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Meccanismi responsabili dell’efficacia antalgica dell’esercizio fisico

I sistemi monoaminergici discendenti attivati da informazioni nocicettive ascen- denti nel fascio spinotalamico mediale e da strutture superiori (Appendice A) sono responsabili dell’ipoalgesia associata all’attività fisica a bassa intensità. Lo dimostrano studi in cui sono stati prodotti danni ai nervi periferici (rottura del nervo sciatico) nei ratti, provocando così la tipica sintomatologia del dolore neuropatico. In questo modello animale, la modalità di intervento è consisti- ta in due settimane di corsa su treadmill a bassa intensità immediatamente dopo il danno nervoso. Negli animali il comportamento da dolore si riduceva durante la corsa su treadmill. Al contrario, la riduzione della sintesi di seroto- nina (5-HT) tramite l’utilizzo dell’inibitore del triptofano-idrossilasi (PCPA) impediva l’effetto analgesico dell’esercizio. In parallelo, due settimane di eser- cizio hanno incrementato i livelli del 5-HT nel tronco encefalico e il suo meta- bolismo (5-HIAA), abbassato l’espressione del trasportatore della serotonina (SERT) e aumentato l’espressione dei recettori 5-HT (5HT-1B,2A,2C), mentre

il blocco della sintesi di catecolamine con l’inibitore della tirosina-idrossilasi (AMPT) non ha avuto effetto. Infine, il danneggiamento del nervo ha indotto un incremento delle citochine infiammatorie, TNF-alfa e IL-1beta, nel tronco encefalico, che è stato ridotto da due settimane di esercizio (Bobinski et al., 2015).

Figura 4.2: Rappresentazione schematica degli effetti dell’esercizio a bassa intensità sulla neurotrasmissione serotoninergica nei nuclei del tronco cerebrale dopo lesione del nervo sciatico. L’esercizio a bassa intensità sopprime il comportamento del dolore migliorando la neurotrasmissione del tronco cerebrale di 5-HT attraverso l’aumento del contenuto di 5-HT, 5-HIAA, l’espressione del recettore 5-HT (5HT-1B, 2A, 2C) e l’espressione decrescente di serotonina e del turnover del 5-HT.

Figura 4.3: Effetti dell’attività di nuoto su dolore infiammatorio indotto su roditori (Mazzardo-Martins et al., 2010).

Effetti di analoga entità si sono riscontrati in altri esperimenti sui ratti, nei quali si è cercato di analizzare gli effetti del nuoto prolungato su dolori infiam- matori (iniezione di sostanze pro-infiammatorie) e neuropatici (danni nervosi) provocati in laboratorio. I risultati di questi studi indicano che l’esercizio ba- sato sul nuoto prolungato riduce l’ipersensibilità comportamentale nei modelli

animali di dolore persistente indotti da ferita e da infiammazione (Kuphal et al., 2007) e che l’esercizio esteso ad alta intensità controlla il dolore acuto me- diante l’attivazione di vie oppioidergiche e serotoninergiche (Mazzardo-Martins et al., 2010)

