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Anteroversione e retroversione del bacino: interessamento dei muscoli poste- riori ed anteriori del core. Le mani sulle creste iliache aiutano nella percezio- ne del movimento del bacino. Questo esercizio può essere proposto con una flesso-estensione completa del tronco, sia in piedi che in ginocchio.

Anteroversione e retroversione del bacino in flessione di anca: l’estensione del ginocchio e l’inclinazione del tronco in avanti porta ad un allungamento dei muscoli femorali. In questo caso l’anteroversione del bacino risulta più difficile da compiere.

Anteroversione e retroversione del bacino in sospensione: il raggiungimento ed il mantenimento della hollow position (termine inglese utilizzato per indicare la posizione di concavità anteriore assunta dal corpo) sono due azioni di maggiore complessità rispetto ai movimenti di anteroversione e retroversione precedenti. Il movimento deve provenire dall’azione del core e non con la sola flessione dell’anca.

Allungamenti al muro in scarico della colonna: si possono utilizzare le meto- diche Mezieres. È bene che gli esercizi di allungamento siano eseguiti ponendo attenzione alla simmetria. Nell’esercizio raffigurato a destra si pone l’atten- zione sul grado di allungamento dei muscoli adduttori. Abbinare esercitazioni di respirazione diaframmatica può essere un’opzione utile per il miglioramen- to del controllo respiratorio e l’allentamento delle tensioni muscolari (McGill, 2007).

Controllo del core in differenti posizioni. L’immagine a sinistra raffigura un esercizio in allungamento della muscolatura adduttoria che può essere eseguito isometricamente (mantenimento della posizione) o fasicamente con momenti di flessione e di estensione della colonna. L’esercizio nella figura di destra consiste in un controllo di basculamento del bacino in una condizione di allun- gamento monolaterale della muscolatura femorale. L’asimmetria delle tensioni muscolari (Kapandji, 1946) incrementa la difficoltà dell’esercizio.

Plank: esecizi isometrici di stabilizzazione addominale. La versione prona coinvolge particolarmente il muscolo retto addominale per il mantenimento della rettilineizzazione del rachide lombare. Il Plank laterale è invece un eser- cizio di stabilizzazione che conivolge particolarmente gli obliqui ed il trasverso dell’addome.

Esercizi multiarticolari in destabilizzazione: si possono impostare dei lavori che coinvolgano anche altri distretti corporei (arti inferiori nel caso raffigura- to) incrementando il livello di difficoltà con l’ausilio di piccoli sovraccarichi tenuti in una sola mano. In questo modo il core sarà stimolato e coinvolto nella stabilizzazione a causa del movimento di affondo e del peso che grava lateralmente (Fitness: la guida completa, Busin, 2011).

Un ulteriore aumento della difficoltà può essere determinato dal coinvolgimen- to dell’articolazione scapolo-omerale per il posizionamento del manubrio sopra la testa (Fitness: la guida completa, Busin, 2011 ; McGill, 2004).

Respirazione diaframmatica: poggiando le mani o con l’ausilio di un piccolo disco a pesare sul ventre si può impostare un lavoro sulla respirazione dia- frammatica, gonfiando la pancia durante la fase di inspirazione e svuotandola durante l’espirazione. La possibilità di lavorare con determinate tempistiche di "riempimento e svuotamento", oltre che di mantenimento delle posizioni di massima inspirazione e di massima espirazione, può dare una gradualità all’allenamento respiratorio.

Conclusioni

Il dolore è un fenomeno molto complesso che interessa la sfera fisica, psicologica e comportamentale ed è quindi strettamente legato all’esperienza individuale. La lombalgia rappresenta uno dei disturbi più diffusi all’interno della società moderna, manifestandosi con un quadro eziopatologico molto vasto: le cau- se sono numerose e possono concorrere nel produrre dolore. Questo rende la lombalgia una patologia difficile da studiare e da trattare. La ricerca scientifi- ca si sta da tempo interessando alle forme di trattamento della lombalgia sia nell’ambito delle terapie tradizionali che di quelle complementari e integrative. La forte componente psicologica che caratterizza questa patologia ha suggerito l’importanza di una prospettiva multidisciplinare. Un aspetto importante che la ricerca è tenuta a curare è la corretta valutazione del dolore e dei tratti cognitivo-emotivi che possono condizionarne l’intensità e l’evoluzione. In ge- nerale, il trattamento che ha prodotto i risultati migliori è l’esercizio fisico, sebbene non sia stata fatta chiarezza su quale sia in realtà il tipo di allena- mento più efficace. Il laureato in Scienze Motorie può offrire un contributo importante nell’ambito dei trattamenti della lombalgia, mediante la coopera- zione con medici, fisioterapisti, osteopati e psicologi, consapevole dell’efficacia di un approccio multidisciplinare ed inclusivo e pianificando un programma d’intervento il più possibile personalizzato.

