• Non ci sono risultati.

I L PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ

Il principio di offensività (nullum crimen sine iniura), alla stregua del quale un fatto può costituire reato solo se si sostanzia anche in un’offesa (da intendersi come lesione o come semplice messa in pericolo) al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, è uno dei principi cardine del sistema penalistico italiano, accanto ai già esaminati principi di legalità e di materialità.

Tramite esso si intende evitare l’irrogazione della sanzione penale nei casi di mera disobbedienza alle norme statuali o di sola pericolosità sociale dell’azione che non si traducano in una lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato con l’incriminazione.

Si tratta di un principio che non trova espressa previsione né nel codice penale né nella Costituzione. La dottrina prevalente, tuttavia, ritiene ormai pacificamente che il principio di offensività abbia un sicuro – seppur implicito – fondamento costituzionale, da rinvenirsi negli artt. 13, 25 comma 2 e 27 comma 3 Cost.

L’art. 13 Cost., infatti, tutela la libertà personale, che non può subire limitazioni o compressioni – quali quelle che discenderebbero dall’applicazione delle principali sanzioni penali – se non quale reazione ad un’offesa arrecata ad un bene giuridico di pari rango.

L’art. 25, comma 2 Cost., invece, subordina l’applicazione della sanzione penale alla commissione di un “fatto”, che deve intendersi comprensivo anche dell’offesa al bene interesse tutelato. Il principio di offensività si collega, quindi, al principio di legalità e, in particolare, a quello di tassatività

Infine, la costituzionalizzazione del principio di offensività può desumersi anche dall’art. 27, comma 3 Cost., che sancisce la finalità rieducativa della pena. Laddove, infatti, l’applicazione di una sanzione penale non dovesse corrispondere ad un’offesa ad un bene meritevole di protezione da parte dell’ordinamento, la stessa sarebbe avvertita come ingiusta e non necessaria sia dal reo che dal resto dei consociati, con conseguente vanificazione della sua funzione (general e special) preventiva e rieducativa.

A favore del rilievo costituzionale del principio di offensività si è ormai schierata, dopo un’iniziale ritrosia, anche la Corte Costituzionale, che ha poi evidenziato come il principio in parola operi su due piani distinti:

− da un lato, come precetto rivolto al legislatore, al quale impone di limitare la repressione penale a fatti che, nella loro configurazione astratta, presentino un

7

contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di tutela (cosiddetta offensività “in astratto”);

− dall’altro, come criterio interpretativo-applicativo per il giudice, il quale, nella verifica della riconducibilità del fatto concreto alla fattispecie astratta, è tenuto ad accertare che il fatto di reato posto in essere abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato (cosiddetta offensività “in concreto”) (cfr. Corte Cost., sentenze n. 109 del 2016, n. 265 del 2005, n. 519 del 2000).

Parte della dottrina ha rinvenuto, poi, un fondamento al principio in esame anche all’interno del codice penale e, in particolare, nell’art. 49, comma 2 c.p., che esclude la punibilità quando “per l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso” (c.d. reato impossibile).

Se, infatti, secondo un tradizionale orientamento dottrinale (ANTOLISEI) tale norma integrerebbe una mera ripetizione (in negativo) dell’art. 56 c.p., rappresentando in sostanza il reato impossibile nient’altro che un tentativo inidoneo, secondo l’opposto orientamento (GALLO) essa dimostrerebbe l’esistenza nel nostro ordinamento del principio generale della non punibilità del fatto che, pur conforme ad una fattispecie astratta, risulti in concreto inidoneo a ledere o a porre in pericolo il bene interesse tutelato, ossia del principio di offensività.

Alla stregua di questa seconda ricostruzione, quindi, l’art. 49, comma 2 c.p.

codificherebbe la c.d. concezione realistica del reato, che teorizza la netta distinzione tra tipicità ed offesa e, dunque, la non punibilità di condotte tipiche – perché formalmente conformi alla fattispecie astratta – ma di fatto inoffensive del bene giuridico.

Autorevole dottrina (MANTOVANI) ha, tuttavia, evidenziato che in un sistema come il nostro incentrato sul principio di legalità “già l’idea di un fatto «tipico» ma non punibile perché inoffensivo è (…) una contraddizione in termini. O l’offesa rientra nella tipicità (…) e allora il fatto inoffensivo è non punibile ma perché atipico. Oppure non vi rientra, come in certi «reati senza offesa» o di scopo, e allora il fatto pur se inoffensivo è tipico e, perciò, punibile. Il pretendere, poi, che sia reato solo il fatto che, oltre ad essere tipico, sia anche offensivo, è infrangere il principio di legalità, perché porta ad attingere l’offesa, non reperibile nella fattispecie legale, da criteri di valutazione extralegislativi, aprendosi la porta a pericolosi soggettivismi giurisprudenziali.”.