4.5

Tipi di trattamento fisico

È importante innanzitutto rispettare i criteri di ergonomia operativa applican- do i corretti schemi corporei ad ogni tipologia di azione e contesto. In termini di operatività in contesto lavorativo si tratta dell’insieme di azioni con atten- zione rivolta all’aspetto preventivo per la salute della propria schiena, come ad esempio per un infermiere imparare la procedura corretta per sollevare un anziano dal letto (Rasmussen, 2013). Per quanto riguarda l’ergonomia in lavo- ri d’ufficio il consiglio migliore è quello di limitare il più possibile il tempo da seduti, facendo uso di sedie con braccioli e supporti lombare sufficienti per il sostegno del peso ma che non eccedano con l’accentuazione della lordosi lom- bare fisiologica (Fitness, 2011). A infermieri addetti nella cura degli anziani è stato applicato un intervento basato sulla consapevolezza corporea , sulla postura, sulla forza e la coordinazione e sul condizionamento fisico generale. Il trattamento, sostanzialmente rieducativo, consisteva in 2 workshops di tre ore per l’educazione alla minimizzazione dei potenziali danni causati da atteg- giamenti scorretti nel lavoro per sforzi fisici e dolore, con aggiunta di un’ora di valutazione; 2 workshops della durata di tre ore volti alla modificazione delle cattive abitudini provocanti il dolore. Questo approccio ha portato ad un riduzione della durata e dell’intensità del dolore e anche del disagio speri- mentato nel luogo di lavoro (Rasmussen, 2013). Vari autori si sono chiesti se può essere più efficace un allenamento isolato sulla muscolatura estensoria del rachide lombare (ILEX Training) rispetto ad un approccio comprensivo di core training e condizionamento fisico generale. La debolezza dei muscoli estensori della schiena (estensioni lombari, erettore spinale, lunghissimo, multifido, qua- drato dei lombi) si associa a un maggiore rischio di LBP e infortunio (Steele et al., 2017). Infatti nella CLBP il decondizionamento di questi muscoli è co- mune, e questo potrebbe essere coinvolto nelle cause delle disfunzioni presenti. Di moltissime logiche di esercizio, pare che la ILEX training dia miglioramenti statisticamente significativi, con valori piuttosto costanti in termini statistici e clinici. In uno studio di Steele si è cercato di comparare l’efficacia degli esercizi con basso carico in metodica ILEX con i deadlift pesanti (esercizio di stacco da terra di un attrezzo). Ci sono stati miglioramenti in entrambi i gruppi per quanto riguarda l’intensità del dolore e l’aumento di forza e di endurance, ma il gruppo al quale è stato somministrato un allenamento con carichi bassi ha ottenuto maggiori miglioramenti nella funzionalità (si trattava di esercizi di motor control a basso carico). Rispetto al gruppo di controllo ci sono stati miglioramenti significativi: allenare gli estensori lombari, che in condizioni di CLBP sono fortemente decondizionati, porta a benefici. Nello studio in que- stione si è però registrata una eterogeneità nei risultati: molti sono migliorati in maggiore misura rispetto ad altri soggetti, e questo potrebbe essere causato dalle diverse cause e gravità di lombalgia. In conclusione è bene che i respon- sabili dei trattamenti fisici valutino accuratamente la tipologia dell’esercizio in

base alle risposte di dolore e di disabilità, prima e durante l’allenamento. Uno studio simile, condotto però con una sperimentazione randomizzata controlla- ta di 24 mesi, ha portato a risultati altrettanto similari: l’allenamento ad alti carichi, confrontato al motor control a basso carico, migliora a lungo termine l’intensità del dolore, la disabilità e la qualità della vita relativa alle condizioni di salute. In questo studio è stato incluso anche un allenamento sui pattern motori e sull’educazione alla gestione del dolore, intervenendo quindi sull’ er- gonomia e sull’ambito cognitivo-comportamentale (Michaelson et al,. 2016). Un approccio sicuramente degno di attenzione è quello dell’esercizio fisico a corpo libero, sia per l’attuale scarsità di informazioni a riguardo che per la pos- sibilità di trattare i soggetti in assenza di attrezzature che potrebbero rivelarsi un costo per l’operatore ed un fattore di limitazione per il soggetto affetto da lombalgia. Una ricerca durata 16 settimane ha indagato sugli effetti dell’alle- namento a corpo libero sul dolore, tramite una valutazione biomeccanica dello squat e l’analisi delle immagini da risonanza magnetica per osservare l’infiltra- zione di tessuto adiposo nella regione lombare in pazienti affetti da CLBP. Si è registrato un miglioramento significativo della condizione dolorosa, della disa- bilità e della qualità della vita, con una riduzione altrettanto significativa delle infiltrazioni adipose fra L3-L4 ed L4-L5. L’endurance dei muscoli estensori è migliorata del 18%, mentre la forza è rimasta invariata (Welch et al., 2015). Un’altra forma di intervento con importanza primaria all’interno del tratta- mento fisico è rappresentata dal rinforzo e dal recupero funzionale del core. La muscolatura del core è responsabile della stabilità spinale: un lavoro mirato sull’acquisizione delle capacità propriocettive sul distretto lombo-addominale e sul rinforzo dei muscoli che lo costituiscono ha ottenuto effetti validati e si- gnificativi (Wen-Dien Chang et al., 2015) (McGill, 2016) (Nadler et al., 2000). Per quanto riguarda l’effettività di trattamenti mirati a distretti specifici è stato condotto uno studio sull’effetto dell’aggiunta di esercizi di rinforzo della muscolatura dell’anca ad un programma di esercizi lombo-pelvici per il trat- tamento della LBP aspecifica. Ne è risultato che un trattamento combinato (lombo-pelvico insieme alle anche) ha portato a riduzione del dolore che però non era maggiore di quella del gruppo di controllo al quale è stato sommini- strato un allenamento per il solo tratto lombo-pelvico (Kendall et al., 2015). Dalla lettura della ricerca scientifica risulta piuttosto evidente che non c’è an- cora certezza che porti a privilegiare una tipologia di esercizio rispetto ad altri forse per gli effetti generali indotti dall’attività fisica sul dolore. Inoltre il mi- glioramento della coordinazione indotto da qualunque esercizio complesso o che preveda sviluppi graduali può avere degli effetti benefici sul dolore grazie ad una più corretta percezione dei distretti corporei interessati da contratture (Abboud et al., 2017)

