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Espatrio e forme di lavoro internazionale

 

2.1.  Cos’è  l’espatrio  

Un espatriato è un dipendente che sta lavorando e temporaneamente risiede in un Paese straniero. Alcune imprese preferiscono chiamare questi dipendenti “assegnatari internazionali”. L’espatrio è sempre stato visto come il processo di trasferimento dalla compagnia nel Paese d’origine o dagli

headquarters verso le sussidiarie straniere. Ma, secondo Briscoe67, l’espatrio può essere visto più

precisamente come il processo di trasferimento da un Paese all’altro, mantenendo lo stato di dipendente. Prima di proseguire è necessario chiarire il significato di alcune figure:

• PCNs: i Parent Country National sono dei dipendenti la cui nazionalità è la stessa di quella degli headquarters della multinazionale;

• HCNs: gli Host Country National sono dei dipendenti la cui nazionalità è la stessa delle sussidiarie della multinazionale, presenti in un determinato Paese straniero;

• TCNs: i Third Country National sono dei dipendenti la cui nazionalità non è quella degli headquarters della multinazionale e nemmeno quella delle sussidiarie locali.

Dunque, il termine “espatrio” è normalmente utilizzato per descrivere il processo di trasferimento internazionale dei manager. Nonostante esso possa essere applicato a tutti quei dipendenti che lavorano al di fuori del loro Paese d’origine, è normalmente riservato ai PCNs e talvolta ai TCNs che lavorano in una sussidiaria straniera per un periodo predefinito, di solito dai due ai cinque anni. Invece, il termine “assegnatari internazionali” si usa comunemente per tutti quei dipendenti che

sono collocati all’estero per scopi lavorativi68. Al contrario, secondo altri studiosi, gli espatriati non

sono solamente i PCNs ma anche le altre due categorie descritte precedentemente.

Oltre ai PCNs, HCNs e ai TCNs, bisogna considerare un’altra categoria, gli inpatriati, ovvero dipendenti di una multinazionale che provengono da un Paese straniero e che sono trasferiti da una

sussidiaria alla casa madre. L’uso di tale termine ha aggiunto un livello di confusione attorno alla

definizione di espatriato. Per esempio, l’International Human Resource Management Reference Guide, pubblicata dall'Institute for International Human Resources definisce un “inpatriate” come un “manager estero negli Stati Uniti”. Un “manager estero negli Stati Uniti” è quindi “un espatriato negli Stati Uniti, dove gli Stati Uniti rappresentano il Paese ospitante, mentre il Paese d’origine del

                                                                                                                         

67  BRISCOE  D.R.,  Op.  cit.,  p.51.  

68  REICHE  S.  &  HARZING  A.,  2009,  International  Human  Resource  Management,  London:  Sage  Publications,  Pinnington  

manager è fuori dagli Stati Uniti”. In altre parole, un inpatriate è anche definito come un espatriato, come un HCN o un TCN che è stato trasferito da una sussidiaria straniera all’headquarter della casa madre. Queste posizioni sono utilizzate per periodi di tempo brevi e con il proposito di insegnare alla sussidiaria, tramite l’esperienza diretta del dipendente, le operazioni, il modo di pensare e la cultura della casa madre. Per esempio, la multinazionale finlandese Nokia usa “espatriato” per indicare lo staff che è stato trasferito fuori, e “inpatriato” per indicare lo staff trasferitosi all’interno

di un determinato Paese69. Quindi, dal punto di vista dell’impresa sussidiaria, l’inpatriato è un

espatriato che ricopre un incarico all’estero; mentre dal punto di vista della casa madre, l’individuo è un inpatriato. Stahl e Bjorkman hanno riconosciuto lo scopo fondamentale dell'IHRM, nel loro libro Handbook of Reasearch in International Human Resource Management. Esso è il seguente: “l’IHRM comprende, in generale, tutti i problemi relativi al managment di persone all’interno di un contesto internazionale. Da qui, la definizione di IHRM copre una vasta gamma di problemi riguardanti le risorse umane nelle multinazionali in diverse parti delle rispettive organizzazioni, ubicate all’estero”70.

