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Roma, Esposizione Internazionale di Belle Arti, 1911, Padiglione austriaco, Sala di Gustav Klimt (foto Alinari)

TORINO, FIRENZE, ROMA

17. Roma, Esposizione Internazionale di Belle Arti, 1911, Padiglione austriaco, Sala di Gustav Klimt (foto Alinari)

1 Strumenti orientativi per la storia e le vicende delle esposizioni nazio-

nali in M.M. Lamberti, 1870-1915. I mutamenti del mercato e le ricerche degli artisti, in Storia dell’arte italiana, VII. Parte seconda. Dal Medioevo al Novecento. III. Il Novecento, Torino 1982.

2 Lettera di Gilberto Borromeo a Francesco Hayez, s.d., s.l., Milano Bi-

blioteca Braidense, Fondo Hayez, IV, e/19, pubblicata in E. Lissoni, Il ri- torno di Francesco Hayez a Milano. Un profi lo critico ed espositivo attraverso inediti e riscoperte, in “Arte Documento”, 32, 2016, p. 99, nota 20.

3 Seppure in maniera molto ridotta, non mancarono i contributi di Roma

e del Veneto, che furono rappresentate alla manifestazione dai rispettivi comitati in lutto per non essere ancora parte del nuovo Regno.

4 Circa la presenza di Giuseppe Bertini all’Esposizione si veda: P.C.C.,

Ofelia, Quadro a olio di Giuseppe Bertini, in L’Esposizione Italiana del 1861. Giornale con incisioni e con gli atti uffi ciali delle Commissione reale, Firenze 1861, pp. 243-245.

5 Per un resoconto dettagliato dell’Esposizione fi orentina del 1861: B.

Cinelli, Firenze 1861: anomalie di una esposizione, in “Ricerche di Storia dell’arte”, n. 18, 1983, pp. 21-36.

6 I. Cavallucci, Delle opere esposte dal professor Giovanni Dupré, in L’Espo-

sizione Italiana del 1861 cit., pp. 194-196.

7 Martelli lo defi nì “amorossissimo, incessante, indefesso creatore ed

esecutore dei precetti dell’Accademia” in Della medaglia conferita al prof. Stefano Ussi dal Giurì internazionale di Parigi, in A. Boschetto (a cura di), Scritti d’arte di Diego Martelli, Firenze 1952, p. 21.

8 P. Estense Selvatico, Le condizioni dell’odierna pittura storica e sacra in

Italia rintracciate nella Esposizione Nazionale seguita in Firenze nel 1861, Padova 1862, pp. 42-43.

9 C. Boito, L’esposizione di Firenze - Lettera alla redazione della Rivista

Contemporanea, in “Rivista Contemporanea” XXVII, 1861, p. 23.

10 P. Levi (L’Italico), Domenico Morelli nella vita e nell’arte, Roma-Torino

1906, p. 121.

11 Pubblicata in stralcio in M. Picone Petrusa, Fra Napoli e Parigi: i Pa-

lizzi e la poetica della ‘macchia’, in Dal vero. Il paesaggismo napoletano da Gigante a De Nittis, a cura di M. Picone Petrusa, catalogo della mostra (Torino, Palazzo Cavour), Torino 2002, p. 51.

12 P. Villari, La pittura moderna in Italia ed in Francia. Classi I. e II, in Rela-

zioni dei Giurati italiani sulla esposizione universale del 1867, Firenze 1869.

13 Sul dibattito circa l’abolizione o la riforma dell’Accademia si vedano:

P. Estense Selvatico, Gli ammaestramenti delle arti del disegno, nelle Acca- demie e nelle offi cine ecc., Venezia 1859; C. Boito, Provvedimento sulle arti belle, Milano 1870; C. Masini, Progetto per un nuovo Statuto per le Accade- mie nazionali di Belle Arti, Bologna 1870.

14 Il Primo Congresso Artistico Italiano e l’Esposizione d’Arti Belle in Parma

nell’anno 1870. Giornale uffi ciale per gli atti del Congresso e dell’Esposizione suddetta, Parma 1870-1871, p. 154.