A detta di tale autore, il superamento di tali criticità e la reale attuazione del principio di offensività passa attraverso la riconduzione dello stesso nel superiore principio di legalità “nel senso che l’interesse offeso deve costituire non un dato esterno alla norma, che il giudice attinga di volta in volta da valori culturali e sociali «sottostanti», ma un

8

elemento interno, cioè tipico. In un diritto penale ricostruito sui combinati principi di legalità e offensività, reato è il fatto offensivo tipizzato, in quanto l’offesa deve essere prevista come elemento costitutivo, espresso o implicito, della tipicità”

(MANTOVANI).

1.1. OGGETTO DEL REATO.

Come appena detto, la concezione del reato in un ordinamento liberale come il nostro non può non contemplare la necessità di individuare un’offesa ad una entità reale meritevole di protezione da parte dell’ordinamento stesso (bene giuridico). In tutti i reati, dunque, oltre ad esserci un soggetto attivo, vi è anche un oggetto e, più in particolare, un oggetto giuridico.

Se da un lato, il reato si deve formalmente identificare come violazione di una norma giuridica, dall’altro lato, da un punto di vista sostanziale esso dovrà consistere nell’offesa di quel bene che la norma intende proteggere.

Ciò caratterizza l’intero sistema penalistico sin dalla sua genesi e cioè sin dalle scelte di politica criminale che il legislatore compie: il primo passo che viene effettuato è quello della individuazione da parte del legislatore medesimo dei beni giuridici meritevoli di tutela penale.

Il passo immediatamente successivo è poi quello di circoscrivere l’area del penalmente rilevante a quei comportamenti umani che provocano la lesione o la messa in pericolo proprio di quei beni individuati in precedenza.

A tal proposito è bene chiarire che dal concetto di oggetto giuridico deve tenersi distinto quello di oggetto materiale del reato, coincidente con l’entità fisica o non fisica su cui cade la condotta tipica (MANTOVANI).

Per comprendere tale distinzione si consideri, ad esempio, che nel reato di omicidio l’oggetto materiale è il corpo umano, mentre quello giuridico è il bene vita. Oppure si pensi ai reati di falso, nei quali oggetto materiale della condotta è il documento falsificato, mentre l’oggetto giuridico deve ravvisarsi nella fede pubblica.

Il problema della esatta identificazione dei beni giuridici che sono o che possono essere oggetto di tutela penale è ormai pacificamente risolto in un’ottica costituzionalmente orientata.

In particolare, comportando l’incriminazione una compressione di diritti costituzionali inviolabili quali la libertà personale (art. 13 Cost.), i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 Cost.), la dignità sociale (art. 3 Cost.) (e dovendosi sempre tenere a mente la funzione

9

rieducativa della pena di cui all’art. 27, comma 3 della Costituzione), si ritiene che l’illecito penale possa venire in essere solo a fronte di una significativa lesione (o messa in pericolo) di un bene esplicitamente o implicitamente riconosciuto e tutelato dalla Costituzione medesima.

1.2. REATI DI DANNO E REATI DI PERICOLO, MONOFFENSIVI E PLURIOFFENSIVI. Alla luce dell’analizzato principio di offensività, oltre che in una lesione effettiva al bene giuridico tutelato (c.d. reati di danno), il reato può consistere anche in una semplice messa in pericolo del bene stesso (c.d. reati di pericolo).

I reati di pericolo si distinguono, dunque, dai reati di danno in quanto nei primi il bene giuridico tutelato non è distrutto, danneggiato o perso, ma è soltanto minacciato. In tali casi, allora, per l’integrazione del reato non è necessario che vi sia un’offesa concreta al bene ma è sufficiente che vi sia una lesione soltanto potenziale allo stesso.

Questa categoria di reati si caratterizza quindi per un’anticipazione della soglia di punibilità giustificata dall’intento di anticipare il più possibile la tutela di beni di particolare rilevanza, facendola indietreggiare dal momento di loro lesione effettiva a quella di lesione anche solo potenziale.

All’interno dei reati di pericolo si è soliti distinguere tra:

1) reati di pericolo concreto: quei reati che si caratterizzano per la effettiva presenza del pericolo che il giudice è tenuto ad accertare in concreto (ad es. art. 422 c.p. – reato di strage – secondo cui “Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’art. 285, al fine di uccidere compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità, è punito, se dal fatto deriva la morte di più persone, con l’ergastolo. Se è cagionata la morte di una sola persona si applica l’ergastolo, in ogni altro caso si applica la reclusione non inferiore a quindici anni.”.);

2) reati di pericolo astratto o presunto: quei reati nei quali il pericolo è insito implicitamente nella condotta tipizzata che, sulla base di norme di esperienza, è ritenuta in grado di provocare la verificazione del danno che si intende prevenire.

