Corso di Laurea
in Economia e Gestione delle
Aziende
Prova finale di Laurea
L’espatrio e le forme
alternative di incarico
internazionale
Relatore
Ch. Prof. Anna Comacchio
Correlatore
Ch. Prof. Marco Biasi
Laureando
Agnese Riccato
Matricola 830785
INDICE
Introduzione
Capitolo 1: internazionalizzazione del management delle risorse umane
• Lo sviluppo dell’International Human Resource Management • Differenze tra HR domestico ed internazionale
• Le strutture per l’internazionalizzazione tra globale e locale • Reclutamento e selezione del personale per ruoli internazionali • Formazione e sviluppo delle risorse umane internazionali • Gestione delle performance
• Le alleanze cross-‐border
• Scelte organizzative nel processo di internalizzazione
Capitolo 2: espatrio e forme di lavoro internazionale
• Cos’è l’espatrio -‐ Expatriation -‐ Adjustement
• Motivi delle imprese per mandare il personale all’estero e tipi di incarichi internazionali • Il fallimento dell’operazione di espatrio
• Il processo di rientro
• La retribuzione e le politiche fiscali
Capitolo 3: nuove forme degli incarichi internazionali: i frequent flyer/flexpatriate
• Problemi riguardanti le forme di incarichi internazionali tradizionali -‐ Flexibility
-‐ Work-‐life balance • Espatri frequent flyer • Espatri a breve termine
• Pendolari e incarichi a rotazione
• Global virtual team e l’awarness of collaboration • Remote working
• Le competenze necessarie per questi tipi di incarichi internazionali
• La libera circolazione delle persone; • La mobilità estera;
-‐ La trasferta -‐ Il trasferimento • Il distacco;
-‐ Il distacco nei gruppi d’impresa
-‐ Il distacco nelle amministrazioni pubbliche • Il distacco trasnazionale;
• Le ipotesi di distacco previste: raffronti con appalto di servizi, distacco nei gruppi di società e somministrazione di lavoro;
• Sovrapposizioni fra circolazione dei lavoratori e prestazione di servizi: alcune decisioni recenti della Corte di Giustizia (casi Viking, Laval);
• Il lavoratore italiano all'estero (paesi extra-‐UE);
• Trattamento fiscale del reddito di lavoro dipendente prestato all’estero; • Considerazioni finali Conclusioni Bibliografia
INTRODUZIONE
È a partire dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso che il concetto di incarico internazionale veniva prevalentemente associato a quello dell’espatrio di lungo periodo, in base al quale il dipendente doveva necessariamente trasferirsi insieme alla sua famiglia in un altro Stato, caratterizzato da un ambiente culturale magari anche molto diverso dal proprio. Su tale tipologia di incarico si effettuavano le operazioni di reclutamento e selezione, apprendimento, gestione e valutazione delle performance, metodi di retribuzione ed, infine, sviluppo delle carriere a livello internazionale. Tuttavia, in tempi relativamente recenti, sono emerse delle forme alternative di lavoro all’estero che hanno acquisito notevole importanza. Infatti, nonostante gli incarichi di lungo periodo rappresentino ancora la modalità maggiormente utilizzata dalle imprese, le ricerche dimostrano anche che molte organizzazioni si avvalgono di modalità di lavoro differenti che, in passato, venivano applicate solamente all’interno di un contesto geografico limitato, solitamente all’interno della singola Nazione. Questo significa che i lavoratori di oggi possono considerarsi molto più internazionali rispetto anche a pochi anni fa proprio per il fatto che riescono a viaggiare per motivi lavorativi in maniera più frequente e per periodi relativamente brevi, senza il bisogno di trasferirsi nello Stato in cui lavorano. Per esempio Mayerhofer e Scullion distinguono tra permanent e intermittent expatriates, indicando questi ultimi come dipendenti che ritornano regolarmente a casa, nel loro Paese d’origine e che non si muovono verso il Paese di destiNazione con l’intenzione di stabilirvisi in maniera permanente. Tali forme alternative possono essere classificate in base alla durata dell’incarico, allo scopo della missione e ai compiti che devono essere svolti; esse includono:
• espatri frequent flyer; • espatri a breve termine;
• pendolari e incarichi a rotazione; • remote working;
• global virtual team.
Diverse sono le ragioni che spingono le organizzazioni ad utilizzare delle forme alternative di incarico internazionale. Le più comuni sono quattro:
1. il cambiamento nelle relazioni di mercato e l’aumento del numero di joint-venture, fusioni ed acquisizioni;
2. il miglioramento tecnologico per quanto riguarda le comunicazioni ed il trasporto via aerea; 3. preoccupazioni crescenti con riferimento al bilanciamento tra la vita lavorativa e quella
privata;
4. l’accesso ad una più competente forza lavoro globale.
Molti studiosi hanno notato come le forme alternative di incarico internazionale stiano diventando una parte caratterizzata da crescente importanza nell’operazione di staffing a livello globale perché permette un approccio maggiormente flessibile e frequente. Infine, in questo tipo di incarico si conta moltissimo sulle capacità e sulle potenzialità dell’individuo perché, al contrario degli espatri a lungo termine in cui viene sempre fornito un programma di training, per gli espatri alternativi è difficile offrire un supporto adeguato, soprattutto per motivi di tempo. Dunque, i dipendenti giocano un ruolo molto importante nel processo del proprio adattamento ad un contesto culturale differente da quello d’origine e usano contatti derivanti dalla loro rete personale di conoscenze allo scopo di superare le sfide che incontrano sul percorso. In questo scritto, dopo un breve richiamo a ciò che caratterizza le operazioni tra imprese a livello internazionale e a ciò che si definisce come espatrio nella sua forma generica, si esamineranno tali forme alternative di incarico internazionale e ci si concentrerà in particolar modo sulla loro classificazione, sull’identificazione delle circostanze in cui è appropriato utilizzarle, sulle conseguenze che tali incarichi generano nelle fasi che riguardano la gestione delle risorse umane. Infine, nell’ultimo capitolo, si presenteranno le forme giuridiche con cui viene gestito l’espatrio, ovvero la trasferta, il trasferimento e il distacco.
