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Espansione e declino della mobilitazione

La mobilitazione si diffonde

In seguito al successo del comizio di Milano, il comitato decise di costituirsi in “comitato permanente”, così da continuare a sostenere la mobilitazione per la causa armena e macedone ed impegnarsi nella sua diffusione in tutta Italia. Appena una quindicina di giorni dopo, il 7 maggio, a Torino si tenne una prima conferenza in favore della causa armena e macedone, mentre a Roma, nello stesso giorno, si tenne una riunione per la creazione di un secondo comitato filo-armeno italiano. 182

La conferenza di Torino fu organizzata dalla cittadina Società per l’arbitrato e la pace internazionale e dalla Società di cultura; tra gli organizzatori è annoverato anche Gaetano Mosca e furono invitati come oratori i già noti Pierre Quillard e Georges Lorand. Tra i partecipanti alla conferenza, oltre al già citato Mosca, si sottolinea la presenza di Cesare Lombroso.

A Roma, invece, come era stato fatto a Milano qualche settimana prima, si tenne una riunione presso l’Associazione della stampa, dove si deliberò la costituzione di un comitato pro Armenia e Macedonia che si sarebbe occupato della mobilitazione nella capitale, a cominciare dall’organizzazione di un meeting pubblico come quello tenutosi al teatro Fossati di Milano. Parteciparono e contribuirono all’organizzazione della riunione i già noti “agitatori” Jeans-Loris Melikoff e Simeon Radeff, mentre, in rappresentanza della mobilitazione francese, partecipò Anatole France, la cui fama e presenza certamente procurò più visibilità ed adesione alla riunione. Parteciparono all’incirca duecento 183

persone tra giornalisti, intellettuali e politici, e presero la parola oltre a Giuseppe Sergi ed Anatole France anche Melikoff, Radeff, i deputati repubblicani Salvatore Barzilai e Gustavo Chiesi, il marchese Pandolfi ed il principe senatore Baldassarre Odescalchi, don Romolo Murri ed il pubblicista Francesco Bocciardo, che si ritroverà più avanti in veste Dati ricavati dall’incrocio delle informazioni riportate nell’articolo Le mouvement pour l’Arménie et

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pour la Macédoine: en Italie su «Pro Armenia», Troisième Année, n.61, 15 mai 1903, p. 294, nella rubrica Note politico e sociali su «La Vita Internazionale», Anno VI, n. 10, 20 maggio 1903, p. 310 e in Bérard et

al., Manifestations franco-anglo-italiennes, cit., p. 171-195. Bérard et al., Manifestations franco-anglo-italiennes, cit., p. 172.

di delegato ai meeting pro-armeni internazionali. Il professore Giuseppe Sergi, 184

antropologo fondatore dell’Istituto Italiano di Antropologia, venne eletto presidente della riunione e del neo costituito comitato. Anatole France, in veste di filo-armeno francese mobilitatosi già da tempo, tenne un discorso dal tono augurale e incoraggiante nei confronti della nascente mobilitazione romana. Diversamente dal richiamo alla tradizione risorgimentale utilizzato, come si è visto, dai filo-armeni milanesi ma anche stranieri come Quillard e Lorand al comizio di Milano, Anatole France si richiamò alle gesta di Marco Aurelio. Paragonò il gesto con il quale l’imperatore pacificò i barbari a ciò che gli italiani erano chiamati a fare in quel momento, ossia mobilitarsi per l’“affermissement de la paix européenne”, perché per France non si trattava solo della Macedonia e dell’Armenia, ma anche “de l’union morale et du concert intellectuelle de l’Europe civilisée” . La mobilitazione delle opinioni pubbliche dei popoli civilizzati in favore 185

della causa armena e macedone contribuiva, secondo Anatole France, all’inizio del processo di fondazione di un futuro diritto internazionale. Per questo ulteriore motivo era quindi necessario impegnarsi nella mobilitazione, in particolare modo in un paese come l’Italia che era uno dei paesi d’Europa dove l’opinione pubblica, secondo Anatole France, era “la plus grande des forces”. 186

