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ESERCIZIO DI UN DIRITTO E ADEMPIMENTO DI UN DOVERE

2. L E CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE DEL REATO

2.2 ESERCIZIO DI UN DIRITTO E ADEMPIMENTO DI UN DOVERE

L’art. 51 c.p., alla cui stregua “l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell'Autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l'ordine. Risponde del reato altresì chi ha eseguito l'ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo. Non è punibile chi esegue l'ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell'ordine.”, prevede le scriminanti dell’esercizio del diritto e dell’adempimento del dovere.

Anche tale norma costituisce espressione del principio di non contraddizione, essendo tesa ad evitare contrasti tra una norma penale incriminatrice e un’altra norma dell’ordinamento giuridico che sia fonte di diritto e di doveri: un comportamento non può, infatti, essere contemporaneamente autorizzato o dovuto ed incriminato.

Manifestazione del tradizionale principio del qui iure suo utitur neminem laedit, la scriminante dell’esercizio del diritto presuppone, secondo la dottrina maggioritaria, un concetto di diritto molto ampio, comprensivo di ogni potere giuridico di agire, qualunque sia la denominazione data dalla legge o dalle prassi applicative (diritto

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soggettivo, diritto potestativo, potestà, …). Al contrario, la giurisprudenza adotta una interpretazione fortemente restrittiva del termine, intendendolo quale diritto soggettivo privato, tutelato da una norma in modo diretto e individuale, del quale sia titolare il cittadino uti singulus.

La fonte di tale diritto può essere molto varia: Costituzione, legge, regolamento, atto amministrativo, provvedimento, contratto, …. Al riguardo, negli ultimi anni si è sviluppato un acceso dibattito con riferimento ai cc.dd. reati culturalmente orientati, ossia a quei reati commessi da uno straniero e integrati da comportamenti penalmente rilevanti nel nostro ordinamento ma autorizzati o addirittura imposti nell’ordinamento di appartenenza del soggetto agente. Sul punto, la giurisprudenza, pur riconoscendo in astratto anche alla legge straniera la natura di fonte di un diritto il cui esercizio può scriminare ai sensi dell’art. 51 c.p., ne limita l’ambito applicativo a quei diritti compatibili con il nostro ordinamento.

In tal senso, la Corte di Cassazione ha di recente chiaramente rilevato che “In tema di cause di giustificazione, lo straniero imputato di un delitto contro la persona o contro la famiglia (nella specie: maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, violazione degli obblighi di assistenza familiare) non può invocare, neppure in forma putativa, la scriminante dell'esercizio di un diritto correlata a facoltà asseritamente riconosciute dall'ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto debba ritenersi oggettivamente incompatibile con le regole dell'ordinamento italiano, in cui l'agente ha scelto di vivere, attesa l'esigenza di valorizzare - in linea con l'art. 3 Cost. - la centralità della persona umana, quale principio in grado di armonizzare le culture individuali rispondenti a culture diverse, e di consentire quindi l'instaurazione di una società civile multietnica.” (Cass.pen., Sez. III, 29 gennaio 2015, n. 14960).

L’ambito di operatività della scriminante dell’esercizio del diritto è circoscritto dal rispetto di taluni limiti:

− interni, cioè quelli desumibili dalla natura e dal fondamento del diritto esercitato;

− esterni, che si ricavano invece dal complesso delle norme di cui fa parte la norma attributiva del diritto. Nell’ipotesi in cui il diritto sia sancito a livello di legge ordinaria, i suoi limiti potranno essere desunti dall’intero ordinamento e, in alcuni casi, anche dalla legge penale. Nel caso, invece, di diritti attribuiti dalla Costituzione, questi non potranno essere limitati da norme di rango inferiore e, quindi, neppure dalla norma penale.

Per la casistica relativa ai limiti esterni all’esercizio del diritto si rinvia al successivo focus giurisprudenziale.

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Da ultimo, si deve rilevare come la giurisprudenza prevalente – come desumibile dalla citata sentenza n. 14960/2015 – escluda la rilevanza dell’esercizio putativo di un diritto, in virtù del fatto che l’errore di valutazione si traduce in un errore di diritto inescusabile.