15 C. Boito, Rassegna artistica, in “Nuova Antologia, aprile 1871, p. 960. 16 Alberto Rondani, membro della giuria e pubblicista, così commentava

il premio: “fra i molti quadri di Silvestro Lega da Firenze, che non sono una gran cosa, né per l’invenzione, né per la esecuzione (sono piatti come la carta e aff atto senza vivacità di colorito) pochi certamente credevano che si dovesse scegliere il Passatempo al piano, per onorarlo della meda- glia d’argento”, in Scritti d’arte, Parma 1874, p. 100.

17 G. Camerana, Pubbliche Esposizioni, L’esposizione Nazionale in Parma,

in “L’Arte in Italia”, pp. 173-176.

18 Circa la genesi e le vicende espositive del quadro si veda F. Netti, Mario

vincitore dei Cimbri, in “L’Illustrazione Italiana”, 8 ottobre 1876, p. 190.

19 Camerana, Pubbliche Esposizioni cit., pp. 173-176.

20 T. Signorini, Rivista artistica, in “Rivista Europea”, IV, fasc. II, dicem-

bre 1870, p. 203.

21 C. Sisi, 1861-1899: gli anni delle Esposizioni, in Ottocento. Da Canova

al Quarto Stato, a cura di M.V. Marini Clarelli, F. Mazzocca, C. Sisi, ca- talogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale), Milano 2008, p. 64.

22 Lettera di Adriano Cecioni alla sorella Giovanna, Torino 28 mag-

gio 1880, in L. Vitali (a cura di), Lettere dei Macchiaioli, Torino 1978, p. 174.

23 Lamberti, 1870-1915. I mutamenti del mercato cit., pp. 42-46. 24 C. Boito, La mostra di Belle Arti e la nuova Galleria Nazionale, in “Nuo-

va Antologia”, I, 69, 16 maggio 1883, p. 237.

25 U. Ojetti, Artisti contemporanei: F. P. Michetti, in “Emporium”, XXXII,

n. 192, dicembre 1910, p. 424.

26 In “Fanfulla delle Domenica”, V, 14 gennaio 1883, n. 2.

27 G. Cellini, Per la Bellezza (Conferenza tenuta nelle sale dell’Associazione

Artistica Internazionale), in “Cronaca Bizantina”, IV, 1 maggio 1884, n. 9.

28 M. Della Rocca, L’arte moderna in Italia, Milano 1883, p. 321. 29 C. Romussi, L’esposizione di belle Arti II. La galleria di scultura, in L’E-

sposizione italiana del 1881 in Milano, Milano 1881, p. 91.

30 V. Colombo, Esposizione Artistica 1881. Profi li biografi ci, Milano 1882. 31 L. Chirtani, L’esposizione di Belle Arti a Venezia. Quadri e statue, Milano

1887, pp. 30-34.

32 Dalle colonne della rivista uffi ciale gli organizzatori bolognesi non na-

scondevano l’insuccesso della sezione delle Belle Arti che, in mancanza di novità di rilievo, sperimentava un nuovo criterio espositivo, ripartendo le opere “per gruppi regionali e non promiscuamente come in tutte le mostre passate” con l’intento di valorizzare le identità locali che, nella loro varietà, costituivano una ricchezza dell’arte italiana, ma sancendo di fatto l’assenza di un linguaggio artistico nazionale. F., A colpo d’occhio. La mostra di Belle Arti. I, in L’Esposizione illustrata delle provincie dell’Emilia in Bologna 1888. Periodico uffi ciale per gli atti dei comitati dell’esposizione e dell’VIII centenario dello studio bolognese, Bologna 1888, p. 146. In propo- sito si veda anche il commento di Eugenio Cecconi, La pittura all’esposi- zione nazionale di Bologna, [Bologna 1888].

33 M. Serao, L’Italia a Bologna. Lettere di Matilde Serao, Milano 1888. 34 M.M. Lamberti, Le mostre d’arte in Italia: gli studi recenti e alcuni esempi,

in Pittura italiana nell’Ottocento, a cura di M. Hansmann, M. Seidel, atti del convegno internazionale di studi (Firenze, Kunsthistorisches Institut, 2002), Venezia 2005, pp. 190-194.

