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Qui soffoco.

Il Vangelo ci racconta con precisione e vivezza di particolari tre momenti soltanto dell’avventura del Prodigo: il suo andar lontano, le esperienze d’esilio, il ritorno.

Il racconto incomincia dove incomincia l’avventu- ra. L’antefatto, cioè il dramma interiore dell’animo, che si stacca un po’ per giorno dalla Casa, il Signore non ce l’ha voluto descrivere.

Il quotidie morimur130 dell’affetto filiale, l’agonia

inavvertita dallo stesso cuore del Minore, misurata in- vece e patita ineffabilmente dal Padre, è rimasta chiu- sa nel Cuore del Maestro, come una pagina del suo Getsemani. Essa fa veramente parte del Mistero di Gesù, come direbbe Pascal, poiché il nostro peccato fa il mistero della sua Passione.

Pudore della sofferenza in colui che racconta, che si identifica col Padre? L’imponderabile che fa scro- sciare la valanga o la frana del male nell’animo nostro

già incline ad esso? La varietà senza legge e senza nu- mero dei motivi, che ci sciolgono, perfino a nostra in- saputa, dai vincoli paterni, divenuti – chi sa come? – opprimenti e soffocanti?

Il Prodigo, quando è guardiano di porci, sotto la ghianda che gli dà ombra e non pane, esce in un grido che conclude la sua situazione disperata: – Qui muoio di fame! – Se Gesù gli avesse messo sulle labbra, avanti ch’egli richiedesse la sua parte di beni per andarsene: – qui soffoco – tale interiore tragicità non sarebbe stata capita dai più, poiché non c’è niente di drammatico che arrivi a colpire la fantasia comune nella crisi della Fede. C’è l’andar giù, il dileguarsi di qualche cosa, l’offu- scarsi di una chiarezza affettiva e lucente; il lento scio- gliersi di un abbraccio, che non è più se non un’abitu- dine, la quale pesa stranamente, insopportabilmente.

Ognuno ha la sua crisi, che pur essendo in fondo la stessa, non si ripete mai, anche quando sembra svol- gersi sullo stesso piano. Le anime sono inconfondibili, soprattutto là dove esse si congiungono all’Infinito, sorgente di originalità che non rinnega l’unità.

Ogni sguardo retrospettivo tanto sulla conversio- ne come sulla dispersione riesce difficile.

Lo stesso che ha fatto la strada, si chiami pure S. Agostino, quando la ripercorre con la mente, non è più capace di ripeterla tal quale.

Gesù soltanto avrebbe potuto scomporre l’animo del Prodigo. Che ne avremmo guadagnato?

Il granello di sabbia che impedisce a un ingranag- gio meccanico di funzionare non ci spiega perché l’or- digno non funzioni. Rimane da sapere perché non fun- ziona quando c’è di mezzo un granello di sabbia.

Un niente che arresta un movimento, un imponde- rabile che ferma l’azione di Dio in un’anima, quale mistero! Il mistero però non è nel granello, ma nel congegno, non è nel niente ma nell’animo, nella sua stessa maniera di essere, che la Verità incarnata non ci ha voluto rivelare, per riservarsi forse una sfera più ampia nell’esercizio della sua Misericordia.

Conversione o dispersione? È proprio vero che l’opera di Dio in un’anima può venire totalmente fru- strata dall’opporvisi del granello di sabbia?

C’è una dispersione che non sia nel contempo una conversione? Dio non permetterebbe un distacco da Lui, se non potesse divenire un motivo di più salda e profonda unione con Lui.

Ogni uomo ha la sua conversione, la quale, in un momento lunghissimo di essa, è una dispersione, che segna l’ordinario trapasso dalla Presenza inconsape- vole all’accoglienza consapevole e devota fino all’ul- tima divina esigenza. Il Prodigo incomincia a conver- tirsi quando incomincia a staccarsi dalla Casa. L’al- lontanamento può essere l’indizio di una lenta e peri- colosa, ma provvidenziale elaborazione di un nuovo rapporto tra il Padre e il Minore: il vero rapporto re- ligioso. Nel Prodigo, come in ogni uomo, c’è il mo- mento inconsapevole del divino, il quale non basta a darci la ragione della vita. Occorre raggiungere il mo- mento consapevole, nel quale Dio si manifesta e si dona alla creatura e da questa viene riconosciuto e ri- cambiato.

Si incomincia a camminare verso il Padre lo stesso giorno che avvertiamo la nostra incompatibilità col Padre.

– Passo passo m’incamminavo verso la salute, ma non lo sapevo (S. Agostino, Conf., 5,13). La stessa na- ve mi porta in esilio e mi riporta in patria.

Allontanamento e ritorno son due termini che nei nostri rapporti con Dio non si oppongono, poiché né la nostra miseria allontana il Signore, né essa ci impe- disce di giungere a Lui, potendo benissimo diventare, per sua misericordia, un gradino.

Il Signore si serve anche della mia miseria! Quan- ta onnipotenza e quanto conforto!

Noi non sappiamo fin dove un peccato ci distacca momentaneamente da Dio e dove pone le gettate di un ponte sulle strade del ritorno.

Se non ci fosse un mistero di tanta bontà nel no- stro mistero d’iniquità, Dio non lo permetterebbe.

Per questo il tentativo di scaglionare quasi su un rettifilo i motivi che distaccarono il cuore del Prodigo dalla tranquillità della Casa è un lavoro tanto ragio- nevole quanto irreale.

Ciò nonostante lo tentiamo, riconoscendo in ogni causa che verremo enumerando quel lievito di grazia che può portare l’animo del traviato a una salutare ri- flessione. Le nostalgie più feconde si celano talvolta laddove più acerbo e violento appare il distacco.

La ricerca delle cause che creano nel Prodigo il di- sagio che lo porterà a uscire di Casa fa pensare che la Casa non gli basti, che il Padre non gli basti. Sarebbe come dire: Dio non gli basta; cioè, l’assurdo e la be- stemmia più grande.

Senza voler fare del paradosso, anche l’assurdo teologico come la più volgare bestemmia può avere

un significato tollerabile. Non è che il Padre non basti al Prodigo, è la maniera di essere del Prodigo di fron- te al Padre che non gli lascia entrare l’effluvio della paternità, lasciandolo insoddisfatto e sconsolato.

Dio è il Piacere Sommo,131 come dice Dante: ma

come tale Egli non appare direttamente all’anima che lo cerca: di modo che mentre non si è liberi rispetto a Dio considerato come il termine ultimo della nostra ricerca, lo siamo invece se lo consideriamo come via che a Lui conduce.

Ognuno è un cercatore di Dio-Felicità. Non vi può rinunciare; mentre può diventare, proprio nella ricer- ca di Dio, un negatore di Dio, se lo cerca ove Egli non è, oppure, ove non è nella maniera che basta al cuore dell’uomo.

In questa che è la vera avventura umana (miste- riosa e tragica avventura, ove c’è un Dio che si dà a una creatura che spasima di Lui e può finire per non ricevere) oltre l’effetto del nostro peccato, il quale proprio qui manifesta la sua più nefasta tristezza, noi scorgiamo, se la Grazia ci soccorre, un pensiero inarri- vabile d’amore.

Dio rispetta il nostro limite, costituendoci nella no- stra personalità e libertà (vos dii estis132) e predispone

le «stoltezze della croce»133per correggere gli eccessi

della nostra libertà. Il che non vuol dire rifondere un’opera mal riuscita, ma perfezionare su un piano

131DANTEALIGHIERI, Divina Commedia. Paradiso, canto 33. 132«Voi siete dèi» (Is 41,23).

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