Capitolo 1: Internazionalizzazione del management delle risorse umane
1.1 Lo sviluppo dell’International Human Resource Management
L’ambiente economico internazionale è cambiato molto nel corso degli ultimi anni a causa di una serie di ragioni che presentano come fondamentale punto di partenza il fenomeno della globalizzazione, che ha portato le aziende ad un’ inevitabile trasformazione. La globalizzazione può definirsi come l’insieme di molteplici cambiamenti avvenuti in seguito all’evoluzione dell’information technology, con il conseguente aumento dell’ammontare di informazioni; all’incremento del flusso di capitali, merci e persone oltre i confini nazionali; alla tendenza verso la standardizzazione delle culture dei Paesi e dei mercati; all’abbassamento delle barriere tra i mercati;
alla riduzione dei costi di trasporto ed infine all’armonizzazione delle legislazioni nazionali1. Infatti,
nonostante vi siano innumerevoli differenze2 tra i diversi Stati a livello mondiale dai punti di vista
culturale (linguaggio, forme di interazione e di comunicazione tra le persone), politico-amministrativo (leggi, politiche ed istituzioni), geografico (esistenza o meno di confini comuni, distanze interne) ed economico (attività economiche specifiche, proprie di ogni Paese), la sfida è diventata quella di cercare di superare queste barriere in maniera rapida. Nuovi canali distributivi, l’apertura di nuovi mercati e la crescita della capacità produttiva dei Paesi emergenti hanno portato ad un processo di internazionalizzazione a cui anche l’attività di gestione delle risorse umane non può sottrarsi. Anzi, una trasformazione in questo tipo di attività rappresenta una garanzia per raggiungere un maggior vantaggio competitivo su scala mondiale, dal momento che ormai tutte le risorse come capitali, materie prime, informazioni e tecnologia, sono facilmente replicabili ad eccezione del capitale umano a disposizione delle aziende. Lo Human Resource Management, dunque, si riferisce a quelle attività intraprese da un’organizzazione per utilizzare efficacemente le proprie risorse umane. Queste attività dovrebbero includere almeno: human resource planning; attività riguardanti il personale come recruiting, selection e placement (staffing); performance management; training e development, compensation (remunerazione e benefits) e relazioni industriali (industrial relations). Naturalmente, in un contesto internazionale, è necessario considerare alcuni fattori3:
1. Le attività generali delle risorse umane di procurement, allocation e utilization. 2. Le Nazioni o categorie di Paesi coinvolti nelle attività di IHRM:
1 PRANDSTRALLER F., QUACQUARELLI B., 2011, Risorse umane internazionali, Apogeo, p. 4.
2 Modello CAGE (Cultura, Amministrazione, Geografia ed Economia) in GHEMAWAT P., Redifining Global Strategia:
Crossing Borders in A World Where Differences Still Matter, Harvard Business School, 2007.
-‐ il Paese ospitante (host-country) dove una filiale può essere localizzata; -‐ il Paese di origine (home-country) dove l’impresa ha il suo headquarter; -‐ “altri Paesi” che possono essere fonti di lavoro, finanza e altri input. 3. Le tre categorie di dipendenti di un’impresa internazionale:
-‐ cittadini di Paesi ospitanti (HCNs); -‐ cittadini del Paese controllante (PCNs); -‐ cittadini di Paesi terzi.
Un gran numero di studiosi ha suggerito che l’“International HRM is still at the infancy stage”4,
mentre altri sostengono che esiste ormai una solida base di conoscenze e pratiche da cui partire quando si affronta lo studio della gestione del personale a livello internazionale. In ogni caso, l’approfondimento di argomenti inerenti a questa tematica causa non poche difficoltà perché le ricerche a livello multinazionale sono molto costose, richiedono più tempo, implicano la necessità di effettuare spostamenti, necessitano di competenze linguistiche maggiori, di sensibilità alle diverse culture con cui si entra in contatto ed infine di cooperazione tra differenti imprese, Paesi e governi. In particolare, i ricercatori che si occupano di management internazionale hanno
sottolineato quattro problemi specifici5:
• definizioni vaghe ed inconsistenti per quanto riguarda alcuni termini come cultura; • traduzioni inaccurate di termini-chiave;
• difficoltà nell’ottenimento di campioni rappresentativi; • difficoltà nell’isolare le differenze culturali.
L’International Human Resource Managent è una disciplina che comincia a svilupparsi negli Stati Uniti a partire dagli anni Ottanta grazie ad autori come Tung, Black, Mendenhall, Oddou e Brewster nel Regno Unito. Mentre, inizialmente, la materia era concentrata maggiormente sullo studio degli espatriati, sui processi di adattamento di tali dipendenti, delle loro famiglie al contesto del Paese ospitante e sulla loro selezione, formazione, retribuzione, carriera e rimpatrio, a partire dagli anni Novanta si comincia ad approfondire l’argomento sul coordinamento ed il controllo tra le diverse parti delle organizzazioni internazionali, sul trasferimento delle pratiche aziendali oltre confine e sulla gestione delle persone in contesti culturali diversi.
4 LAURENT A., 1986, The Cross-‐Cultural Puzzle of International Human Resource Management, Human Resource
Management, 25(1), pp. 91-‐102.
Per quanto riguarda questi cambiamenti avvenuti nello studio della materia, sono stati utilizzati i seguenti termini6:
• Building, ovvero costruire: questi sono studi che fanno riferimento alle culture, pratiche, politiche di gestione delle risorse umane specifiche dei diversi Paesi. Si tengono in considerazione le differenze determinate dalle caratteristiche culturali nazionali.
• Aligning, ovvero adeguare: questo tipo di studi si concentra sul management interculturale e sull’analisi dei sistemi di HRM dei diversi Paesi che vengono comparati, partendo dal presupposto che la cultura influenza notevolmente anche il management e le attività di tipo gestionale.
• Steering, ovvero guidare: le ricerche in questo campo hanno come finalità l’individuazione delle politiche strategiche che portano l’impresa ad ottenere un successo maggiore e dei problemi che causano alle organizzazioni particolari difficoltà.
Rivolgere l’attenzione alla selezione, formazione, trattenimento e sviluppo dei dipendenti che hanno le qualità e le competenze opportune per lavorare in un ambiente internazionale, è diventato
fondamentale soprattutto con il proseguirsi degli anni per una serie di ragioni7:
• la globalizzazione, come si diceva precedentemente, è stata il motore che ha portato ad un incremento dell’importanza delle aziende che hanno a che fare con attività sviluppatesi in Paesi differenti, talvolta anche molto lontani tra loro. Di conseguenza, è aumentata notevolmente anche la mobilità internazionale delle risorse umane con vantaggi ma anche svantaggi ad essa collegati;
• attualmente, il fenomeno dell’internazionalizzazione non interessa esclusivamente le imprese di grandi dimensioni, ma anche quelle piccole e medie, le quali non sempre hanno sviluppato le adeguate competenze nella gestione delle risorse umane internazionali;
• da un’efficace gestione delle risorse umane internazionali e, in generale, delle pratiche di IHRM, dipende il successo o il fallimento delle operazioni all’estero e questo è ancora più vero in mercati nascenti piuttosto che in quelli ormai consolidati, in cui un’organizzazione sa già come muoversi;
• l’operazione di espatrio ha un costo notevole per l’azienda sia per l’espatrio in sé, che per tutte le attività necessarie al fine di garantire al dipendente e, talvolta, alla sua famiglia, una qualità di vita soddisfacente nel Paese di destiNazione. È importante considerare anche che
6 EVANS P., PUCIK V. & BARSOUX J.L., 2002, The Global Challenge: frameworks for international human resource
management, McGraw-‐Hill.
