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Esperienze con le fonti orali e narrazione Alessandro Portell

Fonti orali nel teatro

XI. Esperienze con le fonti orali e narrazione Alessandro Portell

L’intervento che segue è la trascrizione, revisionata e corretta dall’autore, del suo intervento alle giornate di studio di Imperia, avvenuto tramite collegamento skype. Le curatrici hanno inserito alcune note redazionali al fine di dare maggiori coordinate storiche al lettore in relazione ad alcuni eventi ricordati da Portelli nell’intervento.

Arrivo alle fonti orali per altre strade, una delle quali è il Nuovo Canzoniere Italiano/Istituto Ernesto De Martino, in cui fin dall’inizio era molto presente la consapevolezza che il lavoro di ricerca sul mondo popolare non si può limitare alla pura e fondamentale operazione della ricerca storica e alla costruzione di archivi (non dimentichiamo che l’Istituto De Martino creò il primo grande archivio sonoro d’Europa), ma ha bisogno di forme di comunicazione che raggiungano altri destinatari. Perciò l’esperienza della performance in generale caratterizza tutta questa storia di De Martino/Nuovo Canzoniere Italiano. Ricordiamo l’episodio fondante del Festival dei Due mondi di Spoleto,151 la collaborazione anche difficile con Dario Fo negli anni Sessanta e così via.152

Per quanto riguarda me, fin dall’inizio, mi sono reso conto di una cosa: la narrazione orale è una performance, una maniera di mettersi in scena e in campo, in cui giocano una quantità di elementi. I colleghi e compagni che lavorano col video, per esempio, sono molto consapevoli che c’è di mezzo il corpo, e che comunque, nella misura in cui il lavoro della ricerca sul campo è un lavoro di incontro tra persone, la compresenza dei corpi è fondamentale e già questo istituisce un elemento di teatro, di performance dal vivo. Io ho cominciato ad accorgermi di questa possibilità già in un workshop negli Stati Uniti, a Baltimora nell’86, sulle esperienze di teatro basato sulle fonti orali, in cui tra l’altro si ragionava abbastanza sulle modalità d’approccio: cioè, tu fai un lavoro di fonti orali e poi scegli il teatro come forma di comunicazione dei suoi esiti, oppure hai il progetto teatrale e lo sostanzi facendo ricerca sul campo con le fonti orali? Le due cose ovviamente si incontravano, ma

151 Al Festival dei Due mondi di Spoleto del 1964 venne presentato lo spettacolo del Nuovo Canzoniere Italiano Bella ciao, con

canzoni popolari italiane, curato da Roberto Leydi, regia di Filippo Crivelli e testo di Franco Fortini: l’esecuzione del brano Gorizia suscitò polemiche e una denuncia per vilipendio alle forza armate.

152 Sul complesso rapporto fra Nuovo Canzoniere Italiano e Nuova scena di Dario Fo si possono leggere le pagine di Cesare Bermani

erano storie abbastanza dirette di gruppi diversi.

Io avevo fatto questo lavoro su Terni, cominciato nel ’72 e pubblicato nell’85 (Portelli 1985); poi ho ri-pubblicato un altro libro su Terni (Portelli 2007a), che ora sto traducendo in inglese perché

Biografia di una città l’anno prossimo esce anche negli Stati Uniti.

In quel periodo, invece, negli anni Ottanta, stavo iniziando il lavoro sul Kentucky, che è durato dal ’72 all’89, e contemporaneamente insegnavo.153 L’idea di usare le fonti orali nella didattica e usare

forme di attività didattica che coinvolgessero gli studenti anche come attività teatrale venne quasi inevitabile. Per cui quello che facemmo, e che culminò attorno al 1990-91 ed è la prima esperienza teatrale effettiva, fu una cosa in cui con un gruppo di studenti mettemmo su uno spettacolo che chiamammo Quilt, che sarebbe la famosa coperta patchwork appalachiana, dove utilizzavamo una serie di fonti: letterarie, memorialistiche, tutto il primo blocco delle mie prime interviste appalachiane e anche alcune scene del film Harlan County, USA di Barbara Kopple. Al centro di questo progetto c’era la tensione generazionale all’interno ai movimenti di conflitto sociale, per cui il momento teatrale più alto era la semplice ri-messa in scena di un pezzo di un’intervista – in realtà, un diverbio in cui ero al margine – fra due minatori, un uomo e una donna, che litigavano fra loro sulla presenza femminile in miniera. Il tema delle relazioni di genere e di generazione all’interno di un conflitto di classe era il tema al centro di questa performance, che era poi arricchita, come tutte le cose in cui sono entrato io, dalla musica naturalmente.