35 Fin dal dicembre del 1889 a Milano si progettava un’esposizione ge-

nerale italiana da farsi entro il 1892 che, sul modello di quella del 1881, riaff ermasse l’importanza economica e culturale della città, nella stretta alleanza tra industria, arte e commercio. Ma Palermo aveva già annuncia- to per lo stesso periodo una mostra analoga che, nonostante la campagna di stampa e gli appelli rivolti da Milano, si inaugurò a novembre 1891.

36 Già all’Esposizione Internazionale di Roma del 1883 lo Stato aveva

acquistato L’arrivo inatteso (Roma, Palazzo del Quirinale).

37 Nell’elenco degli acquisti del re e della casa reale spiccano ancora i

nomi degli ultimi interpreti di un tardo naturalismo – Delleani, Quadro- ne, Calderini, Eugenio Gignous –, mentre il premio degli artisti di 6.000 lire, deliberato della giuria composta da Alberto Pasini, Davide Calandra, Odoardo Tabacchi, Giacomo Grosso e Marco Calderini, fu assegnato a Il Dolore confortato dalle Memorie, confermando il prestigio europeo di cui godeva Leonardo Bistolfi .

38 T. Fiori, Archivi del divisionismo, 2 voll., Roma 1968.

39 Ridotta a causa di un Regolamento troppo vincolante, la partecipazio-

ne italiana non raggiungeva una testimonianza effi cace della produzione artistica degli ultimi anni. Ampio spazio era stato riservato a Enrico Coleman, Francesco Gioli, Antonio Mancini, gli scultori Adolfo Apol- loni, Vincenzo Gemito, Giovanni Mayer, Giulio Monteverde, Medardo Rosso, oltre a Felice Casorati. I rifi utati dalla sezione speciale italiana, tra i quali anche Sartorio, fi guravano all’Esposizione degli Indipendenti, nata in polemica opposizione a quella uffi ciale sotto la Presidenza di Ettore Ximenes.

40 G. Piantoni, Gli acquisti per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna all’E-

sposizione del 1911, in Roma 1911, a cura di G. Piantoni, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), Roma 1980, p. 110.

“Un’Esposizione del Ritratto Italiano non è mai stata tentata né in Italia né fuori” Ugo Ojetti, 19081

Il sindaco di Roma Ernesto Nathan l’11 marzo 1911 – giorno dell’inaugurazione della mostra sui duecento anni di storia del ritratto italiano a Palazzo Vecchio – tenne un discorso uffi ciale alla presenza del marchese Filippo Cor- sini, sindaco di Firenze, e di Teofi lo Rossi, sindaco di To- rino. La concordia tra le tre città, la fraternità di una storia condivisa, il consorzio civile nella riconoscibilità dell’arte del ritratto come forma memoriale, furono alcuni dei temi trattati. Il politico repubblicano di fede mazziniana con- cludeva la sua allocuzione con parole evocatrici riferendosi a due artisti toscani tra i più celebri nell’espressione poeti- ca, scultorea e pittorica:

La Mostra del ritratto ci schiera dinanzi all’effi gie di co- loro che in quella storia ebbero parte e ci precedettero sul cammino lungo e dolorante della civiltà. E nelle vicende nostre, per eternare l’Atene d’Italia, basta citare due nomi famigliari fi n negli angoli più remoti della terra: Dante e Michelangelo2.

Per la città toscana, l’Atene d’Italia, in continuità con il passato di capitale pro-tempore, i festeggiamenti del cin- quantenario di proclamazione del Regno si polarizzarono su due originali temi. Da un lato una popolare kermesse internazionale di fl oricultura a pochi giorni dall’equinozio di primavera, dall’altro lato, come indicato nelle parole di Ugo Ojetti in esergo, una ambiziosa – mai tentata – im- ponente esposizione, a vocazione non meno popolare, con 600 esemplari della ritrattistica italiana. Un genere pit- torico inteso dal celebre critico come il mezzo attraverso

il quale “anche gli artisti più accademici e convenzionali, diventano fatalmente sinceri ed espressivi”3.

L’intento complessivo dichiarato nei programmi espositivi nazionali era quello di riaccendere negli italiani “il patrio- tico animo con giusta baldanza”, alimentare l’ancor fragile identità e glorifi care il passato nel presente della nazio- ne mostrandone l’arte, la storia e i progressi dovuti a una laboriosa borghesia affi ancata da una classe operaia che aveva ampiamente contribuito al compimento dei destini nazionali4.