Qualche giorno dopo la riunione di Roma, il 10 ed il 21 maggio, furono organizzate due conferenze anche a Genova. La prima conferenza fu organizzata a cura del “Gruppo democratico cristiano” e vi parteciparono soprattutto associazioni cattoliche e monarchiche; tra i sei oratori che presero la parola si cita don Sturzo, il deputato Antonio Pellegrini e Luigi Arnaldo Vassallo allora direttore del «Secolo XIX». La 187

seconda conferenza, tenutasi al politeama Alfieri, fu invece organizzata dalla Confederazione Operaia Genovese, venne invitato a parlare Giuseppe Pinardi in rappresentanza del comitato Pro Armenia e Macedonia di Milano e si alternarono come oratori rappresentanti dei monarchici, socialisti e democratici cristiani. Aderirono alla conferenza numerose associazioni operaie cittadine, sezioni di circoli studenteschi e di

Ivi, p. 173. 184 Ivi, p. 172. 185 Ivi, p. 173. 186

Le mouvement proarménien, «Pro Armenia», Troisième Année, n. 62, 1 juin 1903, p. 302.

partito, oltre ad alcuni politici, senatori, deputati, consiglieri municipali, avvocati e professori. Sempre negli stessi giorni si organizzarono incontri e riunioni anche in 188

cittadine più piccole della provincia di Milano come Valenza, Legnano e Busto Arsizio dove furono creati dei sottocomitati Pro Armenia e Macedonia. Il comitato di Milano organizzò anche una conferenza presso l’Università popolare di Milano. 189

Emerge da questo fiorire di iniziative, in così breve periodo di tempo e su un’estensione di territorio piuttosto ampia, come la mobilitazione filo-armena, iniziata a Milano, si fosse velocemente diffusa, come era stato pianificato, in altre regioni d’Italia. In ogni iniziativa sono riscontrabili le stesse modalità di svolgimento 190

incontrate al grande comizio di Milano, come, ad esempio, il coinvolgimento dei diversi partiti e di personalità politiche (senatori, deputati, consiglieri comunali, ecc.), di preti, di intellettuali (professori, giornalisti, scrittori, ecc.), ma anche di lavoratori comuni (circoli operai, federazioni del lavoro). Se è molto probabile che siano stati i vari membri del comitato di Milano a diffondere la mobilitazione, come d’altronde prevedeva la ragione stessa della creazione del suddetto comitato e come testimonia la presenza di alcuni di loro nelle sopracitate iniziative in giro per l’Italia, è vero anche che le conferenze o i nuovi comitati risultano organizzati da persone locali. In breve, la mobilitazione si diffondeva attraverso il coinvolgimento attivo delle altre città; i membri del comitato di Milano non si limitavano a parlare o presenziare a conferenze e riunioni, ma sensibilizzavano persone del posto ad attivarsi ed organizzarsi per partecipare attivamente alla mobilitazione.

Tra tutte le iniziative a favore della causa armena e macedone che si tennero in questo periodo, è importante ricordare il comizio di Roma in quanto, dopo quello di Milano, fu il più importante in Italia per dimensioni e risonanza non solo su piano nazionale, ma anche europeo. Il comitato di organizzazione, creato, come si è visto, il 7 maggio, era costituito da una cinquantina di persone, delle quali una quindicina erano parlamentari tra cui, per il suo attivismo per la causa armena si ricorda il deputato Carlo

Idem.

188

Idem.

