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– Prima d’irritarci contro i nostri accu- satori, dobbiamo riconoscere i nostri peccati a loro riguardo.

(Maritain)

... et vobis, fratres.

Il Confiteor è rimasto nel rituale.

Se il ripristino dello spirito liturgico vuol dire, co- me deve certo dire, vivere il rito, cioè ripetere nella vi- ta ciò che si compie all’altare, bisogna incominciare col tradurre il Confiteor. La parte meno costosa è la dichiarazione fatta davanti a Dio, alla Casa celeste, cioè alla Chiesa gloriosa. Lassù conoscono le nostre miserie e non vale il nasconderle.

Ma c’è a conclusione un «a voi, fratelli», che passa inosservato, dove ci son dentro presenti e assenti, cre- denti e oppositori (a nessuno si può togliere il titolo di fratello) i quali hanno diritto di sapere anche i miei torti se voglio essere perdonato.

Della fraternità si considerano e ci si appropria vo- lentieri degli aspetti utili, dove il tornaconto è pretesa che quelli facciano per noi o non contro di noi, sorvo- lando con disinvoltura sui molti obblighi di essa, spe- cialmente se si tratta di doverci umiliare per ricevere il dono più grande, il perdono.

Dio ci perdona se noi perdoniamo: Dio ci perdona tanto più volentieri se noi ci siamo fatti perdonare dai fratelli.

Se la Confessione-Sacramento ci costa tanto per- ché l’assoluzione è condizionata alla dichiarazione dei nostri peccati davanti a un uomo come noi, si capisce come debba costare al nostro orgoglio un Confiteor detto apertamente anche davanti a delle persone, del- la cui benevolenza si può, a ragione, dubitare.

Il Prodigo avrebbe penato meno a recitare il suo Confiteor se qualcuno lo avesse preceduto: qualcuno, i cui torti, sebbene quantitativamente minori, pesava- no la loro parte sugli avvenimenti dolorosi dell’allon- tanamento.

– La diritta è mia...26

Il diritto di accusarci per primi è proprio nostro: nostro è il privilegio di buttarci a capo e cuore incon- tro alle proprie responsabilità non adempiute.

Non chi ha mancato di più, ma chi ama di più co- mincia il Confiteor.

Ma molto ama colui che si sente di molto perdo- nato. La generosità del Prodigo è una volta ancora una ben dura lezione alle nostre ingenerosità di gente per bene.

Homo peccator sum.27

La Parabola non racconta né dove né quando il Maggiore ha recitato il suo Confiteor, né se l’ha recita-

26A. MANZONI, I promessi sposi, cap. 4. 27«Sono un uomo peccatore» (Lc 5,8).

to. Viene la tentazione di pensare ch’esso sia ancora so- speso tra la durezza ingenerosa di quel cuore che si sen- te troppo a posto, che ha troppe ragioni per sentirsi di- verso; ancora sospeso tra le nostre labbra troppo pron- te a parlare della pagliuzza nell’occhio del fratello.

I rimasti, all’infuori dei santi – categoria non no- minata nella Parabola, ma che si può supporre senza sforzo nella conoscenza retrospettiva della Parabola che continua nella storia della Chiesa – non si sono mai confessati né spontaneamente né volentieri. Si confessano, ma aborrono dal Confiteor: chiedono per- dono delle colpe individuali e non s’accorgono nep- pure di altre ben più grandi come membri della co- munità. Ci è mancato finora e ci mancherà ancora per lungo tempo il senso sociale del nostro malfare, la re- sponsabilità verso il Corpo di Cristo.

Voglio provare a mettermi in ginocchio, io, che non sono un santo, che sono il più metallico dei rimasti.

Dominus sit in corde meo et in labiis meis ut sin- cere et humiliter confitear peccata mea.28

– Perché mi devo confessare? – Cosa devo confessare?

