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Effetti dell'attivita fisica sulla lombalgia cronica

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE E

TECNICHE DELLE ATTIVITÀ MOTORIE

PREVENTIVE E ADATTATE

Presidente: Fabio Galetta

EFFETTI DELL’ATTIVITÀ

FISICA SULLA LOMBALGIA

Relatore:

Prof.ssa Enrica L. Santarcangelo

Candidato:

Dario Ghezzi

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Riassunto 1

1 Introduzione 3

1.1 Scopo dello studio . . . 4

2 Anatomia del rachide 5 2.1 Le vertebre . . . 6

2.2 Il disco intervertebrale . . . 7

2.3 Il bacino . . . 9

2.4 Il core . . . 10

2.5 Il diaframma respiratorio e il pavimento pelvico . . . 12

2.6 Muscolatura dell’anca . . . 14

2.7 L’equilibrio del rachide . . . 15

3 Dolore del rachide 17 3.1 Alterazioni osteoarticolari . . . 17

3.2 Alterazioni muscolari . . . 18

3.3 Alterazioni radicolari e nervose . . . 19

3.4 È giusto parlare di lombalgia aspecifica? . . . 19

4 Trattamento della lombalgia 21 4.1 La medicina complementare ed integrativa . . . 21

4.2 Dolore e occupazione: aspetti psicosociali . . . 25

4.3 Trattamenti fisici per la lombalgia . . . 26

4.4 Meccanismi responsabili dell’efficacia antalgica dell’esercizio fisico . 28 4.5 Tipi di trattamento fisico . . . 30

5 Allenamento ottimale 33 5.1 Modalità di intervento: un approccio graduale . . . 33

5.2 Fattori di condizionamento fisico . . . 35

5.3 Impostazione di un programma di allenamento . . . 36

5.4 Esercizi . . . 37

6 Conclusioni 43

Bibliografia 45

Appendice A: Nocicezione 53

Appendice B: Case Report 57

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Questa tesi riguarda gli effetti analgesici dell’attività fisica nella lombalgia. L’in-troduzione presenta la definizione del dolore e dei suoi meccanismi sensoriali, cogni-tivi ed emocogni-tivi . Il secondo capitolo approfondisce l’anatomia funzionale del rachide e il ruolo del core. Il terzo capitolo tratta delle cause di lombalgia suddivise in base all’eziologia: si analizzano i disordini causati da alterazioni osteoarticolari, musco-lari e nervose, con una riflessione finale sulla lombalgia aspecifica e la sua validità diagnostica. Il quarto capitolo è un’analisi dello stato dell’arte sui trattamenti del dolore, il quinto affronta l’aspetto dell’allenamento nel trattamento della lombalgia. In seguito vengono illustrate alcune forme di esercizio utilizzate per il miglioramen-to della condizione fisica ed il rinforzo dei muscoli del core. L’appendice A tratta della nocicezione e degli aspetti neurofisiologici dell’esperienza dolorosa, l’appendice B riporta casi appartenenti all’esperienza del candidato nel trattamento di differenti casi di lombalgia.

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Introduzione

L’International Association for the Study of Pain (IASP) definisce il dolore co-me un’esperienza sensoriale ed emotiva associata ad un danno reale o potenziale di un tessuto o descritta come tale. Il dolore è un’esperienza individuale strettamente dipendente da come il soggetto interpreta, ricostruisce e riferisce a se stesso l’espe-rienza dolorosa nel suo complesso. È quindi determinata dall’interazione di fattori somatosensoriali, emotivi e sociali. A seconda della durata, si distinguono il dolore acuto e il dolore cronico. Il primo ha tipicamente una durata di settimane o pochi mesi: lo si associa a danni tissutali lesivi o flogistici. Si parla invece di dolore cronico quando si presenta una condizione di dolore permanente per almeno 3 mesi. Sareb-be però più appropriato distinguere il dolore cronico da quello acuto non tanto per l’aspetto temporale (durata), bensì per le caratteristiche e i sintomi annessi. Posso-no infatti esistere condizioni di dolore che mantengoPosso-no le caratteristiche del dolore acuto per mesi (subacuto, persistente) come ad esempio alcune condizioni infiamma-torie articolari in cui persistono gli stimoli nocicettivi legati a danni tissutali senza che si possa parlare propriamente di dolore cronico. Quel che dovrebbe definire la cronicità del dolore è il rapporto con le modificazioni plastiche del Sistema Nervoso Centrale indotte dalla nocicezione (Appendice A) e l’associazione con le profonde modificazioni della personalità e dello stile di vita del paziente che costituiscono fat-tori di mantenimento indipendenti dalla nocicezione (Fishbain et al., 2006; Bélanger et al., 2017; Jensen et al., 2017; Hemington et al., 2017; Schiltenwolf et al., 2017). Nelle condizioni croniche si continua ad avvertire dolore nonostante la nocicezione sembri essersi risolta, aprendo tutta una serie di problematiche emotive, comporta-mentali e relazionali in risposta alla forzata convivenza col dolore. Risulta quindi evidente come un approccio multidisciplinare per il trattamento di questa condizione, come ad esempio l’integrazione di un intervento psicologico con quello chinesiologi-co e farmachinesiologi-cologichinesiologi-co, possa rivelarsi la strategia più appropriata (Gouvinhas et al., 2017). La nocicezione è solo una parte dell’esperienza individuale di dolore. Questa è modulata da caratteristiche individuali e situazionali. In particolare, sono rilevanti tratti di personalità come l’ansia , la depressione, il catastrofismo, il locus of con-trol, la percezione di autoefficacia, la paura del dolore, pensieri negativi e rabbia. La situazione è rilevante perchè in grado di attivare strategie di coping come rispo-ste placebo (da aspettativa e condizionamento) (Benedetti et al., 2003), analgesia da stress (aumentata attività noradrenergica) e la somministrazione di suggestioni esplicite di analgesia (Fidanza et al., 2017). Dunque il dolore non è solo frutto della mera stimolazione algogena dei tessuti periferici bensì una complessa risposta

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mul-tidimensionale dettata dalla rielaborazione dell’informazione nocicettiva nel sistema nervoso centrale. Le componenti cognitivo-emotive sono ovviamente più importanti nel dolore cronico, che condiziona in molti modi la vita del paziente e il suo giudizio sul proprio benessere e qualità di vita.

1.1

Scopo dello studio

Lo studio ha lo scopo di analizzare le principali cause, caratteristiche e tratta-menti della lombalgia, una patologia molto frequente che rappresenta un problema rilevante sia dal punto di vista medico che da quelli economici e sociali. L’inte-resse per l’argomento è stato suscitato dall’ esperienza personale di trattamento di soggetti affetti da questo disturbo. La forte eterogeneità dei casi trattati e il loro piccolo numero non ne hanno consentito un’analisi statistica ma ne riportiamo la descrizione nell’ Appendice B.

Le cause di lombalgia sono numerose e provocano dolore e disfunzionalità, con ri-percussioni nella sfera fisica, psicologica e comportamentale ( Henschke et al., 2017; Thong et al., 2017; Rabey et al., 2017). Si tratta di un dolore con localizzazione nella regione lombare (Low Back Pain) che, per definizione, costringe a limitare l’attività per la durata di almeno un giorno. Si può associare spesso anche dolore anatomica-mente più esteso, come la lombocruralgia, caratterizzata da un dolore discendente dietro l’anca e la coscia. I fattori scatenanti il dolore sono talvolta alcuni movimenti (torsione, flessione, estensione del tronco), mentre in altri casi si può manifestare nelle primissime ore del mattino per poi diminuire nell’arco della giornata senza una causa identificabile (Lutz et al., 2003). Nonostante non si tratti di una malattia specifica, ma di una condizione generata da più fattori, è possibile catalogarne le cause principali: squilibri muscolari, alterazioni osteoarticolari delle vertebre lom-bari e compressioni spinali (Manusov, 2012). Si studiano da molti anni le migliori strategie di trattamento. Tuttavia molti studi sono di difficile interpretazione perchè non riportano una corretta valutazione del dolore con scale numeriche o viusuoana-logiche, del livello di disabilità (Oswestry low back pain disability questionnaire), delle caratteristiche individuali potenzialmente rilevanti nell’esperienza del dolore (con scale standard), di quanto la patologia influenzi la qualità della vita e dal gra-do di soddisfazione dei soggetti in seguito ai trattamenti (con questionari specifici e interviste strutturate) (Kendall et al., 2015). Infatti molte metanalisi riportate da reviews citate in questo lavoro di tesi hanno escluso un gran numero di studi che non soddisfacevano i criteri di oggettività richiesti (Delgado et al., 2014). Si ritiene comunque che un approccio multidisciplinare possa rivelarsi la strategia migliore per il trattamento della lombalgia, perchè permette di trattare tutte le dimensioni del dolore e modificare eventuali comportamenti scorretti che possono scatenare, aggra-vare e mantenere il dolore (Crawford et al., 2014) (Lee et al., 2014). L’obiettivo di questa tesi è indagare gli effetti dell’attività fisica sulla lombalgia tramite un’indagine bibliografica In particolare, verranno analizzate eziopatologia e fisiopatologia della lombalgia con lo scopo di proporre protocolli di allenamento mirati al trattamento del dolore e al miglioramento della qualità della vita.

