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Ermanno Rea: pragmatismo ambientale

3. Amnesia del territorio: il paesaggio della Valle del Po

3.2. Gli scrittori-viaggiatori e il fiume Po

3.2.3. Ermanno Rea: pragmatismo ambientale

Un ultimo autore che ha dedicato pagine di letteratura di viaggio lungo il Po è Ermanno Rea (1927-2016), ed è tanto più interessante la sua testimonianza non solo per il suo sguardo esterno (essendo napoletano, ha un approccio molto diverso a questo territorio rispetto agli autori trattati in precedenza), ma anche per la scelta di percorso: dal Delta fino alla sorgente, in senso dunque contrario al naturale scorrere del fiume. La motivazione di questa scelta, sostiene l’autore, sarebbe quella di «impattare subito con le “conseguenze”, cioè con la matassa dei problemi (“caso Po”) ormai all’estremo stadio di degradazione».99 Come lettori siamo subito introdotti alla questione ambientale del Po, e tuttavia il problema viene presentato quasi in contemporanea alle possibili soluzioni da attuare. Rea è soprattutto affascinato dall’approccio pragmatico che gli autoctoni tendono ad avere rispetto ai problemi, e alle proposte innovative che provano a mettere in atto. Sul Delta, ad esempio, vi è una possibile via di conciliazione tra sviluppo economico e ambientale: l’allevamento del pesce in stabilimento e in “valle”, o l’allevamento delle vongole a Goro; un «eden tecnologico»100 in cui tuttavia vi è sempre la minaccia incombente che una tale improvvisa ricchezza possa finire da un momento all’altro, a causa delle incerte condizioni ambientali sul Delta:

Ecco il punto: riuscire a determinare questo equilibrio o corrispondenza fra natura e tecnologia senza che né l’uno né l’altro presenti «macchie» di alcun genere. A quanto pare, per quel che riguarda il processo riproduttivo non ci sarebbero eccessive

                                                                                                               

97S. IOVINO, Restoring the Imagination of Place, p. 110, (inglese nel testo, traduzione mia).

98 Va precisato, tuttavia, che in alcuni punti, seguendo il tracciato dell’autore e “sperimentando” i luoghi

narrati, è possibile ancora trovare spazi desolati in cui la percezione di vuoto è ancora molto forte, cfr. PETERLE, F. VISENTIN, Performing the literary map: ‘Towards the river mouth’. Following Gianni

Celati, in «Culturar Geographies», California State University, Fullerton, USA, prossima pubblicazione.

99E. REA, Il Po si racconta. Uomini e donne, paesi e città lungo le rive di un fiume sconosciuto, Milano, Il

Saggiatore, (1996) 20042, p. 24.

difficoltà […]. Totalmente diverso invece il discorso per quel che riguarda il risanamento della grande valle. Innanzi tutto a causa della sua estensione […] e dello stato di usura dovuto agli anni di abbandono; poi per la necessità di avere un sistema molto efficiente di comunicazioni idrauliche costanti; infine per la qualità delle acque di alimentazione della laguna […]. A tutto questo si aggiunga la novità dell’operazione, mai tentata prima d’ora su una simile scala di grandezze, che ne fa un vero e proprio esperimento pilota.101

Attraverso le testimonianze di molte persone, abitanti, lavoratori, amanti del Po, Rea presenta una realtà «multiforme e composta identità del Po».102 È una realtà in mutamento e, diversamente dalla situazione degli anni ’80, in movimento. La spinta propulsiva dell’imprenditoria locale raccontata da Rea sembra talvolta sfuggirgli di mano e pare quasi a lui stesso di trovarsi all’interno di una storia di finzione:

