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Gestire la mobilità internazionale

 

4.1.  La  libera  circolazione  delle  persone  

Il principio di libera circolazione è previsto dall’art. 45 TFUE per i lavoratori, dall’art. 49 TFUE per lo stabilimento e dall’art. 56 TFUE per i servizi.

Le norme che regolano tale materia si articolano generalmente in due parti: la prima parte riguarda la libera circolazione in senso stretto, quindi delle persone fisiche ed, in particolar modo, dei lavoratori subordinati; la seconda, invece, è relativa alle persone fisiche o giuridiche che esercitano un’attività d’impresa ed i lavoratori autonomi che esercitano un’arte o libera professione.

Il principio di libera circolazione delle persone – come dispone in generale l’art. 8A187 del TUE - si

applica ai cittadini degli Stati membri e a tutte le attività professionali, a tempo pieno e a tempo parziale, salariate e non salariate.

Diverse disposizioni legislative regolano poi nello specifico tale principio riferendosi a differenti categorie che riguardano i lavoratori subordinati, i lavoratori autonomi, gli studenti: sono la direttiva 90/364/CEE del 28 giugno 1990 relativa al diritto di soggiorno, la direttiva 90/365/CEE del 28 giugno 1990 relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati, la direttiva 90/366/CEE del 28 giugno 1990 relativa al diritto di soggiorno degli studenti. Esse riconoscono il diritto di soggiorno ai soggetti in questione ed ai relativi parenti, a condizione che ciò non costituisca un onere eccessivo per le finanze pubbliche dello Stato ospitante

Più recentemente la disciplina è stata riorganizzata con la Direttiva 2004/38, nella quale si chiarisce che il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri è conferito ad ogni cittadino dall’Unione, e che la libera circolazione delle persone rappresenta una delle libertà fondamentali non solo degli individui, ma anche del mercato interno.

L’aspetto più rilevante sul piano economico attiene comunque alla libera circolazione dei lavoratori subordinati, la cui principale conseguenza è l’abolizione di qualsiasi discrimiNazione fondata sulla nazionalità, tra i cittadini europei per tutto quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro, e rende ciascun lavoratore libero di accedere ai posti di lavoro disponibili in tutti gli Stati membri. Ciò avviene generalmente perché in un determinato Paese la domanda di lavoro è più elevata, ovvero perché la retribuzione e le condizioni lavorative sono migliori altrove piuttosto che nel proprio Paese d’origine.

Oltre alla parità di trattamento, ai lavoratori vengono conferiti altri diritti quali:

                                                                                                                         

187  “Ogni  cittadino  dell’Unione  ha  il  diritto  di  circolare  e  di  soggiornare  liberamente  nel  territorio  degli  Stati  membri,  

fatte  salve  le  limitazioni  e  le  condizioni  previste  dal  presente  trattato  e  dalle  disposizioni  adottate  in  applicazione  dello   stesso”  Trattato  di  Maastricht,  art.  8A.  

• la possibilità di rispondere ad offerte di lavoro effettive;

• la possibilità di spostarsi liberamente nel territorio degli Stati membri;

• la possibilità di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali;

• la possibilità di rimanere, a condizioni che costituiranno oggetto di regolamenti d’applicazione stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo avervi ottenuto un impiego.

Nell’art. 56 TFUE, in particolare, è tutelata la libera prestazione dei servizi, le cui restrizioni sono vietate all’interno dell’Unione nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un Paese dell’Unione che non sia quello del destinatario della prestazione.

Nell’art. 57 TFUE, si sottolinea la possibilità per il prestatore di esercitare a titolo temporaneo la sua attività nel Paese dove la prestazione è fornita alle stesse condizioni imposte dal Paese stesso ai propri cittadini.

Come spiegato da Calamia e da Vigiak, “la libera prestazione dei servizi comporta l’obbligo per gli Stati membri di rimuovere le restrizioni che impediscono ai cittadini di uno Stato membro di prestare la propria attività a favore di un beneficiario che si trovi in un altro Stato membro oppure di

prestarvi occasionalmente la propria attività alle condizioni previste dalla disciplina ivi vigente”188.