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Anatomia del rachide

Figura 2.1: Colonna vertebrale, visione anteriore, laterale sinistra e posteriore. (Netter, "Atlante di Anatomia Umana")

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Alla base della lombalgia possono esserci numerose alterazioni morfofunzionali a carico del rachide. Ad esempio, le vertebre possono andare incontro a processi degenerativi (come osteoporosi con conseguente spondilolisi), i fasci nervosi possono essere compressi da erniazioni dei dischi intervertebrali o a slittamento delle vertebre stesse (spondilolistesi), la debolezza della muscolatura del tronco, il “core”, può in-nescare dare origine a posture e movimenti inappropriati (Wen-Dien Chang, 2015). Debolezze, contratture e squilibri muscolari possono manifestarsi inoltre come cru-ralgia o come scorretta distribuzione del carico sugli arti inferiori. La conoscenza degli elementi che costituiscono il rachide è di fondamentale importanza per com-prendere le cause e i possibili trattamenti della lombalgia. La colonna vertebrale è la struttura portante del tronco e del capo ed è costituita da 33 vertebre, che ne rappresentano le unità morfofunzionali. Ognuna di esse è differente dall’altra, ma sono distinguibili in quattro famiglie a seconda della loro collocazione e quindi della loro funzione: cervicali, toraciche, lombari e sacrali. Questi insiemi di vertebre costituiscono le curve fisiologiche della colonna: il tratto cervicale e quello lombare presentano una concavità posteriore e sono classificate come lordosi, mentre il tratto toracico e quello sacrale, presentando una convessità posteriore, formando le cifosi. La presenza delle curve del rachide è giustificata dalla richiesta di distribuzione delle forze lungo il tronco e quindi negli arti inferiori, conferendo elasticità, resistenza e ca-pacità di sopportare alterazioni di carico in ogni direzione, sia in condizioni statiche che dinamiche. La colonna, grazie all’articolazione dei numerosi segmenti vertebrali, è capace dei movimenti di flessione, estensione, inclinazione e torsione: ognuno di questi movimenti è più o meno ampio a seconda del tratto in questione, proprio a causa della specifica conformazione delle vertebre. Il disco intervertebrale, costituito da tessuto fibrocartilagineo, si interpone fra ogni superficie di articolazione dei corpi vertebrali. Il midollo spinale attraversa la colonna vertebrale, trasportando le affe-renze sensoriali al sistema nervoso centrale e le effeaffe-renze motorie ai tessuti periferici (Platzer, Anatomia Umana, 2014) (Gesi, Anatomia del Corpo Umano, 2009).

2.1

Le vertebre

La vertebra è costituita da un corpo, di forma cilindrica, e da un peduncolo. Il corpo presenta una faccia superiore ed una inferiore, entrambe piatte ed adibite all’alloggiamento del disco intervertebrale per l’articolazione con le vertebre contigue. Il peduncolo è un processo osseo a ponte che origina sul margine posteriore del corpo vertebrale formando un foro nel quale è alloggiato il canale midollare. Il peduncolo presenta posteriormente un processo spinoso ed due processi trasversi posti lateralmente. Sono posti, in prossimità dell’origine del peduncolo dal corpo della vertebra, un processo articolare superiore ed uno inferiore, i quali presentano all’estremità una faccetta articolare che si articola con le altre vertebre. Alcune vertebre hanno specifiche particolarità che le distinguono dalle altre: ad esempio l’Atlante (C1, la prima vertebra cervicale) che si articola insieme a Epistrofeo (C2) con l’occipite del cranio, non possiede un corpo vertebrale, assumendo così una forma ad anello. Le vertebre sacrali sono invece fuse fra loro a formare l’osso sacro.

Nel caso delle vertebre lombari si hanno degli adattamenti morfofunzionali dovu-ti alla necessità di sostenere la forza peso che grava da tutte le strutture soprastandovu-ti: di fatti il corpo vertebrale delle vertebre lombari si presenta più massiccio rispetto alle vertebre poste più in alto. Inoltre lateralmente presentano i processi

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costifor-mi, derivanti da abbozzi costali fusi con le vertebre: forniscono una superficie di inserzione per muscoli come il quadrato dei lombi.

Figura 2.2: A sinistra: la vertebra, visione superiore e laterale. A destra: il rachide lombare.

2.2

Il disco intervertebrale

Il disco intervertebrale è una struttura a cuscinetto che si interpone fra i corpi vertebrali. È costituito da una parte anulare esterna chiamata anello fibroso, ca-ratterizzata da strutture fibro-cartilaginee disposte in strati concentrici attorno al nucleo centrale. La disposizione della componente fibrosa all’interno di ognuno degli strati concentrici assume una direzione opposta rispetto agli strati contigui, offren-do una maggiore robustezza dell’anulus. La parte anteriore diretta verso l’adoffren-dome è abitualmente più spessa e forte della corrispondente parte posteriore, poichè le sollecitazioni sul rachide sono prevalentemente anteriori. La parte centrale del disco intervertebrale è il nucleo polposo, costituito da una massa gelatinosa sferoidale, ed è formato da circa l’88% da acqua.

La sua funzione è quella di assorbire e ridistribuire in modo uniforme alla perife-ria le sollecitazioni di carico evitando una spinta eccessiva all’anello fibroso, il quale potrebbe lacerarsi e formare un’ernia del disco. Mentre il carico, comprimendo il nucleo polposo, produce la fuoriuscita di liquidi e l’espulsione di cataboliti, lo scarico produce la condizione inversa (imbibizione del nucleo e ingresso di sostanze nutriti-zie) (Kapandji, 1974). Diversamente dalle porzioni periferiche dell’anello fibroso, la parte centrale del disco è completamente sprovvista di vasi. Di conseguenza il nutri-mento del nucleo polposo avviene per processi di osmosi, di diffusione e, soprattutto, grazie a un meccanismo di pompa per il quale una diminuzione di pressione

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faci-Figura 2.3: Rappresentazione del disco intervertebrale. A sinistra: sezione longitudinale. A destra: struttura del disco.

lita l’ingresso di sostanze nutritizie e rallenta l’espulsione di cataboliti, mentre il suo incremento determina la condizione inversa (Caillet,1973; Kapandji,1974; Kroe-mer,1985). Condizioni prolungate di sovraccarico e sottocarico, quali sono quelle che possono realizzarsi nelle posture fisse prolungate, ostacolano il ricambio nutri-tizio e possono a lungo termine favorire processi di degenerazione discale (Grieco, 1986; Kapandji, 1974). La lombalgia può essere quindi causata dall’eccessiva disi-dratazione del disco intervertebrale, al di fuori dei parametri fisiologici del normale invecchiamento, e da sollecitazioni eccessive, insieme ad atteggiamenti di flessione forzata e prolungata. Per contro, pare che ci sia un livello di sollecitazione ottimale del disco tale per cui i processi di rigenerazione possano prendere atto all’interno del rachide (Steele et al., 2015): è quindi un controsenso supporre che una condizione di salute della colonna sia determinata da una totale mancanza di stimoli meccanici allenanti, come già è evidente per il tessuto osseo e muscolare.

Figura 2.4: Biomeccanica del disco intervertebrale.

Il funzionamento del disco intervertebrale è determinato da meccanismi di pom-paggio: quando si applica una pressione sul disco (come la flessione del rachide) si ottiene una fuoriuscita dei liquidi di nutrimento e una riduzione dello spessore del disco stesso. Al contrario se si riduce la pressione (posizione coricata) avviene un richiamo di liquidi verso l’interno del disco con conseguente ripristino della sua

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struttura. La deformazione del disco è legata essenzialmente alla deformazione della sua matrice solida se il tempo di applicazione del carico è inferiore ai due secondi, mentre con un carico somministrato per un tempo maggiore di due secondi si ha fuoriuscita di acqua (Turek, 1977). Nel primo caso la deformazione è elastica e non determina variazioni di volume: alla rimozione del carico il recupero della forma ori-ginaria è immediato, o quasi; nel secondo caso si ha sempre una riduzione di volume del disco, proporzionale alla quantità di acqua spremuta all’esterno, e il recupero della forma originaria alla rimozione del carico richiede sempre un certo tempo.

Figura 2.5: Meccanismo di pompaggio del disco intervertebrale.