Ecco che mi ritorna su fredda tutta la mia smisu- rata ragionevolezza di uomo sicuro, troppo sicuro: millantatore di cose che non sono mie, colla bocca sempre piena delle glorie familiari.

28«Il Signore sia nel mio cuore e sulle mie labbra, affinché confessi i

miei peccati con sincerità e umiltà». La prima parte della citazione, tratta dalla messa tridentina, è pronunciata dal lettore prima della proclamazio- ne del Vangelo.

Ma io non sono la Chiesa. Sono un grumo di fango nella sua veste inconsutile, più che un membro vivo di quell’umanità saliente a vita eterna nella divina unità del Signore. Non mi posso confondere, non mi devo confondere con la Chiesa: non devo rubare le sue pre- rogative. A me soltanto il dovere di confessarmi come cristiano, come uomo di Chiesa, come testimonio, co- me discepolo, come apostolo.

– Voi sarete i miei testimoni29 – ci ha detto Gesù

prima di lasciare la terra.

Gesù se ne va: non lo rivedremo più se non alla fi- ne del mondo. Ma andandosene, ha messo nelle mani dei suoi discepoli l’avvenire e la popolarità del suo Vangelo. Da quello che noi siamo si può capire chi Egli è. Dalle nostre parole impareranno gli altri la santità della sua parola: attraverso le nostre opere ri- conosceranno lo splendore del suo insegnamento.

– Voi sarete i miei testimoni. Invece...

Leggiamo il Vangelo.

– E neppure i suoi parenti credevano in Lui... – Volete andarvene anche voi?

– Tutti patirete scandalo, questa notte, per me... – Prima che il gallo canti, tu, Pietro, mi avrai già rinnegato tre volte.

– Non avete saputo tenermi compagnia un’ora. – Amico, con un bacio tradisci il Figlio dell’Uomo? – E, abbandonatolo, fuggirono.30

29At 1,8.

Il Vangelo continua.

Ma gli Apostoli non pensarono che fosse un bene tacere la propria infedeltà. Intesserono il Vangelo con la loro miseria: la posero accanto alla santità del Mae- stro, in prospettiva, come l’architetto disegna una fi- gura umana ai piedi del suo edificio sognato per farne meglio risaltare l’altezza e la vastità.

Gli Apostoli non hanno creduto di sminuire, col racconto dei loro errori, il valore santificante della presenza di Gesù: si son tenuti allo spirito di verità il quale fa liberi.

Il nostro Confiteor è dunque, prima di tutto, un do- vere di sincerità.

Gesù è più largo, infinitamente più largo del mio cuore, della mia testa...

Chi può misurare la larghezza, la profondità, la su- blimità dell’amore del Signore?

Comunque Ti guardi, Signore, comunque Ti segua, comunque io parli di Te, il mio sguardo, il mio discor- so, il mio venirti dietro, è un oscuramento di Te.

Tu ti annichili una volta ancora e sempre in questa tua continua incarnazione in ogni singolo credente. Accatti il mio obbrobrio: non hai orrore di me.

E ciò anche se io fossi un santo. Poiché non lo so- no, il dovere di confessarmi aumenta smisuratamente e diventa un’esigenza di giustizia.

Un sindaco comunista, restituendo il Vangelo al suo parroco, gli diceva: – Come si spiega, signor par- roco, che con tal libro voi non abbiate ancora conqui- stato il mondo?

E una figliuola che ha abbandonato la Chiesa per cercare altrove uno spirito più vivo di fraternità scri-

ve: – Ciò che mi tiene ancora un po’ attaccata alla mia Fede di un tempo, è una parola che intesi, fanciulla, da mio padre. Egli soleva dirmi a proposito di certe per- sone pie: – Che peccato! hanno così poco lo spirito di Cristo! – Ne conclusi che vi deve essere in mezzo a voi qualche cosa di molto bello, che viene interpretato spesso molto male.

