, o comunque in modo conforme, ed include tanto le prestazioni rese dai professionisti iscritti agli ordini quanto le prestazioni rese da professionisti per cui non esiste ordine professionale. In diverse leggi, la determinazione di soglie puntuali è rimessa a successive delibere della Giunta regionale: laddove queste delibere risultano già adottate – nel caso della Toscana, come detto, esiste solo questo atto, adottato in assenza la relativa legge – le soglie sono definite attraverso un esplicito richiamo dei Decreti Ministeriali adottati in seguito alla riforma delle professioni per la liquidazione giudiziale dei compensi. Per le professioni non regolamentate, per le quali non esistono parametri normativi, il riferimento è più generico, ed implica la corrispondenza alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto, anche tenendo conto, ove possibile, di omologhe attività poste in essere da professioni affini. Nel caso della Basilicata, il medesimo obiettivo di tutela dell’equità del compenso professionale nei rapporti con la pubblica amministrazione regionale è perseguito attraverso una strategia diversa: ai sensi della legge lucana, «per le prestazioni professionali svolte su incarico della pubblica amministrazione, di enti pubblici o di società a prevalente partecipazione pubblica, la chiusura delle procedure tecnico-amministrative è subordinata all’approvazione degli atti relativi al pagamento delle spettanze del professionista o dei professionisti incaricati». La norma non mira dunque alla quantificazione minima dei compensi, ma alla certezza dei tempi di pagamento, che pure rappresenta un grave problema nei rapporti dei professionisti con la p.a.
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Alcune delle Regioni coinvolte non sono intervenute su questo profilo. È il caso di Sicilia, Campania e Calabria. Il Veneto invece si è limitato a richiamare la normativa statale in tema di determinazione dei valori da porre a base d’asta nel caso di gare per l’affidamento di contratti pubblici.
I contenuti delle leggi regionali in materia di equo compenso professionale: c) gli aggravi procedimentali
La seconda strategia perseguita dalle Regioni che sono intervenute in materia consiste nell’introduzione di un aggravio procedimentale all’interno di taluni procedimenti amministrativi di competenza della amministrazione regionale, quali quelli finalizzati al rilascio di titoli abilitativi ed autorizzativi.
Queste norme sono finalizzate a garantire l’equità del compenso pattuito e la certezza dei tempi dei pagamenti da parte dei privati e delle imprese nell’ambito di attività che coinvolgano il rilascio di titoli amministrativi da parte della Regione.
In questi procedimenti, è ora richiesto che sia presentata all’amministrazione la lettera di affidamento dell’incarico con l’indicazione del relativo compenso pattuito; inoltre, è imposto l’ulteriore adempimento della compilazione di una “Dichiarazione di pagamento” attraverso la quale il professionista certifica l’avvenuto pagamento della parcella professionale, se non il deposito della copia del titolo di pagamento. In Abruzzo, si considera l’ipotesi di una pluralità di professionisti coinvolti nell’opera, imponendo in tal caso l’elaborazione di un documento di sintesi. In ogni caso, la mancata presentazione della “Dichiarazione di pagamento” costituisce motivo ostativo per il completamento dell’iter amministrativo, fino all’avvenuta integrazione.
Tutte le Regioni fin qui intervenute hanno adottato norme in questa direzione, ad eccezione della Toscana, la cui Giunta ha disciplinato soltanto il profilo relativo ai compensi degli incarichi professionali conferiti dalla Regione stessa.
Prime valutazioni
Benché la legislazione regionale fin qui analizzata sia molto recente, e in alcuni casi ancora in via di definizione, è comunque possibile offrire una prima valutazione delle scelte e delle strategie fin qui compiute.
La prima strategia perseguita dalla legislazione regionale esaminata merita pieno apprezzamento. Fissando criteri e modalità operative delle pubbliche amministrazioni regionali, e senza mai discostarsi dai canoni della legislazione statale in materia di pubblica amministrazione, queste leggi rientrano nell’ambito delle competenze regionali.
