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1915-1916: l’attivismo armeno e la mobilitazione italiana

1915-1918: la mobilitazione italiana durante la guerra

I. 1915-1916: l’attivismo armeno e la mobilitazione italiana

Il nuovo scenario della guerra e l’evoluzione della questione armena

Il 24 maggio 1915 l’Italia entrò nel conflitto mondiale a fianco delle potenze dell’Intesa dichiarando guerra all’Impero austro-ungarico. Qualche mese dopo, il 21 agosto, l’Italia dichiarò guerra anche all’Impero ottomano. Nel frattempo, all’interno di quest’ultimo, era in corso, già da qualche mese, il processo di sterminio armeno. Dal comitato Unione e Progresso, al potere nell’Impero ottomano, la guerra era stata vista come l’occasione perfetta per risolvere, definitivamente, l’“annosa” e mai risolta questione armena. Per ragioni di “sicurezza preventiva” le autorità imponevano agli armeni delle varie città e villaggi di partire per una destinazione ignota, abbandonando qualsiasi cosa, con la scusa che si trattava di un provvedimento temporaneo. Coloro che 1

non morivano subito, uccisi dalla violenza deliberata delle truppe regolari, delle bande curde o di altri ottomani aizzati, morivano lungo il tragitto, sempre per violenza o per sfinimento; ai più fortunati e resistenti, invece, spettava il nulla del deserto siriano. La data simbolo d’inizio del processo di sterminio è il 24 aprile 1915, notte in cui vennero arrestati, per poi essere uccisi, numerosi membri dell’intellighenzia e dell’élite armena di Costantinopoli, esattamente un mese prima dell’entrata in guerra dell’Italia.

Come è stato ben evidenziato anche da Emanuele Aliprandi nel suo studio sulla ricezione del genocidio armeno nella stampa italiana, la diffusione delle notizie in Italia, 2

e in generale in Europa, su ciò che accadeva nelle province dove erano in corso le violenze e le deportazioni degli armeni era ostacolata da numerosi fattori: lo stato di guerra generalizzato portava la stampa a mettere, ovviamente, in primo piano le notizie Nella Legge provvisoria sulla deportazione promulgata per legalizzare le misure contro gli armeni, si

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permetteva il trasferimento della popolazione delle città o dei villaggi “ritenuti colpevole di tradimento o di spionaggio”, nonché la repressione di qualsiasi tipo di opposizione alle misure “riguardanti la difesa del paese e la salvaguardia dell’ordine pubblico”. Y. Ternon, Gli armeni, op. cit., p. 242.

Emanuele Aliprandi, 1915. Cronaca di un genocidio, &MyBook-Caravaggio Editore, novembre 2009.

sui fronti interessati dagli eserciti nazionali, inoltre la censura della stampa operata dal governo ottomano impediva la fuoriuscita di notizie che avrebbero potuto rivelarsi scomode in future trattative, infine la lontananza delle province dove avveniva lo sterminio, la loro difficile accessibilità per gli stranieri ed infine la “segretezza” con cui venivano svolte le operazioni di sterminio erano ulteriori ostacoli alla diffusione delle informazioni. Inoltre, è necessario considerare che se alcune notizie sullo sterminio riuscivano a giungere e ad essere pubblicate sui quotidiani europei, queste non godevano della stessa attenzione di cui avrebbero potuto godere negli anni precedenti poiché, come è facilmente immaginabile, la popolazione civile concentrava la sua attenzione principalmente sul fronte più vicino “a casa”, nonché sui problemi quotidiani che lo stato di guerra comportava nella vita di ogni singolo individuo.

Nonostante la scarsità di informazioni e lo stato di guerra totale che assorbiva completamente la società civile, ciò che stava accadendo agli armeni nell’Impero ottomano non passò inosservato, e, in particolare verso la fine della guerra, la causa armena, oltre all’adesione di alcune importanti personalità italiane, registrò l’organizzazione di nuove mobilitazioni in suo favore, fino ad ottenere il sostegno e l’appoggio del governo italiano. Questa nuova fase della mobilitazione italiana per la risoluzione della questione armena non presenta più gli stessi protagonisti incontrati precedentemente, molti dei quali erano deceduti o troppo anziani come, ad esempio, Moneta che morì nel 1918. I nuovi protagonisti della mobilitazione, o meglio il “motore” di questa nuova fase, furono gli armeni stessi residenti in Italia, il cui attivismo e propaganda, non riscontrati precedentemente, furono fondamentali nella promozione della causa del loro popolo presso l’opinione pubblica italiana.