2.3

Il bacino

Il bacino rappresenta il basamento della colonna vertebrale, sorreggendo il peso della parte superiore del corpo e costituendo la struttura di connessione con gli arti inferiori. Assume quindi un ruolo chiave nella stabilità spinale. È costituito dalle due ossa dell’anca, che si articolano posteriormente col sacro, e dal coccige. Le ossa dell’anca sono costituite a loro volta da pube, ileo e ischio e lateralmente presentano l’acetabolo, il sito di articolazione con il femore. Superiormente il bacino è controllato, sia in movimento che in stabilizzazione, dalla muscolatura del core, mentre inferiormente riceve sollecitazioni dai muscoli dell’anca e della coscia. Un giusto equilibrio del tono muscolare ed un buon coordinamento delle catene cinetiche consente una corretta funzionalità del bacino (Mezieres, 1947).

L’articolazione sacroiliaca permette movimenti piuttosto limitati fra le ossa della pelvi: il sacro può andare in nutazione o contronutazione, che sono movimenti di lie-ve oscillazione anteriore e posteriore dell’asse longitudinale del sacro. Inoltre l’osso iliaco può muoversi in antiversione e retroversione rispetto al sacro: nella deambu-lazione questi movimenti si susseguono ritmicamente in maniera opposta rispetto all’ileo controlaterale provocando un movimento di basculamento ad assecondare la camminata. La biomeccanica della deambulazione è oggetto di numerosi studi: nel caso della Low Back Pain (LBP) sia in forma cronica che acuta si riscontra tipica-mente una camminata anomala e la si imputa ad uno scorretto funzionamento della muscolatura estensoria del tratto lombare (Steele et al., 2016).

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Figura 2.6: Il bacino. (Netter, "Atlante di Anatomia Umana")

2.4

Il core

Il core (“centro, nucleo”) è rappresentato dal complesso miofasciale che circonda il tronco. Si tratta dell’insieme dei muscoli situati anteriormente e lateralmente nella regione addominale e posteriormente in quella lombare. L’importanza di questa “cin-tura” di muscoli è fondamentale dal punto di vista funzionale per quanto riguarda la stabilità spinale, la trasmissione delle forze sia in condizioni statiche che dinamiche e l’efficienza respiratoria e pelvica. Una inefficienza del core in termini di forza o di equilibrio del tono muscolare comporta un aumento dei rischi di incorrere anche nella lombalgia. Si è inoltre scoperto che una condizione di dolore cronico nel tratto lombare porta ad un indebolimento della muscolatura estensoria lombare ed una condizione di atrofia di questi muscoli, fattore sul quale porre la dovuta attenzione a fini preventivi per non causare un effetto a spirale di degenerazione continua (Steele et al., 2015). La muscolatura del core si inserisce sulla gabbia toracica (processo xifoideo sternale, coste e cartilagini costali), sul bacino (creste iliache, sinfisi pubica) e sulla colonna vertebrale, agendo su tutte le direzioni grazie alla varia disposizione delle fibre dei vari muscoli che lo compongono. Si riconoscono uno strato profondo ed uno superficiale:

Muscolatura profonda del core:

• Trasverso dell’addome: è il muscolo più profondo. Origina dal foglietto profon-do della fascia toraco-lombare, dal labbro interno della cresta iliaca, dalla spina iliaca antero-superiore (SIAS), dal legamento inguinale e dalla faccia interna delle ultime 6 cartilagini costali dove si ingrana con il diaframma. Medialmente

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termina in una aponeurosi che forma la lamina posteriore al retto dell’addome fino alla linea arcuata e che va ad incontrare l’aponeurosi del muscolo trasverso controlaterale dopo aver partecipato medialmente alla formazione della linea alba. Al di sotto della linea arcuata la fascia forma la lamina anteriore della guaina. Nei pressi dell’inserzione del retto addominale, vi si porta la fascia del trasverso sotto forma di falce inguinale.

• Multifido: è un insieme di numerosi piccoli fasci che si estende dal sacro fino alla seconda vertebra cervicale. Questi fasci originano dal sacro, dalla fascia dorsale superficiale del lunghissimo e dai processi trasversi delle vertebre, inserendosi sui processi spinosi delle 3-4 vertebre sovrastanti fino a C2.

• Obliquo interno: origina dalla linea intermedia della cresta iliaca, dalla SIAS e dalla fascia lombosacrale (foglietto profondo) portandosi verso l’alto ed al-largandosi a ventaglio, terminando superiormente sulle ultime tre cartilagini costali, medialmente esaurendosi in due foglietti aponeurotici che, dopo aver circondato il muscolo retto del proprio lato, si incrociano con la fascia del muscolo obliquo interno contro laterale contribuendo a formare la linea alba. Inferiormente continua nel muscolo cremastere.

• Quadrato dei lombi: origina dal labbro interno della cresta iliaca e si inserisce alla dodicesima costa e ai processi costiformi delle vertebre lombari.

• Erettore spinale: si estende longitudinalmente per tutta la colonna, presentan-dosi più robusto e sviluppato nella regione lombare. È alloggiato in un canale osteofibroso rappresentato anteriormente dalle strutture ossee della colonna e della gabbia toracica, posteriormente dalla fascia toracolombare. Trova origine da una spessa aponeurosi ancorata posteriormente sul sacro e sulla cresta ilia-ca. La porzione mediale, più profonda, è costituita da fasci che costituiscono un “sistema dritto” ed un “sistema obliquo”: le fibre del primo sono lunghe e si portano longitudinalmente (interspinosi e intertrasversari), le seconde invece formano muscoli brevi ad andamento laterale e verso l’alto (trasversospinali). Muscolatura superficiale del core:

• Retto dell’addome: origina dal processo xifoideo dello sterno e dalle cartilagini costali (dalla quinta alla settima) portandosi verso la sinfisi pubica. È avvolto dalle fasce dei muscoli obliqui e del trasverso e medialmente presenta la linea alba, struttura di fusione aponeurotica.

• Obliquo esterno: origina dalla quinta alla dodicesima costa con digitazioni che vanno ad ingranarsi con il dentato anteriore e il gran dorsale. Le fibre che originano dalle ultime coste inseriscono sul labbro esterno della cresta iliaca, mentre con il resto delle fibre si porta cranio-caudalmente e dorso-ventralmente fino a risolversi nell’aponeurosi fino alla formazione della linea alba, medialmente.

• Erettore spinale (porzione laterale superficiale): si estende dal bacino al cranio grazie a muscoli molto lunghi che decorrono verticalmente.

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Figura 2.7: I muscoli del Core.

2.5

Il diaframma respiratorio e il pavimento pelvico

Lo spazio intra addominale è delimitato, superiormente ed inferiormente, da due lamine di natura muscolo-fibrosa: il diaframma respiratorio ed il diaframma pelvico. • Diaframma respiratorio: costituito da una parte tendinea centrale ed una parte muscolare esterna, il diaframma divide il volume addominale da quello toracico. È suddiviso in una parte sternale anteriormente, una parte costale lateralmen-te ed una parlateralmen-te lombare poslateralmen-teriormenlateralmen-te. Il diaframma è un muscolo soggetto a grandi modificazioni a seconda della fase respiratoria: durante l’espirazione le cupole diaframmatiche si portano in posizione eretta mentre durante l’inspi-razione questo si abbassa nello spazio addominale, causando così un aumento della pressione e quindi della stabilizzazione rachidea (Kapandji, 1947).

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• Pavimento pelvico: rappresenta il sistema di chiusura inferiore del bacino ed è costituito dal diaframma pelvico e dal diaframma urogenitale. Esiste un ruolo del pavimento pelvico molto importante nei riguardi della stabilità della colonna lombare e del bacino (Richardson et al., 1999). È stato dimostrato che la presenza di un tono muscolare adeguato del pavimento pelvico è un fattore importante per ottenere un coinvolgimento funzionale corretto di quelli che sono definiti muscoli stabilizzatori profondi del rachide lombare e del bacino, cioè il muscolo trasverso dell’addome e il multifido (Ferreira et al., 2006).

Figura 2.9: Rappresentazione della cavità addominale.

Figura 2.10: Stabilizzazione spinale determinata dalla contrazione del Core. Questi complessi assumono un’importanza fondamentale per quanto riguarda la sa-lute del rachide, poichè sono responsabili di numerose funzioni, sia se presi sia singo-larmente (respirazione, postura, escrezione, regolazione della pressione intra

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addomi-nale e quindi della stabilità del rachide) che in concorrenza fra di loro ed in sinergia con i muscoli del core. La coordinazione intermuscolare in questo distretto assu-me un ruolo determinante nel controllo del rachide e quindi nella prevenzione dagli infortuni: si è notato ad esempio che le persone differiscono nella loro capacità di supportare un carico nelle proprie mani e di respirare con profondità e forza (McGill et al., 1995), dimostrando quindi, per molti soggetti, una scarsa capacità di gestire la muscolatura intrinseca del tronco sotto carico. Essendo il diaframma respiratorio anche un muscolo imputato nella stabilizzazione della colonna, uno scarso controllo motorio di questi muscoli e della loro azione sinergica assume un’importanza signi-ficativa nella manifestazione di traumi causati da attività eseguite scorrettamente e quindi potenzialmente pericolose (inarcamento della colonna sotto carico) per la salute del tratto lombare.