In tali casi il giudice non è tenuto ad accertare la concreta sussistenza della messa in pericolo del bene tutelato. Si pensi, ad esempio, al reato di incendio di cui all’art. 423, comma 1 c.p., alla cui stregua “Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni”.

Un’ulteriore distinzione che si profila in relazione all’oggetto giuridico del reato è quello tra reati monoffensivi, per la cui configurabilità è necessaria e sufficiente l’offesa di un solo bene giuridico (ad es. omicidio, in cui vi è solo la lesione del bene vita), e reati

10

plurioffensivi, che presuppongono l’offesa a più beni giuridici (un esempio tipico è dato dalla rapina, in cui vi è la lesione tanto del patrimonio quanto della libertà personale del soggetto passivo del reato).

1.3. LA PERSONA OFFESA DEL REATO.

Il bene giuridico costituisce, infine, il parametro in virtù del quale individuare il soggetto passivo o la persona offesa del reato.

Sebbene nel codice penale venga dedicato alla persona offesa il Capo IV del Titolo IV del Libro I, non è possibile rinvenirvi una vera e propria definizione legale. In dottrina e giurisprudenza, però, la persona offesa è unanimemente identificata con il titolare del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice e leso o messo in pericolo dalla violazione della norma medesima. L’importanza di definire con esattezza quale sia il soggetto passivo o la persona offesa del reato discende dai poteri conferiti dalla legge a tale figura soggettiva.

In particolare, all’art. 120 il codice penale prevede che “ogni persona offesa da un reato per cui non debba procedersi d’ufficio o dietro richiesta o istanza ha diritto di querela.”1, determinando in tal modo la procedibilità di un certo reato ed incidendo dunque sulla punibilità del soggetto attivo.

La natura dell’interesse tutelato determina, inoltre, la tipologia di persona offesa dal reato per cui, ad esempio:

a. nei reati societari soggetto passivo sarà evidentemente una persona giuridica;

b. nel reato di omicidio, in cui il bene giuridico tutelato è la vita, il soggetto passivo sarà necessariamente una persona fisica;

c. nei reati contro l’incolumità pubblica soggetto passivo sarà una collettività non personificata;

d. nei reati contro la personalità dello Stato o contro l’amministrazione della giustizia o contro la Pubblica Amministrazione sarà lo Stato.

Le caratteristiche della persona offesa incidono, inoltre, a vario titolo, sulla configurabilità di un reato, a seconda che le stesse rilevino quali:

1La querela, ai sensi dell’art. 336 c.p.p., è la dichiarazione con la quale la persona offesa manifesta la volontà che si proceda in ordine a un fatto previsto dalla legge come reato. Essa deve essere presentata personalmente dall’offeso o dal suo legale rappresentante entro tre mesi dalla notizia del reato. non è esercitabile, inoltre, quando vi è stata rinuncia espressa o tacita. La remissione della stessa, a seguito della previa presentazione, configura una causa di estinzione del reato. Il diritto di querela si estingue con la morte della persona offesa.

11

− elementi costitutivi del reato (si veda l’ipotesi di cui all’art. 609 quater c.p., in relazione ad età e consenso della vittima);

− circostanze aggravanti (ad es. si veda l’art. 61 n. 10 c.p., che aggrava il reato nell’ipotesi in cui sia stato commesso nei confronti di “un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio”; oppure l’art. 61, n. 11 c.p., che considera circostanza aggravante “l’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni d’ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione, o di ospitalità”);

− circostanze attenuanti (si veda, ad esempio, l’art. 62, n. 5 c.p. ai sensi del quale si considera circostanza attenuante “l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa”);

− cause di giustificazione (si veda, ad esempio, l’art. 52 c.p., operante laddove la condotta della potenziale persona offesa dal reato sia configurabile in termini di antigiuridicità, rendendo la condotta dell’agente non punibile per legittima difesa);

− cause di non punibilità (si pensi all’art. 649 c.p., che esclude la punibilità per fatti commessi a danno di congiunti).

Da ultimo, bisogna evidenziare la distinzione tra danneggiato dal reato e soggetto passivo, là dove il primo deve essere individuato in colui il quale subisce, a causa del fatto di reato, un danno patrimoniale o non patrimoniale, che lo legittima a costituirsi parte civile.

Per quanto il più delle volte le due figure coincidano, in altri casi danneggiato dal reato è un soggetto diverso dalla persona offesa dallo stesso: è quanto accade nell’omicidio, in cui persona offesa è la vittima, mentre danneggiati sono i suoi congiunti, titolari dell’eventuale pretesa risarcitoria.

Documenti correlati