É necessario sottolineare, però, che la guerra e la possibile disintegrazione dell’Impero ottomano avevano modificato le possibilità di soluzione della questione armena: ciò che ora gli armeni speravano di ottenere, e ciò per cui molti di loro combatterono a fianco degli eserciti dell’Intesa, era l’indipendenza, la creazione di uno stato armeno libero ed indipendente, non più l’applicazione delle riforme previste dal trattato di Berlino. Allo stesso modo, anche i governi delle potenze dell’Intesa riconoscevano che ormai la questione armena si sarebbe potuta risolvere solo con la liberazione degli armeni “dal giogo turco”, anche se, per tutta la durata della guerra, non

dichiararono mai esplicitamente che gli armeni avrebbero dovuto costituire uno stato indipendente.

La presa di coscienza dello sterminio e l’organizzazione degli armeni d’Italia

Come è ormai ben noto, a testimoniare ed evidenziare all’opinione pubblica italiana la reale entità di ciò che stava succedendo agli armeni fu l’intervista del console Giacomo Gorrini, pubblicata sulla prima pagina del giornale «il Messaggero», il 25 agosto 1915, in seguito ripresa e pubblicata anche da altri quotidiani. Questi, da poco rientrato dalla sede consolare di Trebisonda, aveva fatto in tempo ad assistere di persona alle prime fasi del processo di sterminio degli armeni, diversamente dai consoli delle altre potenze già in guerra contro l’Impero ottomano da quasi un anno. Nonostante la stampa italiana avesse già pubblicato notizie relative ai massacri degli armeni nei mesi precedenti, l’intervista di Gorrini ebbe un impatto differente sull’opinione pubblica italiana, tanto da diventare la principale testimonianza italiana di riferimento sul genocidio armeno non solo nei mesi e negli anni successivi, ma anche negli studi e nelle commemorazioni odierne.

Le ragioni di questo maggiore impatto della testimonianza di Gorrini risiedono principalmente nel fatto che essa consisteva nella prima testimonianza diretta di un italiano, un compatriota, e questo la rendeva più “attraente” e interessante rispetto alle notizie dei dispacci provenienti dalle agenzie di stampa estere; inoltre, il fatto che egli fosse un console conferiva maggiore attendibilità, veridicità e gravità ai fatti narrati. In secondo luogo, l’importanza della testimonianza di Gorrini risiedeva, ovviamente, anche nei suoi contenuti: egli dichiarò esplicitamente che le deportazioni erano “opera del governo centrale e del Comitato Unione e Progresso”, quindi denunciò che si trattava di massacri predisposti e ordinati da un governo, inizialmente considerato liberale e moderno, contro un’intera parte dei suoi sudditi. Gorrini riuscì, senza usare la definizione di “genocidio”, ad esprimere che ciò che stava accadendo era una “cosa inaudita”, senza 3

precedenti, “una esecuzione in massa di creature inermi, innocenti”, tutto ciò era “la Il termine “genocidio” venne creato da Raphael Lemkin nel 1944 e nel 1948 le Nazioni Unite approvarono

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violazione flagrante dei più sacrosanti diritti di umanità, di cristianità e di nazionalità”. Il 4

fatto che fosse l’esercito del paese stesso nel quale la popolazione risiedeva a massacrarne i civili, e non un esercito nemico, sconvolgeva ulteriormente la percezione europea della guerra che, cominciata da solo un anno, stava già sconvolgendo le popolazioni per le sue dimensioni e la sua intensità che infrangevano tutti i limiti dello ius publicum europeum, trasformandola nella prima guerra totale. 5

Nel frattempo, come è stato ricostruito ed analizzato da Manoukian nel suo studio Presenza armena in Italia 1915-2015, con l’entrata in guerra dell’Italia e la diffusione 6

delle prime notizie sullo sterminio in atto, gli armeni residenti in Italia, decisero di organizzarsi sia per rendersi ben distinguibili dai turchi, sudditi di un paese nemico, e quindi per non essere sottoposti alle limitazioni alle quali questi erano sottoposti, ma anche per sostenere la causa del loro popolo, alla quale la guerra poteva offrire, finalmente, possibilità di soluzione. Fu così che, a Milano, venne creato su iniziativa 7

degli armeni della colonia della città e di quelli di Torino il Comitato degli armeni d’Italia, antenato dell’odierna Unione degli armeni d’Italia, con l’obiettivo di svolgere una funzione «politica e di interfaccia con le istituzioni italiane». Nello stesso anno 8

venne creato, a Torino, anche un Comitato di propaganda armena che durante la guerra pubblicò il giornale di propaganda «Armenia. Eco delle rivendicazioni armene», e ne inaugurò il primo numero, il 15 ottobre 1915, proprio con la pubblicazione dell’intervista di Gorrini.