2.6

Muscolatura dell’anca

L’anca è la regione che si frappone superiormente col tronco ed inferiormente con la coscia. I muscoli che sono coinvolti nei movimenti dell’anca sono numerosi e alcuni di essi molto potenti. Un disordine del tratto lombare può dipendere da una debolezza dei muscoli di questa regione, poichè responsabili del corretto funziona-mento del bacino (e quindi della colonna vertebrale) e degli arti inferiori (Kendall et al., 2014). Posteriormente, dal più superficiale, si trovano il grande gluteo, il ten-sore della fascia lata, il medio gluteo, il piccolo gluteo e il piriforme. Fra i muscoli dorsali interni è presente l’ileopsoas, potente flessore dell’anca con importanti effetti sul tratto lombare. I muscoli ventrali dell’anca e adduttori della coscia sono gli ad-duttori, il gracile, il pettineo, l’otturatore esterno, il quadrato del femore, i gemelli e l’otturatore interno. Anteriormente si trova il quadricipite, mentre posteriormente il bicipite femorale, il semitendinoso, il semimembranoso ed il popliteo (Platzer 2014).

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2.7

L’equilibrio del rachide

Sul piano sagittale il bacino può andare in antiversione e retroversione: nel pri-mo caso si determina una accentuazione della curvatura lombare, mentre nel secon-do si ha un appiattimento di quest’ultima. Questi movimenti del bacino sull’asse trasversale sono determinati da due categorie di muscoli:

Figura 2.12: Biomeccanica della retro-anteroversione

• Muscoli antiversori: determinano un orientamento in avanti del bacino con ef-fetto lordosizzante. Si riconoscono un gruppo collocato postero superiormente (zona lombare) ed uno antero inferiormente (anteriori della coscia) rispetto al bacino. Quelli lombari sono l’erettore spinale, il multifido, il quadrato dei lombi. Oltre a questi, che agiscono posteriormente rispetto alle vertebre ed al bacino, è importante citare il muscolo ileopsoas, che inserisce sul piccolo trocantere ed è formato dall’unione del grande psoas e del muscolo iliaco. Il grande psoas ha un’origine superficiale dalle superfici laterali dei corpi di T12 e delle prime quattro vertebre lombari ed un’origine profonda dai processi costi-formi delle cinque vertebre lombari; il muscolo iliaco origina invece dalla fossa

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iliaca prima di fondersi con il grande psoas. Si tratta di un potente flessore dell’anca con un’importante azione lordosizzante causata da trazionamento in avanti ed in basso delle vertebre lombari. Molto spesso si associa il mal di schiena ad un ipertono o ad una retrazione di questo potente muscolo. Sulla coscia il quadricipite femorale, e più di preciso il retto del femore, ha un effet-to di antiversione a causa della sua origine sulla spina iliaca antero inferiore, ruotando il bacino verso l’avanti.

• Muscoli retroversori: determinano una rettilinizzazione del tratto lombare e si riconoscono quelli localizzati postero inferiormente (muscoli posteriori della coscia) e antero superiormente (addominali anteriori). Nel primo gruppo sono presenti il grande gluteo, il piriforme e i muscoli posteriori della coscia, cioè semitendinoso, semimembranoso e bicipite femorale (col suo capo lungo), i quali originano dalla tuberosità ischiatica con l’effetto di trazionarla verso il basso, ruotando all’indietro il bacino. Superiormente il retto dell’addome, inserendosi sulla sinfisi pubica, è un potente retroversore insieme agli obliqui.

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Dolore del rachide

La regione lombare subisce una maggiore sollecitazione meccanica rispetto alle strutture anatomiche superiori: per questo è maggiormente soggetta all’inci-denza di patologie che colpiscono la componente muscolare ed osteoarticolare, con possibile danneggiamento del tessuto nervoso radicolare e spinale.

3.1

Alterazioni osteoarticolari

Le strutture ossee e ligamentose che costituiscono il rachide possono andare in contro a processi degenerativi. Le vertebre e i legamenti possono incorrere, a causa della continua ed eccessiva usura meccanica, in processi infiammatori e lesioni. Può succedere che eventi traumatici possano causare danni più o meno severi ai corpi vertebrali, causando quindi fratture o/e spostamenti po-tenzialmente dannose per il midollo spinale. Il tessuto connettivo legamentoso è fortemente innervato e, se infiammato o eccessivamente sollecitato, risulta essere particolarmente doloroso. L’osteoporosi è una condizione caratterizza-ta dalla riduzione della resistenza ossea, con conseguente aumento del rischio di fratture, cioè di rottura delle ossa. Una scarsa stimolazione da parte del tessuto muscolare può essere una causa, poichè questa è diretta responsabile dell’irrobustimento delle ossa grazie all’azione di sollecitazione meccanica. I soggetti che soffrono di osteoporosi o osteopenia (scarsità di massa ossea meno severa) soffrono generalmente anche di sarcopenia, e viceversa (Cooper et al., 2012). Si tratta per lo più di popolazione anziana (Tarantino et al., 2013) anche se un altro fattore determinante è, nelle donne, il quadro ormonale do-po la menopausa (Walsh et al., 2006). Le ossa affette da osteodo-porosi do-possono diventare così fragili da fratturarsi spontaneamente o a seguito di traumi in-significanti o addirittura normali, come quelli causati dal chinarsi, alzare un peso o perfino tossire. Molta gente è convinta che l’osteoporosi sia una com-ponente inesorabile del processo di invecchiamento, invece è ora opinione degli esperti che sia ampiamente prevenibile. Inoltre chi soffre già di osteoporosi può comunque seguire passi per prevenire o rallentare l’evoluzione della malattia, riducendo così il rischio di fratture (McGill, 2012).

La spondilolisi è una frattura della vertebra e si manifesta nel 95% dei ca-si nelle vertebre lombari (McGill, 2012). Conseguentemente può avvenire la spondilolistesi, in cui la parte fratturata (generalmente il corpo della vertebra

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si stacca dal peduncolo) va in contro a slittamento. Quando spondilolisi e spondilolistesi diventano sintomatiche causano dolore lombare, rigidità e spa-smi muscolari. Talvolta in presenza di compressione radicolare si può avere una sciatica (dolore che irradia dal gluteo verso gli arti inferiori) (Farfan et al., 1976).

Figura 3.1: Spondilolisi con conseguente spondilolistesi.

Le artriti sono disturbi in cui il sistema immunitario attacca le articolazioni che rispondono con l’infiammazione. Esistono varie tipologie più o meno seve-re di artrite: l’artrite anchilosante è una patologia che può colpiseve-re la colonna: comporta una deposizione di osso a ponte fra le vertebre e le altre articolazio-ni. E’ raro ma caratteristico il blocco vertebrale fino alla fusione di tutte le vertebre.

3.2

Alterazioni muscolari

A causa di grandi sollecitazioni (lavori pesanti) o anche di condizioni di errato posizionamento per lunghi periodi di tempo (lavoro di ufficio), i muscoli del rachide possono incorrere in infiammazioni, contratture o modificazioni mor-fologiche (atteggiamenti posturali di compenso) (Bergqvist et al., 1995). Noto volgarmente come “colpo della strega”, il mal di schiena acuto si manifesta come un dolore intenso e continuo. Le cause possono essere molteplici: movi-menti bruschi, sovraccarico, freddo e stress possono essere dei fattori scatenan-ti. Si tratta comunque di un “dolore fisiologico”, destinato a sparire nell’arco di giorni se gestito nel modo corretto. Un altro disordine acuto del rachide è rappresentato dalla contrattura muscolare: uno stato di contrazione involon-taria, continua e dolorosa del muscolo. Si tratta della forma più lieve fra le lesioni muscolari, ed insorge in risposta ad un sovraccarico funzionale (Bremer,

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1932), cioè quando il tessuto contrattile non riesce a sostenere un carico che va oltre al proprio limite fisiologico. Si tratta quindi di un campanello di allar-me, un sistema di difesa scatenato da fattori secondari. La colonna vertebrale può andare incontro a modificazioni morfologiche senza che queste siano cau-sate da effettive modificazioni strutturali delle vertebre. Nonostante questo il loro rapporto può variare, accentuando o diminuendo le fisiologiche curve della colonna, o generando curvature sul piano frontale e torsioni. Quando queste modificazioni sono generate da problematiche muscolari (e sono quindi reversibili) si parla di paramorfismi. L’architettura del rachide è strettamente dipendente da un corretto equilibrio della muscolatura del tronco (Kapandji, Anatomia Funzionale, 2009).