È necessario ricordare tuttavia che il diritto alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione può comunque essere subordinato alle condizioni previste dal Trattato e dalle disposizioni di attuazione relative. A tal proposito, ad esempio, l’art. 27, n. 1 della direttiva 2004/38, consente agli Stati membri di limitare la libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione o dei loro familiari, per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Nonostante si tratti di una direttiva - che prevede dunque la possibilità per gli Stati membri di determinare l’attuazione pratica secondo le necessità nazionali, i motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza - tali esigenze devono comunque essere sottoposte al controllo delle istituzioni della Comunità europea in quanto prevedono ed autorizzano gli Stati membri a derogare il principio fondamentale della libera circolazione delle persone.

In ogni caso, anche laddove si volesse determinare la sospensione di tale principio, è necessaria l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società. Secondo l’art. 27, n. 2 della stessa direttiva, infatti, i provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza per essere giustificati devono essere fondati esclusivamente sul comportamento personale della persona nei riguardi della quale vengono

                                                                                                                         

applicati mentre giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non possono essere presi in considerazione.

4.2.  La  mobilità  estera  

Quanto all’odierno quadro sulla mobilità europea dei lavoratori, va rilevato che sempre meno la

circolazione della forza lavoro riguarda l’emigrazione tradizionalmente conosciuta189, ovvero quella

di una mano d’opera poco qualificata che viaggia a livello internazionale per la ricerca di un’occupazione. Essa, al contrario, fa ormai sempre più parte di una mano d’opera qualificata in termini medio-alti che ricerca intenzionalmente la possibilità di migliorare la propria carriera

lavorativa attraverso un’esperienza all’estero.

La globalizzazione ha determinato un cambiamento nelle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro. Esigenze produttive e organizzative hanno portato sempre più frequentemente ad effettuare operazioni di distacco del lavoratore all’estero, perfino al di fuori dei confini dell’Unione Europea, e anche a trasferirlo in via temporanea o addirittura permanente presso le diverse unità produttive appartenenti alla medesima azienda e, comunque, presso un’unità produttiva diversa da quella in cui normalmente svolge la propria prestazione lavorativa.

Le motivazioni di tale fenomeno sono principalmente due:

• l’esigenza di dinamismo e di creatività per le imprese medio-grandi e grandi; • l’internalizzazione dei gruppi dirigenti.

Sec Carinci F., “l’attività imprenditoriale, infatti, è sempre più caratterizzata dal fenomeno del decentramento produttivo. Decentrare significa commissionare ad altro soggetto economico alcune parti del processo produttivo necessario per creare il bene o servizio proprio dell’attività di una certa impresa: sia che ciò abbia luogo all’interno, con l’utilizzo di altra azienda, la quale porta dentro la prima il proprio personale, sia che questo avvenga verso l’esterno, ad esempio con un

ordinario appalto ad altra impresa, o con lavoro a domicilio”190.

In questa prospettiva di un mercato integrato, è evidente quindi che hanno progressivamente perso importanza taluni aspetti del tradizionale statuto giuridico del lavoro emigrante, e ne hanno guadagnati altri, connessi alle nuove caratteristiche sociali e professionali dei soggetti chiamati alla mobilità191.

                                                                                                                         

189  TREU  T.,  1992,  Una  soluzione  europea  per  la  mobilità  intraziendale,  in  rivista  IFAP,  p.  1.  

190   CARINCI   F.,   DE   LUCA   TAMAJO   R.,   TOSI   P.   &   TREU   T.,   2013,   Diritto   del   lavoro:   il   rapporto   di   lavoro   subordinato,  

UTET,  p.  170.  

Nella nuova concezione di mobilità internazionale si possono distinguere innumerevoli figure, diverse tra loro per la relativa modalità di gestione delle risorse umane, per l’individuazione della fonte giuridica di ognuna all’interno del contratto di lavoro e per la scelta di diritto legale e contrattuale da applicare.

Le principali forme di mobilità dei lavoratori in ambito europeo sono: 1. la trasferta;

2. il trasferimento; 3. il distacco;

La distinzione tra trasferta e trasferimento conserva ormai una limitata efficacia descrittiva, nel senso che essa sembra evocare situazioni diverse in relazione alla durata e alla stabilità del

soggiorno estero192. Basandosi su questi due criteri, infatti, l’unica distinzione che può essere

effettuata tra i due termini è che il trasferimento normalmente è caratterizzato da stabilità temporale, mentre la trasferta è provvisoria.