Solitamente, il numero degli espatriati nei primi anni immediatamente successivi all’inizio delle operazioni a livello internazionale, è elevato e crescente per un breve periodo di tempo; poi diminuisce fino a raggiungere la quantità necessaria per garantire un’effettiva continuità del processo di business a livello internazionale. Nello specifico, allo stadio iniziale dello sviluppo su scala internazionale, sarà necessario un elevato numero di dipendenti disposti a spostarsi per completare con successo il trasferimento delle tecnologie produttive e di gestione e per avere un maggior controllo sull’attività di marketing e vendita; il numero poi si ridurrà a partire dal momento in cui i manager locali, i dipendenti, lo staff tecnico e tutte le persone coinvolte in questo processo avranno assimilato la conoscenza necessaria per lanciare il prodotto sul mercato con buone probabilità di successo. Può accadere anche che, arrivati a questo punto, il numero di soggetti coinvolti aumenti ancora allo scopo di integrare maggiormente le attività all’interno di un framework globale. Inoltre, all’aumentare delle operazioni che la multinazionale realizza a livello globale, svilupperà un bisogno crescente di manager con esperienza internazionale che le consentirà di ottenere vantaggio competitivo rispetto ad altre organizzazioni.

A questo punto, oltre alle tradizionali tipologie di espatriati su cui si concentrerà il lavoro e di cui abbiamo già accennato, non si può tralasciare un ultimo tipo, seppur marginale.

Gran parte della letteratura, infatti, si focalizza su un’idea di espatriati che rimanda alla definizione

                                                                                                                         

69  DOWLING  P.  &  WELCH  D.,  Op.  cit.,  p.  4.  

70  STAHL  G.  &BJORKMANN,  2006,  Handbook  of  Research  in  International  Human  Resource  Management,  (Cheltenham,  

di Dowling e Welch71; essa li vede come dei dipendenti trasferiti all’estero dal loro Paese d’origine, per volere dell’azienda per cui lavorano.

Inkson72 introduce due modelli di espatrio, che chiama rispettivamente expatriate assignment e

overseas experience. Il primo viene determinato dal volere dell’organizzazione e generalmente

significa vivere e lavorare altrove; i dipendenti vengono scelti, pagati dall’azienda e i loro obiettivi sono fissati dall’organizzazione per cui lavorano. Il secondo, invece, parte dal presupposto che l’iniziativa dell’espatrio derivi dall’individuo stesso; le motivazioni del soggetto possono essere le più svariate, come la volontà di intraprendere un percorso di sviluppo, per accrescere la propria cultura o semplicemente un forte impulso a vedere il mondo. L’incarico può essere finanziato o dall’azienda o dal soggetto stesso e può anche essere effettuato per crescere dal punto di vista professionale anche se questi viaggi vengono realizzati maggiormente per scopi ricreativi e sociali. Suutari e Brewster hanno introdotto, considerando appunto la seconda categoria di espatrio, il

termine self-initiated foreign work experience73, dividendo questo tipo di espatriati in sei

sottocategorie: young opportunists, job seekers, officials, localized professionals, international professional e dual-career couples. Per cui, i self-initiated expatriates vengono definiti come dipendenti che decidono di abbandonare il loro Paese per andare a lavorare in un altro; essi cominciano questo processo, cercando per proprio conto un’occupazione all’estero. Le due categorie si distinguono per molti aspetti: prima di tutto, gli espatriati che hanno un incarico di tipo internazionale per volere dell’azienda, hanno un lavoro assicurato una volta arrivati a destiNazione, di solito vengono coinvolti in programmi di preparazione prima di partire e ricevono pacchetti di compensazione finanziaria necessari per l’educazione dei figli o per spese d’affitto di immobili. Inoltre, un incarico di questo tipo ha un periodo definito, che dura dai tre mesi ai cinque anni. Al contrario, per quanto riguarda la seconda categoria, il tempo di permanenza all’estero è meno chiaro.

Inoltre, i self-initiated expatriate possono distinguersi da un altro gruppo, gli organizational

newcomers74 con precedenti esperienze lavorative. La ragione per cui si distinguono queste figure è

dovuto al diverso livello di conoscenza che entrambi apportano nel loro nuovo luogo di lavoro: entrambi non conoscono il sistema di valori specifico dell’azienda in cui andranno ad occupare una

                                                                                                                         

71   DOWLING   P.J.   &   WELCH   D.E.,   2004,   International   Human   Resource   Management:   Managing   people   in   a  

multinational  context,  Thomson.  

72   INKSON   K.,   ARTHUR   M.B.,   PRINGLE   J.   &   BARRY   S.,   1997,   Expatriate   Assignment   versus   Overseas   Experience:  

Contrasting  models  of  International  Human  Resource  Development,  Journal  of  World  Business,  32,  pp.  351–368.  

73  SUUTARI  V.  &  BREWSTER  C.,  2000,  Making  their  Own  Way:  International  Experience  through  Self-­‐initiated  Foreign  

Assignments,  Journal  of  World  Business,  35,  pp.  417–436.  