3.3

Alterazioni radicolari e nervose

Le ernie discali sono frutto della migrazione del nucleo polposo del disco in-tervertebrale a causa di una lesione dell’anello fibroso. La massa del nucleo, compressa lateralmente o posteriormente, migra così causando la compressione del midollo spinale o delle radici dei nervi spinali. Vi è un’angolazione fisiolo-gica fra le vertebre che permette la formazione delle curvature della colonna. La lordosi lombare, se posta in una posizione di flessione sotto tempi prolun-gati o carichi eccessivi, può essere soggetta alle erniazioni del disco, proprio a causa dello schiacciamento in senso posteriore della massa intervertebrale. Tipicamente le erniazioni si manifestano in L3-L4 ed L4-L5, che sono i distretti che subiscono il maggiore stress meccanico in termini di compressione. Il disco può prolassare una volta che la parete dell’anello fibroso si è del tutto rotto. Una ridotta tensione dell’anello fibroso può portare ad una perdita di elastici-tà dei tessuti con conseguente formazione di osteofiti causati dall’invasione del tessuto cartilagineo da parte degli osteoblasti Lipson e Muir, 1980).

3.4

È giusto parlare di lombalgia aspecifica?

La lombalgia non è una malattia specifica, ma piuttosto una manifestazione do-lorosa che può essere causata da un gran numero di problemi di fondo con vari livelli di gravità (Borczuk, 2013). Tuttavia spesso è difficile stabilire l’eziologia di questo disturbo, così complesso da determinare un quadro sintomatologico estremamente variabile nella popolazione afflitta (Casazza, 2012). La Natio-nal Institute of Health riconosce fra le cause di natura non traumatologica l’obesità, il fumo, l’aumento di peso durante la gravidanza, lo stress, scar-sa condizione fisica, postura errata e sonno insufficiente. Delle considerazioni andrebbero fatte riguardo alla diagnosi di lombalgia aspecifica: non bisogna infatti confondere l’accezione di “aspecifico” con “idiopatico”, che significa “di cause sconosciute”, ma anzi bisogna riconoscere la lombalgia aspecifica, sia in forma cronica che acuta, come un quadro multifattoriale molto complesso nel quale però è possibile trovare delle cause, che possono fra l’altro essere nume-rose. Di conseguenza è possibile strutturare una pianificazione con l’obiettivo di contrastare le cause della lombalgia nel tentativo di risolvere la condizione dolorosa.

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Trattamento della lombalgia

Il dolore viene trattato solitamente per mezzo di terapie farmacologiche ed altre procedure mediche che possono talvolta rivelarsi inefficaci, costose e ad-dirittura dannose, soprattutto nell’ambito del dolore cronico. Questo perchè in caso di dolore cronico l’esperienza del dolore assume maggiore complessità, interessando anche la sfera emozionale, comportamentale e cognitiva (Delgado et al., 2014). Non di meno, è possibile che condizioni di lombalgia acuta di uguale entità e generate dalle stesse cause possano essere vissute in manie-ra totalmente differenti, a dimostmanie-rare che anche la sfemanie-ra del dolore acuto può richiedere un trattamento individualizzato e, in particolare, non mirato esclusi-vamente alla risoluzione del dolore, ma anche alle dimensioni cognitivo-emotive di esso (Lee et al., 2014). Nelle pagine seguenti, si mostrerà comunque che gli interventi basati sull’esercizio fisico ricoprano un ruolo particolarmente impor-tante fra i trattamenti per la LPB (Saragiotto et al., 2016) (Maher, 2004). Negli Stati Uniti si è stimato che i pazienti con dolore lombare investono più dell’80% delle spese sanitarie per il trattamento del dolore, ottenendo però una bassa percentuale di successo (Freburger et al., 2009). Si tratta in ogni caso di un disturbo fortemente diffuso nelle società industrializzate (Maher, 2004). I trattamenti prescritti sono generalmente FANS, agopuntura, stimolazione elettrica transcutanea (TENS), proloterapia (“terapia proliferante” o “tera-pia rigenerante tissutale”, consiste in iniezioni di sostanze non farmacologiche proliferanti con effetti osmotici) e supporti lombari., ma non ci sono evidenze che diano ragione del loro utilizzo (Maher, 2004). Proprio per questo è bene stabilire con oggettività l’efficacia dei trattamenti per la LBP. La scarsità di evidenze può portare a stime “gonfiate” riguardo agli effetti del trattamento, ed evidenze di scarsa qualità producono ingannevolmente stime ottimistiche riguardo all’efficacia dei trattamenti (bias di conferma). .Negli ultimi anni si è vista un’impennata nel numero degli studi sui trattamenti fisici della LBP (Maher, 2004).

4.1

La medicina complementare ed integrativa

Negli ultimi decenni si è verificato un deciso cambiamento di direzione a favore delle forme di intervento incruento e di terapie e trattamenti complementari non più finalizzati al miglioramento del dolore bensì al trattamento della

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perso-na nella sua interezza: esistono terapie complementari incentrate sulla persoperso-na che rendono consapevoli i pazienti dei propri ruoli nel processo di guarigione offrendo una maggiore efficacia del trattamento. Le indagini sull’effettivo fun-zionamento della Complementary and Integrative Medicine (CIM) e sulla sua indicazione nella gestione del dolore sono ormai numerose (Chen and Michal-sen, 2017). La maggiore efficacia di questo tipo di intervento, rispetto al trat-tamento farmacologico è determinata proprio dall’adozione di un approccio multidisciplinare che coinvolge il paziente nel percorso di cura, dando risalto a tutti gli aspetti comportamentali che possono agire a scopo preventivo sul-la ricomparsa del dolore e cercando riconoscere e quindi eliminare le cattive abitudini che hanno scatenato o che possono accentuare l’esperienza doloro-sa (Lee et al., 2014; Crawford et al,. 2014). La CIM promuove tutte quelle forme di trattamento che fanno uso di esercizio cognitivo e comportamentale, portando ad una serie di benefici psicologici per quanto riguarda ad esempio il livello di autoefficacia, la riduzione del catastrofismo e della paura di incorrere nuovamente in esperienze dolorose, e la consapevolezza di poter godere di una qualità della vita migliore grazie alla migliorata gestione del dolore. Non risul-tando forme di trattamento rischiose nè costose rispetto alle consuete terapie, o alle forme di intervento chirurgico seppur scarsamente invasive o ancora alle cure farmacologiche, le CIM godono negli ultimi anni di maggiore attenzione all’interno della ricerca scientifica e delle forme di trattamento del dolore (Lee et al., 2014).

Insieme alla acceptance and committent therapy (ACT), una moderna forma di terapia cognitivo comportamentale per incrementare le capacità personali di perseguire obiettivi e valori individuali significativi, la CIM si prefigge l’o-biettivo di trattare sintomi estremamente variabili e complessi.

Le terapie ACT-CIM sono definite come quelle che integrano la medicina in-tegrativa e complementare e quella convenzionale come parti co-operanti nel miglioramento della salute. Un vantaggio di questo tipo di intervento è che, dopo un addestramento, i pazienti sono autonomi nell’applicazione dei crite-ri biopsicosociali che hanno appreso, con conseguente crite-riduzione dei costi del trattamento. Ci sono evidenze scientifiche che hanno dimostrato che i fattori psicosociali sono più importanti di quelli biomeccanici non solo per i pazienti affetti da lombalgia acuta ma anche quella cronica in pazienti impossibilitati a lavorare (Nachemson, 1992). Sebbene siano numerosi gli studi che promuo-vono le ACT-CIM per il trattamento del dolore, è difficile porre dei gradi di effettiva efficacia di determinate tipologie di trattamento complementare per quanto riguarda il trattamento della lombalgia aspecifica. Più in genera-le pare anzi che vi siano poche prove disponibili per associare una tipologia particolare di trattamento (e il conseguente grado di efficacia) ai vari disturbi (Crawford et al,. 2014). Fra le pratiche più riconosciute, si distinguono cin-que categorie di CIM: mind-body therapies, movement therapies, physically oriented therapies, sensory arts e multimodal integrative approaches. Secon-do le reviews più recenti pare che a problematiche di Secon-dolore cronico associate all’apparato muscolo-scheletrico ci sia una tendenza ad utilizzare trattamenti basati sul movimento e sull’esercizio, portando a livelli di miglioramento del dolore, del grado di disabilità e della qualità della vita significativi rispetto agli altri approcci (Delgado et al., 2014). Una forte limitazione in questo am-bito di ricerca è dettato dalla difficoltà di porre criteri diagnostici oggettivi