Paesanti è tornato dalla Spagna e mi aspetta allo stabulario: finalmente saprò che titolo dare a questa vongola-story che un po’ mi incanta e un po’ mi mette addosso un velo di angoscia. […] Chiedo a Paesanti di parlarmi di sé e lui mi dice per prima cosa che è un gorese «verace»: come la «Tapes semidecussatus», anzi la «Tapes decussatus», che è la vongola naturale, spontanea […]. «Sono figlio di un pescatore. Quanto a mia madre, ha fatto per quarant’anni la pescivendola. […] Come vede, avevo quasi l’obbligo morale di restare in questo campo». Non è la prima volta che a Goro sono assalito da una forte sensazione di irrealtà, come se mi trovassi a camminare dentro a una storia inventata di sana pianta, una di quelle favole […] sfacciatamente inverosimili. In più d’un’occasione, lungo le strade di questa cittadina-paradosso, mi sono scoperto che dicevo a me stesso: ma la vita è un’altra cosa. […] Perché nella vita vera non succedono miracoli, mentre qui c’è un paese che impazzisce, che cambia pelle, che mette su pancia […] grazie all’alzata d’ingegno di un biologo, un tal Paesanti, figlio di una pescivendola e di un pescatore, che una bella mattina si alza e dice: adesso in questa sacca faccio crescere un tesoro, chi mi dà una mano?103

Agli occhi del napoletano ha un che di miracoloso l’iniziativa del biologo dell’avvio della riproduzione delle vongole nella sacca di Goro; miracoloso poiché è stato il primo a sostenere la “semina” artificiale in ambiente naturale. Tuttavia, come spesso capita in situazioni di ricchezza acquisita molto rapidamente, agli abitanti di Goro sfugge la situazione: tutti desiderano avere una fetta della torta e, di conseguenza, iniziano rivalità che fino a poco tempo prima non vi erano, e casi di corruzione all’interno del Consorzio, ente creato, inizialmente, proprio per tutelare tutti i pescatori. L’autore racconta tutto questo in poche pagine alla fine del capitolo dedicato al Delta, in cui racconta di esser tornato sui luoghi visitati esattamente sei anni dopo il primo viaggio. Tutto il volume è strutturato in tal maniera (capitolo – epilogo dopo sei anni) ed è naturale che nel testo                                                                                                                

101Ivi, p. 51.

102S. IOVINO, Restoring the Imagination of Place, p. 110, (inglese nel testo, traduzione mia). 103E. REA, Il Po si racconta, p. 84.

scritto sei anni dopo molte delle cose auspicate e sperate durante il primo soggiorno non siano avvenute. Non si tratta, noi crediamo, di una questione di pessimismo da parte dell’autore (forse può anche esserlo in parte, considerato l’entusiasmo che si percepisce nella scrittura del primo viaggio), ma piuttosto di un suo auspicio, ancora, nonostante alcune delusioni, che ci possa essere possibilità di miglioramento, e che anzi bisognerebbe sempre tendere a quell’obiettivo; non per un fattore meramente economico (che anzi, alla luce di quanto viene descritto dall’autore, spesso è più dannoso che altro104) ma soprattutto per un fattore ambientale, poiché il Po, – continuiamo a ribadirlo – in nome dello sviluppo è costantemente

sottoposto a un impatto mostruoso. Il Po, detto fuor di perifrasi, sta diventando la grande fogna della Padania. Qui si riversano il 47% dei fertilizzanti agricoli utilizzati nel nostro paese, il 55% dei fitofarmaci, il 67% dei diserbanti. Sulle sue rive sorgono a decine le centrali termoelettriche dell' Enel, che riversano nel fiume le acque surriscaldate. I liquami degli allevamenti lo trasformano in un febbrile laboratorio biologico, una provetta lunga quasi seicento chilometri destinata a produrre mostri.105

Eppure, come Rea racconta (dando voce agli autoctoni che hanno a cuore quel territorio) nel suo reportage, i modi per risolvere questi problemi ci sarebbero tutti, basterebbe seguire la direzione giusta, la via che indichi le modalità per un equilibrio tra tecnologia e ambiente; forse non a caso l’autore, per tutto il suo viaggio a bordo della sua Citroen, cerca costantemente l’argine maestro del Po, «quella sorta di barriera creata per stratificazioni secolari dagli uomini per difendersi da inondazioni e bizzarrie dell' unico grande fiume italiano»,106 un connubio di ambiente e tecnica. Il suo sforzo di rivolgere uno sguardo nuovo sul grande fiume non lo esenta tuttavia da un certo sgomento alla conclusione del suo viaggio, quando ormai ha quasi raggiunto la sorgente sul Monviso:

