• Non ci sono risultati.

Relativismo o determinismo?

Nel documento Violenza domestica in Italia - tesi (pagine 39-42)

In conclusione di questo capitolo vorrei rendere esplicito che ricercare le cause culturali della violenza domestica in Italia è per me ben lontano dal giustificarle o delinearle come immutabili. Il presupposto da cui parto è che la cultura sia contemporaneamente storicamente e localmente specifica, pertanto soggetta a mutamenti. Inoltre mi allineo sulla posizione del cosiddetto relativismo culturale, il quale, come direbbe Ligi, “non consiste nell’assumere una posizione di rinuncia ad ogni valutazione morale in base al principio- molto pericoloso- secondo cui un’usanza o un costume, per il solo fatto di essere un prodotto culturale interno ad una qualche società, debba essere giustificato, legittimato o tollerato”( Ligi,p. 156). Questo piuttosto è da considerarsi come determinismo culturale. Relativizzare significa rendere comprensibile, per poi, se possibile, proporre delle soluzioni adatte alla situazione. Di seguito riporterò due casi studio che mostrano come sia effettivamente possibile partire dalla comprensione culturale per risolvere un problema. Un primo studio, scritto ormai nel 1982, tratta, più che di abusi domestici, di violenza sulle donne. E’ stato uno dei primi lavori antropologici di cui ho letto, e mi ha sin da subito affascinato per il modo di affrontare una pratica che sino a quel momento( nel 2012) avevo considerato, con scarso spirito relativista, decisamente “barbarica”: l’infibulazione49. E’ una pratica di cui di tanto in tanto

si sente parlare da giornali, radio e tv: torna alla ribalta con tutta una serie di critiche che includono, oltre alla condanna dell’usanza in sé per sé, anche quella di chi la pratica, immancabilmente tacciato come portatore di una mentalità primitiva, un troglodita che ferisce delle “povere donne deboli e

indifese”. Da queste considerazioni non manca di scaturire l’affermazione del bisogno di far

rispettare i diritti umani, e conseguenza non detta, per noi euroamericani di imporli. Ebbene nell’articolo dal titolo “Il ventre come un oasi” Janice Boddy si oppone a tutto questo. Forte di un analisi condotta sul campo ad Hofriyat (pseudonimo indicante un villaggio del Sudan

settentrionale)( Forni, Pennaccini, Pussetti, 2006, p. 85-115) l’antropologa smantella, una dopo l’altra le credenze comuni dovute a disinformazione, in particolare quelle riguardanti il motivo fondante del perché si porti avanti questo costume: non è per contraccezione visto che ragazze con cui parla hanno in media sei o sette figli; non è per aumentare il piacere sessuale maschile visto che gli uomini sposati hanno rapporti anche con prostitute (per ragioni concrete non infibulate) e visto che questi ultimi recentemente preferiscono sposare donne con forme di menomazioni minori; non è per contrastare infezioni vaginali visto che ne provoca non poche impedendo un buon deflusso di urine e mestruazioni. Ancora, in virtù della sua convinzione che “solo una volta indagato il

49

L’enciclopedia Treccani descrive l’operazione come consistente in un taglio intorno alle grandi labbra che, unite e rimarginate, determinano una cicatrizzazione che restringe l’ostio vulvare.

39

significato che l’infibulazione riveste per le donne sudanesi [..] si potranno immaginare nuove modalità di affrontare queste pratiche con la dovuta sensibilità e preparazione scientifica”(Boddy, 1982,p. 87) smonta l’idea che le donne subiscano passivamente l’usanza: sono donne a praticare la delicata operazione,donne che assistono e donne che ululano gioiosamente a conclusione del rituale. “ Dal loro punto di vista, il fine della rimozione dei genitali esterni non è tanto quello di ostacolare il piacere sessuale delle donne, quanto quello di socializzare la loro fertilità e accrescere la loro femminilità, dando rilievo alle qualità che la definiscono: purezza pulizia, levigatezza”. Queste ultime tre caratteristiche si ritrovano secondo l’antropologa americana in tutto ciò che è associabile alla donna: da evidenza di associazioni tra elementi puri(colombo), chiari e levigati(trattamenti al fumo per rendere la pelle più pura e chiara, o elementi candidi come uova di struzzo e zucca), simil contenitori( uovo di struzzo per favorire fertilità,gūlla per preparare il cibo)e la donna infibulata. In breve l’infibulazione è in grado di conferire alla donna tutto ciò per cui è considerata donna e fertile, più che avere a che fare con l’astinenza sessuale, culturalizza la fertilità di una donna. Per questi motivi,“la legislazione che la contesta e gli sforzi internazionali per assicurare la sua soppressione devono tenere conto, per avere successo, dei significati locali di questo costume”(Boddy, 1982, p.115).