Nel merito, la scelta di apporre vincoli alle amministrazioni regionali implica una direzione di rafforzamento del principio dell’equo compenso da parte della pubblica amministrazione, che rappresenta uno dei punti deboli della disciplina statale. Ed infatti, il comma 3 dell’art. 19-quaterdecies del
Osservato rio delle lib ere professi oni 137 legge 16 ottobre 2017, n. 148 – che pure estende il principio dell’equo compenso
ai rapporti con la P.A. – sicuramente abbraccia e include le amministrazioni statali e locali, ma potrebbe non includere le amministrazioni regionali, sulle quali esiste una riserva di competenza legislativa regionale. L’estensione esplicitata nelle leggi regionali completa e rafforza il campo di applicazione del principio, e conferisce al principio maggiore concretezza rispetto alle formule generiche adottate dalla legge statale.
Per dare completezza a questo processo, occorrerà verificare che tutti gli atti di Giunta previsti dalle leggi siano effettivamente adottati, e sollecitarne aggiornamenti adeguati nel tempo per far sì che i compensi siano sempre proporzionati ai costi di produzione.
Appare pertanto opportuno che anche le altre Regioni che non sono fin qui intervenute in materia di equo compenso, o le Regioni che non hanno legiferato su questo profilo, adeguino la propria legislazione in questa direzione.
Anche con riferimento alla seconda strategia perseguita dalle Regioni si può esprimere un parere positivo, sebbene con alcune cautele e problematicità che potrebbero suggerire correzioni.
In primo luogo sotto il profilo del rispetto del riparto costituzionale delle competenze: le norme in materia di procedimenti amministrativi regionali, infatti, intervengono in materie che presentano forte attinenza con competenze legislative statali. La circostanza che si stia regolando un procedimento amministrativo regionale non implica infatti che le norme possano dettare condizioni e dare criteri che interferiscono con competenze statali.
Ciò è vero, in particolare, nel caso in cui tali norme implichino non soltanto il deposito della documentazione attestante l’avvenuto pagamento, ma anche il controllo da parte degli apparati pubblici regionali sulla corrispondenza tra l’importo della prestazione e i valori “equi” del compenso. In tal caso, infatti, la legislazione regionale starebbe di fatto riproponendo un vincolo tariffario, contraddicendo la legislazione statale sul punto ed esorbitando dalla propria competenza.
Inoltre, è necessario che le norme regionali vincolino solo le procedure di ambito regionale, e non anche quelle che coinvolgano le amministrazioni comunali, provinciali o di altro ambito non regionale, che non rientrano nella competenza legislativa delle Regioni. Qualche problema in quest’ultimo ambito potrebbe porsi rispetto alla legge calabrese.
Quanto alle valutazioni di opportunità del contenuto delle leggi regionali sul punto, si può affermare che l’obiettivo di garantire equità del compenso e certezza dei tempi di pagamento da parte di privati ed imprese è perseguito attraverso una strategia certamente efficace. Tuttavia, le norme regionali rischiano di determinare una “complicazione” del sistema amministrativo e degli adempimenti a carico dei privati; pertanto dovrà essere attentamente monitorata, a partire dall’esperienza del professionista, la prassi applicativa. Ed infatti, le norme che condizionano il rilascio di titoli amministrativi alla dimostrazione dell’avvenuto pagamento della prestazione professionale
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potrebbero risultare troppo stringenti per il privato, e potrebbero impedire allo stesso professionista di concordare con il committente dilazioni e modalità diverse di pagamento nel tempo della prestazione. Al fine di tutelare al massimo la libertà contrattuale delle parti, anche relativamente alle modalità e termini di pagamento, sarebbe opportuno prevedere una disposizione che imponga il rispetto dei termini di pagamento concordati in sede di sottoscrizione del preventivo e dell’affidamento dell’opera, più che la certificazione dell’avvenuto pagamento. Ciò al fine di consentire il rilascio delle autorizzazioni richieste anche in caso di pagamento della prestazione professionale non ancora avvenuto per accordo tra professionista e committente.
L’osservazione della prassi applicativa potrà dunque suggerire modalità meno rigide di garanzia dell’equità del compenso e della certezza dei tempi di pagamento dei compensi professionali. Frattanto, nel perdurare di un’esigenza di revisione generale e di approfondimento della normativa statale in tema di equo compenso professionale, le iniziative regionali fin qui adottate rappresentano segnali di sensibilità per i liberi professionisti che devono essere tenuti in massima considerazione, anche per l’originalità delle vie battute in un contesto normativo non agevole per la potestà legislativa regionale.
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