Firenze – la latina Florentia – che era stata seconda ca- pitale del Regno dal 1865 al 1871 giocò così la sua car- ta non in chiave nostalgica ma oscillando tra l’apparente effi mero fl oreale, da cui traeva il suo nome, e la solidità della prospettiva storico-artistica innovativa ojettiana, puntando sull’iconografi a variegata dei volti della nazio- ne pre-unitaria. Il binomio fl oreale e ritrattistico fu ben rappresentato dal manifesto pubblicitario realizzato da Galileo Chini per reclamizzare gli eventi organizzati dal Comune di Firenze. L’iris simbolo della città, al centro di un medaglione, esso stesso composto di fi ori, era con- tornato da un festone di rose portate da due pingui putti pudicamente vestiti5.

La tradizione secolare dell’orticultura nell’esplosione pri- maverile si univa dunque in un dialogo armonico con quel- la del ritratto. L’esposizione fl oreale si tenne nel Giardino dell’Orticoltura e nel Tepidario di Roster sulle pendici di via Bolognese.

Già dal 1858 il giardino era divenuto la sede principale delle numerose esposizioni organizzate dalla società stes- sa. La prima aveva avuto luogo nel 1862. Nel 1876 era stato costruito il grande tepidario realizzato dalle offi cine Michelucci di Pistoia e dalla fonderia Lorenzetti per le colonne in ghisa. Da quel momento in avanti, l’edifi cio fu reso protagonista delle esposizioni successive organizzate all’interno del giardino. La Società Toscana di Orticultura

FIORI E RITRATTI PER IL GIUBILEO LAICO

DEL 1911 A FIRENZE

per l’Esposizione Internazionale di Floricoltura del 1911– coordinata e presieduta dal marchese e senatore Carlo Ri- dolfi – raccolse l’invito del Comune di Firenze assegnan- do alla Manifattura di Signa l’erezione di una loggia che ospitasse le coltivazioni, loggia progettata dall’architetto Giuseppe Castellucci e tutt’ora esistente all’interno del Giardino dell’Orticoltura6.

Coniugare esposizioni d’arte e fi ori non era tra l’altro una novità per Firenze7. Già nel 1908 l’allora sindaco Francesco 1. Galileo Chini, Manifesto per le Feste commemorative della proclamazione

del Regno d’Italia MCXI, litografi a a colori, Stab. Chappuis, Bologna

2. Attilio Formilli, Manifesto per la Festa dell’Arte e dei Fiori, 1896, litografi a a colori, Stab. Benelli e Gambi, Firenze

3. Giardino di Orticultura, il grande tepidarium, in Le feste fi orentine del 1911, da “Le esposizioni del 1911”, p. 62

Sangiorgi aveva dato l’incarico di progettare l’impresa al noto critico d’arte e giornalista, il quale condivise l’impo- nente impegno organizzativo della mostra con i marchesi Filippo Corsini e Carlo Ridolfi 8.

Ojetti suggerì di mettere in luce il genere del ritratto in- quadrandolo in un’epoca della storia dell’arte italiana – tra la fi ne del XVI secolo e la prima metà del XIX – ancora poco studiata e in parte sconosciuta al grande pubblico, per la cui riscoperta si batteva con forza da tempo anche l’archeologo e storico dell’arte Corrado Ricci, tra gli ispi- ratori della mostra, il quale concluse a sua volta il discorso dell’11 marzo, nella sala dei Dugento in Palazzo Vecchio, con queste parole:

Tutte le persone che vediamo ritratte sono sepolte da tempo, tutte sono disfatte in ciò che fu realtà e verità: tutte vivono ancora e vivranno per la potenza eroicizzante della storia, per la virtù maliarda dell’arte9.