74  HOWE-­‐WALSH  L.  &  SCHYNS  B.,  Self-­‐initiated  expatriation:  implications  of  IHRM,  The  International  Journal  of  Human  

Resource  Management,  2010,  p.  5.    

posizione lavorativa, non conoscono le specifiche caratteristiche richieste dalla loro futura occupazione, ma i newcomers hanno una maggiore familiarità con la cultura del Paese di destiNazione anche per quanto riguarda le abitudini lavorative, come per esempio le ore di lavoro.

FONTE: WALSH L. & SCHYNS B., 2010, Self-initiated expatriation: implications for HRM, The International Journal of Human Resource Management, p. 263.

In un certo modo anche i self-initiated expatriates devono essere sostenuti nel trasferimento e nel processo di adattamento ad una nuova cultura perché “Organizational  assistance  reduces  the  time   the  expatriate  has  to  spend  on  these  issues  and  facilitates  adjustment  to  the  new  work  

setting”75.  

 

2.1.1.  L’Adjustement  

Nel primo capitolo è stato sottolineato come chiunque venga trasferito all’estero per ricoprire una posizione lavorativa, debba adattarsi al nuovo ambiente. Nonostante le competenze/abilità manageriali/tecniche siano indiscutibilmente importanti ed, in genere, rappresentino il criterio di selezione principale con cui un’impresa valuta l’ammissibilità o meno di quel determinato candidato per quello specifico incarico, la principale difficoltà affrontata dalla maggior parte degli espatriati fa proprio riferimento all’inabilità dei manager e delle loro famiglie di adattarsi alla cultura straniera. Se questo accade, le probabilità di fallimento aumentano notevolmente. Tra le molteplici cause di esito negativo dell’operazione di espatrio (inabilità del partner di adattarsi; inabilità dell’espatriato stesso di adattarsi; altri problemi collegati alla sfera familiare; tratti di personalità specifici del soggetto o mancanza di maturità; inabilità dell’espatriato di far fronte al lavoro; mancanza di competenze tecniche ed infine mancanza di motivazione del soggetto di

                                                                                                                         

75  AYCAN  Z.,  1997,  Expatriate  Adjustment  as  a  Multifacet  Phenomenon:  Individual  and  Organizational  Level  Predictors,  

lavorare all’estero76), ve ne sono tre determinanti: la prima fa riferimento alla mancanza da parte del soggetto ed anche, eventualmente della sua famiglia, di adattarsi ad un ambiente straniero; la seconda riguarda l’inabilità dell’espatriato di “fondersi” insieme alla nuova cultura. Questo accade perché troppo spesso gli espatriati hanno pregiudizi nei confronti dei valori e delle abitudini differenti dalle proprie. La terza ed ultima ragione riguarda prevalentemente la responsabilità dell’impresa: può accadere infatti che essa commetta un errore nell’assegnare un determinato incarico internazionale ad un dipendente che non possiede le adeguate abilità tecniche o la necessaria motivazione per operare a livello internazionale. Il successo o il fallimento dell’espatrio è solitamente definito in termini di prematuro ritorno del dipendente al Paese d’origine. Ma, in realtà, il problema è molto più complesso perché il fallimento dell’espatriato può anche essere definito in altri termini come, per esempio, una performance scarsa per quanto riguarda l’incarico internazionale, una personale insoddisfazione del soggetto in riferimento all’esperienza all’estero, una mancanza di accettazione del soggetto da parte dei dipendenti del Paese ospitante. I problemi, poi, sono evidenti anche per l’organizzazione, oltre che per il dipendente; non si parla di conseguenze negative solo in termini di costi ma anche per il fatto che se alcuni espatriati tornano con le loro famiglie al Paese d’origine con una valutazione completamente negativa della loro esperienza estera, sarà molto difficile per l’impresa trovare ulteriori dipendenti disposti a trasferirsi. Bisogna anche tenere in considerazione che, se il dipendente ha lasciato un’impressione pessima per il suo operato presso la sussidiaria straniera, probabilmente dovrà passare un lungo periodo prima che nuovi espatriati vengano accettati dalla stessa. Inoltre, un gran numero di fattori sembra influenzare il tasso di fallimento nelle operazioni di espatrio ed includono: la durata dell’incarico (gli incarichi di durata maggiore sembrano basarsi sulla volontà dei datori di lavoro di fornire ai futuri espatriati più tempo per adattarsi) ed un training adeguato ed un processo di orientamento sul nuovo ambiente e sulla cultura dello stesso. Si parlerà del fallimento dell’espatrio in maniera più approfondita nei prossimi paragrafi.