Per tutta la durata della guerra e oltre, gli armeni, dotatisi di un’identità organizzata e svolgendo attività di propaganda, concretizzata in azioni pro armeni, ma anche di solidarietà verso gli italiani in guerra, si resero più visibili e noti in diversi ambienti della società italiana, coinvolgendo varie persone e ottenendo sostegno alla loro “Orrendi episodi della ferocia musulmana contro gli armeni”, «il Messaggero» del 25 agosto 1915 in E.

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Aliprandi, Cronaca di un genocidio, op.cit., pp. 79-80.

Al riguardo si veda: E. Traverso, A ferro e fuoco, op.cit.; Alessandro Colombo, La guerra ineguale, Il

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Mulino, Bologna 2006; Marcello Flores, Il genocidio degli armeni, Il Mulino, settembre 2007, Bologna. Agop Manoukian, Presenza armena in Italia 1915-2015, Edizioni Angelo Guerini e Associati, marzo

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2014, Milano.

I cittadini turchi su suolo italiano erano sottoposti alle limitazioni previste del decreto luogotenenziale n.

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1755 del 25 novembre 1915, il quale consisteva nell’estensione del decreto luogotenenziale n. 902 del 24 giugno 1915 emanato per i cittadini dell’Impero austro-ungarico.

A. Manoukian, Presenza armena in Italia, op. cit., p. 71.

causa. La decisione degli armeni d’Italia di organizzarsi ed iniziare una vera e propria propaganda fu di capitale importanza per generare un sostegno e una mobilitazione italiani a favore della questione armena che, peraltro, era entrata nella sua fase più tragica. Infatti, come è già stato detto, negli anni precedenti, la mobilitazione italiana per la questione armena era andata scemando e con lo scoppio della guerra questa cessò del tutto, in quanto l’attenzione degli italiani era principalmente focalizzata sulle vicende di guerra nazionali o degli alleati.

Anche le mobilitazioni organizzate di Francia e Inghilterra avevano rallentato il loro attivismo una volta scoppiata la guerra. Il famoso giornale francese filo-armeno «Pro Armenia», specchio della mobilitazione europea, cessò definitivamente di essere pubblicato nel 1914, cioè all’inizio della guerra ed in seguito alla scomparsa del suo principale “regista”, Pierre Quillard, deceduto nel 1912. In particolare, con la guerra, la mobilitazione europea perse il suo carattere internazionale che, come si è visto precedentemente, aveva avuto come protagonisti principali gli attivisti di Francia, Inghilterra ed Italia; le iniziative che ogni tanto venivano organizzate a favore della questione armena avevano una dimensione ed un carattere principalmente nazionali.

Il giornale «Armenia. Eco delle rivendicazioni armene» e altre attività di propaganda armena

A partire dallo studio e dall’analisi del giornale «Armenia. Eco delle rivendicazioni armene» è stato possibile ricostruire l’evoluzione della mobilitazione italiana in questa ulteriore fase della questione armena.

Secondo la ricostruzione della storia del periodico «Armenia. Eco delle rivendicazioni armene» compiuta dal professor Manoukian, l’idea della creazione di questo giornale fu di Nishan Der Stepanian, un armeno residente a Torino, che ne diventò anche il capo-redattore. Questi, a Torino, gestiva una produzione di yogurt e da giovane 9

si era formato, come molti degli armeni residenti in Italia, al collegio armeno Moorat- Raphael di Venezia, e fu anche uno degli organizzatori del Comitato armeno d’Italia e

A. Manoukian, Presenze armene in Italia, op. cit. pp. 37-38.

partecipò, una volta finita la guerra, alla conferenza della pace di Parigi come delegato del Consiglio Nazionale Armeno. La redazione del giornale era mista, composta sia da 10

armeni che da italiani: il direttore onorario, infatti, era tale Corrado Corradini, professore universitario, ed il direttore responsabile un certo Carlo Margaria, mentre non sono noti i nomi dei partecipanti armeni, ad eccezione di Raphael Bazardjian, poiché di norma gli articoli pubblicati da questi erano firmati con pseudonimi o con le sole iniziali. Il giornale venne pubblicato, con cadenza mensile, da ottobre 1915 fino ad ottobre 1918; il primo numero vide la luce proprio nel periodo in cui la stampa italiana, a seguito della testimonianza del console Gorrini e dell’arrivo di notizie sempre più allarmanti dalle province armene, si stava maggiormente interessando a ciò che accadeva agli armeni nell’Impero ottomano.

