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Un eredità recente

Nel documento Violenza domestica in Italia - tesi (pagine 36-39)

In questo capitolo ho cercato il più possibile, facendo ricorso a dati statistici piuttosto che a fatti di cronaca, di mettere in evidenza come le realtà di cui si è parlato siano del tutto attuali. L’esigenza nasce dalla consapevolezza che non sono poche le persone( di entrambi i sessi e di tutte le classi sociali) che oggigiorno sottovalutano le dimensioni della violenza domestica e più in generale della disparità tra uomini e donne. Che sia per ostilità, per difesa dei propri interessi o per benevola fiducia nei progressi della situazione femminile infatti, non manca chi rimarca l’inattualità delle questioni fin qui poste in esame. Ebbene è proprio in un atteggiamento simile che si deve ritrovare il primo ostacolo verso la realizzazione della lotta contro la violenza sulle donne. Non è un

comportamento nuovo nei confronti della violenza: anche Maria Mies, femminista di lunga data, nella sua analisi sul patriarcato su scala internazionale dell’86 incontra una problematica simile in India45, dove le atrocità contro le donne venivano indicate da giornali e da politici come semplici parti del “passato feudale indiano”(Mies, 1986). Ovviamente in Italia il problema non viene

pubblicamente descritto come parte di un passato lontano, pena il discredito e la gogna pubblica per chi pronuncia/scrive il discorso. Forse questo sarebbe potuto accadere dieci o vent’anni fa, quando

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Mi riferisco alle ricerche di Peter Glick e Susan Fiske contenute ne “Psicosociologia del maschilismo” di Chiara Volpato.

45 Non solo la violenza sulle donne è “vittima”di trattamenti di questo tipo: la pratica del nonnismo ad esempio viene

liquidata in molti contesti militari come “giochi tra ragazzi”, ignorando palesemente suicidi o gravi danni fisici e morali. Inutile sottolineare che, così facendo, il problema non viene affrontato né preso in considerazione come si

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ancora non era scoppiato il boom mediatico di “interesse” verso l’argomento. Ma nel privato46

penso che una derisione del problema sia ancora ben lungi dall’essere sradicata. Tra amici si

scherza sulla violenza domestica, perché tanto, che lo si creda o meno, oramai è in via d’estinzione, non è più un problema attuale, né tantomeno “nostro”. Ebbene proprio la negazione della coevità del problema, congiunta alla svalutazione delle sue dimensioni sono le strategie che in maniera più efficace riescono ad occultare il problema. Siccome parte del passato, si suppone scomparirà da solo con il tempo. Per riprendere un concetto dell’antropologia degli inizi si potrebbe parlare di una sopravvivenza47: un rudere che con il tempo scomparirà, che comunque è un problema di pochi “primitivi”che non vogliono adattarsi ai nostri tempi. Così facendo viene negata la temporalità non solo a coloro che compiono l’azione, ma anche all’azione stessa. Questi sono relegati in un eterno e immaginario passato che, proprio perché tale,si deve solo lasciare alle spalle. Ma il tempo non cura le ferite da solo: prendere coscienza della situazione che si è vissuta, analizzarne i problemi e avere una forte volontà di azione sono presupposti fondamentali per il cambiamento, individuale o collettivo che sia.

Questo per il momento, almeno a mia modesta opinione, è stato fatto solo in parte, o che dir si voglia, solo superficialmente. E’ pur vero che la legislazione ha fatto dei passi avanti e che il problema è pubblicamente denunciato su scala nazionale dai media, tuttavia, come vedremo nei prossimi capitoli si parla di una lotta al debellamento del problema più superficiale che effettiva. In questa sede mi limiterò ad esprimere solo una riserva a riguardo, lasciando alla trattazione successiva gran parte del lavoro per la dimostrazione di quanto ho qui affermato.

Nello specifico vorrei dare una prima infarinatura di quanto sia ottimistico pensare che le abitudini culturali cambino tanto velocemente quanto le leggi. Come si può pensare che donne e uomini cresciuti con la consapevolezza della supremazia legale del marito sulla moglie, norma peraltro probabilmente confermata a livello familiare, si sbarazzino in un batter d’occhio di parte integrante del loro modo di vedere il mondo? Certo, grazie alle lotte femministe degli anni ’70 e ’80 ideali di questo tipo sono senz’altro stati quantomeno oggetto di ripensamento di molti, e forse le donne più di tutte hanno cominciato a vedere l’ingiustizia come tale. Ma non tutti gli uomini sono stati

convinti a lasciare la loro roccaforte, anzi vedendo la tragica ondata di femminicidi che giorno dopo giorno vengono a galla, si potrebbe dire che il ragionamento femminista è stato appreso da pochi. Dopotutto perché lasciare un posto di potere?

Ma vediamo nel dettaglio la legislazione sotto accusa. Solo quarant’anni addietro, in Italia la patria potestà, la potestà maritale e il delitto d’onore erano parti integranti rispettivamente del corpus di leggi del codice civile e penale.

Le prime due leggi, abolite nel 1975 grazie ad una riforma del delitto di famiglia, contenevano evidenti riferimenti al marito in termini di capo della famiglia e, come richiama la designazione “patria potestà”, all’unilaterale autorità del padre sui figli( Ballabio,1991, p. 93).

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A livello pubblico si assiste però, come vedremo nel terzo capitolo,ad una certa tendenza alla diminuzione dell’entità del fenomeno: un atteggiamento di questo tipo non è meno svilente del problema!