Le prime due forme di mobilità rappresentano una situazione contrattuale in cui il rapporto si concentra in due soli soggetti, ovvero il dipendente ed il datore di lavoro, nel comando o distacco emerge anche una terza figura. Infatti, in quest’ultimo caso, “il datore di lavoro, nel legittimo esercizio dei suoi poteri direttivi, pone il lavoratore a disposizione di un altro soggetto per l’esplicazione della sua attività lavorativa e dà luogo, non già all’estinzione dell’originario rapporto di lavoro ed al sorgere di un nuovo rapporto con detto soggetto, bensì ad una modificazione delle modalità di esecuzione dell’obbligazione fondamentale, nel senso che esso non deve più adempierla nei confronti del suo datore di lavoro ma a favore del soggetto suindicato, a condizione che sussista

il requisito della temporaneità del distacco e permanga l’interesse del datore al distacco stesso”193.

Tuttavia, è anche possibile “il sorgere di un distinto rapporto con altro imprenditore al fine di realizzare l’interesse del primo imprenditore e che il secondo utilizzi la prestazione lavorativa del dipendente, con contestuale sospensione delle obbligazioni nascenti dal rapporto originario, con la

conseguenza che i due rapporti restano autonomi e separati”194. Spesso, inviare un lavoratore

all’estero non è un’operazione semplice per due motivazioni principali: prima di tutto, è necessario rispettare la normativa che è in continua evoluzione e, secondariamente, bisogna rapportarsi con orientamenti giuridici differenti. La maggiore difficoltà sta nel determinare la tipologia contrattuale da attribuire ad un determinato incarico. A questo proposito, per le tipologie di mobilità estera, il punto di partenza al fine di chiarire di che specifica tipologia si tratta, è determinare e definire il rapporto tra le seguenti figure:

                                                                                                                         

192  BEREAURD  J.  M.,  1991,  Le  depart  pour  l’étranger  du  salarié  détaché  ou  expatrié,  in  DS,  p.  828.   193  Cass.,  26  maggio  1993,  n.  5907,  in  GI,  1996,  I,  1,  848;  Cass.,  22  gennaio  1987,  n.  614,  in  MGC,  1987.   194  Cass.,  16  luglio  1986,  n.  4604,  in  GC,  1987,  141.  

• il dipendente;

• il datore di lavoro che si trova nel Paese d’origine del lavoratore;

• l’impresa del Paese ospitante, presso cui il dipendente deve eseguire una prestazione lavorativa.

È interessante notare come queste forme lavorative che prevedono comunque uno spostamento all’estero siano state considerate prevalentemente come atipiche; infatti, una corretta analisi delle diverse tipologie di mobilità internazionale deve partire dalla premessa che le imprese che procedono all’invio all’estero dei propri lavoratori, quasi sempre costituiscono dei regolamenti contrattuali ad hoc, negoziati a livello individuale e modellati su esigenze specifiche di un gruppo ristretto di soggetti interessati o, addirittura, di un unico soggetto195. Quindi, le tre variabili che servono per determinare la giusta tipologia contrattuale per un determinato incarico sono la durata dell’assegnazione, il soggetto che beneficia della prestazione ed, infine, la forma giuridica dell’entità estera.

4.2.1.  La  trasferta  

La dottrina definisce la trasferta come “la dislocazione del lavoratore in una sede diversa da quella originaria, limitata temporalmente da un termine di durata prefissato in modo esplicito o

implicito”196. Il criterio principale che serve per ascrivere una forma di incarico internazionale

all’interno della trasferta, quindi, è la temporaneità dello svolgimento della prestazione in territorio estero, anche se nessuna disposizione ne chiarisce precisamente la durata. Diversi problemi sono sorti nel definire in maniera più precisa il carattere della temporaneità e tale difficoltà ha dato luogo all’emergere di diverse interpretazioni: “l’opinione prevalente è che l’assegnazione estera del lavoratore sarebbe tendenzialmente collegata ad esigenze eccezionali o occasionali dell’impresa, le quali, pur potendo comportare un soggiorno fuori dai confini nazionali di non breve durata, non

producono mutamento stabile e definitivo del luogo di adempimento della prestazione”197.

Una seconda ipotesi considera lo spostamento all’estero del soggetto, per volere dell’organizzazione, una situazione presumibilmente continuativa, con la conseguenza di offrire al

lavoratore la possibilità di riorganizzazione della sua vita sociale e familiare198.

                                                                                                                         

195  CARINCI  F.,  DE  LUCA  TOMAJO  R.,  TOSI  P.  &  TREU  T.,  1998,  I  contratti  di  lavoro  internazionali,  UTET,  p.200.   196  Cass.,  26  gennaio  1989,  n.  469,  in  RGL,  1990,  142.  