Devo dire che la cosa nasce perché io avevo fatto prima un seminario sulla canzone popolare e le ballate in America, perché mi ero reso conto di insegnare a una classe piena di studenti che sapevano fare musica. L’anno dopo mi trovo un paio di studenti che lavorano in teatro e sono io a dire: integriamo musica e teatro. Quindi Quilt è la prima esperienza, l’abbiamo portata in giro in vari posti in Italia: naturalmente a Piadena, a Crema, a Isernia… ricordo una volta in Toscana, nei momenti in cui stava sciogliendosi il PCI, noi facemmo questa performance e i nostri amici locali ci dissero: «Ci fate venire una tale voglia di comunismo!». Quindi, diciamo, l’impatto comunicativo era, andando avanti, lo stesso che ebbe poi il libro.

La cosa poi si ripete qualche anno dopo con l’incontro con Ascanio Celestini. Io scrivo L’ordine è

stato eseguito (Portelli 2004), sulla memoria della Fosse Ardeatine, casualmente incontro Mario

Martone, che dirigeva allora il Teatro di Roma (lui stava inaugurando il Teatro India e mi chiese di

fare una piccola storia orale di quello che era prima quello spazio, che era una fabbrica prima di diventare teatro, c’è anche questo tipo di relazione: un sacco di teatri sono ex fabbriche, c’è anche questa relazione tra questa memoria e questi teatri), io gli portai il libro e gli dissi: secondo me, questa è una cosa che deve avere uno sbocco teatrale.

Io avevo in testa un’idea simile a una specie di sacra rappresentazione, molto solenne, lui, invece, mi dice subito: «Qui ci vuole Marco Paolini». Io dico no, non si può fare con lui perché questa è una storia troppo romana. Passato qualche mese, mi chiama per dirmi di aver trovato la persona giusta. Vado a sentire Ascanio Celestini e dico: «questo è un genio, ma è troppo divertente; come farà a portare una storia come questa?». Dopo quindici giorni Ascanio arriva con quello che sarà il canovaccio di Radio Clandestina, anche se poi non è cambiato quasi nulla da questa prima stesura. Devo dire intanto una cosa: il mio libro non ho la minima idea di quante persone lo abbiano letto, Ascanio è stato visto da almeno centomila persone dal vivo, e anche più in televisione, quindi l’impatto di queste storie che ho ascoltato si è moltiplicato grazie al lavoro di Ascanio.

Ascanio poi ha usato cose mie ancora in altre occasioni: Fabbrica, ad esempio, anche lì cogliendo molto bene un paio di narrazioni in cui la dimensione teatrale e dialogica era straordinaria, e quindi era già di per sé una performance creativa; e poi ha fatto assieme a Lucilla Galeazzi a Terni lo spettacolo Sirena dei Mantici, che purtroppo non si è ripetuto, ma c’è il CD. Lì metto insieme molte delle mie interviste del libro su Terni, alcune interviste che ha fatto lui, e le canzoni raccolte da me e Valentino Paparelli. Tra l’altro una delle esperienze più sconvolgenti della mia vita è stato quando i Têtes de Bois hanno inventato una cosa, una sera d’estate, fuori dalle ex officine Bosco in cui hanno messo su due “apette” da una parte me e dall’altra Ascanio Celestini e ci misero a raccontare delle storie. Per me, raccontare delle storie dopo Ascanio fu una bella sfida. Però, di nuovo, lì l’idea era proprio quella che la narrazione in prima persona della storia, davanti alla gente insieme, sotto una specie di palco che era appunto il retro di queste “apette”.

La cosa importante con Ascanio qual è? Che Ascanio non ha, fin dall’inizio, pensato di mettere in scena il mio libro, bensì di creare un’opera d’arte completamente autonoma. Anche se il lavoro semplicemente di messa in scena delle interviste funziona, lui questa cosa l’ha portata a un livello molto più elevato e adeguato a un linguaggio teatrale.

Brevemente un altro paio di esperienze. È capitato, quando abbiamo fatto questo libro (e disco) sui Castelli Romani, che alcuni ragazzi dell’ANPI di Genzano ci hanno chiamato a presentarlo in piazza.