7 SCULLION H., 2005, International HRM: an introduction, in Scullion H., Linehan M., International Human Resource
se si verifica il fallimento dell’esperienza all’estero, l’azienda in questione dovrà sopportare un aumento dei costi ma anche una diminuzione della propria quota di mercato ed un peggioramento delle relazioni con le organizzazioni dei Paesi con cui opera;
• l’attività di HRM internazionale si configura sempre di più come un’attività strategica per un’impresa perché, attraverso il contatto con aziende di diverse nazionalità e culture, essa ha la possibilità di ampliare le proprie conoscenze o anche di reperire risorse, materie prime e, appunto, conoscenze migliori dai diversi mercati locali.
Secondo Edstrom e Galbraith8, le organizzazioni decidono di trasferire i manager all’estero per tre
ragioni principali, ovvero per sviluppare determinate capacità in un contesto straniero, per rafforzare le competenze del management attraverso un’esperienza internazionale, ma anche come meccanismo di controllo e di coordinamento in quanto frequenti incarichi all’estero permettono la creazione di un network di relazioni personali che facilitano entrambi gli aspetti. Dunque, secondo
il modello di Briscoe e Schuler9, è necessario tener conto delle strategie di internazionalizzazione
dell’impresa, delle tipologie di manager utilizzate per implementare la strategia ed, infine, delle politiche e pratiche di HR management internazionale.
1.2. Differenze tra HR domestico ed internazionale
Diversi autori si sono impegnati nello studio delle variabili più significative che comportano una
differenza tra i due livelli di gestione delle risorse umane. Secondo Dowling10, per esempio, alcune
di queste sono:
• più numerose attività di HR: per operare in un ambiente internazionale, il dipartimento di HR deve impegnarsi in un numero di attività che non sarebbero necessarie in un ambiente domestico: tassazione internazionale; trasferimento e orientamento internazionale; servizi amministrativi per gli espatriati; relazioni con il governo ospitante; e servizi di traduzione linguistica;
• la necessità di una prospettiva più ampia: i manager delle HR lavorano in un ambiente domestico amministrando programmi per un singolo gruppo di dipendenti nazionali che sono coperti da politiche di compensazione e tassazione di un solo governo nazionale.
8 EDSTROM A. & GALBRAITH J.R., 1977, Transfer of manager sas a coordination and control strategy in multinational
organizations, Administrative Science Quarterly 22: pp. 248-‐63.
9 BRISCOE D. & SCHULER R., 2004, International Human Resource Management: Policy and Practice for the Global
Enterprise, Routledge.
Invece, lavorando in un contesto internazionale, bisogna che i manager delle HR affrontino problemi di progettazione e amministrazione di programmi per più di un gruppo di dipendenti nazionali e quindi, necessitano di avere una visione più ampia delle questioni;
• un maggior grado di coinvolgimento nella vita personale dei dipendenti: negli ambienti
domestici, il coinvolgimento del dipartimento HR per quanto riguarda aspetti “privati” della vita del dipendente è limitato. L'impresa può, per esempio, fornire programmi di assicurazione sulla salute dei dipendenti oppure, se è coinvolto in un trasferimento domestico, il dipartimento HR può fornire assistenza nella riallocazione del dipendente e della sua famiglia. In un contesto internazionale, tuttavia, il dipartimento di HR deve essere più presente al fine di fornire il livello di supporto richiesto e necessita di conoscere in maniera più approfondita la vita personale del dipendente. Molte multinazionali hanno una sezione “International HR Services” che coordina l’amministrazione dei programmi e fornisce servizi utili nell’operazione di espatrio, come la gestione delle operazioni bancarie, gli investimenti, l’affitto della casa;
• esposizione al rischio: solitamente, le conseguenze del fallimento in un’arena internazionale sono più gravi che in un business domestico. Il fallimento di un espatriato o le eventuali “sottoperformance” all’interno di un’assegnazione internazionale rappresentano un problema ad alti costi per le multinazionali. I costi diretti (salario, costi di training e spese di viaggio e riallocazione del dipendente nel Paese di partenza) per l’impresa madre possono essere alti più di tre volte rispetto ai costi normalmente sostenuti in un contesto domestico a causa anche del tasso di cambio della valuta di assegnazione. Inoltre, come si sottolineava in precedenza, bisogna considerare alcuni costi indiretti come la perdita di quota di mercato estera e il danno nelle relazioni chiave del Paese ospitante.
Oltre a questi fattori, Briscoe11 parla anche della necessità di considerare una maggiore complessità
nel prendere decisioni a causa della molteplicità di culture, di sistemi legali e regolatori, di sistemi educativi e sociali. In ogni caso, esistono dei fattori che moderano le differenze tra l’HR domestico ed internazionale e sono il settore e la cultura. Porter12, infatti, suggerisce che il settore in cui
un’impresa multinazionale è coinvolta è di un’importanza considerevole perché i modelli di concorrenza internazionale variano notevolmente da un settore ad un altro. Secondariamente, per quanto riguarda la cultura, nonostante non vi sia una definizione univoca della stessa e, benché vi siano differenti culture nel mondo, le cui caratteristiche sono talvolta così sottili che una persona
11 BRISCOE D., 1995, International Human Resource Management, Prentice Hall, p.12.
12 PORTER M.E., 1986, Changing Patterns of International Competition, California Management Review, vol. 28, no. 2,
non è sempre consapevole dei suoi effetti sui valori, atteggiamenti e comportamenti, ciò che conta veramente è proprio la consapevolezza delle diversità culturali da un Paese ad un altro: far fronte alle differenze culturali e riconoscere come e quando queste differenze sono rilevanti è una costante sfida per le imprese internazionali. Aiutare a preparare lo staff insieme alle loro famiglie per lavorare e vivere in un nuovo ambiente culturale diventa un’attività chiave per il dipartimento delle HR in quelle multinazionali che apprezzano l’impatto che l’ambiente culturale può avere sulle performance e sul benessere dello staff.