197  Cass.,  12  agosto  1987,  n.  6897,  in  RCG,  1987,  voce  Rapporto  di  lavoro,  n.  1021;  Cass.,  26  maggio  1983,  n.  3653,  in  

MGL,  1983,  228.  

In ogni caso, l’approccio che sembra più facilmente percorribile è quello di identificare la tipologia di invio all’estero una volta terminato lo stesso, e quindi in un’ottica ex-post; questo deve valere qualora non siano presenti specifici parametri di riferimento legale o contrattuale. Tale istituto è caratterizzato dall’elemento della provvisorietà, che fa sì che non sia possibile far coincidere il luogo di lavoro del soggetto con la sua residenza. Per essa è solitamente prevista una particolare indennità, l’indennità di trasferta, al fine di compensare il lavoratore delle spese di viaggio, vitto e alloggio. Per esempio, all’art. 7 CCNL metalmeccanici, viene esplicitato “Ai lavoratori comandati a prestare la propria opera fuori dalla sede, dallo stabilimento, dal laboratorio o cantiere per il quale sono stati assunti o nel quale fossero stati effettivamente trasferiti, compete un'indennità di trasferta che per sua natura ha lo scopo di risarcire forfettariamente le spese dagli stessi sostenute nell'interesse del datore di lavoro relative al pernottamento e ai pasti. Per tale motivo detta indennità non ha natura retributiva anche se corrisposta con continuità ai lavoratori che prestano attività lavorativa in luoghi variabili o diversi da quello della sede aziendale e/o di assunzione”.

Le parti confermano che l'indennità così come disciplinata nel presente articolo continua ad essere esclusa dal calcolo della retribuzione spettante per tutti gli istituti di legge e/o contrattuali. Dunque, la trasferta consiste nel mutamento temporaneo del luogo di esecuzione della prestazione, nell’interesse e su disposizione unilaterale del datore di lavoro; il consenso del lavoratore non è richiesto. Inoltre, “il dipendente continua a rispondere gerarchicamente al proprio datore di lavoro e svolge la sua attività ad esclusivo beneficio di quest’ultimo, (…), nessun tipo di rapporto intercorre tra dipendente e soggetto presso il quale la prestazione è posta in essere”199. Si differenzia dal trasferimento per la temporaneità dello spostamento. Oltre all’indennità di trasferta, per la quale è prevista un’esenzione ai fini IRPEF, i CCNL in vigore nei diversi settori produttivi stabiliscono un trattamento diverso per le ore di lavoro in trasferta rispetto alle normali ore lavorative svolte nella sede abituale.

Alla trasferta, infine, non si applica la regola di necessaria giustificazione sancita per il trasferimento, sicchè la stessa può essere attaccata dal lavoratore solo comprovandone il motivo illecito o la natura discriminatoria o fraudolenta in quanto diretta a realizzare un trasferimento ingiustificato200.

                                                                                                                         

199   DELLI   FALCONI   F.,   MARIANETTI   G.;2007,   Livelli   di   retribuzione   per   il   calcolo   del   carico   fiscale   dei   lavoratori  

dipendenti  operanti  all’estero,  Corriere  Tributario  08,  625-­‐630.  

4.2.2.  Il  trasferimento  

Anche nel caso del trasferimento, regolato nell’ordinamento italiano dall’art. 2103 c.c., come in quello della trasferta, vi sono opinioni discordanti sull’identificazione della nozione. Secondo una visione più restrittiva con trasferimento si intende “lo spostamento definitivo del lavoratore all’estero, intendendosi per definitiva, la permanenza all’estero fino alla normale estinzione del

rapporto”201. Secondo un’altra prospettiva, invece, affinché si parli di trasferimento è sufficiente che

la permanenza all’estero del soggetto in questione sia priva del carattere della precarietà202, anche se

non è stato definito in maniera chiara cosa debba intendersi per carattere precario della permanenza a livello internazionale.

La giurisprudenza ha assunto una posizione di compromesso, secondo cui si può parlare di trasferimento quando esso può intendersi come assegnazione permanente del dipendente ad una

sede estera se la stabilità della permanenza è stata oggetto di specifica obbligazione203.