Ognuno di noi quindi tiene prigioniero il Cristo in membra di peccato. Lo si mutila quando si ripetono di lui soltanto le parole che ci fanno comodo. Lo faccia- mo bestemmiare quando mettiamo il suo nome ado- rabile ove non lo si può riconoscere come il Signore della giustizia, della verità, dell’amore...

Mi volto indietro indignato per protestare.

Hanno bestemmiato Gesù Cristo! L’anima che ha fede, come un fiore percosso dalla tempesta, chinasi muta senza protesta. Perché porre Chi si adora ac- canto alle cose comuni per cui l’uomo ogni giorno protesta?

Cristo non entra nella legge. Gli uomini che l’han- no voluto contemplare in un articolo del Codice, gli altri che ad esso vogliono far ricorso, forse si sono di- menticati di quanto Egli sopravanzava le cose nostre pur nella sua ineffabile umanità. Cristo come cittadi- no non è mai esistito.31Egli è fuori del diritto, fuori di

ogni rispetto perché è sovra tutti i diritti: perché l’uni- ca riverenza che gli conviene è l’amore, tutto l’amore

31Nella prima stesura vi era la frase «Il cittadino Cristo non è mai esi-

stito», che però fu cambiata da Mazzolari su indicazione di mons. Bosio (cf. V. Gatti a P. Mazzolari, 10 marzo 1934, cit.).

di cui è capace un’anima. Dacché la religione, proprio per Lui è divenuta spirito e verità, il sacrilegio non ha che una riparazione: quella interiore nell’anima del credente. Chi invoca fuoco dal cielo sui bestemmiato- ri sentirà ripetersi: non sapete di che spirito siete; chi ostenta su di essi una pietà che non compatisce, di- mentica insieme al mistero di traviamento che in noi prende quasi natura che Saulo può divenire Paolo.

Propter nos homines.32

Per noi, per aprirci una via di salute Gesù Cristo ha corporalmente sofferto sul Calvario di Gerusalemme: per causa nostra la sua passione continua. Poiché Egli ora appare nella nostra carne e attraverso l’opere no- stre soltanto, il mondo, che non lo conosce, lo può ve- dere.

E come è il Cristo della nostra rivelazione? Egli è Qualcuno per noi?

E se davvero non è una pura lezione di catechi- smo, un articolo del Credo, che appena balbettiamo, un nome legato alla memoria di una persona cara, che posto Gli abbiamo fatto nella nostra vita? Tutto forse Gli abbiamo prestato, fuorché ciò che può essere suo. La nostra ignavia Gli abbiamo prestato, chiamandola rassegnazione: la nostra avidità di godimento, chia- mandola sacrificio: le nostre concupiscenze, chiaman- dole il più sacro dei diritti: le nostre viltà come desi- derio di pace. E su questo monumento di menzogna abbiamo osato scrivere un nome divino: Cristo.

E se gli uomini irridono a quest’idolo, che, come i pagani, abbiamo foggiato con le nostre mani, forse che il Cristo è bestemmiato? Oh! questo non è Lui, che pure i nostri cuori hanno intravveduto quando, per un attimo, Gli abbiamo aperta l’anima in un ab- bandono di rinnovamento; non è il Cristo che ha par- lato, benedetto, sofferto come nessuno mai, il Cristo che vive nei santi e di cui ogni spirito ha sete perché Egli è la giustizia, la carità, la vita.

Ora Egli passa nelle nostre menzogne come in un’ombra di passione, ignoto agli uomini che non lo possono così riconoscere.

Se pure abbiamo un lembo incontaminato d’ani- ma, stracciamolo di tra il male nostro, corriamo lungo la via del Calvario incontro a Lui che passa portando la Croce delle nostre colpe, e, come la Veronica, asciu- ghiamogli il volto benedetto.

Forse dinanzi alla sua imagine dolorante, impressa nella parte più pura dell’anima nostra, qualcuno dei fratelli che ora lo bestemmiano, riconoscerà il Signore e, percotendosi il petto come noi, insieme a noi, bene- dirà il divino Martire dell’Umanità.

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