1.3. Le strutture per l’internazionalizzazione tra globale e locale
Uno dei primi studiosi che ha parlato di imprese multinazionali è stato Chandler; da allora il concetto di multinazionale è cambiato notevolmente passando da un’unica unità caratterizzata da una forma di comando e di controllo centralizzata ad una struttura che deve tenere in considerazione due tendenze da soddisfare in contemporanea: adattarsi localmente ed integrarsi a livello globale. In seguito a ciò, accanto alle funzioni proprie della casa madre (raggiungere economie di scala, indirizzare le risorse prestando attenzione alle sussidiarie capaci e far leva sulla conoscenza distribuita in azienda)13, anche le singole sussidiarie possono ricoprire ruoli rilevanti in base alle differenti strutture gerarchiche scelte dall’organizzazione per perseguire una determinata strategia. Le strutture gerarchiche in questione sono:
• struttura globale funzionale: struttura centralizzata caratterizzata da una relativa omogeneità dei prodotti e dei mercati esteri in cui opera. Le ragioni alla base dell’utilizzo di questo tipo di struttura sono la possibilità di sfruttare le economie di scala, che arrecano vantaggi economici associati ad una gestione centralizzata delle attività relative ad una medesima funzione, e le economie di specializzazione, che determinano dei vantaggi economici
associati al fatto di gestire in modo centralizzato competenze simili14;
• struttura globale per prodotto: nonostante il controllo e il coordinamento siano centralizzati, la gestione di linee di prodotto diverse spetta a specifiche divisioni. Quindi, troviamo contemporaneamente un elevato grado di interdipendenza tra le diverse funzioni ed anche un’esigenza di differenziazione tra le diverse linee. Utile se la multinazionale vuole integrarsi a livello globale;
13 AMBOS B. & MAHNKE V., 2010, Academic journal article from Management International Review, Vol. 50, No. 4. 14 MIO C., 2013, Programmazione e controllo delle vendite, Egea, p. 28.
• struttura globale per area geografica: in questo caso la funzione HR centrale indica le linee guida ma gran parte della responsabilità è demandata a livello globale. Utile se l’organizzazione vuole adattarsi a livello locale;
• struttura a matrice: progettata in modo tale che i processi relativi ad un prodotto siano condivisi dalle diverse divisioni, integrando le attività sia secondo la dimensione geografica che secondo la dimensione per prodotto.
In letteratura e, nello specifico, nei lavori di Perlmutter15, vengono identificate tre attitudini
differenti dal punto di vista dirigenziale (etnocentrico, policentrico e geocentrico), le quali descrivono gli approcci che le organizzazioni assumono nei confronti delle sussidiarie dal punto di vista della gestione delle risorse umane.
Il quarto termine, ovvero quello regiocentrico, venne inserito successivamente.
Nel primo tipo di approccio, quello etnocentrico, le decisioni strategiche sono prese nella sede, le posizioni chiave nelle operazioni nazionali ed estere sono tenute da persone del quartier generale e le filiali sono gestite da PCNs. Le ragioni principali alla base di questo tipo di approccio sono la percepita mancanza di cittadini qualificati nel Paese straniero (HCNs) e la necessità di mantenere collegamenti di comunicazione, coordinamento e controllo con la sede centrale.
Per le imprese nelle prime fasi di internazionalizzazione questo approccio può ridurre l’elevato rischio percepito. Nel momento in cui una multinazionale acquista un’impresa in un altro Paese, potrebbe voler sostituire inizialmente i manager locali con i PCN per garantire che la nuova filiale sia conforme agli obiettivi generali e delle politiche aziendali, o perché il personale locale non ha le competenze richieste. Nonostante gli indiscutibili vantaggi, sono presenti anche dei limiti, come per esempio, una maggior difficoltà per gli HCNs di ricevere promozioni per il lavoro svolto con conseguente riduzione nella produttività degli stessi, la possibilità di commettere errori o scelte sbagliate da parte dei PCNs dal momento che l’adattamento dei dirigenti espatriati verso i paesi ospitanti spesso richiede molto tempo ed altri problemi similari.
L’approccio policentrico prevede che la multinazionale tratti ogni filiale come un’entità nazionale distinta con una certa autonomia decisionale. Le sussidiarie sono di solito gestite da cittadini locali (HCNs) che raramente sono promossi a ricoprire posizioni presso la sede centrale e i PCNs sono raramente trasferiti alle operazioni controllate estere. Gli aspetti positivi di questo approccio fanno riferimento al fatto che, attraverso l’impiego di HCNs, vengono eliminate le barriere linguistiche, si
15 PERLMUTTER H.V., 1969, The Tortuous Evolution of the Multinational Corporation, Columbia Journal of World
evitano i problemi di aggiustamento dei dirigenti espatriati e delle loro famiglie, vengono eliminati costosi programmi di sensibilizzazione culturale. Inoltre si garantisce continuità al management delle sussidiarie: si evita il naturale turnover dei manager che si ha con l’approccio etnocentrico. Tra i principali svantaggi vi è la necessità di colmare il divario tra il manager HCN e i dirigenti presso la sede aziendale; infatti, barriere linguistiche ed una serie di differenze culturali possono isolare la sede aziendale dal personale delle varie filiali estere.
Infine i manager HCNs delle filiali hanno limitate possibilità di acquisire esperienza fuori dal proprio Paese e non possono progredire al di là delle posizioni di vertice di una controllata. I PCNs invece hanno anche loro limitate possibilità di acquisire esperienze all’estero. In alcuni casi il governo ospitante può imporre che le principali posizioni manageriali siano occupate dai suoi cittadini.
Nell’approccio geocentrico l’obiettivo principale è sviluppare una capacità di tipo internazionale. Quindi, la nazionalità dei dipendenti viene ignorata in favore delle loro specifiche capacità e competenze.
Questa politica consente alla multinazionale di costituire un team internazionale che sviluppa una prospettiva globale e sostiene la cooperazione e la condivisione delle risorse tra le unità.
Sfortunatamente essa comporta anche una serie di svantaggi che implicano tempi più lunghi ed un controllo più centralizzato del personale:
1. il governo ospitante potrebbe desiderare che l’occupazione sia rappresentata da un numero elevato di cittadini del proprio Paese e può controllare l’andamento dell’immigrazione al fine di costringere all’impiego di HCNs;
2. molti Paesi occidentali impongono alle società di fornire una vasta documentazione se vogliono assumere un cittadino straniero al posto di uno nazionale. Questa documentazione richiede molto tempo ed è costosa;
3. può essere costosa da realizzare a causa della necessità di una formazione maggiore e di strutture standardizzate a livello internazionale.
L’ultimo approccio è quello regiocentrico. È previsto che il personale possa muoversi al di fuori del proprio Paese, ma solo all’interno della particolare regione geografica. I direttori regionali non possono essere promossi in determinate posizioni nel quartier generale, ma godono di un grado di autonomia decisionale all’interno della loro regione. I vantaggi relativi a questo tipo di politica sono una grande interazione tra executive trasferiti dalle sussidiarie ai quartieri generali regionali e i PCNs inviati nella sede regionale, una maggiore sensibilità alle condizioni locali, poiché le controllate locali sono gestite quasi totalmente da HCNs.
La principale conseguenza negativa è che il personale può avanzare fino alla sede regionale, ma raramente può ambire a posizioni presso la casa madre.