189

Come riportato a p. 41, il comitato milanese si costituì in comitato permanente apposta per impegnarsi

190

del Balzo; inoltre erano membri numerosi professori, avvocati, pubblicisti e giornalisti, 191

tra i quali: Emilio Faelli direttore della testata satirica «Capitan Fracassa», Luigi Roux direttore della «Tribuna» e Luigi Mongini editore dell’«Avanti!». Nell’appello, redatto dal comitato, si invitavano i cittadini romani a partecipare al comizio per esigere la cessazione dei massacri in Armenia e in Macedonia, in quanto non si poteva tollerare oltre “il più feroce medioevo all’alba del XX° secolo”. Il popolo di Roma che aveva vissuto “gli eroici miracoli di Garibaldi cavaliere dell’umanità” doveva “far sentire fortemente la sua voce in favore di una causa umana”, e ci si augurava “che Roma sia sempre dove sono i popoli oppressi”. Anche da questo appello, emerge che il dovere di 192

partecipazione alla mobilitazione filo-armena era inteso come un atto di fedeltà alla propria nazione e alla sua missione storica.

Il comizio si tenne il 24 maggio presso il teatro Adriano alla presenza di un pubblico tra le 4000 e 5000 persone di diversa estrazione sociale. Come a Milano, le 193

adesioni che il comitato ricevette furono molto numerose: l’Associazione femminile nazionale, gli Insegnanti di Roma, il Comitato centrale del partito repubblicano italiano con 120 delle sue sezioni, il Consiglio direttivo dell’Associazione Patria per Trento e Trieste, l’Unione socialista romana, la Camera del lavoro e l’Associazione delle Università popolari. 194

Il professor Sergi, che introdusse il comizio, definì la causa armena e macedone come una riproposizione del secolare scontro tra la barbarie orientale e la civiltà occidentale, qualificò la situazione dei sudditi armeni e macedoni come una “schiavitù secolare di un dominio che è il residuo di quel flagello che investì l’Europa e l’Asia da molti secoli”. Per Sergi la mobilitazione italiana, ed in particolare quella dei cittadini di 195

Alla sua morte, anche il giornale francese «Pro Armenia» rimpianse la sua scomparsa e gli dedicò

191

qualche riga di condoglianza ricordando la sua assidua presenza ed adesione alla mobilitazione pro-armena in Italia. Nécrologie, «Pro Armenia», Huitième Année, n. 181, 5 mai 1908, p. 1285.

Bérard et al., Manifestations franco-anglo-italiennes, cit., p.175. Le citazioni dirette sono traduzioni mie

192

dal francese poiché non ho rinvenuto la versione italiana integrale del rapporto del comizio di Roma. Il Comizio pro Armenia e Macedonia a Roma, «Corriere della Sera» del 25 maggio 1903, n. 142, Anno

193

28°.

Armenia e Macedonia, «La Rassegna Internazionale», anno IV, vol. XIII, fasc. II, tipografia C.

194

Colombo, Roma, 1903, p. 135 ed in: Bérard et al., Manifestations franco-anglo-italiennes, cit., p.178.

Armenia e Macedonia, «La Rassegna Internazionale», anno IV, vol.III, op. cit., p. 140. 195

Roma, città simbolo della civiltà, era doverosa non soltanto per salvare gli armeni ed i macedoni, ma anche per difendere la civilizzazione europea

sembra che una nuova onda di barbarie venga dall’Europa orientale, e si voglia versare sopra di noi tutti; sorgete, o romani, a dimostrare il vostro orrore contro questa barbarie, come a opporre una diga al dilagarsi; chiedete la liberazione dell’Armenia tante volte insanguinata, della Macedonia tante volte lasciata nell’ignoranza e martirizzata

ed allo stesso tempo per espanderla:

le nazioni civili, come la nostra Italia (…), hanno il dovere, il fine nobilissimo, umanitario, di liberare gli oppressi e di portare la civiltà dove è barbarie, e non più quello delle conquiste sanguinose e omicide. 196