Il processo di adattamento è un fenomeno complesso77. L’adjustment implica, infatti,

l’apprendimento di una nuova cultura. Gli individui si adattano prima di tutto al sistema di valori

del proprio ambiente natio e questo include la lingua, le norme e i valori78; al fine di raggiungere

uno “stato di efficienza”, l’espatriato dovrà far proprie almeno alcune specificità della cultura locale nel Paese in cui si trasferisce. E sicuramente, adattamento include anche la comprensione di quelle

                                                                                                                         

76   TUNG   L.R.,   1987,   Expatriate   Assignement:   Enhancing   Success   and   Minimizing   Failure,   Academy   of   Management  

EXECUTIVE,  pp.  117-­‐126.  

77   BERRY   J.W.,   KIM   U.   &   BOSKI   P.,   1988,   Psychological   Acculturation   of   Immigrants,   in   Cross   Cultural   Adaptation:  

Current  Approaches,  eds.  Y.Y.Kim  and  W.B.  Guddykunst  (San  Francisco:  Sage).  

regole alla base di una buona interazione con le persone, ovvero ciò che viene comunemente detto

socializzazione.

È necessario tenere presente che ogni entità ha le proprie norme che governano i rapporti sociali all’interno dei confini nazionali e, talvolta, addirittura regionali e quindi il processo di adattamento è fondamentale per evitare che il dipendente si trovi in una condizione di completo isolamento e abbandono. Nonostante questo, ricerche empiriche hanno dimostrato che il collegamento tra l’adattamento al nuovo ambiente e la performance positiva dell’espatriato sia debole e che intervengono anche altri fattori come la soddisfazione per il proprio lavoro. In realtà, molto dipende da cosa si intende per adattamento e per performance ottimale; infatti la definizione di “good performance” varia in base allo scopo dell’incarico: se l’obiettivo è detenere il controllo sulla sussidiaria è chiaro che una buona performance richiede un certo grado di distanza dalle operazioni locali. In questo caso il livello ottimale di adattamento differisce, essendo più basso, rispetto a quello richiesto in un incarico in cui lo scopo principale è il trasferimento di conoscenza. Quindi, la domanda che sorge spontanea è: quando un espatriato può dirsi adattato? Secondo Dickmann,

Brewster e Sparrow79, l’adattamento è sia interno che esterno: dal lato interno, gli espatriati

dovrebbero considerare il loro grado di adattamento in base al livello di soddisfazione provato nell’avere direttamente a che fare con il nuovo ambiente e nel riconoscere una preponderanza di sensazioni negative o positive riguardo l’esperienza estera. Da una prospettiva esterna, un espatriato può definirsi adattato in base alla percezione che gli altri hanno di lui e sul suo modo di vivere in un altro contesto. Sono state identificate tre modalità di adattamento: l’integration, reaction e

withdrawal80. Nel primo caso, gli individui coinvolti cercano di armonizzare il loro comportamento con l’ambiente circostante, ovvero l’individuo cerca di imparare a comportarsi in maniera appropriata all’interno della nuova cultura; nel secondo caso, invece, gli individui tentano di cambiare parzialmente il contesto in cui si trovano ad operare per fare in modo che diventi maggiormente congruente con le attitudini e le tendenze comportamentali degli espatriati. Infine, nell’ultimo caso, i soggetti cercano di ridurre le pressioni derivanti dall’ambiente circostante trascorrendo, per esempio, la maggior parte del proprio tempo con gli Host Country Nationals.

Tipicamente, il successo nell’espatrio è definito come81:  

• completamento delle operazioni previste dall’incarico (raggiungimento degli scopi e degli obiettivi prefissati);

• adattamento alla cultura del Paese ospitante;

                                                                                                                         

79  DICKMANN  M.,  BREWSTER  C.  &  SPARROW  C,  Op.  cit.,  p.133.   80  BERRY  J.W.,  KIM  U.  &  BOSKI  P.,  Op.  cit.  

81   CALIGIURI   P.M.,   1997,   Assessing   expatriate   success:   Beyond   just   “being   there”,   New   Approaches   to   Employee  

• l’effettuazione di una performance ottimale.

Spesso questi fattori vengono visti come un costrutto unitario, necessari affinché l’operazione si concluda positivamente. Ma le ricerche hanno mostrato come ognuno di questi aspetti meriti la giusta attenzione; ciò dimostra anche come l’ambiente del Paese ospitante con la propria cultura ed il proprio sistema di valori, il management locale, le abilità tecniche, le caratteristiche personali del soggetto, giochino tutti assieme un ruolo determinante nel successo o meno dell’espatrio.