1.4. Reclutamento e selezione del personale per ruoli internazionali
Assumere e distribuire le persone nelle posizioni dove possono ottenere buone performance è l’obbiettivo delle organizzazioni sia locali che internazionali. Il reclutamento è definito come ricerca e ottenimento di candidati in numero e qualità sufficienti, affinché l’organizzazione possa selezionare le persone più appropriate per soddisfare le sue necessità di lavoro. La selezione è il processo di raccolta delle informazioni con lo scopo di valutare e decidere chi potrebbe essere
impiegato in particolari posizioni16. È importante notare che reclutamento e selezione sono processi
che devono essere realizzati entrambi in maniera efficiente se l’azienda vuole essere efficace nel gestire il suo processo di assunzione. È molto importante, infatti, che gli espatriati siano considerati e visti come in grado di mettere in atto gli specifici compiti richiesti proprio per quell’incarico, all’interno di un ambiente culturale talvolta anche molto diverso dal proprio.
Il punto di partenza per l’assunzione delle figure giuste è che l’organizzazione sia perfettamente consapevole dei requisiti che i candidati devono avere per quel tipo di lavoro all’estero, sia in termini tecnici che culturali. Inoltre è necessario anche effettuare determinate attività di HRM, come l’analisi dell’ambiente lavorativo per prendere le decisioni più corrette nella selezione dei dipendenti, senza tralasciare alcune considerazioni personali sulla famiglia e, in generale, sulla vita privata del soggetto.
Ovviamente, quando si ha a che fare con operazioni a livello internazionale, bisogna tenere in considerazione più varianti, come per esempio, il fatto che molte aziende hanno già delle precise predisposizioni per quanto riguarda chi dovrebbe occupare posizioni chiave negli headquarters e nelle subsidiaries. Questo dipende da quale approccio, tra quelli espressi nel precedente paragrafo, l’organizzazione in questione ha scelto (Etnocentrico, Policentrico, Geocentrico, Regiocentrico). Secondariamente, il Governo ha un ruolo fondamentale perché, con i vincoli imposti, (es.: regole sull’immigrazione per quanto riguarda i visti lavorativi e il vincolo, comune in molti Paesi, che richiede spiegazioni sul perché vengono assunti cittadini stranieri e non locali) può severamente limitare la capacità dell’azienda ad assumere il candidato giusto.
I possibili problemi nella selezione del personale fanno riferimento ad una serie di miti o assunzioni:
Mito 1: c’è un approccio universale al management
La visione che vi sia un approccio universale al management persiste, nonostante la ricerca provi il contrario. Molte multinazionali, infatti, continuano a trasferire pratiche di lavoro home-based nelle loro operazioni estere senza un’adeguata considerazione sulla loro appropriatezza. Comunque, le pratiche di lavoro si sono, in una certa misura, concentrate sul trasferimento della tecnologia e sul miglioramento dell’esperienza professionale. Collegata a questo processo, vi è la credenza nel potere della cultura organizzativa come moderatore delle differenze culturali nella regolazione del lavoro.
Mito 2: le persone possono diventare maggiormente adattabili e possono assumere comportamenti multiculturali
Alcune persone possono adottare comportamenti culturalmente appropriati ma non è possibile pensare che questo avvenga sempre e in tutti gli ambiti culturali. Esso dipende dalla reazione individuale ad un particolare ambiente culturale ed è noto come alcuni individui abbiano maggior
successo nell’ adattare i propri comportamenti e competenze rispetto ad altri17. L’adattamento
culturale di un espatriato al Paese d’adozione è sicuramente collegato alla sua performance e ciò influenza l’assegnazione dei compiti per incarichi internazionali.
Mito 3: esistono caratteristiche comuni condivise nei manager internazionali di successo.
La letteratura sulla selezione degli espatriati tende a riflettere questo approccio, ovvero la possibilità di identificare ex ante delle caratteristiche personali che determinano il successo negli incarichi
internazionali. Tuttavia, Baruch18 sostiene che non esiste un modo coerente per caratterizzare un
manager globale. Egli suggerisce che le qualità di base comunemente elencate (intelligenza, motivazione, adattabilità e imprenditorialità) rappresentano gli stessi requisiti per qualsiasi manager di successo oggi.
Mito 4: non esistono impedimenti alla mobilità.
Le multinazionali particolarmente estese si sforzano di sviluppare e valorizzare un mercato del lavoro interno dal quale si possa prelevare personale per incarichi internazionali. Tuttavia, il fatto che alcune multinazionali stiano sperimentando soluzioni alternative come l’assegnazione virtuale è indicativo dell’esistenza di una sorta di resistenza psicologica prima che fisica all’espatrio nella sua forma più tradizionale.
17 MURRAY F.T. & MURRAY A.H., 1986, Global Managers for Global Business, Sloan Management Review, Vol. 27, No.
2, pp. 75-‐80.
Secondo Black19 la selezione per quanto riguarda i trasferimenti internazionali è di maggior successo quando si basa su:
• la maturità del candidato (per esempio, se è capace di prendere decisioni individuali, se ha stabilità emozionale, se è sensibile nei confronti di chi è appartenente ad una cultura diversa dalla propria);
• l’abilità nel padroneggiare lingue straniere;
• il possedere una predisposizione nei confronti degli incarichi internazionali non solo da parte del candidato prescelto, ma anche della sua famiglia;
• caratteristiche personali appropriate (per esempio, un’ottima salute, il desiderio sentito per quel determinato tipo di posizione, adattabilità).
Dowling parla di criteri di selezione in maniera più approfondita, considerando aspetti individuali e caratterizzanti la situazione specifica:
• abilità tecniche. Naturalmente l’abilità delle persone a svolgere i compiti richiesti è molto importante: competenze tecniche e manageriali sono criteri essenziali. Solitamente le multinazionali valutano internamente il potenziale del candidato, basandosi sul suo operato presente e passato. Il problema è che la performance passata può avere un effetto limitato o nullo sulla capacità di svolgere un compito in un ambiente culturale straniero;
• adeguatezza interculturale. Come detto precedentemente, l’ambiente nel quale l’espatriato si ritrova ad operare influenza notevolmente la performance, decretandone il successo o meno. Quindi, oltre alle competenze tecniche e manageriali, sono necessarie abilità interculturali che portano le persone ad ambientarsi nel nuovo contesto (empatia, adattabilità, diplomazia,
capacità linguistiche, attitudine positiva, stabilità emozionale e maturità)20. È molto difficile
per le imprese accertarsi che il soggetto in questione possegga queste caratteristiche tramite procedure di verifica in quanto si tratta di caratteristiche personali;
• esigenze familiari. Dalla prospettiva della multinazionale la performance dell’espatriato rimane il fattore più importante. Va però sottolineato che il coniuge esercita spesso una pesante influenza. Spesso non è possibile per i coniugi lavorare entrambi nel Paese di assegnazione con la conseguenza che il benessere della famiglia e l’educazione dei figli possono risentirne. Infatti, quando si aggiunge il problema dell’adattamento culturale ad un
19 BLACK J.S. & MENDENHALL M., 1990, Cross-‐Cultural Effectiveness: A Review and a Theoretical Framework for Future
Research, Academy of Management Review, 15, pp. 113-‐136.