Sergi inoltre spiegò al pubblico che se si stava chiedendo di iniziare la mobilitazione espressamente al popolo, era perché esso costituiva la vera anima della nazione, che avrebbe dovuto guidare le decisioni e le azioni del governo

noi popolo dobbiamo essere la leva che smuove la lenta mole governativa, noi popolo dobbiamo riscaldare la tarda macchina che governa, e che è, senza misericordia, impassibile ai dolori delle popolazioni sofferenti; e noi popolo dimostriamo che progresso e civiltà deriva(no) da noi, che da noi deve venire ogni impulso al bene dell’umanità. 197

Melikoff, che questa volta poté tenere un discorso più lungo ed approfondito rispetto al comizio di Milano, insistette anch’egli, come Sergi, sulla secolare opposizione tra barbarie e civiltà. Secondo l’oratore armeno, infatti, il mondo era diviso in due tendenze contrastanti: quella liberale e democratica del progresso e della civilizzazione, e quella della barbarie e del reazionarismo. Affinché la prima tendenza riuscisse a vincere sulla seconda, “pour que la lumière refoule les ténèbres”, era necessaria, secondo Melikoff, “l’union complète, l’union européenne”: solo questa “unione europea” avrebbe potuto liberare l’Armenia dall’oppressione. Inoltre la creazione di una unione europea e la 198

liberazione dell’Armenia avrebbero costituito le prime basi della pace generale, perché secondo Melikoff

tant qu’on ne cessera pas de fouler aux pieds les droits sacrés de l’homme, tant qu’on continuera les massacres quotidiens, qui sont devenus un état normal dans ce pays martyrisé, la paix generale est impossible. 199

Ivi, p. 141. 196 Idem. 197 Ivi, p. 137. 198 Ivi, p. 138. 199

Melikoff sosteneva che l’impunità del sultano sarebbe stata una costante minaccia per la pace generale, quindi i paesi europei avrebbero dovuto agire al più presto per evitare lo scatenarsi di una guerra. Con ciò l’oratore volle dimostrare al pubblico che se era venuto in Italia, “pays classique du droit et de la liberté”, a perorare la causa armena, lo aveva fatto non soltanto nell’interesse del suo popolo e dell’integrità territoriale dell’Impero Ottomano, ma anche nell’interesse “des tous les pays civilisés” che ripudiavano la guerra. 200

E’ interessante sottolineare che, fino al comizio di Roma, non erano ancora mai stati presentati al pubblico approfondimenti o riferimenti al patrimonio storico o culturale armeno, e quindi è ipotizzabile che l’immagine del popolo armeno che veniva diffusa si limitasse ad un’immagine di sofferenza e dolore, che tralasciava le caratteristiche culturali, storiche e sociali degli armeni. Quindi, diversamente dal comizio di Milano, a Roma si dedicò un intervento all’approfondimento della cultura armena; ad occuparsene fu il linguista ed orientalista Angelo De Gubernatis. Questi lesse al pubblico alcuni canti popolari armeni che trattavano dei sentimenti dolorosi dell’esilio, ricordando inoltre che l’Italia aveva avuto l’onore di ospitare la poetessa armena Vittoria Aganoor “fiore squisito ed elegante armeno sbocciato a Venezia”. Tuttavia, è curioso notare che non si accennò 201

(e non si era accennato nemmeno a Milano) ai padri mechitaristi, punto di riferimento per la diffusione della cultura armena in Europa e residenti sull’isola di San Lazzaro da quasi due secoli.

Sul valore della cultura e della civiltà armena si espresse anche Anatole France, il quale, facendo un veloce excursus nella storia delle relazioni tra armeni ed europei, concluse che la missione storica del popolo armeno consisteva proprio nello scambiare “les products”, nel senso materiale e culturale del termine, tra Oriente ed Occidente. 202

Agonizzanti e soggiogati da decenni, gli armeni non avevano più le energie e le risorse necessarie per continuare a compiere la loro “missione storica”, quindi soccorrere gli armeni, secondo Anatole France, avrebbe permesso loro di tornare ad essere “les agents