Un secondo caso, anch’esso spazialmente lontano, fa però più a caso nostro: si tratta dello studio della violenza domestica alle Hawaii(più precisamente nella località di Hilo) e dei tentativi per contrastarla. Nel 1985 alle Hawaii sono state adottate misure contrastive alla violenza da parte del partner confacenti alle norme internazionali più propriamente dette: una volta accertato che il marito maltratta la moglie, si richiede la separazione della coppia, mossa intesa a salvaguardare il benessere della donna. Ma invocare una soluzione del genere significa fare i conti senza l’oste. Si ignora che le coppie hawaiane sono spesso costituite da cristiani conservatori che, in virtù della loro fede religiosa, disapprovano e rifiutano il divorzio “risolutivo”. Presa coscienza di questa realtà, l’antropologa Merry propone un adattamento locale dei diritti umani, di fatto eliminando quello che poteva sembrare un classico caso di conflitto tra diritti e cultura. Sostenere le donne vittime di violenza e rieducare i maschi autori dei maltrattamenti diventano gli obbiettivi primari del progetto di azione, il quale prevede, in funzione del controllo dell’aggressività maschile, di far ricorso ai principi cristiani combinati con quelli degli attivisti hawaiani che associavano la collera dei maschi alla conquista e alle perdite derivanti dalla stessa ( Lavenda e Schultz, 2010, p. 350- 353).

In entrambi i casi dunque, la carta vincente per contrastare efficacemente il problema è la contestualizzazione: questa, congiunta alla pur necessaria tutela dei diritti delle donne in quanto esseri umani, risulta il primo passo per un cambiamento che non risulti frustrante o, ancor peggio ostacolato, da chi ne avrebbe più bisogno.

Ho scelto questi due studi perché, oltre ad avere a che fare con la violenza di genere, rendono evidente come sia di fondamentale importanza capire la situazione culturale che delinea i contorni di un certo fenomeno per poi poter agire con maggiore consapevolezza e rispetto per le diversità altrui. E’ mia opinione e speranza che un approccio del genere possa essere utilizzato anche per confrontarsi con il caso italiano che, forse perché a noi così vicino, si pensa di capire appieno senza il bisogno di ulteriori analisi(almeno questa è l’impressione che le immagini mediatiche ci

trasmettono). Sembra che sulla violenza domestica si sappia già tutto, ma mai quanto oggi serve capirne di più. E per chi sia scettico circa il possibile cambiamento dei ruoli di genere vorrei

40

aggiungere, menzionando Butler, che il genere non è qualcosa che si possiede fin dalla nascita, ma uno stile di vita che deve essere confermato giorno per giorno rifacendosi ai modelli ritenuti più consoni per il proprio aspetto fisico. Riprendendo la figura della Drag Queen tanto cara alla filosofa statunitense, si potrebbe argomentare che la spettacolarizzazione e riproduzione di sessualità e genere messe in atto sul palco dalla drag queen, ricordano a chi la guarda che tutti i generi sono performance(Barker, 2005, p. 299). E proprio in questa constatazione si inserisce a gran forza la possibilità di cambiamento: lungi da essere ripetizioni uniformi di identità dominanti, le produzioni performative implicano la possibilità di creazione di nuovi soggetti che espandano le barriere di cosa è considerato culturalmente intellegibile(Butler, 2000, p. 39- 41).Si può dunque far largo ad un rimodellamento del genere che tenga conto delle problematiche esistenti e cerchi di venirne a capo, magari slegando la donna dalle posizioni subordinate e liberando l’uomo da quell’aggressività che oggi sembra a lui così vicina.

41

LA RAPPRESENTAZIONE MEDIATICA DELLA VIOLENZA DOMESTICA:

Nel documento Violenza domestica in Italia - tesi (pagine 39-42)