Allenamento ottimale

Il movimento è importante per il mantenimento della salute e molte perso- ne soffrono di lombalgia a causa di comportamenti motori scorretti (McGill, 2016). La competenza nei movimenti è differente per ciascuna persona, a se- conda del proprio bagaglio motorio e delle necessità occupazionali: ad esempio un carpentiere avrà una richiesta funzionale differente rispetto a quella di un autista. Nonostante questo è possibile che entrambi possano incorrere in con- dizioni di lombalgia acuta o cronica. L’intervento fisico sul rachide lombare dovrebbe consistere in primis nella stabilizzazione e nella mobilizzazione. Se- condo McGill e Moreside la stabilizzazione è l’obiettivo più importante: è stato notato che molti pazienti sui quali si è intervenuto sulla stabilizzazione del ra- chide ha risolto il dolore e la disfunzionalità, tornando poi ad un buon grado di mobilità senza un intervento specifico su quest’ultima. Gli effetti benefici del movimento e dell’esercizio fisico sui meccanismi neurofisiologici che modulano il dolore sono già stati messi in luce, come ad esempio il rilascio di endorfine.

5.1

Modalità di intervento: un approccio graduale

Un programma di trattamento della lombalgia deve essere suddiviso in vari step, pianificati in base alle condizioni individuali ed alla severità del proble- ma. Le evidenze scientifiche trattate nei capitoli precedenti suggeriscono che il rinforzo della muscolatura estensoria del tronco e dei muscoli del core por- ti benefici sul dolore. Per evitare che l’allenamento stesso possa portare alla manifestazione del dolore è necessario che il soggetto trattato non compia mo- vimenti scorretti durante l’esercizio: una lombalgia provocata da iperlordosi potrebbe ad esempio far presentare dei fastidi anche in esercizi di modesto accorciamento dei muscoli lombari, causando difficoltà a proseguire con l’eser- cizio fisico (S.B. Brotzman: Clinical Orthopaedic Rehabilitation – Excerpta Medica Italia Srl). Al contrario, posizioni di eccessiva flessione, che possono essere compiuti ad esempio durante esercizi di mobilizzazione della colonna, potrebbero scatenare dolore a causa della pressione di un disco protuso sui tessuti nervosi (Juker et al., 1998).

– La logica di approccio deve essere anzitutto focalizzata sull’insieme di esercizi e di metodiche volte a ripristinare un corretto bagaglio proprio- cettivo dei vari distretti corporei, primo fra tutti il core nella sua interezza.