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di fronte alle numerose condizioni di dolore, poichè fortemente influenzati da definizioni talvolta differenti e contrastanti oltre che dai fattori individuali del singolo caso. Esistono comunque centri di trattamento del dolore che inclu-dono le ACT-CIM come componenti primarie dei programmi (Millstine et al., 2017). Fra le mind-body therapies contro i sintomi del dolore cronico si è riconosciuta l’efficacia di numerosi trattamenti mentre altri sono risultati del tutto inefficaci, come rappresentato nella tabella sottostante che raccoglie i dati della review di Lee (2014). Sono stati studiati ad esempio gli effetti della meditazione (mindfulness meditation), del training autogeno e del programma MBSR (mind-body stress reduction) per il trattamento di numerose condizioni di dolore, incluse LBP, fibromialgia, sindromi dolorose post-operatorie, dolore cronico aspecifico, dolore muscoloscheletrico e neuropatia diabetica. Pare che nessuno di questi trattamenti abbia portato a benefici significativi per quanto riguarda il trattamento della lombalgia e della fibromialgia (Crawford et al., 2014; Lee et al., 2014). Una forma di allenamento finalizzato al rilassamen-to muscolare e alla focalizzazione della mente all’allontanamenrilassamen-to da pensieri di stressogeni, produce un abbassamento del tono simpatico e conseguente raggiungimento di parametri fisiologici favorevoli (pressione arteriosa, tensioni muscolari, consumo di O2, abbassamento degli ormoni stressogeni). In questo caso, con una concomitanza di terapia respiratoria, sono stati registrati risul-tati significativi addirittura commisurabili agli effetti delle terapie fisiche (Lee et al., 2014). Un altro metodo di intervento psicofisiologico rivelatosi efficace è il biofeedback (Delgado et al., 2014) che aiuta il soggetto a riconoscere, cor-reggere e quindi prevenire le alterazioni fisiologiche alla base della patologia (ad esempio atteggiamenti che portano al sovraccarico dei distretti doloranti). Tuttavia, in alcuni studi si è osservato che un trattamento di 7,5 ore di bio-feedback respiratorio per una durata di 15 giorni si è rivelato più efficace del placebo per il trattamento della CLBP (Lee et al., 2014).

4.2

Dolore e occupazione: aspetti psicosociali

Se si pensa alle attività di carattere occupazionale che promuovono il benes-sere psicofisico della persona, è possibile individuare numerosi elementi che rendono la terapia occupazionale uno strumento importante nell’ambito del trattamento multidisciplinare della lombalgia. L’occupazione lavorativa è una variabile che gioca un ruolo importante per il riconoscimento delle cause del dolore: basti pensare all’evoluzione in termini eziologici delle lombalgie nel secolo scorso, dove situazioni di iperestensione continua (imbianchini, elettri-cisti) erano causa comune di mal di schiena. Tutt’ora il benessere fisico e la funzionalità del rachide sono oggetto di studi per i lavoratori nel mondo delle industrie (Eaves et al., 2015). Il lavoro d’ufficio, che porta ad assumere una posizione seduta in costante flessione, è però oggi causa frequente di lombal-gia (Franchini, 2008), con conseguente disagio psicologico per l’impossibilità di svolgere efficacemente la propria attività lavorativa, e quindi producendo stress che può peggiorare il dolore (Rasmussen et al., 2013).

A tale proposito sono state condotte delle ricerche sul dolore negli atleti di elite e si è evidenziata la necessità di distinguere il trattamento della lesione da l’infortunio dal trattamento del dolore. Infatti, il dolore può però persistere

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Figura 4.1: Una seduta non ergonomica in luogo di lavoro.

dopo la guarigione da un infortunio, o manifestarsi indipendentemente da esso. Inoltre, esistono casi di anomalie anatomiche in soggetti asintomatici e pazienti che invece lamentano dolore in condizioni anatomiche in fisiologia. L’analisi biomeccanica è importante per comprendere come l’atleta, in base alla propria struttura antropometrica ed il proprio bagaglio motorio, si comporta durante un gesto tecnico. Da qui si può attuare la ricerca dei fattori (quali debolezze e conseguenti atteggiamenti di atteggiamento) che generano sovraccarichi fun-zionali, e di conseguenza un’impostazione della corretta programmazione per il compenso delle carenze, per il perfezionamento degli schemi motori e per offri-re una periodizzazione ottimale (Weineck, 1941). Bisogna però anche poffri-rendeoffri-re in considerazione aspetti biopsicosociali come la fatica, il ciclo mestruale, l’a-limentazione), e lo stress comunque indotto ( ad esempio dall’interazione col coach, da rapporti familiari difficili, dinamiche della squadra, ansia da presta-zione, fattori economici). Non è un caso che negli ultimi decenni la figura dello psicologo sportivo sia diventata sempre più importante (Heinline et al., 2017).

4.3

Trattamenti fisici per la lombalgia

Trattamenti di 12 mesi basati sull’esercizio fisico hanno dimezzato dolore e disabilità , mentre i soggetti dei gruppi di controllo, che hanno ricevuto un trattamento costituito da massaggi, non hanno avuto gli stessi effetti (Kan-kaanpaa et al., 1999). In un altro studio, a distanza di 30 mesi rispetto alla prima valutazione, dolore e disabilità rimanevano significativamente più

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bas-si, mentre chi era stato seguito da un medico mediante terapia farmacologica non ha ottenuto miglioramenti significativi (O’Sullivan et al., 1997). L’effica-cia del trattamento dipende strettamente dal protocollo di attività. Infatti i pazienti che seguono un programma intensivo insieme con terapia cognitivo-comportamentale migliorano più di quelli che seguono un programma più blan-do, non sono seguiti dal un medico e non hanno ricevuto interventi cognitivo-comportamentali (Maher, 2004). Esistono numerosi trattamenti basati sull’e-sercizio fisico: a terra, in acqua, a corpo libero o tramite attrezzi, con approccio sul distretto interessato o orientato ad una sollecitazione di tutti i distretti del corpo. Indipendentemente dalla tipologia subentrano poi numerose variabili quali intensità, frequenza, volume e durata dell’allenamento. In uno studio si sono valutati due approcci differenti di allenamento: uno prevedeva una serie di esercizi per il condizionamento fisico generale ed uno era mirato alla stabilizzazione della colonna. In seguito ad una sessione comprensiva di fami-liarizzazione col programma e di impostazione degli obiettivi e dell’intensità per ciascun esercizio, le dieci sessioni del primo gruppo si sono rifatte al mo-dello di allenamento “Back to Fitness”, includendo, nell’arco di 60 minuti, una fase di riscaldamento e stretching, una serie di stazioni con vari esercizi, un defaticamento ed una sessione di rilassamento. Inoltre si è utilizzata una tera-pia cognitiva-comportamentale in parallelo: incoraggiamento nel raggiungere gli obiettivi preposti, monitoraggio costante e rinforzi verbali positivi. Nella dodicesima sessione del primo gruppo si sono notati miglioramenti e, in accor-do col fisioterapista, è stato sviluppato congiuntamente un piano di lavoro per mantenere e migliorare i livelli di attività. A differenza del primo gruppo di allenamento fisico generale, i soggetti degli esercizi di stabilizzazione spinale sono stati inseriti in un percorso con approccio individuale. La prima sessione è consistita di una valutazione individuale ed una prescrizione di esercizi di rinforzo mirati al miglioramento della funzione dei muscoli specifici della re-gione lombare. Nelle sessioni successive i soggetti hanno lavorato sul controllo del diaframma respiratorio e del diaframma pelvico. In aggiunta ci sono stati esercizi particolarmente mirati sui muscoli multifido e trasverso, con utilizzo di un biofeedback in tempo reale tramite ultrasuoni per ottimizzare la contra-zione dei muscoli target. Una volta raggiunto un buon livello di controllo negli esercizi, venivano somministrati esercizi di maggiore difficoltà coinvolgendo la coordinazione del tronco e i movimenti degli arti. Anche qua si è utilizzato un approccio cognitivo-comportamentale di rinforzo. Al termine del percorso di allenamento si sono registrati miglioramenti di eguale entità rispetto al primo gruppo. Risulta evidente come l’esercizio fisico assuma un ruolo fondamentale nell’insieme dei trattamenti per la LBP portando a miglioramenti estesi sia breve che a lungo termine (Maher, 2004). Questo studio indica che entrambi i gruppi hanno risposto positivamente alla somministrazione di trattamenti fisici, che fossero globali o mirati in maniera specifica. A tale proposito è bene puntualizzare che, non ci sono dati consistenti sulla pianificazione de-gli interventi fisici (applicabilità di protocolli standardizzati efficaci e sicuri), e non ci sono certezze su quale sia il metodo più efficace. Alcune metanali-si hanno preso in conmetanali-siderazione l’utilità di differenti metodologie quali Back School, protocolli MCE (motor control exercises) e Pilates per il trattamento della lombalgia. La Back School è una società che ha sviluppato program-mi di trattamento terapeutico generale con l’inclusione di educazione (aspetto