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Il dolore acuto è un “dolore fisiologico”, determinato da lesione o infiammazio- ne tissutale a causare una invalidità transitoria. Il significato evoluzionistico del dolore acuto è quello di offrire un sistema di difesa da danni ulteriori o di maggiore entità sulla parte lesa. Essendo il dolore la somma dell’acquisizione sensoriale a livello dei tessuti e dei processi integrativi a livello del sistema nervoso, è bene distinguere il dolore propriamente detto dalla nocicezione. La nocicezione è l’insieme di processi coinvolti nella trasduzione periferica e nella trasmissione al sistema nervoso centrale dei segnali trasdotti a livello dei tes- suti danneggiati. Grazie a questi processi l’organismo è in grado di riconoscere e quindi difendersi da stimoli potenzialmente o attualmente lesivi. Alla base della percezione dolorifica si trovano i nocicettori , che sono terminazioni di neuroni sensoriali che hanno la funzione di riconoscere, trasdurre ed inviare l’informazione ai nuclei di elaborazione. Si tratta di recettori polimodali, che sono sensibili a stimoli di diversa natura (meccanica, termica e chimica). A differenza di tutti gli altri recettori, non mostrano abitudine Un’ulteriore di- stinzione tra gruppi di nocicettori può essere fatta in base al diametro e alla velocità di conduzione dei loro assoni, nonché alle dimensioni dei loro corpi cellulari. Infatti, possono essere definite 3 categorie in base alle caratteristiche degli assoni: grande, fortemente mielinizzato, a conduzione veloce, medio, fi- nemente mielinizzato, a conduzione media e infine piccolo calibro, sprovvisto di guaina mielinica e a conduzione lenta. Come ogni neurone sensitivo so- matico, il soma del nocicettore è collocato nel ganglio della radice posteriore. La trasduzione avviene a livello delle terminazioni periferiche dell’assone dove l’energia dello stimolo si trasforma in depolarizzazione e se questa è sufficiente in potenziale d’azione. L’impulso si propaga dalla periferia verso il terminale centrale dove fa liberare i neurotrasmettitori.

Il nocicettore può andare incontro a sensitizzazione: un meccanismo di au- mentata sensibilità dei recettori durante una condizione di infiammazione o lesione (condizione di continuo stimolo nocicettivo) producendo una situazione di iperalgesia. Si tratta di un meccanismo caratteristico di queste terminazioni sensoriali, poichè generalmente i neuroni che trasducono gli stimoli somatici incorrono nel processo inverso, quello di desensitizzazione (abitudine), se sot- toposti a stimoli ripetuti. Questo processo di abbassamento della soglia del dolore consente di proteggere i tessuti offesi da ulteriori condizioni lesive ed è dovuto principalmente a due vie classiche di secondi messaggeri, la cAM- P/proteina chinasi A (PKA) e la proteina chinasi C (PKC) che agiscono sui canali di conduzione (Na+, K+ e Ca++) tramite fosforilazione e defosforila- zione. La percezione del dolore è amplificata dall’attivazione dei nocicettori silenti (normalmente insensibili anche a stimoli intensi meccanici e termici in

sibili trasformandoli in nocicettori polimodali. Nella flogosi la sensitizzazione è un processo caratteristico che viene a sua volta amplificato da una cascata di fattori infiammatori che agiscono nell’ambiente extracellulare dei tessuti inte- ressati: fattori neurotrofici come il NGF e il BDNF, sostanze algogene come la bradichinina, il monossido di azoto (NO), l’istamina, la serotonina, la sostanza P e il glutammato.

Oltre al dolore derivato dalla stimolazione nocicettiva a livello dei tessuti , esiste un dolore neuropatico o nevralgia: si tratta di una tipologia di dolo- re generato da un’alterazione delle fibre nocicettive e/o di strutture di relais dell’informazione nocicettiva, con conseguente infiammazione e alterata tra- smissione dell’informazione ai centri superiori. È infatti noto che al dolore di origine neuropatico si associano parestesie e disestesie indicanti alterazioni a carico di altre fibre e strutture nervose. Questa disfunzione dell’attività ner- vosa può sostenere sensazioni dolorose anche in assenza di un danno in atto. Il dolore neuropatico può derivare anche dall’ alterazione della guaina mielinica o dalla compressione di un nervo, come nel caso di alcune ernie discali Il dolore neuropatico si associa spesso ad allodinia e iperalgesia.

Il soma del nocicettore è situato a livello dei gangli spinali. Gli assoni degli stessi vanno a costituire le radici spinali posteriori, che entrano nel midollo a livello del corno posteriore (sostanza grigia) del midollo spinale. Il corno

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