Tale istituto può essere messo in atto dal datore di lavoro nel caso in cui siano presenti “comprovate

ragioni tecniche, organizzative e produttive”204. Il trasferimento, dunque, a differenza del distacco e

della trasferta che sono caratterizzati dal requisito indispensabile della temporaneità, comporta lo spostamento del lavoratore da un’unità produttiva ad un’altra della medesima azienda. Non sussistono obblighi di forma da rispettare anche se, nella maggioranza dei casi, la contrattazione collettiva prevede la forma scritta.

Spetta al datore di lavoro, in base alla regola generale dell’art. 2697 c.c., l’onere di provare le necessità del trasferimento, le cui scelte economiche non sono comunque sindacabili dal giudice che può solo verificarne l’effettività ed accertare l’esistenza di una congruenza tra tali scelte e l’esigenza del trasferimento.

L’istituto del trasferimento è disciplinato in parte anche dalla contrattazione collettiva, che prende in considerazione, cercando di bilanciarle, le esigenze aziendali e le condizione personali e familiari del lavoratore. Le prime possono essere, per esempio, la necessità di mandare un determinato impiegato ad occupare una specifica posizione in un’altra azienda per le sue ottime competenze o, al contrario, perché non è più conveniente utilizzare quel lavoratore nella casa madre. Altre motivazioni alla base del trasferimento possono riguardare l’incompatibilità del soggetto con diversi elementi nella struttura organizzativa: tensione ambientale ed incompatibilità con i colleghi. Inoltre, per i dipendenti pubblici rinviati a giudizio per peculato, concussione o corruzione, è previsto il trasferimento d’ufficio o, perfino, di sede se necessario ad evitare il discredito della pubblica

                                                                                                                         

201  Cass.,  26  gennaio  1989,  n.  475,  in  MGC,  1989;  Cass.,  12  agosto  1987,  in  MGC,  1987.   202  Cass.,  5  settembre  1987,  n.  7218,  in  OGL,  1988,  235.  

203  Cass.,  25  febbraio  1987,  n.  2015,  in  MGL,  1987,  48.   204  Art.  2103,  co.  1,  cod.  civ.    

amministrazione205. Tra le seconde invece rientrano l’impossibilità di trasferire lavoratori con una lunga anzianità di servizio; inoltre, sono presenti delle clausole secondo cui il datore di lavoro deve tenere conto anche degli interessi del lavoratore, pur potendo, comunque, far prevalere le oggettive ragioni aziendali. La disciplina del trasferimento, come quella della modificazione delle mansioni presenta lo stesso trattamento di nullità di ogni patto contrario secondo l’art. 2103, 2° co, c.c. La nullità fa riferimento ai patti preventivi, ovvero disposizioni prese tra le parti per regolare l’istituto del trasferimento in maniera diversa rispetto alle disposizione dettate dalla legge, salve le condizioni più favorevoli ai lavoratori. Vi sono, inoltre, una serie di divieti che proteggono gli interessi prevalenti su quello aziendale: per prima cosa, il trasferimento dei dirigenti sindacali aziendali può avvenire solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza per il periodo di durata della carica e sino alla fine dell’anno successivo; altri divieti di trasferimento riguardano i lavoratori che ricoprono la carica di consigliere comunale o provinciale per il periodo di esercizio del mandato; le persone portatrici di handicap grave, cui spetta il diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio; i lavoratori che assistono con continuità un congiunto, anche non convivente, portatore di handicap, che hanno anche il diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio; le lavoratrici madri fino al compimento di un anno di età del bambino.

Se vi è pericolo di un effettivo pregiudizio imminente ed irreparabile per beni fondamentali quali i rapporti familiari e sociali o la salute, può essere concesso un provvedimento d’urgenza per la sospensione degli effetti del trasferimento illegittimo, mentre sarebbe inammissibile, un ordine cautelare di reintegrazione nella precedente unità produttiva. Il lavoratore, a prescindere dalla tutela giurisdizionale, può attuare un’autotutela individuale rifiutando di accettare il trasferimento illegittimo e continuando ad offrire la prestazione nelle unità produttive di provenienza. Tuttavia, il lavoratore può anche decidere di ottemperare al trasferimento illegittimo e richiedere il risarcimento di eventuali danni causati dall’illecito contrattuale del datore di lavoro.

   

4.3.  Il  distacco  

L’istituto del distacco è il risultato di una serie di innumerevoli interventi giurisprudenziali, dottrinali, giudiziali e di prassi imprenditoriali, teso a ricavare un legittimo ambito di utilizzo

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