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comportamentale) ed esercizio. Nelle MCE ci si concentra invece sull’attiva-zione dei muscoli profondi del tronco e si rivolgono al ripristino del controllo di questi, con l’integrazione di compiti sempre più complessi man mano che si acquisisce il corretto bagaglio motorio. Il metodo Pilates è una ginnastica che insegna ad assumere una corretta postura e a dare maggiore armonia e fluidità nei movimenti, con lo sviluppo della percezione e della consapevolezza corpo-rea. Sebbene tutte queste metodologie si siano rivelate efficaci, non si è stati in grado di stabilire quale sia la più efficace (Parreira et al., 2017; Saragiotto et al., 2016; Yamato et al., 2015). Un’altra metanalisi ha considerato 12 studi con un’inclusione di 1080 partecipanti per valutare l’efficacia dello Yoga rispetto al trattamento fisico a breve, medio e lungo termine e ha concluso che lo Yoga è meno efficace per il trattamento della LBP per quanto riguarda il miglioramen-to di funzionalità e dolore. Inoltre, lo Yoga può essere più rischioso (Wieland LS et al., 2017). Un’indagine condotta sulle terapie non farmacologiche per la LBP mostra che ci sono evidenze che la terapia cognitiva-comportamentale, l’esercizio fisico, la manipolazione spinale e la riabilitazione interdisciplinare si sono rivelate moderatamente efficaci sia in condizioni acute che croniche. Per quanto riguarda la lombalgia acuta, i trattamenti più utili sono stati la manipolazione spinale e l’applicazione di calore superficiale (Chou et al.,2007). Lo studio di Maher condotto nel 2004 sul confronto fra allenamento globale e mirato enfatizza l’importanza di operatori e terapisti abili e preparati, che sap-piano adattare gli esercizi al soggetto tenendo conto anche della sfera cognitiva e comportamentale. Infatti, la scelta degli esercizi e della loro organizzazione in una pianificazione per il trattamento della lombalgia dipende strettamen-te dal pazienstrettamen-te (Rasmussen et al. 2015) Altre indagini però hanno suggerito che il trattamento combinato non è più efficace dei trattamenti singoli e si è osservato che l’attività fisica in sè determina una riduzione del catastrofismo e di conseguenza del dolore (Smeets, 2006). Dunque, almeno in alcuni casi l’esercizio fisico da solo può generare benefici apprezzabili anche nella sfera psicologica.

4.4

Meccanismi responsabili dell’efficacia antalgica

dell’esercizio fisico

I sistemi monoaminergici discendenti attivati da informazioni nocicettive ascen-denti nel fascio spinotalamico mediale e da strutture superiori (Appendice A) sono responsabili dell’ipoalgesia associata all’attività fisica a bassa intensità. Lo dimostrano studi in cui sono stati prodotti danni ai nervi periferici (rottura del nervo sciatico) nei ratti, provocando così la tipica sintomatologia del dolore neuropatico. In questo modello animale, la modalità di intervento è consisti-ta in due settimane di corsa su treadmill a bassa intensità immediaconsisti-tamente dopo il danno nervoso. Negli animali il comportamento da dolore si riduceva durante la corsa su treadmill. Al contrario, la riduzione della sintesi di seroto-nina (5-HT) tramite l’utilizzo dell’inibitore del triptofano-idrossilasi (PCPA) impediva l’effetto analgesico dell’esercizio. In parallelo, due settimane di eser-cizio hanno incrementato i livelli del 5-HT nel tronco encefalico e il suo meta-bolismo (5-HIAA), abbassato l’espressione del trasportatore della serotonina (SERT) e aumentato l’espressione dei recettori 5-HT (5HT-1B,2A,2C), mentre

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il blocco della sintesi di catecolamine con l’inibitore della tirosina-idrossilasi (AMPT) non ha avuto effetto. Infine, il danneggiamento del nervo ha indotto un incremento delle citochine infiammatorie, TNF-alfa e IL-1beta, nel tronco encefalico, che è stato ridotto da due settimane di esercizio (Bobinski et al., 2015).

Figura 4.2: Rappresentazione schematica degli effetti dell’esercizio a bassa intensità sulla neurotrasmissione serotoninergica nei nuclei del tronco cerebrale dopo lesione del nervo sciatico. L’esercizio a bassa intensità sopprime il comportamento del dolore migliorando la neurotrasmissione del tronco cerebrale di 5-HT attraverso l’aumento del contenuto di 5-HT, 5-HIAA, l’espressione del recettore 5-HT (5HT-1B, 2A, 2C) e l’espressione decrescente di serotonina e del turnover del 5-HT.

Figura 4.3: Effetti dell’attività di nuoto su dolore infiammatorio indotto su roditori (Mazzardo-Martins et al., 2010).

Effetti di analoga entità si sono riscontrati in altri esperimenti sui ratti, nei quali si è cercato di analizzare gli effetti del nuoto prolungato su dolori infiam-matori (iniezione di sostanze pro-infiaminfiam-matorie) e neuropatici (danni nervosi) provocati in laboratorio. I risultati di questi studi indicano che l’esercizio ba-sato sul nuoto prolungato riduce l’ipersensibilità comportamentale nei modelli

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animali di dolore persistente indotti da ferita e da infiammazione (Kuphal et al., 2007) e che l’esercizio esteso ad alta intensità controlla il dolore acuto me-diante l’attivazione di vie oppioidergiche e serotoninergiche (Mazzardo-Martins et al., 2010)

4.5

Tipi di trattamento fisico

È importante innanzitutto rispettare i criteri di ergonomia operativa applican-do i corretti schemi corporei ad ogni tipologia di azione e contesto. In termini di operatività in contesto lavorativo si tratta dell’insieme di azioni con atten-zione rivolta all’aspetto preventivo per la salute della propria schiena, come ad esempio per un infermiere imparare la procedura corretta per sollevare un anziano dal letto (Rasmussen, 2013). Per quanto riguarda l’ergonomia in lavo-ri d’ufficio il consiglio migliore è quello di limitare il più possibile il tempo da seduti, facendo uso di sedie con braccioli e supporti lombare sufficienti per il sostegno del peso ma che non eccedano con l’accentuazione della lordosi lom-bare fisiologica (Fitness, 2011). A infermieri addetti nella cura degli anziani è stato applicato un intervento basato sulla consapevolezza corporea , sulla postura, sulla forza e la coordinazione e sul condizionamento fisico generale. Il trattamento, sostanzialmente rieducativo, consisteva in 2 workshops di tre ore per l’educazione alla minimizzazione dei potenziali danni causati da atteg-giamenti scorretti nel lavoro per sforzi fisici e dolore, con aggiunta di un’ora di valutazione; 2 workshops della durata di tre ore volti alla modificazione delle cattive abitudini provocanti il dolore. Questo approccio ha portato ad un riduzione della durata e dell’intensità del dolore e anche del disagio speri-mentato nel luogo di lavoro (Rasmussen, 2013). Vari autori si sono chiesti se può essere più efficace un allenamento isolato sulla muscolatura estensoria del rachide lombare (ILEX Training) rispetto ad un approccio comprensivo di core training e condizionamento fisico generale. La debolezza dei muscoli estensori della schiena (estensioni lombari, erettore spinale, lunghissimo, multifido, qua-drato dei lombi) si associa a un maggiore rischio di LBP e infortunio (Steele et al., 2017). Infatti nella CLBP il decondizionamento di questi muscoli è co-mune, e questo potrebbe essere coinvolto nelle cause delle disfunzioni presenti. Di moltissime logiche di esercizio, pare che la ILEX training dia miglioramenti statisticamente significativi, con valori piuttosto costanti in termini statistici e clinici. In uno studio di Steele si è cercato di comparare l’efficacia degli esercizi con basso carico in metodica ILEX con i deadlift pesanti (esercizio di stacco da terra di un attrezzo). Ci sono stati miglioramenti in entrambi i gruppi per quanto riguarda l’intensità del dolore e l’aumento di forza e di endurance, ma il gruppo al quale è stato somministrato un allenamento con carichi bassi ha ottenuto maggiori miglioramenti nella funzionalità (si trattava di esercizi di motor control a basso carico). Rispetto al gruppo di controllo ci sono stati miglioramenti significativi: allenare gli estensori lombari, che in condizioni di CLBP sono fortemente decondizionati, porta a benefici. Nello studio in que-stione si è però registrata una eterogeneità nei risultati: molti sono migliorati in maggiore misura rispetto ad altri soggetti, e questo potrebbe essere causato dalle diverse cause e gravità di lombalgia. In conclusione è bene che i respon-sabili dei trattamenti fisici valutino accuratamente la tipologia dell’esercizio in