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Più precisamente le sopravvivenze vennero definite dal padre fondatore della disciplina antropologica, Edward Taylor come“la sopravvivenza del vecchio nel cuore del nuovo” presente nelle credenze e nei riti dei popoli

superiori( Fabietti, p. 16). La negazione della temporalità di usanze, riti, abitudini e per estensione di persone, è però tutt’altro che di dominio antropologico: le credenze che i musulmani siano bloccati nel medioevo, che gli aborigeni australiani o le comunità africane vivano come i nostri antenati primitivi sono ben diffuse dai media e radicate tra la gente.

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Ad appesantire l’autorità del marito/padre c’era poi la giustificazione dei delitti compiuti per salvaguardare la propria immagine sociale. Formalmente abolito solo nel 1981, l’articolo 587del Codice Penale circa il delitto d’onore recitava così:

Codice Penale, art. 587

Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella48.

Stando a quanto detto si può facilmente dedurre che, con il riconoscimento ufficiale del valore dell’onore e dell’autorità del padre e marito padrone, di abusi non si parlasse, né tantomeno c’erano denuncie pubbliche di violenza domestica: l’espressione, insieme a tutto quello che segue, non era ancora stata oggetto di concettualizzazione.

La Agnello-Hornby, avvocatessa scrittrice dalle origini siciliane,da un ottimo scorcio della situazione dell’epoca nel suo libro “Il male che si deve raccontare” riportando un suo ricordo d’infanzia. Eccone un piccolo estratto.

“Un pomeriggio mi ero attardata più del solito nella cucina del primo piano. Le ragazze pulivano la verdura per la cena parlottando intorno al tavolo; di tanto in tanto mi guardavano di sottecchi. Poi la cuoca mi disse che era meglio se risalivo dalla nonna. Perché? chiesi. La cuoca accennò vagamente al fatto che il marito di Filomena- un donnone con tanti figli che abitava proprio sotto casa nostra e che conoscevo di vista perché a volte ci portava le uova fresche del suo pollaio- stava per rincasare. E allora? tornai a chiedere. Mi fu detto che il marito di Filomena aveva “malocalattere”. Ben presto quella risposta enigmatica mi si chiarì: dalla strada si levavano alte urla, come se fosse cominciata una rappresentazione teatrale. [..]Il marito di Filomena, mingherlino e con le gambe storte, aveva lasciato l’asino all’inizio del vicolo affidando le briglie a uno dei figli. Avanzava lento urlando a Filomena parolacce che conoscevo e altre che mi erano nuove; lei gli rispondeva per le rime e allo stesso volume, tutta sudata. Una vera e propria lite. Più lui si avvicinava, più da porte e finestre spuntavano facce di donne, bambini e anziani. Io non capivo. Quando ebbe raggiunto la moglie, l’uomo le allungò il primo di una serie di schiaffi: con una mano la teneva per il colletto con l’altra la colpiva. Filomena, ora muta, non cercava di liberarsi, né di scappare. [..]Dopo quella che mi parve un’eternità, il marito di Filomena lasciò la presa e lei si afflosciò a terra.[..] Nessuno,

nemmeno i figli, correva ad aiutare Filomena: ‘Ahi ahi, m’ammazzo, ahi ahi!’gemeva lei, per terra. Il marito si guardava in giro, come un attore sul palcoscenico che aspetta l’applauso. Poi abbassò gli occhi sulla moglie e cercò di darle un calcio: intervenne il figlio maggiore[..]. Filomena, di nuovo in piedi, inveiva contro il marito; tentò perfino di dargli uno schiaffo, ma fu fermata dagli altri, che ora cercavano di dividerli. Poi, come per miracolo, la folla scomparve: donne, uomini, vecchi e bambini si rintanarono nelle loro case. [..] Una volta domandai a Nuruzza( la cuoca) perché non chiedeva mai a Filomena come stava. ‘Non c’è di bisogno’ fu la riposta. L’importante era che Filomena sapesse che c’erano persone che si preoccupavano del suo bene, e che lo sapesse anche lui, ‘nsammai pensa di cafuddarla cchiù assai’”( Agnello-Hornby, 2013, p. 22-25).

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Fonte del testo di legge: http://www.diritto24.ilsole24ore.com/guidaAlDiritto/codici/codicePenale/articolo/716/art- 587-omicidio-e-lesione-personale-a-causa-di-onore.html .

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Ciò che mi chiedo ora è: per quale motivo abbiamo ragione di credere che la situazione sia

completamente cambiata? Perché, nonostante l’abolizione di leggi tanto discriminati per la donna,

dobbiamo pensare che alcuni uomini educati nel culto del potere maschile esitino ad alzare le mani sulla moglie per farsi rispettare? Perché pensare che le donne, nonostante come Filomena

reagiscano, denuncino subito alle autorità prima di risolvere il problema in prima persona o cercando aiuto in chi a lei sta vicino per far sì che la situazione non peggiori? Oltre a queste considerazioni poi, si deve tenere anche in conto che, come cercherò di evidenziare nel capitolo successivo, quest’eredità maschilista non concerne solo i comuni cittadini, ma anche chi di gestire la legge dovrebbe occuparsi, procurando effetti spesso tutt’altro che a “norma”.

Nel documento Violenza domestica in Italia - tesi (pagine 36-39)