Black, Mendenhall e Oddou82 presentarono un modello di adattamento internazionale, chiamato

BMO model (acronimo dei nomi degli ideatori): loro vedono l’adattamento come una combiNazione di molteplici fattori come il lavoro, l’interazione con i cittadini ed i lavoratori locali e, in generale, l’adattamento con l’ambiente. Inoltre, essi notarono come tale processo coinvolga due aspetti che vengono chiamati anticipatory e in-country adjustment. Il primo tipo è collegato alle aspettative dell’individuo ed ai meccanismi di selezione dell’organizzazione, mentre il secondo si riferisce alle personali qualità del soggetto, come le capacità di relazionarsi con gli altri e di percepire emotivamente sensazioni, ma include anche fattori relativi al lavoro il supporto sociale, l’aiuto dal punto di vista logistico, role clarity, role discretion ed infine role conflict. Ci sono poi fattori che non si riferiscono al lavoro o ad aspetti collegati necessariamente all’organizzazione; ovviamente gli autori riconoscono come sia più semplice impostare un programma di adattamento anticipato, basato su rilevanti criteri di selezione, su una preparazione e sviluppo personali. Il

modello BMO è stato poi rivisto da Kauppinen83 che ha incluso il fattore individuale della

motivazione. La motivazione del soggetto, infatti, sembra essere un fattore riguardante sia l’adattamento del primo tipo, sia del secondo tipo. Un altro modello sull’adjustment è stato

presentato da Kim84: il processo di adattamento è dinamico ed in esso l’individuo cerca di stabilire

una relazione stabile e funzionale con il nuovo ambiente in cui si trova ad operare. Il modello presenta delle ipotesi di base:

• gli individui hanno un’innata capacità di organizzarsi autonomamente, anche in caso di cambiamenti nell’ambiente circostante;

• l’adattamento individuale all’interno di un contesto estraneo, e talvolta ostile, avviene grazie ed attraverso la comunicazione e l’interazione con differenti attori;

                                                                                                                         

82  BLACK  J.S.,  MENDENHALL  M.  &  ODDOU,  G.,  1991,  Toward  a  Comprehensive  Model  of  International  Adjustment:  An  

Integration  of  Multiple  Theoretical  Perspectives,  Academy  of  Management  Review,  16,  2,  pp.  291–317.  

83  KAUPPINEN,  M.,  1994,  Antecedents  of  Expatriate  Adjustment  –  A  study  of  Finnish  Managers  in  the  United  States,  

dissertation  thesis  for  Licentiate  of  Science  in  Economics  Degree,  Helsinki,  The  Helsinki  School  of  Economics  Press.  

84   KIM,   Y.Y.,   2001,   Becoming   Intercultural:   An   Integrative   Theory   of   Communication   and   Crosscultural   Adaptation,  

• l’adattamento è un processo dinamico e complesso che porta ad una trasformazione qualitativa dell’individuo. Questo cambiamento interculturale non è il risultato di un processo ma un processo esso stesso nel senso che determina prima di tutto quello che viene chiamato functional fitness: il soggetto ha ottenuto una percezione completa della cultura straniera e dei metodi di comunicazione e, col tempo, acquisisce sicurezza nel vivere/lavorare in maniera tranquilla ed efficiente. Secondariamente, la trasformazione soggettiva porta ad un secondo fattore, psychological health, ovvero ad un armonioso adattamento tra la realtà esterna e il modo in cui l’espatriato percepisce se stesso all’interno del nuovo ambiente: un individuo che si trova in questa situazione percepisce entrambe le realtà in maniera perfettamente corretta.

Infine, un altro vantaggio di questo processo è l’emergence of an intercultural identity perché si impara ad apprezzare i valori umani universali e a tollerare le differenze individuali.

Altri modelli sono stati presentati dai Bennet85, i quali hanno introdotto due stadi diversi nella

transizione cross-cultural, ethnocentrity e ethnorelativity. Nel primo stadio il soggetto si approccia alla cultura del Paese di destiNazione dalla prospettiva del proprio sistema di valori e tradizioni. L’ethnocentrity è costituito a sua volta da tre passaggi fondamentali:

• denial: la persona tenta di evitare il tema della diversità e si riferisce alle altre culture come a qualcosa di totalmente estraneo, implicando un senso di superiorità rispetto agli altri; • defence: la persona può addirittura arrivare alla discrimiNazione che si basa sulla

“stereotipizzazione” di altre culture e gruppi;

• minimization: il soggetto si rende conto della superficialità delle differenze culturali esistenti e comincia a capire che tutti sono come lui, portandolo ad una completa assimilazione. Il secondo stadio implica che l’espatriato si senta a suo agio e veramente pronto ad adattarsi al

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