20 CALIGIURI. P., 2000, The Big Five Personality Characteristics as Predictors of Expatriate’s Desire to Terminate the
nuovo tipo di incarico lavorativo, non è così sorprendente scoprire che alcune coppie cerchino di tornare a casa prematuramente. Malgrado studi che enfatizzano il collegamento tra l’opinione favorevole dei coniugi e l’adattamento dell’espatriato, le aziende appaiono riluttanti ad includere il coniuge nel processo di selezione, trattandolo in modo periferico. A parte il rispetto per la carriera del partner accompagnatore, ci sono considerazioni che possono causare un potenziale declino dell’interesse dell’espatriato verso l’assegnazione internazionale. L’interruzione dell’educazione dei figli è un’importante fattore per cui il candidato selezionato potrebbe rifiutare, basandosi sul fatto che uno spostamento in quella particolare fase d’età del figlio o della figlia sia inappropriato. La cura degli anziani o di parenti invalidi è un’altra considerazione. I vincoli legali associati, come l’accettazione da parte dell’altro partner di portare il figlio fuori dal Paese d’origine, le regole sulle visite, possono essere una barriera più resistente alla mobilità internazionale;
• requisiti culturali. Le aziende internazionali devono spesso dimostrare che un HCN non è disponibile prima che il governo locale conceda un permesso di lavoro e un visto d’entrata ad un PCN o TCN. Molti dei Paesi in via di sviluppo stanno modificando le loro legislazioni per facilitare l’immigrazione internazionale. È necessario che lo staff dell’HRM si tenga aggiornato sulla relativa legislazione nei Paesi nei quali la multinazionale è impegnata. Generalmente poi, il permesso di lavoro viene concesso solo all’espatriato e non al coniuge accompagnatore e questa è la causa principale di rifiuto dell’incarico da parte del dipendente selezionato. Tuttavia, anche nel caso in cui il soggetto accettasse la posizione lavorativa all’estero, si potrebbero generare problemi di adattamento al nuovo contesto ambientale da parte del coniuge, causando il fallimento dell’operazione.
Per queste ragioni molte multinazionali forniscono assistenza a tal proposito;
• lingua. Le competenze linguistiche possono essere considerate di importanza critica per qualche posizione, meno in altre, anche se alcuni sostengono che la conoscenza della lingua del Paese ospitante sia un aspetto determinante per le prestazioni dell’espatriato, indipendentemente dal livello della posizione. Le differenze linguistiche sono riconosciute
come la maggior barriera all’effettiva comunicazione interculturale21. Tuttavia l’abilità nel
parlare la lingua del Paese di destiNazione viene considerata come la meno rilevante tra i criteri di selezione. Altra componente fondamentale nelle decisioni di selezione è la conoscenza del linguaggio aziendale comune. Molte multinazionali adottano un linguaggio aziendale comune quale via per la standardizzazione nei sistemi e nelle procedure di comunicazione.
L’adozione di un linguaggio aziendale comune, o quella che viene definita come “language
standardization”22 ha innumerevoli vantaggi come, per esempio, la facilitazione nel riportare
informazioni tra le varie unità nelle località straniere, minimizzando in questo modo le possibilità di errore di comprensione nella comunicazione e permettendo un facile accesso ai documenti aziendali come manuali tecnici e riguardanti la produzione; permette di mantenere i dati e i documenti in maniera semplice; infine contribuisce a rafforzare un senso di appartenenza ad una famiglia globale, elemento fondamentale per le multinazionali. Mentre non è un problema per i PCNs selezionati nelle multinazionali dei Paesi anglosassoni, dove il linguaggio rimane lo stesso del Paese d’origine, diventa un problema di selezione nei Paesi non di lingua inglese, a meno che il distacco non avvenga in un luogo con un linguaggio condiviso. Potenziali candidati possono essere eliminati a causa della
mancanza di competenza nel linguaggio comune aziendale23. Pertanto, il possesso o meno di
tale conoscenza può limitare le multinazionali nella selezione del candidato più appropriato. • Requisiti che dipendono dalle particolarità dell’incarico:
-‐ le tipologie di operazioni: alcune di queste possono prevedere il coinvolgimento in misura maggiore di partner locali, quindi degli HCNs;
-‐ la durata e il tipo dell’assegnazione24: se il periodo di durata dell’incarico in
questione è inferiore ai sei mesi, i membri della famiglia dell’espatriato tendono a non accompagnare nel Paese d’assegnazione, così le necessità familiari non saranno un fattore rilevante nella decisione di selezione;
-‐ la quantità di conoscenza trasferita: se la natura del ruolo è quella di addestrare il personale locale, allora l’organizzazione può includere la capacità di formazione come criterio di selezione.
• L’uso di test nella selezione. In tale processo sono utilizzati innumerevoli test della personalità e test psicologici ma l’effettiva efficacia di questi test è fortemente messa in discussione. Inoltre, i modelli usati per i test psicologici non sono universali, ma cambiano da Paese a Paese e molto dipende soprattutto dalla natura soggettiva dell’assegnare un punteggio.
Nonostante tutto, i modelli derivanti da questi approcci hanno valore in quanto forniscono linee guida che possono essere seguite durante il processo di selezione anziché fare
22 MARSCHAN-‐PIEKKARI R., WELCH D. & WELCH L., 2011, Adopting a commoncorporate language: IHRM implications,
The International Journal of Human Resource Management, p. 5.
23 MARSHAN-‐PIEKKARI R., WELCH D. & WELCH L., 1999, Adopting a Common Corporate Language, International
Journal of Human Resource Management, Vol. 10, No. 3, pp. 377-‐390.
24 WELCH D. & WELCH L., 1994, Linking Operation Mode DIversity and IHRM, International Journal of Human Resource
affidamento esclusivamente alle capacità del manager. Uno di questi modelli è introdotto da
Mendenhalland e Oddou25. Essi propongono un approccio a quattro dimensioni che tentano
di collegare specifiche tendenze di comportamento a probabili performance:
-‐ self-oriented dimension: grado con il quale l’espatriato esprime una preoccupazione all’adattamento per quanto riguarda l’autoconservazione, il godimento di sé e la salute mentale;
-‐ perceptual dimension: l’esperienza che l’espatriato possiede nel capire perché i cittadini del Paese ospitante si comportano in un certo modo;
-‐ others-oriented dimension: il grado con il quale l’espatriato è interessato ai colleghi esteri e quanto desidera associarsi a loro;
-‐ cultural-toughness dimension (resistenza culturale): variabili di mediazione che riconoscono che l’aumento della cultura dipende dal grado con il quale la cultura stessa del Paese ospitante è congruente o meno con quella del Paese d’origine. La valutazione della forza o debolezza del candidato su queste quattro dimensioni focalizzerà l’attenzione sulle abilità interculturali e sul comportamento, completando così la capacità tecnica.