Negli intenti del curatore e dei suoi sodali la mostra oltre che memorialistica doveva avere l’utile scopo di “rivelare meraviglie ignote: meraviglie di eleganza e sontuosità, di sorrisi fra due nèi fuor da una nube di cipria, di cipigli solen- ni su di una toga da magistrato o da una corazza di guerrie- ro” ma soprattutto doveva dimostrare, con rinnovato spirito vasariano, “la continuità della nostra pittura anche in epoche fi nora credute povere solo perché non sono state studiate”10. Nonostante il grande successo testimoniato da una vasta

pubblicistica e critica specialistica, non mancò qualche po- lemica. Da ambienti d’oltralpe – specie tedeschi – la mo- stra fu accusata di voler favorire l’emersione di dipinti da depositi delle collezioni private per scopi commerciali11. In eff etti la galleria dei ritratti esposti in Palazzo Vecchio, frutto di un lavoro di scavo presso le collezioni italiane ed estere, poteva essere equivocata dal variegato pubblico per l’assenza dei più noti capolavori dell’arte ritrattistica italiana. Il risultato di natura scientifi ca ed estetico fu comunque quel- lo di esporre un panorama di elevata qualità artistica, sfrut- tando il termine cronologico post quem della seconda metà del XVI secolo. La mostra si innestò acutamente come un aff ondo tematico nelle vaste collezioni di ritratti di Palazzo Vecchio, degli Uffi zi e del Corridoio vasariano, rendendo su- perfl ua l’estensione delle opere da esporre ai secoli XV e XVI, suggerendo di conseguenza la visita nelle sale dei musei vicini. Per l’individuazione dei dipinti furono costituite specifi - che commissioni regionali formate da un nutrito gruppo di collaboratori esperti, tra cui spiccavano nomi impor- tanti del panorama culturale italiano, quali Angelo Conti, Benedetto Croce, Federico Hermanin, Pompeo Molmenti e Adolfo Venturi. Una parte cospicua delle opere pervenne dalle ville e dai palazzi reali, dai quali furono scelti ben 80 dipinti che effi giavano le dinastie dei Borbone, dei Farne- se, dei Medici e dei Savoia. Molti altri dipinti furono inve- ce rintracciati in una miriade di collezioni soprattutto no- biliari, ma anche in musei civici italiani e importanti musei stranieri (Vienna, Berlino, Parigi, San Pietroburgo)12. 4-6. Ritratti fotografi ci di Filippo Corsini, Ugo Ojetti, Carlo Ridolfi , in Le feste fi orentine del 1911, da “Le esposizioni del 1911”, p. 61

7-8. L’inaugurazione della Mostra del Ritratto italiano a Firenze (11 marzo), da “Le esposizioni del 1911”, p. 65

9-12. Sale della Mostra del Ritratto italiano del 1911, da Dietro le mostre. Allestimenti fiorentini dei primi del Novecento, a cura di M. Tamassia, Livorno 2005, pp. 16, 18, 19

La mostra fi orentina riuscì a consolidare quindi una in- trinseca vocazione identitaria e patriottica che si ampliava anche alla presenza degli artisti italiani all’estero, concetto facilmente veicolabile tramite il genere della ritrattistica uf- fi ciale, tenendo presenti i rapporti sempre stretti tra casa- ti nobiliari europei come committenti di artisti di origine italiana. Dalla singola effi gie le relazioni individuabili tra ritratto e ritratto erano volutamente pensate per espandersi a una dimensione di ampio orizzonte. Ojetti intese dimo- strare con spirito esplicitamente nazionalistico e campani- listico la grandezza dell’arte italiana, a confronto di quella degli altri paesi europei, nel suo progressivo e ininterrotto sviluppo cronologico, puntando a valorizzare orgoglio- samente una pittura considerata ‘minore’ che mostrava di conseguenza volti di personaggi, non sempre celebri, il cui ruolo non era stato messo in luce in maniera appropriata nella storia e nella cultura italiana. Intenti ambiziosi, intrisi di inevitabile retorica nazionalistica, che erano stati idea- ti principalmente per la ricorrenza unitaria, ma che erano anche saldamente ancorati alla tradizione iconografi ca e biografi ca dei personaggi illustri. Il rito culturale di lunga durata della celebrazione in effi gie delle glorie della nazione post-risorgimentale, in cui la mostra fi orentina si inseriva, allargava i confi ni della autobiografi a nazionale per imma- gini distaccandosene originalmente e aprendo le porte a una galleria di effi giati fi no allora esclusi13.