Ivi, p. 139. 200 Ivi, p. 147. 201 Ivi, p. 151. 202

les plus actifs de la civilisation européenne en Orient”. Il popolo armeno veniva così 203

idealizzato come “avamposto” della civiltà occidentale in Oriente, non solo per la sua identità religiosa, ma anche per la sua storia e per le sue tradizioni culturali. Anatole France inoltre spiegò ai cittadini romani che se era venuto a perorare la causa armena, lo aveva fatto perché era certo di poter trovare ascolto ed adesione. Questa certezza di accoglienza e partecipazione da parte dei romani, secondo Anatole France, derivava dalla tradizione storica italiana che offriva, da secoli, eroi come Garibaldi “le généreux défenseur de toutes les justes causes des peuples”, e che continuava a essere perpetrata dall’attuale popolo italiano. Anatole France, infatti, si disse commosso dall’aver assistito, qualche giorno prima, al corteo popolare che aveva sfilato ai piedi della colonna traiana in omaggio a Giacomo d’Angelo, marinaio ingiustamente arrestato e lasciato morire in carcere a Regina Coeli. Per Anatole France era necessario che anche l’opinione 204

pubblica romana si unisse alla mobilitazione armena e macedone poiché succedeva che: “l’opinion publique et son souffle ardente pénètre parfois à travers les portes closes, jusque sur les tapis vert des congrès diplomatiques. 205

Lo scrittore e deputato repubblicano Carlo del Balzo, che prese la parola dopo Anatole France, insistette particolarmente sul fatto che gli italiani, più di ogni altro popolo, avrebbero dovuto mobilitarsi a favore di armeni e macedoni principalmente per due ragioni: innanzitutto, in nome delle relazioni storiche che legavano l’Italia all’Oriente “Il popolo italiano non può rimanere indifferente di fronte all’Oriente, dove c’è tanto retaggio del suo pensiero, della sua attività, della sua gloria”. L’oratore fece quindi una 206

rassegna delle “gesta” delle repubbliche di Genova e Venezia che in passato “contribuirono a preparare all’incivilimento moderno tutte le coste dell’Asia Minore, da Smirne alla Troade”: dalla fondazione di Caffa da parte dei mercanti genovesi fino alle “gloriose sconfitte” di Venezia che “durante circa tre secoli, è stata il baluardo cristiano contro la barbarie turca”. In secondo luogo gli italiani avrebbero dovuto mobilitarsi in 207

Ivi, p. 152.

203

Ivi, p. 151. Sulla vicenda di Giacomo d’Angelo, meglio nota come “il delitto di Regina coeli”, è stato

204

pubblicato il libro Il “delitto di Regina Coeli” di Mario da Passano, Edizioni Il Maestrale, 2012. Ivi, p. 152. 205 Ivi, p. 142. 206 Idem. 207

nome di coloro che, in Italia, fecero della politica “un vero apostolato”: Mazzini e Garibaldi (tra l’altro era presente nel pubblico Menotti, uno dei figli di Garibaldi). In nome di Mazzini perché il suo pensiero completò “l’opera della rivoluzione francese”, ovvero completò “la dichiarazione dei diritti dell’uomo con la dichiarazione dei doveri dell’uomo”, sostenendo che il primo dovere dell’uomo era “difendere l’uomo”. In 208

nome di Garibaldi perché questi trasformò in azione il pensiero di Mazzini e “combatté per l’uomo, per cui non fu l’eroe dell’Italia, non fu l’eroe di Europa, ma fu l’eroe dei due mondi”. Da ciò, secondo Del Balzo, derivava la missione della “terza Roma” che non 209

doveva essere imperiale né papale né soltanto nazionale, ma “Roma deve essere umana, Roma dev’essere dove sono (i) popoli oppressi”. 210

Al comizio intervennero anche altri tre oratori: il professore Formiggini in rappresentanza della già citata associazione studentesca Corda Fratres, il cittadino socialista Garzia Cassola ed il deputato marchese Beniamino Pandolfi, presidente dell’Associazione della pace di Roma. Fu approvato il seguente ordine del giorno