Nell’editoriale del primo numero, la redazione informava il pubblico delle ragioni per le quali si era deciso di dare vita al giornale. La ragione principale consisteva nella volontà di dimostrare che era giunto il momento per il popolo armeno di costituirsi in nazione autonoma ed indipendente. Il giornale era un mezzo per dimostrare al pubblico italiano che gli armeni erano un popolo dotato di storia e cultura secolari pari ai paesi civilizzati dell’occidente, dei quali d’altronde avevano sempre difeso i principi, con tutte le loro forze, contro i “barbari” d’Oriente, e che quindi avevano tutte le “doti di maturità civile” necessarie per apprezzare il valore della libertà. In tutti i numeri non mancò mai 11

un articolo, sia a firma armena che italiana, che trattasse e celebrasse la storia e la cultura armene in modo da evidenziare come il popolo armeno facesse pienamente parte della famiglia dei paesi “civili”. Per la redazione era necessario dimostrare ora agli italiani che gli armeni avevano diritto di diventare nazione libera ed indipendente perché “le quattro grandi potenze coalizzatesi in nome della civiltà” dichiaravano di essere in guerra “per il ristabilimento nel mondo della giustizia” e “per la libertà e l’indipendenza dei popoli oppressi” e, se agli armeni fosse stato negato il diritto a questi principi allora la terribile guerra in corso sarebbe stata inutile, senza più alcun valore

(…) negare a questi (gli armeni) il diritto al libero e civile vivere equivarrebbe a negare a questa guerra i suoi più alti valori morali, che sono

Ivi, p. 33.

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Il diritto dell’Armenia attraverso le vicende della sua storia, «Armenia. Eco delle rivendicazioni

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quelle inesauribili fonti di resistenza, di sublimi sacrifizi e di superbi eroismi, che caratterizzano i soldati alleati contro la barbaria. 12

Attraverso il giornale, la redazione intendeva quindi affidare le “rivendicazioni armene” a quegli italiani “veri patrioti”

(…) i quali per patriottismo intendono si l’ardente amore per la propria terra nativa, ma intendono ancora il rispetto per l’altrui patriottismo e sopratutto la solidarietà con chi è trattato peggio del delinquente stesso, orribilmente perseguitato, torturato ed ucciso, perché ama la propria Patria. 13

Essi, quando fosse giunto il momento delle trattative di pace, avrebbero dovuto garantire libertà ed indipendenza al popolo armeno.

Il giornale, inoltre, si proponeva di diffondere le notizie sugli avvenimenti riguardanti sia gli armeni in Anatolia che quelle riguardanti le truppe armene combattenti sul fronte del Caucaso; a questo scopo la redazione faceva un’attenta rassegna delle 14

notizie provenienti da diverse agenzie di stampa e da quotidiani non solo italiani, ma anche stranieri. Inoltre, la pubblicazione delle notizie sulle stragi avevano la funzione di dimostrare che gli armeni meritavano di essere considerati uno dei popoli più oppressi della terra al quale, quindi, era necessario rendere giustizia; allo stesso tempo la pubblicazione di notizie sulle azioni dei combattenti armeni dovevano dimostrare che gli armeni meritavano di essere considerati co-belligeranti, così da aver diritto a partecipare direttamente e attivamente alle eventuali trattative di pace.

Parallelamente alla pubblicazione del giornale, il Comitato di propaganda armena di Torino ed il Comitato degli armeni d’Italia a Milano promossero, durante la guerra, numerose iniziative che potessero sensibilizzare e coinvolgere gli italiani alla loro causa e che, allo stesso tempo, mostrassero come essi si rendevano partecipi delle vicende italiane. Ad esempio, nel febbraio 1916, a Milano, venne organizzato dagli armeni della colonia della città un banchetto presso il ristorante “Orologio”, in occasione della presa di Erzerum da parte dell’esercito russo, al quale vennero invitati i redattori delle varie testate giornalistiche della città, due russi in onore al paese liberatore ed un polacco per

Idem.

12

Idem.