Mi guardo intorno; cerco di imprimermi nella mente ogni dettaglio del paesaggio. […] Mi sento addosso quel vago senso di disperazione che in genere ti coglie al termine della lettura di un bel libro: e adesso? Penso con sgomento ai dieci quaderni di appunti che ho in valigia: dovrebbero racchiudere il mistero del fiume; ma il mistero del fiume, si chiami dannazione o resurrezione, sta altrove. Si identifica col

                                                                                                               

104 Si ricordi, peraltro, che la descrizione di Goro negli anni ’90 come un paese rapidamente diventato

avido ed egoista, ha come sua naturale prosecuzione i fatti di respingimento migratorio avvenuti lo scorso ottobre, cfr. Goro e Gorino dopo le barricate contro i migranti, in «La Repubblica», 25 ottobre 2016,

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2016/10/25/news/ferrara_la_protesta_spinge_i_migranti_fuori_da_gori

no_e_goro-150528576/. (Data ultima consultazione: 19 gennaio 2017).

105 F. PRATTICO, Si fa presto a dire Po, in «La Repubblica», 22 settembre 1990,

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/09/22/si-fa-presto-dire-po.html. (Data

ultima consultazione: 19 gennaio 2017).

più vasto mistero che incombe sul nostro destino di uomini forse troppo avidi per riuscire a risparmiare ai nostri pronipoti un futuro da «arance meccaniche». I quali pronipoti, chissà, i fiumi se li costruiranno miniaturizzati in miracolosi alambicchi. Fabbricheranno pesci, uccelli, piante che racchiuderanno, assieme al Po, in una bottiglia. Penseranno a noi con commiserazione e ironia.107

Come dalla sorgente di un fiume è impossibile vedere la foce, allo stesso modo è impossibile per l’uomo vedere le conseguenze delle proprie azioni. Può solo cercare di prevedere e prevenire.

I tre autori qui presentati, in un certo qual modo, mostrano tre differenti modi di accostarsi al fiume. Si potrebbe dire che, facendo un parallelismo hegeliano, nell’ordine in cui sono stati brevemente analizzati (che peraltro corrisponde anche ad un criterio cronologico), rappresentino una forma di tesi, antitesi e sintesi. “Tesi” nella misura in cui Guido Ceronetti, in maniera quasi assoluta, descrive il Po come irrimediabilmente compromesso dall’economia capitalista e rapace e non sembrerebbe vedere alcuna soluzione in merito. “Antitesi” in Celati, in cui il fiume sembrerebbe essere negato, sia da tanta parte della popolazione locale, sia dalle logiche economiche e urbanistiche (nella cacofonia di elementi urbani, come prodromi di quella “megalopoli padana” scrupolosamente osservata da Turri108 e tuttavia tra le righe dell’autore si percepisce già il principio di un mutamento culturale. Tale mutamento viene presentato nella “sintesi” di Rea, che descrive il modo in cui buona parte delle persone cerchino soluzioni per salvare quel territorio così a lungo bistrattato. Il testo di Rumiz contiene in sé, seppur in varia misura, tutti questi aspetti, ma ci si soffermerà, naturalmente, su quelli che finora non sono stati ancora trattati.

I prossimi tre capitoli saranno dedicati all’analisi dei tre reportage di Rumiz e alle varie caratteristiche che l’autore sottolinea rispetto ad un territorio marginale: se infatti in

Morimondo è possibile leggere di un elemento geografico marginalizzato (la Valle del

Po), ne Le case degli spiriti Rumiz viaggia in luoghi in cui vi è stato l’intervento dell’uomo, ma che in poco tempo sono divenuti (per varie ragioni) marginali. Infine ci si soffermerà su L’Italia in seconda classe, meno recente rispetto a questi due primi reportage (realizzato nel 2002), ma che tuttavia sembra poter chiudere il cerchio: un elemento umano inserito nel paesaggio (la stazione ferroviaria e la ferrovia, ultimi                                                                                                                

107E. REA, Il Po si racconta, p. 277. 108Cfr. E. TURRI, La megalopoli padana.

baluardi d’ingegneria che si conciliano armoniosamente col paesaggio), centrale e