• Problemi di pari opportunità nel lavoro. Nei processi di reclutamento e selezione, le multinazionali devono affrontare le questioni relative alle pari opportunità per i lavoratori in tutte le locations. Determinare quali leggi applicare, in quali luoghi e capire quali hanno la precedenza è un problema senza soluzione. Le leggi sulle pari opportunità lavorative sono espressione dei valori sociali relativi al lavoro e riflettono i valori delle società e dei diversi Paesi. Quindi, le multinazionali devono avere piena consapevolezza della legislazione e garantirne il rispetto, anche nel processo di selezione.
Tra le molte classificazioni, spesso si utilizza quella denominata “Big Five”26, in cui ogni fattore ha
una relazione specifica con il successo dei soggetti in missione internazionale. Le caratteristiche sono le seguenti:
• estroversione: è un orientamento fiducioso ed entusiasta nei confronti delle circostanze della vita che comprende la capacità di provare gioia, il bisogno di stimoli e la qualità/intensità dei rapporti interpersonali;
• amabilità: include l’altruismo, il prendersi cura degli altri, il dare supporto emotivo;
25 MENDENHALL & ODDOU, The Dimension of Expatriate Acculturation. For a review of the Type a literature, see V.A.
Price, Type a Beaviour Pattern: A Model for Research and Practice. (New York: Academic Press, 1982).
26 DIGMAN J., 1990, Personality structure: The emergence of the five factor model, Annual Review of Psycology, pp.
• coscienziosità: fa riferimento a caratteristiche come l’affidabilità, la responsabilità, la volontà di avere successo, la perseveranza;
• stabilità emotiva: dimensione molto ampia che comprende caratteristiche collegate ad individui calmi, rilassati e poco emotivi;
• apertura mentale: fa riferimento all’apertura verso nuove idee, verso i valori degli altri.
1.5. Formazione e sviluppo delle risorse umane internazionali
La principale responsabilità per i manager che si occupano di gestione delle risorse umane internazionali riguarda solitamente la preparazione degli espatriati e delle loro famiglie per fronteggiare incarichi di tipo internazionale. Non bisogna dimenticare, infatti, che la preparazione dei dipendenti prescelti e dei loro familiari è importante tanto quanto il processo di selezione degli stessi. Il management delle risorse umane, che ha alle spalle esperienze di tipo internazionale, reputa essenziale fornire adeguate ed accurate informazioni riguardanti la posizione lavorativa che il candidato andrà a ricoprire. Non solo, è anche necessario informare il dipendente sulle caratteristiche del Paese in cui egli andrà a vivere per un definito periodo di tempo, più o meno lungo. Questi accorgimenti servono al fine di fare in modo che la scelta del soggetto e della sua famiglia sia frutto di un ragionamento approfondito, per evitare ritorni prematuri nel Paese d’origine. Inoltre quanto maggiore è la consapevolezza della bontà della scelta compiuta, tanto aumenteranno le probabilità di successo degli incarichi degli espatriati.
Tutte le operazioni di orientamento e di formazione dovrebbero essere focalizzate sui valori culturali, le normative presenti nel Paese d’assegnazione e sui contrasti esistenti tra questi ultimi e quelli presenti nel Paese d’origine. Prima di tutto, il management dovrebbe riconoscere i vari tipi di difficoltà all’interno del caso specifico; essi variano da problemi nelle relazioni lavorative, problemi all’interno delle famiglie degli espatriati, a difficoltà tra i governi dei Paesi coinvolti. Ognuno di questi problemi presenta una sua soluzione specifica.
Secondo Tarique e Caligiuri27, la strategia da seguire per progettare iniziative di formazione interculturale attraversa cinque fasi:
• identificare il tipo di incarico internazionale per cui è necessario una formazione interculturale;
• determinare gli specifici fabbisogni di formazione interculturale (a livello organizzativo, per l’incarico e a livello individuale);
• stabilire gli obiettivi e le misure per determinare l’efficacia della formazione interculturale; • sviluppare e mettere in atto un programma di formazione interculturale;
• valutare se il programma di formazione interculturale è stato efficace.
Molti autori sostengono che il processo di formazione deve essere realizzato in maniera conforme
allo specifico bisogno che si deve affrontare28. Alcune imprese dividono il processo di preparazione
degli espatriati in due categorie: counseling e training29.
27 TARIQUE I. & CALIGIURI P., Effectiveness of in-‐country cross cultural training: role of cross-‐cultural absorpitive
capacity. Paper presenter at 62th Annual Academy of Management Meeting, Denver, CO, 2003.
28 BLACK J.S. & MENDENHALL M., 1989, Selecting Cross-‐Cultural Training Methods: A Pratical yet Theory-‐Based
Approach, Human Resource Management, 28(4), pp. 511-‐540.
FONTE: EVANS P., PUCIK V. & BARSOUX J.L., The Global Challenge, Mc-GrawHill, p.119.
Come si evince dallo schema, le prime operazioni hanno come oggetto i meccanismi del muoversi in un contesto internazionale, mentre le seconde hanno come obiettivo finale lo sviluppo delle competenze e della sensibilità ad un nuovo contesto culturale, che permetteranno al dipendente ed alla sua famiglia di adattarsi e di essere addirittura entusiasti del cambiamento.
Dunque, per competere con successo in un mercato globale, le imprese si focalizzano sul ruolo delle risorse umane quale parte critica delle loro competenze di base e fonti di vantaggio competitivo training in-house.
“Le risorse umane si riferiscono allo stock accumulato di conoscenza, abilità, e capacità che gli
individui possiedono e che l’azienda ha saputo costruire nel tempo in un’esperienza precisa”30.
Solitamente, dato che il primo criterio di selezione è il possesso o meno di abilità tecniche e manageriali, le attività pre-partenza si concentrano maggiormente sul cercare di sviluppare nel soggetto un’adeguata consapevolezza culturale. La formazione della multiculturalità (formazione alla consapevolezza culturale) non punta solamente alla comprensione dei comportamenti da adottare, ma punta anche ad aumentare la coscienza delle differenze e delle similarità tra le culture per permettere un più rapido processo di apprendimento in condizioni di forte incertezza ed
ambiguità31. Quindi, l’obiettivo principale dell’allenamento pre-partenza è quello di aiutare il futuro
espatriato ad affrontare eventi inaspettati all’interno di una nuova cultura.
Gli studi indicano che le componenti essenziali dell’allenamento pre-partenza, i quali contribuiscono ad una transizione più armonica in un Paese straniero, sono: consapevolezza culturale, visite preliminari, istruzioni sulla lingua e assistenza pratica.
• programmi di consapevolezza culturale. Sono la forma più comune di training perché, per rendere efficace l’intera operazione, l’espatriato deve adattarsi e non sentirsi isolato nel Paese ospitante. Le componenti di questi programmi, come la durata e la tipologia di
supporto, variano da Paese a Paese, ma Tung32 riuscì ad identificare cinque categorie di
allenamento pre-partenza in base al tipo di lavoro ed al luogo in questione. Esse sono: -‐ studi di area: programmi di documentazione che riguardano la geografia, l’economia,
la storia socio-politica;
30 KAMOCHE K., 1996, Strategic Human Resource Management with a Resouce-‐Capability view of the Firm, Journal of
Management Studies, Vol. 33, No. 2, p. 216.