Il popolo di Roma riunito in solenne comizio per i sanguinosi fatti di Armenia e Macedonia che a dispetto degli Stati civili d’Europa non cessano; visto che le deliberazioni prese e consacrate in nome della giustizia e dell’umanità in trattati internazionali sono neglette e disprezzate, stimando che è vergognoso per la civiltà contemporanea una condizione di cose che rinnega i diritti alla libertà ed alla vita, emette il voto che l’Italia prenda energicamente l’iniziativa di troncare un situazione che viola tutte le leggi dell’umanità. 211

Nel mese di giugno furono organizzati altri due comizi pubblici: uno a Napoli il 7 giugno sotto la presidenza del deputato Rodolfo Rispoli, ed uno a Valenza (MI) il 14 giugno, 212

dove fu invitato Giuseppe Pinardi come oratore in rappresentanza del comitato Pro Armenia e Macedonia di Milano. Di entrambi i comizi non sono state rinvenute informazioni rilevanti sul loro svolgimento, è noto soltanto che Loris Melikoff inviò un telegramma alla pacifista e femminista Irma Melany Scodnik per ringraziare i “cittadini

Ivi, p. 144. 208 Idem. 209 Ivi, pp. 144-145. 210 Ivi, p. 135. 211

Napoli, «La Propaganda. Organo regionale socialista», Anno V, n. 448, 3 giugno 1903,

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napolitani che hanno generosamente votato di continuare l’agitazione in favore degli oppressi. 213

A inizio settembre, in seguito al peggioramento della situazione in Macedonia, il comitato Pro Armenia e Macedonia di Milano scrisse un “manifesto agl’Italiani” che venne inviato ai principali giornali nazionali ed al ministro degli affari esteri Morin. Il manifesto venne pubblicato, tradotto, anche sul giornale francese «Pro Armenia». In 214

questo manifesto il comitato denunciava l’aggravarsi delle rivolte e delle repressioni in Macedonia ed accusava l’Europa di “venir meno al compito suo” ossia dal dovere di fare “l’arbitra” tra gli insorti macedoni e i turchi. Attraverso il manifesto, il comitato fece voto che l’“Europa civile” facesse rispettare al governo ottomano i patti internazionali e le leggi dell’umanità, e che allo stesso tempo chiedesse la concessione di una “costituzione autonoma” alla Macedonia per appianare le lotte intestine tra le sue diverse “nazionalità” e mantenere integro l’assetto dell’Impero ottomano, onde evitare lo scatenarsi delle “bramosie” delle altre potenze nei Balcani. Inoltre il comitato, rivolgendosi direttamente al governo italiano, auspicava che la sua azione politica “agisca efficacemente nel concerto europeo, determinando un’azione comune, serena e pacificatrice, ispirata a questi intenti”. 215

Le opinioni di alcuni letterati

La rivista «Rassegna Internazionale della letteratura e dell’arte contemporanea», diretta all’epoca da Riccardo Quintieri, dedicò, in occasione del comizio di Roma, parte del suo numero di giugno 1903 alla questione armena, pubblicando il resoconto del comizio e l’opinione di alcuni intellettuali che erano stati espressamente sollecitati dalla redazione ad esprimersi al riguardo. Gli intellettuali di cui venne pubblicata l’opinione Pro Armenia, «La Vita Internazionale», Anno VI, n. 13, 5 luglio 1903, p. 405. E’ deducibile che se

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Melikoff inviò il telegramma a Irma Melany Scodnik, questa fu probabilmente una degli organizzatori del comizio di Napoli; inoltre la Scodnik era una collaboratrice de «La Vita Internazionale», era quindi legata all’ambiente del comitato Pro Armenia e Macedonia di Milano e probabilmente se ne rese “ambasciatrice” a Napoli.

Appel du comité de Milan “Pro Armenia e Macedonia”, «Pro Armenia», Troisième Année, n. 69, 15

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