L’allestimento seguì un criterio cronologico in cui pre- valsero i raggruppamenti per scuole regionali con alcune importanti presenze di pittori stranieri (Ribera, Rubens, Sustermans, Velázquez), che avevano vissuto e lavorato nelle corti della penisola. Tra gli artisti italiani che avevano lavorato fuori d’Italia furono esposti pittori quali Giovan Battista Lampi e Andrea Appiani. Gli effi giati raccolti a Palazzo Vecchio furono scelti, si dichiarò, “tra molti uomi- ni che hanno fatto la storia d’Italia e d’Europa in quei due secoli: è la rievocazione più evidente e parlante di quella storia provinciale e dinastica – italiana e straniera – che preluse alla vita nazionale italiana e direttamente o indi- rettamente la preparò”14. Furono prese così in rassegna le corti dei sovrani e dei principi dell’antico regime, con mi- nistri, soldati, prelati, dame, musici, intellettuali.

I quadri furono distribuiti nelle trenta sale dei quattro ap- partamenti di Palazzo Vecchio (Cosimo I, Leone X, degli Elementi, Eleonora di Toledo e dei Priori), in maniera tal- volta confusa come si evince dalle fotografi e dell’allestimen- to, su semplici pannelli o retti da cavalletti, spesso a doppia altezza secondo un modello che si rifaceva alle quadrerie

delle gallerie dei palazzi patrizi. Tra le presenze qualita- tivamente più elevate spiccavano il ritratto di Alessandro dal Borro di Andrea Sacchi, Anna Parolini Guicciardini di Agostino Carracci, Clemente IX e la miniatrice Giovanna Garzoni di Carlo Maratta, il cardinale Bernardino Spada di Guido Reni, una trentina di opere di Vittore Ghislandi tra cui il ritratto di Isabella Camozzi de’ Gherardi; per spinger- si sino al ritratto di Antonio Canova di Appiani, al ritratto della principessa Sarah Stracham di Hayez e alla straor- dinaria quasi caricatura della contessa Anastasia Spini del Piccio, uno dei più apprezzati tra gli artisti riscoperti dalla critica. Da questa galleria di ritratti emerse indubbiamente un inedito panorama della storia pubblica e privata di due secoli e mezzo di vita italianain un alternarsi di personaggi illustri e anonimi, secondo un percorso che modifi cava il codice canonico delle serie degli uomini celebri e accresceva la tipologia degli antenati. Ne risultava un curioso compro- messo descritto in sintesi daGiulio Caprin:

Non tutti hanno fi sionomie da riuscir simpatiche alla pri- ma, ma anche le facce antipatiche ci guardano con i segni di una parentela innegabile. Ora di buona grazia, si sono tutti

adattati a far festa per la libertà d’Italia, principi spagnoleg- gianti e austricanti, papi nepotisti e nipoti di papi, cortigiani indiff erenti ed eruditi seccanti, ma anche belle dame arriden- ti d’amore, fanciulli arridenti alla vita15.

Il visitatore si trovò così di fronte a una originale galleria di ritratti che rappresentava, o almeno questo era il suo in- tento, la sintesi iconografi ca del volto di una nazione. Volti nei confronti dei quali un qualunque visitatore poteva pro- vare un maggior sentimento di identifi cazione empatica. L’esposizione riscosse un enorme successo di pubblico, con oltre 170.000 visitatori16, lasciando dietro di sé una vasta 13. Carlo Maratta, La miniatrice Giovanna Garzoni, da Il ritratto italiano

da Caravaggio al Tiepolo alla Mostra di Palazzo Vecchio nel MCMXI, catalogo della mostra (Firenze, 1911), Bergamo 1927

14. Andrea Sacchi, Ritratto di Alessandro dal Borro, da Il ritratto italiano da Caravaggio al Tiepolo alla Mostra di Palazzo Vecchio nel MCMXI, catalogo della mostra (Firenze, 1911), Bergamo 1927

15. Vittore Ghislandi, Isabella Camozzi de’ Gherardi, da Il ritratto italiano da Caravaggio al Tiepolo alla Mostra di Palazzo Vecchio nel MCMXI, catalogo della mostra (Firenze, 1911), Bergamo 1927

rassegna stampa su quotidiani e riviste specializzate. Al momento della chiusura, nell’ottobre del 1911, era anco- ra in preparazione il lussuoso progetto del catalogo per i tipi l’Istituto italiano d’arti grafi che di Bergamo che venne