Si dovrà quindi identificare l’insieme degli schemi motori e degli atteggia- menti posturali modificati e resi anomali a causa del dolore, pianificando un processo di riacquisizione delle capacità motorie tramite esercizi corret- tivi. In questa fase è molto importante che l’operatore indirizzi richieste di feedback continui, riferiti alle percezioni durante ogni movimento. La capacità di discriminare e saper riconoscere le sensazioni di fastidio, dolo- re, tensione, dei gradi di allungamento o delle variazioni di equilibrio è un aspetto molto prezioso sia per il responsabile del trattamento, che saprà quindi adattare l’esercizio in tempo reale in base alle percezioni riferito, e sia per il soggetto affetto da lombalgia, che svilupperà nel tempo abilità propriocettive sempre più raffinate. Queste capacità sono alla base del controllo motorio, si tratti di attivazione della muscolatura fasica, dell’al- lentamento delle tensioni della muscolatura tonica, o del controllo della frequenza e dell’ampiezza del ciclo respiratorio. A tale proposito è molto importante proporre esercizi di controllo della respirazione diaframmati- ca. Una volta sviluppate adeguate abilità propriocettive nel core, incluso il controllo del diaframma, si può passare all’insieme di esercizi volti alla stabilizzazione del tronco. Questi esercizi sviluppano la capacità del core di fare uso della propria componente contrattile per sostenere in maniera ottimale il rachide lombare. L’insieme di questi esercizi andrebbe propo- sto in una scala di graduale ed aumentata difficoltà, partendo da posizioni e movimenti molto semplici, in cui l’aspetto propriocettivo e di control- lo dei distretti corporei (primi fra tutti la zona lombare e addominale) assume un ruolo centrale.

– L’aumentato grado di difficoltà degli esercizi di stabilizzazione e di con- trollo del core possono portare all’introduzione di richieste più complesse quali il mantenimento dell’equilibrio in varie posizioni. Man mano che si procede nella scala degli esercizi si può notare un graduale e sempre maggiore interessamento dei distretti periferici.

– Raggiunta una buona capacità di stabilizzazione del rachide lombare, è bene passare ad un utilizzo più globale del core (Wen-Dien Chang et al., 2015). Dal punto di vista funzionale il core è infatti non solo responsa- bile del mantenimento dell’equilibrio rachideo, bensì di tutta la struttura muscolo-scheletrica, sia in contesti statici che dinamici (Kapandji, 1946; Behm et al., 2017). Si potrà quindi interessare il tratto toracico e cervi- cale, sensibilizzando l’intera colonna a posizioni di flessione, estensione ed inclinazione. L’introduzione di esercizi comprendenti l’utilizzo dell’artico- lazione scapolo-omerale e degli arti inferiori è un passo importante per uno sviluppo sensato del bagaglio motorio del soggetto, che dovrà imparare a soddisfare richieste sempre più complesse tramite esercizi multiarticolari con componente stabilizzatoria più o meno impegnativa.

– L’introduzione di esercizi più specifici per la mobilizzazione sono possibili una volta che il soggetto non lamenta dolore nei range articolari in que- stione. Nel caso di lombalgia con assenza di danni sulle strutture osteo- ligamentose, come ad esempio lombalgia causata da tensioni e scompensi muscolari, è possibile inserire gli esercizi di mobilizzazione e flessibilità già all’inizio del trattamento, a patto che questi siano riproducibili senza esito doloroso.

– Lo sviluppo di un adeguato bagaglio propriocettivo e la velocità di miglio- ramento dipendono strettamente dalle capacità e dalle qualità individuali del soggetto trattato, oltre che dall’abilità dell’operatore e dalla severità della lombalgia. Una volta soddisfatti i requisiti sopra citati e raggiun- ta una buona funzionalità è possibile iniziare a sviluppare la resistenza, capacità condizionale determinante per rendere i muscoli, l’apparato car- diocircolatorio ed il sistema nervoso adeguatamente preparati a gestire carichi di lavoro nel tempo.

– In condizioni di sicurezza è possibile inserire esercizi in modalità di svi- luppo della forza all’interno della programmazione di allenamento. Es- sere capaci di opporsi alle resistenze o sollevare sovraccarichi, seppur di lieve entità, è un fattore determinante per la prevenzione di infortuni. L’allenamento della forza aumenta la sezione trasversa dei muscoli e la coordinazione intermuscolare, limitando così il quadro tipico dell’età ge- riatrica caratterizzata da sarcopenia, scarsa coordinazione, bradicinesia. I continui stimoli muscolari favoriscono inoltre la remineralizzazione os- sea, limitando fortemente il rischio di incorrere in osteoporosi, patologia tipicamente riscontrata nelle vertebre (Tarantino et al., 2013).

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