In senso opposto, tuttavia, si esprime con riferimento specifico al diritto di cronaca, rispetto al quale ha affermato che “La scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca è configurabile solo quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare l'oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità per il delitto di diffamazione aggravata nei confronti di un giornalista per avere falsamente affermato che nei confronti di un assessore regionale era stato richiesto il rinvio a giudizio mentre nulla era stato notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari).” (Cass.pen., Sez. V, 17 ottobre 2017, n. 51619).

L’art. 51 c.p. disciplina anche l’esimente dell’adempimento del dovere, distinguendo a seconda che fonte dello stesso sia una norma giuridica o un ordine dell’autorità.

Nel caso di dovere discendente da una norma giuridica, il dovere potrà derivare da una legge statale, regionale o da un regolamento esecutivo. Non rilevano, invece, i doveri di carattere religioso o morale. Esempio tipico di adempimento di dovere scaturente da una norma giuridica è quello del testimone che, deponendo in giudizio, enuncia fatti lesivi dell’onore di terzi, non violando gli artt. 594 e 595 c.p..

Quanto, invece, al dovere imposto da un ordine della pubblica autorità, per ordine si deve intendere quella manifestazione di volontà di un superiore a un inferiore perché tenga una certa condotta. Presupposto cardine di tale causa di giustificazione è l’esistenza di un rapporto di supremazia – subordinazione tra chi dà e chi riceve l’ordine, che trovi la sua fonte nel diritto pubblico. Il comma 2 dell’art. 51 c.p. indica chiaramente, infatti, che tale ordine deve provenire da un’Autorità pubblica, dovendo dell’eventuale reato rispondere il pubblico ufficiale. Sulla scorta di una interpretazione a contrario, si deve invece escludere l’efficacia scriminante agli ordini privati, derivanti cioè da un rapporto di natura privatistica (es. lavoratore che risponde all’ordine impartito dal datore di lavoro).

Requisito indefettibile richiesto dal comma 1 dell’art. 51 c.p. è quello della legittimità dell’ordine. Tale legittimità dovrà intendersi sia in senso formale (ordine emanato nella forma prescritta, competenza del superiore ad emanarlo, competenza del sottoposto ad eseguirlo) sia in senso sostanziale (esistenza dei presupposti stabiliti dalla legge per l’emanazione dell’ordine).

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Nell’ipotesi in cui ci si trovi di fronte ad un ordine illegittimo, il reato dovrà considerarsi sussistente e di esso ne risponderà sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine e l’esecutore dello stesso. Quest’ultimo, però, non sarà tenuto a risponderne:

a) laddove egli abbia reputato di obbedire ad un ordine legittimo per errore di fatto – art. 51, comma 3 c.p.;

b) quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine.

L’efficacia scriminante della insindacabilità dell’ordine per il sottoposto è limitata però in presenza di quello che viene definito come “ordine manifestamente criminoso”, disciplinato dall’art. 4, ultimo comma l. n.

382/1978, secondo cui “il militare al quale viene impartito un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l’ordine e di informare al più presto i suoi superiori.”.

Come si è visto per l’esercizio del diritto, anche per la scriminante dell’adempimento del dovere si esclude l’operatività putativa. Così si è espressa anche la Corte di Cassazione, secondo cui “Non sussistono i presupposti per l'applicabilità a titolo putativo della causa di giustificazione dell'adempimento di un dovere (art. 51 cod. pen.), qualora i genitori di un minore indirizzino alle Autorità scolastiche - nella specie al dirigente della scuola elementare ed al provveditore agli studi - due lettere con cui affermino falsamente che il proprio figlio è umiliato e ripetutamente percosso ad opera di un insegnante, omettendo la verifica in ordine alla veridicità dei fatti riferiti dal minore, considerato che l'operatività della predetta esimente putativa presuppone un errore incolpevole sulla verità dei fatti, non configurabile in assenza di un preventivo vaglio del racconto riferito dal minore. Inoltre, nessuna giustificazione, in quanto esulante dai compiti di salvaguardia del minore, può avere la pubblicazione, su interessamento degli stessi genitori, di detta notizia su un quotidiano di rilevante diffusione.” (Cass. pen., Sez. 5, 6 ottobre 2011, n. 5935).

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