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base alle risposte di dolore e di disabilità, prima e durante l’allenamento. Uno studio simile, condotto però con una sperimentazione randomizzata controlla-ta di 24 mesi, ha porcontrolla-tato a risulcontrolla-tati altretcontrolla-tanto similari: l’allenamento ad alti carichi, confrontato al motor control a basso carico, migliora a lungo termine l’intensità del dolore, la disabilità e la qualità della vita relativa alle condizioni di salute. In questo studio è stato incluso anche un allenamento sui pattern motori e sull’educazione alla gestione del dolore, intervenendo quindi sull’ er-gonomia e sull’ambito cognitivo-comportamentale (Michaelson et al,. 2016). Un approccio sicuramente degno di attenzione è quello dell’esercizio fisico a corpo libero, sia per l’attuale scarsità di informazioni a riguardo che per la pos-sibilità di trattare i soggetti in assenza di attrezzature che potrebbero rivelarsi un costo per l’operatore ed un fattore di limitazione per il soggetto affetto da lombalgia. Una ricerca durata 16 settimane ha indagato sugli effetti dell’alle-namento a corpo libero sul dolore, tramite una valutazione biomeccanica dello squat e l’analisi delle immagini da risonanza magnetica per osservare l’infiltra-zione di tessuto adiposo nella regione lombare in pazienti affetti da CLBP. Si è registrato un miglioramento significativo della condizione dolorosa, della disa-bilità e della qualità della vita, con una riduzione altrettanto significativa delle infiltrazioni adipose fra L3-L4 ed L4-L5. L’endurance dei muscoli estensori è migliorata del 18%, mentre la forza è rimasta invariata (Welch et al., 2015). Un’altra forma di intervento con importanza primaria all’interno del tratta-mento fisico è rappresentata dal rinforzo e dal recupero funzionale del core. La muscolatura del core è responsabile della stabilità spinale: un lavoro mirato sull’acquisizione delle capacità propriocettive sul distretto lombo-addominale e sul rinforzo dei muscoli che lo costituiscono ha ottenuto effetti validati e si-gnificativi (Wen-Dien Chang et al., 2015) (McGill, 2016) (Nadler et al., 2000). Per quanto riguarda l’effettività di trattamenti mirati a distretti specifici è stato condotto uno studio sull’effetto dell’aggiunta di esercizi di rinforzo della muscolatura dell’anca ad un programma di esercizi lombo-pelvici per il trat-tamento della LBP aspecifica. Ne è risultato che un trattrat-tamento combinato (lombo-pelvico insieme alle anche) ha portato a riduzione del dolore che però non era maggiore di quella del gruppo di controllo al quale è stato sommini-strato un allenamento per il solo tratto lombo-pelvico (Kendall et al., 2015). Dalla lettura della ricerca scientifica risulta piuttosto evidente che non c’è an-cora certezza che porti a privilegiare una tipologia di esercizio rispetto ad altri forse per gli effetti generali indotti dall’attività fisica sul dolore. Inoltre il mi-glioramento della coordinazione indotto da qualunque esercizio complesso o che preveda sviluppi graduali può avere degli effetti benefici sul dolore grazie ad una più corretta percezione dei distretti corporei interessati da contratture (Abboud et al., 2017)

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Allenamento ottimale

Il movimento è importante per il mantenimento della salute e molte perso-ne soffrono di lombalgia a causa di comportamenti motori scorretti (McGill, 2016). La competenza nei movimenti è differente per ciascuna persona, a se-conda del proprio bagaglio motorio e delle necessità occupazionali: ad esempio un carpentiere avrà una richiesta funzionale differente rispetto a quella di un autista. Nonostante questo è possibile che entrambi possano incorrere in con-dizioni di lombalgia acuta o cronica. L’intervento fisico sul rachide lombare dovrebbe consistere in primis nella stabilizzazione e nella mobilizzazione. Se-condo McGill e Moreside la stabilizzazione è l’obiettivo più importante: è stato notato che molti pazienti sui quali si è intervenuto sulla stabilizzazione del ra-chide ha risolto il dolore e la disfunzionalità, tornando poi ad un buon grado di mobilità senza un intervento specifico su quest’ultima. Gli effetti benefici del movimento e dell’esercizio fisico sui meccanismi neurofisiologici che modulano il dolore sono già stati messi in luce, come ad esempio il rilascio di endorfine.

5.1

Modalità di intervento: un approccio graduale

Un programma di trattamento della lombalgia deve essere suddiviso in vari step, pianificati in base alle condizioni individuali ed alla severità del proble-ma. Le evidenze scientifiche trattate nei capitoli precedenti suggeriscono che il rinforzo della muscolatura estensoria del tronco e dei muscoli del core por-ti benefici sul dolore. Per evitare che l’allenamento stesso possa portare alla manifestazione del dolore è necessario che il soggetto trattato non compia mo-vimenti scorretti durante l’esercizio: una lombalgia provocata da iperlordosi potrebbe ad esempio far presentare dei fastidi anche in esercizi di modesto accorciamento dei muscoli lombari, causando difficoltà a proseguire con l’eser-cizio fisico (S.B. Brotzman: Clinical Orthopaedic Rehabilitation – Excerpta Medica Italia Srl). Al contrario, posizioni di eccessiva flessione, che possono essere compiuti ad esempio durante esercizi di mobilizzazione della colonna, potrebbero scatenare dolore a causa della pressione di un disco protuso sui tessuti nervosi (Juker et al., 1998).

– La logica di approccio deve essere anzitutto focalizzata sull’insieme di esercizi e di metodiche volte a ripristinare un corretto bagaglio proprio-cettivo dei vari distretti corporei, primo fra tutti il core nella sua interezza.

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Si dovrà quindi identificare l’insieme degli schemi motori e degli atteggia-menti posturali modificati e resi anomali a causa del dolore, pianificando un processo di riacquisizione delle capacità motorie tramite esercizi corret-tivi. In questa fase è molto importante che l’operatore indirizzi richieste di feedback continui, riferiti alle percezioni durante ogni movimento. La capacità di discriminare e saper riconoscere le sensazioni di fastidio, dolo-re, tensione, dei gradi di allungamento o delle variazioni di equilibrio è un aspetto molto prezioso sia per il responsabile del trattamento, che saprà quindi adattare l’esercizio in tempo reale in base alle percezioni riferito, e sia per il soggetto affetto da lombalgia, che svilupperà nel tempo abilità propriocettive sempre più raffinate. Queste capacità sono alla base del controllo motorio, si tratti di attivazione della muscolatura fasica, dell’al-lentamento delle tensioni della muscolatura tonica, o del controllo della frequenza e dell’ampiezza del ciclo respiratorio. A tale proposito è molto importante proporre esercizi di controllo della respirazione diaframmati-ca. Una volta sviluppate adeguate abilità propriocettive nel core, incluso il controllo del diaframma, si può passare all’insieme di esercizi volti alla stabilizzazione del tronco. Questi esercizi sviluppano la capacità del core di fare uso della propria componente contrattile per sostenere in maniera ottimale il rachide lombare. L’insieme di questi esercizi andrebbe propo-sto in una scala di graduale ed aumentata difficoltà, partendo da posizioni e movimenti molto semplici, in cui l’aspetto propriocettivo e di control-lo dei distretti corporei (primi fra tutti la zona control-lombare e addominale) assume un ruolo centrale.

– L’aumentato grado di difficoltà degli esercizi di stabilizzazione e di con-trollo del core possono portare all’introduzione di richieste più complesse quali il mantenimento dell’equilibrio in varie posizioni. Man mano che si procede nella scala degli esercizi si può notare un graduale e sempre maggiore interessamento dei distretti periferici.

– Raggiunta una buona capacità di stabilizzazione del rachide lombare, è bene passare ad un utilizzo più globale del core (Wen-Dien Chang et al., 2015). Dal punto di vista funzionale il core è infatti non solo responsa-bile del mantenimento dell’equilibrio rachideo, bensì di tutta la struttura muscolo-scheletrica, sia in contesti statici che dinamici (Kapandji, 1946; Behm et al., 2017). Si potrà quindi interessare il tratto toracico e cervi-cale, sensibilizzando l’intera colonna a posizioni di flessione, estensione ed inclinazione. L’introduzione di esercizi comprendenti l’utilizzo dell’artico-lazione scapolo-omerale e degli arti inferiori è un passo importante per uno sviluppo sensato del bagaglio motorio del soggetto, che dovrà imparare a soddisfare richieste sempre più complesse tramite esercizi multiarticolari con componente stabilizzatoria più o meno impegnativa.

– L’introduzione di esercizi più specifici per la mobilizzazione sono possibili una volta che il soggetto non lamenta dolore nei range articolari in que-stione. Nel caso di lombalgia con assenza di danni sulle strutture osteo-ligamentose, come ad esempio lombalgia causata da tensioni e scompensi muscolari, è possibile inserire gli esercizi di mobilizzazione e flessibilità già all’inizio del trattamento, a patto che questi siano riproducibili senza esito doloroso.

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