Fonti orali per il teatro
V. Teatro e Storia orale: cinque punti introduttivi Laura Marian
V.1 La cultura orale del teatro: la pratica prima di tutto
È stata giustamente evidenziata l’importanza del legame Storia orale/Teatro di narrazione, di cui Gerardo Guccini è uno degli studiosi maggiori: un fenomeno rilevante, esploso a livello di massa con Vajont di Marco Paolini e poi con Radio clandestina. La memoria delle Fosse ardeatine di Ascanio Celestini, che ha coinvolto Alessandro Portelli in prima persona. Vorrei però mettere l’accento su un altro aspetto più generale: sul fatto che il teatro in sé – anche quando non è narrazione ma messa in scena di un testo o performance che fa a meno di un testo – appartiene al dominio della cultura orale sia per il fatto di essere relazione in presenza, sia per le modalità di trasmissione dei suoi saperi, sia per la costruzione della memoria.
Claudio Meldolesi parla di lunga durata delle abilità attoriche e di memoria del corpo. Riprendendo Braudel, distingue un tempo breve (legato al ‘qui e ora’ dell’evento spettacolare), un tempo medio (legato alle modalità produttive) e un tempo lungo in cui si formano e si sedimentano le abilità.61
Queste abilità basilari sono state raccontate e mostrate in immagini e ora pure in video; sono diventate oggetto di trattati e di biografie, hanno ispirato teorie; ma l’attore ne è il primo depositario: a livello consapevole e non, perché il suo corpo è capace di appropriarsi di frammenti di altri spettacoli e di abilità di altri attori senza mediazioni razionali, oltre a nutrirsi incessantemente della quotidianità e dell’osservazione del reale.
Anche lo studioso deve far ricorso alle proprie esperienze spettatoriali per capire e analizzare il teatro del passato (e non), con l’accortezza di evitare confusioni anacronistiche. C’è un’esperienza significativa a questo proposito: nel 1983 lo stesso Meldolesi, autore di una monografia su Gustavo Modena, promosse un progetto e uno spettacolo su questo grande artista dell’Ottocento insieme a Renato Carpentieri: Negli spazi oltre la luna. Stramberie di Gustavo Modena. Ogni interprete lavorò su un attore del passato, documentandosi e contribuendo drammaturgicamente all’elaborazione del proprio personaggio, a cominciare da Carpentieri (pure regista) che incarnò Modena. Da quell’esperienza Meldolesi fu indotto a rivedere alcuni nodi problematici del suo libro;62
consapevole della delicatezza dell’operazione compiuta, si interrogò dal punto di vista
61 Si vedano i saggi Meldolesi 1984 e Meldolesi 1989, recentemente ripubblicati in Mariani-Schino-Taviani 2013: 57-90. 62 Sia la monografia (1971) che il saggio successivo allo spettacolo (1983) sono stati ripubblicati in Meldolesi 2012a.
metodologico: erano legittime le fonti prodotte nel corso di questo processo, per sua natura impuro e altamente soggettivo? Capì che quelle fonti documentavano non il passato in sé ma il nostro rapporto con quel passato e in quanto tali erano legittime oltre che preziose.
Un riscontro è possibile anche fuori dal mondo dello spettacolo. I titoli di tanti saggi di Pietro Clemente sembrano proposti da un teatrologo più che da un antropologo, tanto è ‘naturale’ il ricorso a parole legate alle pratiche sceniche, che privilegiano le azioni e gli stati emotivi:
Rappresentare, descrivere, raccontare / Tra dolore e pudore: una storia di donne / Il corpo dell’atleta tra gara e feste / La postura del ricordante / Vedersi cambiati / Storie allo specchio…
V.2 Aspetti performativi della testimonianza orale/ L’intervista diventa spettacolo
L’intervista, come lo spettacolo, si svolge in un tempo e in un luogo extraquotidiani, è un dialogo che muove dall’assunzione di ruoli specifici. Richiede all’intervistato di costruire una drammaturgia delle esperienze da raccontare e poi di re-citare la vita che si è trasfigurata in racconto. All’intervistatore, invece, compete un lavoro di regia del ‘qui e ora’ – una regia morbida, che non pregiudichi il fluire spontaneo della relazione – e poi la difficile traduzione del parlato e il montaggio dei temi.63 Penso ovviamente alle interviste non di routine, ma aspetti performativi
sono presenti in ogni caso.
