Il Monte Pelée, o La Pelée, è un vulcano nell’isola della Martinica alto 1397 m che occupa la parte settentrionale dell’isola. È ricordato per la sua catastrofica eruzio- ne avvenuta l’8 maggio del 1902. Questa eruzione determinò la distruzione della città di Sant Pierre (fig.1) con la morte di circa 30.000 abitanti.
Prima dell’ eruzione del 1902, le cronache del tempo riferiscono di segnalazioni di altre attività a carattere esplosivo, ma di intensità minore, avvenute rispettivamente nel 1792 e nel 1851 rispettivamente. Il vulcano era da considerarsi attivo, eventual- mente quiescente, prima dell’eruzione del 1902, e da molti anni veniva segnalata la presenza di fumarole sul fondo dell’Etang Sec.
Nel mese precedente l’eruzione si registrarono emissioni quasi continue di cene- re concomitanti con una fase sismica pre-eruttiva che ebbe il suo climax il 25 aprile con forti esplosioni che costrin- sero la popolazione a lasciare l’isola anche per la continua caduta di cenere sottili e diffusione di odore di zolfo che impediva una corretta respirazione. Vani furono gli appelli “interessati” delle autorità (nel mese successivo si sareb- bero svolte le nuove elezioni), appelli fatti alcuni giorni precedenti l’eruzione a non fuggire in quanto questa attività del vulcano non destava alcun pericolo per la cittadinanza.
Alle ore 7,50 dell’8 maggio, una forte esplosione distrusse in parte la montagna, sprigionando una corrente piroclastica ad alta temperatura che si diresse verso il mare molto velocemente (fig,2).
Nel volgere di pochi minuti, la nube travolse la città di Saint-Pierre, distruggen- dola completamente e lasciando in piedi solo pochi muri, paralleli alla direzione della corrente piroclastica (fig.3).
Data l’alta temperatura del flusso piroclastico (fig.4) la maggior parte dei 30.000 abitanti morirono carbonizzati.
Da questa terrificante eruzione a carattere esplosivo si salvarono alcune abitanti: un uomo di colore Auguste Ciparis20 (fig.5) che era prigioniero in una cella sotterra-
nea, un calzolaio Leòn Compère-Leandre che riuscì in tempo a sottrarsi alla nube eruttiva ed alcuni passeggeri di una nave che era di stanza nel porto che non fu rag- giunta dalla corrente piroclastica. Tutte queste persone che si salvarono risultarono fortemente ustionate. Anche parte dell’equipaggio e dei passeggeri della medesima 20 Giovanni Pascoli dedicò all’eruzione l’ode Il negro di Saint Pierre.
Fig.2 - Eruzione della Peleè 1902 (da Lacroix 1908) - Isola di Martinica, Piccole Antille, Mar dei Caraibi
nave si salvarono. Dopo molti anni dall’eruzione gli studiosi avanzarono l’ipotesi che la violenza dell’eruzione, che aveva spaccato il fianco del vulcano, era da ricercare nella presen- za di un duomo lavico che occludeva il condotto e pertan- to impediva la fuoriuscita dei gas che esercitarono invece una forte pressione sulle pareti del condotto al punto tale da lacerarlo. Dopo l’eruzione dell’8 maggio, il Monte Pelée continuò l’attività per ancora un paio di anni fino agli inizi del 1904, quando nel cratere si formò un domo lavico. Nel 1903 una protrusione solida verticale, data l’alta viscosità della lava, di innalzò a strappi per circa 300 metri lasciando alla base anelli indicanti lo stadio di avanzamento; questa spina fu poi distrutta rapidamente da nuove esplosioni. Il Monte Pelée ritornò in attività nel periodo 1929-1932.
La città di Saint-Pierre ricostruita dopo l’evento del 1902 ospitava soltanto 2000 abitanti che furono velocemen- te evacuati in seguito ad una attività similare, ma di intensità minore, a quella del 1902; questa attività esplosiva fu carat- terizzata dall’emissione di numerose correnti piroclastiche che giunsero rapidamente a mare. Attualmente nel cratere è presente un duomo lavico ed il vulcano è tenuto sotto con- trollo dall’Osservatorio Vulcanologico della Martinica. Stralci da l’ode di Giovanni Pascoli : IL NEGRO DI SAINT-PIERRE
In maniera magistrale il Pascoli immagina un colloquio, fra l’ergastolano e la Montagna Pelée, da cui si evince: l’eruzione, la distruzione di Sant-Pierre e la libertà del detenuto.
“Io stavo qui nella mia tomba, vivo.
Tutte le notti sopra lo strapunto... oh! freddo come il ferro, come il mio coltello nudo, un uomo nudo e smunto sentivo accanto a me: l’altro, quel ch’io avea freddato.
E tutti i giorni invero sentivo qualche scossa, qualche rombo, e tremar volte, e brandir porte... E il nero della mia pelle si facea di piombo.
un mattino, io credei morto il domani! ……..
Dalle quattro oscure pareti io vidi la gran piazza, piena………
Ecco... risonar passi, un catenaccio stridere, aprire un poco l’uscio, a un poco di luce entrar la lunga ombra d’un braccio... QUANDO uno scroscio, un lampo udii di fuoco, un crollare, un girar tutto in un’onda, gli urli di tutti in un sol urlo fioco come d’un solo... E, come fosse fionda, la mia catena mi rotò con sé, e scagliò. Nella oscurità profonda intesi: -- NEGRO, LASCIA FARE A ME! ……….
Io sono, negro, LA MONTAGNA CALVA, io sono il caso, io sono il dio più forte, che gli altri uccide, ma che te, ti salva. L’eb- bero, negro, l’ebbero la morte! O negro, uccisi il giustizier sul palco, uccisi il carcerier dietro le porte.
La tua sentenza... la bruciai co’ tuoi giudici. Il tuo delitto... io lo soppressi. Non lo sappiamo ch’io e tu: tra noi. Non temer più Coi sassi intorno li inseguii: con flutti di fango, fiati di veleno, fiumi di fuoco: altri sepolti, altri distrutti……. Negro, non c’è più nessuno. ……….
E IL MONTE RIPRENDEA: -- Figliuolo, è morto il mondo, l’uomo, il topo, il ragno, il tempo, tutto. Siamo in due. Sei solo. Non c’è più palco, più città, più bagno; la scure io fusi, io fransi le catene. -- Io risposi: «Oh! se avessi uno a compagno!» E il monte: -- Non hai me?
Io do la morte, non ridò la vita. -- E dà la morte ancora a me!»……..
Io, sì, vivevo; ma sol io, confuso del mio strisciare, io solo, ancora; io ero l’unico verme d’un sepolcro chiuso. La vita che spengesti, si freddava, tu lo vedi, da sé, senza il tuo fiato... O negro, soffia sopra la mia lava!”
Fig,4 – La deformazione di una campana di bronzo per il calore emanato dal flusso piroclastico
Fig.5 – Saint-Pierre, la cella di Au- guste Ciparis nella Via delle Prigioni