31 PRANDSTRALLER B. & QUAQUARELLI B., Op. cit., p. 136.
32TUNG R., 1986, Selecting and Training of Personnel for Overseas Assignements, Columbia Journal of World Business,
-‐ assimilatori di cultura: l’esposizione dei futuri espatriati a tipi di situazioni che probabilmente affronteranno e che sono critiche al fine di ottenere delle interazioni positive;
-‐ formazione linguistica;
-‐ formazione alla sensibilità culturale;
-‐ esperienza sul campo: l’esposizione a persone di altre culture all’interno del proprio Paese.
Per capire le possibili variazioni nelle modalità di training per l’espatriato, Tung propose due variabili fondamentali: il grado di interazioni richieste nella cultura ospitante e la somiglianza tra la cultura propria e quella del Paese ospitante. Tung ha notato che se le interazioni tra l’individuo e i membri del Paese ospitante sono basse e il grado di diversità tra le culture è esiguo, allora le attività pre-partenza saranno minori ed il training meno rigoroso. (viceversa nella situazione opposta).
Una critica a tale modello è che esso non assiste l’utilizzatore nella determiNazione di quali metodi specifici di allenamento pre-partenza servano o cosa si intenda per training rigoroso.
Dopo dieci anni Tung33 ha rivisitato il modello, apportando alcune modifiche:
-‐ il training dovrebbe essere orientato in misura maggiore all’apprendimento nel lungo termine e non risolversi in un programma momentaneo;
-‐ all’apprendimento della lingua del Paese di destiNazione dovrebbe essere conferita più importanza;
-‐ il training dovrebbe puntare al miglioramento delle competenze comunicative in maniera tale che l’espatriato acquisisca anche una maggiore sensibilità nei confronti della cultura e del sistema di valori stranieri;
-‐ maggior realismo per facilitare la performance.
Altri autori intervenuti nel campo della formazione del personale per ruoli esteri furono Mendenhall
e Oddou34 che estesero il modello precedente proponendo tre dimensioni per identificare il tipo di
training adatto in ogni tipo di situazione: metodi di allenamento, durata e livello di rigore. Per esempio, se il livello atteso di interazione tra l’individuo e i membri del Paese ospitante è basso e il grado di somiglianza tra le culture è alto, la durata dell’allenamento sarà probabilmente meno di una settimana. Nel caso opposto, il training durerà da una a quattro settimane. Se l’espatriato andrà in un Paese completamente diverso per cultura, abitudini, valori e il grado di interazioni atteso è alto,
33 TUNG R., 1998, A Contingency Framewwork of Selection and Training of Expatriates Revisited, Human Resource
Management Review, Vol. 8, No. 1, pp. 23-‐37.
34 MENDENHALL M. & ODDOU G., 1987, Acculturation Profiles of Expatriate Managers, Human Resource
allora esso potrà durare fino a due mesi. In quest’ultimo caso, ovviamente, il training sarà anche molto più rigoroso.
• visite preliminari. Spesso è previsto che il dipendente, ed eventualmente il partner, vengano inviati in un “viaggio preliminare” nel Paese ospitante. Ciò permette loro di valutare la situazione e di prendere una decisione più consapevole per quanto riguarda l’incarico. Le visite non sono previste se il Paese è già conosciuto o è culturalmente simile a quello d’origine.
• lingua. Si cerca di capire perché a tale questione sia data poca importanza. È generalmente condiviso l’uso dell’inglese come lingua comune del business, quindi, nei Paesi dove si
parla già inglese viene data meno importanza a tale fase in quanto inutile. Fixman35 trovò
che l’avere dimestichezza nel parlare la lingua del Paese di destiNazione è necessario anche per comprendere in maniera più completa la cultura. Secondo tale studioso, i problemi relativi alla mancanza di conoscenza della lingua sono facilmente risolvibili, ma hanno implicazioni strategiche e operative, come quella di limitare il controllo dei competitors e di non avere la possibilità di ottenere un’informazione più approfondita.
La buona conoscenza della lingua, invece, aumenta l’efficacia dell’operazione, l’abilità dell’espatriato di negoziare.
L’eventuale omissione dell’insegnamento della lingua all’interno delle attività di allenamento pre-partenza dipende dalla durata dell’incarico.
Le multinazionali, poi, come si sottolineava nel paragrafo precedente, tendono ad usare un linguaggio comune per facilitare il reporting e il controllo.
Fornire un buon insegnamento della lingua gioca un ruolo importante per la multinazionale stessa nel garantire che l’organizzazione abbia facilmente accesso a tutto ciò di cui ha bisogno. A partire dagli anni Settanta del XX secolo ed, in particolare, da quanto le organizzazioni iniziarono ad espandersi a livello internazionale, cominciarono ad essere forniti dei corsi di lingua inglese, dato il crescente bisogno di usare una lingua comune tra gli headquarter delle unità appena acquisite. Una volta che l’organizzazione ha stabilito una lingua comune, diventa importante sviluppare programmi di addestramento e di gestione del personale in vista di eventuali incarichi internazionali. Come si evince dalla figura sottostante, per coloro che non acquisiscono un grado di conoscenza soddisfacente per
quanto riguarda la lingua comune, non ci saranno opportunità di partecipare ad attività
internazionali ed essi rimarranno ad occuparsi delle operazioni a livello locale36.
FONTE: MARSCHAN-PIEKKARI R., WELCH D. & WELCH L., 2011, Adopting a common corporate language: IHRM implications, The International Journal of Human Resource Management, p. 384.
• assistenza pratica. Un’altra componente del training pre-partenza è cercare di fornire informazioni che assistono il dipendente e la sua famiglia nel trasferimento. Essa è importante per l’adattamento nel nuovo ambiente e può consistere nel trovare scuole o strutture per i figli dell’espatriato, nell’effettuare ulteriori corsi della lingua del Paese di destiNazione o programmi di orientamento per gli espatriati e le loro famiglie.
• allenamento per il ruolo di training. Può anche capitare che gli espatriati siano mandati in un altro Paese con lo scopo di insegnare e preparare gli HCNs. La questione principale è capire se essi sono preparati per ricoprire tale ruolo. L’abilità di trasferire le conoscenze e le competenze, nonostante possano emergere diversità di atteggiamento nell’affrontare i problemi, fa parte del programma di allenamento pre-partenza, soprattutto se poi l’espatriato a sua volta deve insegnare.
36 MARSCHAN-‐PIEKKARI R., WELCH D. & WELCH L., 2011, Adopting a commoncorporate language:IHRM implications,