Questi, anzi, sono così rilevanti che le interviste possono trasformarsi in spettacolo quasi naturalmente. Prendiamo Frost/Nixon di Peter Morgan, che è stato un film e uno spettacolo teatrale di successo. Alla base del testo ci sono un fatto reale (le dimissioni di Nixon dalla presidenza degli Stati Uniti dopo lo scandalo Watergate nel 1972) e un evento mediatico (le interviste fatte al presidente dal conduttore televisivo David Frost nel 1977), che diventa a sua volta storia: Nixon, infatti, dopo aver condotto trionfalmente il gioco, nell’ultima intervista è costretto ad ammettere di essere a conoscenza dell’effrazione perpetrata ai danni dei democrati. Tra i due si combatte un vero e proprio duello: con le armi della parola, ovviamente, ma a rivelare i sottotesti psicologici sono le posture e i gesti, la voce (toni, esitazioni, accelerazioni, silenzi…), il volto, quando le emozioni prendono il sopravvento. L’intervista ha natura drammatica.64
63 Ne ho scritto per la prima volta in Mariani 1989. 64 Si veda il secondo capitolo di Mariani 2016.
V.3 Raccogliere le testimonianze di attori/attrici
Sempre il rapporto tra intervistato e intervistatore è delicato, ancor più se l’intervistato è un professionista che sulla scena agisce la finzione per creare effetti di verità; è dunque ben attrezzato a creare l’incantamento che qualunque testimone, a prescindere dalla sua professione e dalla sua storia, cerca in tutti i modi di esercitare sull’intervistatore, assolutizzando la sua verità. Quando viene sollecitato a parlare di sé e del suo lavoro, l’attore è portato (direi quasi costretto) a mescolare ciò che ha esperito e concettualizzato / ciò che ha esperito ma è difficilmente riferibile, ciò che non sa dire / ciò che non può dire per non essere banalizzato o copiato, ciò che vorrebbe dire / ciò che il pubblico si vuole sentir dire. Mentre descrive il suo lavoro, l’attore è consapevole del fatto che sta costruendo la sua identità professionale e la sua immagine pubblica, ha bisogno di piacere. Ciò nonostante le memorie degli attori, sia scritte che orali, sono importanti per lo studio della recitazione e per come esprimono e raccontano il loro tempo: trasmettono, se non verità biografiche accertate o accertabili, l’immagine che il testimone vuole dare di sé, insieme a qualche esperienza d’arte, pillole magari, in forma di aneddoti, ma pur sempre essenziali.
V.4 Luoghi di protagonismo femminile
Il teatro è un luogo dove le donne hanno potuto essere protagoniste ed eccellere, dove hanno potuto assumere ruoli inediti e comandare, dove gli uomini hanno dovuto far leva sul loro femminile e le donne sul loro maschile. Tutti questi aspetti hanno trovato eccellenti casse di risonanza nelle testimonianze e nelle interviste. D’altro canto, la stessa Storia orale ha valorizzato la memoria e la soggettività dei due sessi in modo paritetico; e la Storia delle donne è nata negli anni Settanta per coprire alcuni silenzi assordanti della Storia e per reinterrogarla con nuove domande, da punti di vista inediti: come la Storia orale, ma assumendo prioritariamente un’ottica di genere.65
V.5 Gli archivi della memoria teatrale
È questo il cuore del progetto Ormete. Materiali interessanti sugli archivi teatrali italiani si possono leggere anche su www.ateatro.it, il tema è aperto e si offre a varie declinazioni. Ma al centro ora
65 Con le sue testimonianze orali, La resistenza taciuta. Storie di dodici partigiane piemontesi di Anna Maria Bruzzone e Rachele
Farina ne è stato uno dei momenti propulsivi nel 1976. Come Bruzzone, altre studiose – a cominciare da Anna Bravo e Luisa Passerini – appartengono a questa generazione fondativa, a partire dallo stesso intreccio ma con posizioni teorico metodologiche diverse.
c’è un libro che propone un’operazione apparentemente impossibile: presentare un archivio, anzi gli archivi dell’OdinTeatret, l’architettura e gli inventari, la sistematizzazione della vita lunga, complessa, a più voci di uno dei massimi teatri del Novecento e, contemporaneamente, mettere in moto quella memoria, aprire i documenti mostrando l’inafferrabilità della materia di cui testimoniano, valorizzare la varietà delle memorie soggettive. Creare un museo e all’atto stesso della sua fondazione metterlo in crisi: è quello che ha fatto Mirella Schino in Il Libro degli Inventari.