13

Si trattava di corpi di volontari armeni abitanti nel Caucaso e arruolati nell’esercito russo, ai quali, nel

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corso della guerra, si aggiunsero anche armeni provenienti dall’Impero ottomano, e che combattevano sul fronte turco-russo.

solidarietà alla Polonia “sorella di sventura”. Parteciparono, inoltre, altre personalità 15

note come il giornalista Vico Mantegazza, autore di diversi articoli favorevoli agli armeni, ed il futurista Filippo Tommaso Marinetti. Il banchetto venne così descritto in un articolo sul «Corriere della sera»

caratterizzato dal più caldo spirito di amicizia per la nostra patria, che del resto ha sempre ricambiato gli armeni della simpatia che meritano. 16

A Venezia, ogni tanto, vennero organizzati concerti presso il collegio Moorat-Raphael, e quello che si tenne nel maggio 1917 fu dedicato alla raccolta fondi da donare alla Croce Rossa Italiana. Sempre per la Croce Rossa, alcuni armeni di Milano finanziarono, nel 1917, la costruzione di un nuovo reparto dell’ospedale Principessa Jolanda che venne inaugurato nel gennaio 1918. Non mancò, periodicamente, l’invio di telegrammi di congratulazioni e di ossequi ai vari membri del governo, come ad esempio, quello inviato al re d’Italia in occasione della dichiarazione di guerra all’Impero ottomano, oppure quelli che furono inviati a Boselli, Sonnino, Meda, Salandra e Ruffini in occasione della formazione del nuovo governo nel giugno 1916, o ancora quello di congratulazioni inviato a Diaz per la vittoria di Vittorio Veneto nel giugno 1918. Inoltre, come si vedrà più avanti, il Comitato di propaganda di Torino organizzò, a partire dal 1916, una serie di conferenze, svoltesi principalmente nel nord-Italia, tenute sia da armeni, come il ciclo di conferenze di Raphael Bazardjian, sia in collaborazione con alcuni intellettuali italiani dediti alla causa armena che si prestavano come oratori. Il Comitato di propaganda armena promosse anche, periodicamente, la pubblicazione di scritti sulla questione armena, sotto il nome di “Edizioni dell’Armenia”, come, ad esempio, la traduzione italiana di una conferenza tenuta a Parigi dal poeta armeno Archag Tchobanian: L’Armenia sotto il giogo turco con introduzione del professor Alfredo Galletti.

É da ricordare anche che, al di fuori delle iniziative organizzate dagli armeni delle comunità di Torino, Milano e Venezia, altri armeni, individualmente, si attivarono per diffondere e difendere la causa. L’esempio più noto ed importante é quello dello scrittore armeno Hrant Nazariantz, il quale, già da quando abitava a Costantinopoli prima della guerra, era entrato in contatto con alcuni intellettuali italiani, in particolare con Gian

A Milano, «Armenia. Eco delle rivendicazioni armene», Anno II, num. 3, 15 marzo 18916, p.3. Sul 15

parallelismo delle vicende polacche con quale armene se ne discuterà più avanti.

Gli armeni di Milano festeggiano la caduta di Erzerum, «Corriere della sera», Anno 41, N. 50, 19 16

Pietro Lucini, per interesse personale di letterato, ma anche per far conoscere loro la letteratura armena e, allo stesso tempo, interessarli alla questione del popolo armeno. 17

Nazariantz, trasferitosi a Bari nel 1913, grazie alle relazioni precedentemente instaurate con alcune personalità italiane, riuscì a far pubblicare in italiano, nel giro di pochi anni, alcuni suoi testi e scritti sulla letteratura armena o sulla questione armena, come l’opuscolo L’Armenia, il suo martirio e le sue rivendicazioni pubblicato nel 1916 con introduzione di Umberto Zanotti Bianco. Sembrerebbe, inoltre, essere stato il primo ad 18

organizzare, a guerra iniziata, più precisamente il 10 dicembre 1915 a Bitonto, una conferenza per informare gli italiani su ciò che stava accadendo agli armeni nell’Impero ottomano. Per tutta la durata della guerra e negli anni successivi, Nazariantz continuò ad intessere legami con gli intellettuali italiani e ad interessarli alla causa armena fino ad arrivare a creare negli anni Venti, con il sostegno di Luigi Luzzatti e Zanotti Bianco, un villaggio di accoglienza per i rifugiati armeni che arrivarono in Puglia dopo la guerra. Nonostante Nazariantz non sia stato sempre apprezzato o coinvolto dagli altri armeni delle comunità di Torino e Milano, in quanto ritenevano che la sua propaganda pro- Armenia si fosse trasformata in “semplice sfondo della propaganda pro poeta Nazarianz”

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