Sara Modigliani, secondo me la più bella voce della musica popolare italiana, ha cantato due o tre canzoni e poi alcuni ragazzi hanno letto dei brani del libro. Non era una performance teatrale ma c’era questo gruppo di ragazzi che leggevano in piazza e la vibrazione che si aveva era che improvvisamente la gente di questa ex rocca rossa, diventata ora di un rosso sbiadito, ha ritrovato in queste storie il senso dell’orgoglio e di se stessa. E infatti ci venne l’idea di fare uno spettacolo. Lo abbiamo fatto in vari posti, a Roma, ed è semplicemente un intreccio tra la scelta delle interviste

performed, teatralizzate semplicemente con un uso sapiente della voce, e le canzoni. E funziona

benissimo. Lo stiamo ripetendo con altre due esperienze, una già in corso in questi giorni, che si chiama Maledetti studenti italiani che ha debuttato e proprio domani lo rifanno, in cui di nuovo un gruppo di musicisti eseguono canzoni della Prima Guerra Mondiale e c’è questo meraviglioso cantastorie siciliano Mauro Geraci che legge – non solo legge, ma mi viene da dire: canta – brani da

Terra Matta di Vincenzo Rabito (Rabito 2007), il meraviglioso testo autobiografico di questo

contadino siciliano che in un impulso irresistibile di scrittura scrive la storia di un secolo. Lo spettacolo, di nuovo, funziona e trasmette il senso di che cosa è stata l’esperienza popolare della Prima Guerra Mondiale, in una maniera efficacissima.

L’altro che stiamo preparando si chiama Ribelle e mai domata,154 ed è la stilizzazione di una

intervista con una famiglia antifascista romana, con sei donne che si alternano raccontando la storia della loro famiglia, soprattutto la storia del patriarca di questa famiglia, la famiglia Menichetti, che è la famiglia da cui abbiamo imparato alcune delle canzoni diventate poi tra le più popolari del folk revival. Su, comunisti della capitale ce l’hanno insegnata loro perché a loro l’aveva insegnata il padre. Qui è proprio il dialogo interattivo che viene intrecciato con le canzoni della tradizione paterna che parte appunto da Su, comunisti della capitale a Barcarolo romano, e diventa performance. Il cast è lo stesso di Mira la rondondella.155

Volevo aggiungere un’altra esperienza, quella di un seminario, che facemmo al Centro Teatro Ateneo, con Ferruccio Marotti, con Ascanio Celestini allora (sto parlando credo del 2000) e Marty Pottenger, una attrice performer di New York, la quale col solo uso della voce e di un paio di proiezioni e due o tre oggetti simbolici riesce a farti vivere l’esperienza dello scavo del grande

154 Lo spettacolo è tratto dal lavoro di Portelli e Parisella: Portelli - Parisella 2016.

155 Lo spettacolo risale al 2015. Mira la rondondella. Musica, Storie e Storia dai Castelli Romani: da un’idea di Costanza Calabretta e

Alessandro Portelli; letture Nicola Sorrenti e Matilde D’Accardi; musica Sara Modigliani (voce), Gabriele Modigliani (chitarra), Massimo Lella (chitarra), Roberta Bartoletti (organetto). Si veda Portelli 2012.

tunnel che porta l’acqua a New York e di tutto il lavoro e dell’etica che c’è stato dietro. Questa è stata una performance che ho visto negli Stati Uniti ed è stato molto bello riproporre con gli studenti a Roma, discutendo di come tu passi da queste storie alla costruzione del progetto teatrale.

PS Nel tempo trascorso dopo il convegno, lo spettacolo Ribelle e mai domata l’abbiamo presentato in diverse occasione, ed ha avuto molto successo. Nel frattempo, è maturata un’altra esperienza molto importante: lo spettacolo Tante facce nella memoria,156 con la regia di Francesca Comencini

e sei attrici, fra cui Mia Benedetta e Lunetta Savino. Le attrici hanno ascoltato attentamente le registrazioni delle mie interviste sulle Fosse Ardeatine e creato uno spettacolo che consiste nell’intreccio di sei diverse voci di donne. Ha debuttato nell’anniversario delle Fosse Ardeatine al Teatro India, è stato per una settimana all’Argentina, e ora sta girando con molto successo in tutta Italia.

156 Tante facce della memoria: drammaturgia a cura di Mia Benedetta e Francesca Comencini; regia Francesca Comencini,

liberamente tratto dalle registrazioni raccolte da Alessandro Portelli; con Mia Benedetta, Bianca Nappi, Carlotta Natoli, Lunetta Savino, Simonetta Solder, Chiara Tomarelli; produzione Teatro Stabile d’Abruzzo, in collaborazione con l’Associazione InArte. Roma, Teatro India, marzo 2016.

XII.Teatro e oralità in Italia nella stagione dei movimenti