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Esposizione Nazionale di Napoli, 1877 Visita del Re e della Principessa Morelli addita loro il quadro di Gérôme [San Gerolamo], (disegno del sig.

TORINO, FIRENZE, ROMA

8. Esposizione Nazionale di Napoli, 1877 Visita del Re e della Principessa Morelli addita loro il quadro di Gérôme [San Gerolamo], (disegno del sig.

Oltre a ratifi care numerosi acquisti di scarsa importanza, che però rifl ettevano un indirizzo ben vivo dell’arte italiana presso il pubblico, la giuria promuoveva Refugium peccato-

rum di Luigi Nono, apprezzato dal re e dal principe Um-

berto; La Battaglia di San Martino di Michele Cammarano ricevette il premio dell’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro per la pittura storica; un’onorifi cenza reale premiava Giaco- mo Favretto. Anche questa volta il successo fu di Michetti che, dopo i consensi raccolti alla rassegna torinese del 1880 con L’Ottava e La Domenica delle Palme, e l’insolito tema dei Morticini (replicato nel 1884, cat. 145), esponeva la ster- minata tela Il Voto, acquistata dal governo italiano per una somma strabiliante per l’epoca25. Ancora di chiaro impianto verista, eppure carico di elementi fi abeschi e di riferimenti ad antiche tradizioni pagane, il dipinto suggeriva al giova- ne Gabriele D’Annunzio una pagina di prosa d’arte26, de- scrittiva fi no alla mimesi e intessuta di colti rimandi all’ar- te primitiva. Si apriva una nuova via verso il superamento

dell’antinomia tra vero e ideale, in nome di “un’arte sola, sempre bella”27, in sintonia con l’estetismo decadente che andava maturando negli ambienti del “Fanfulla della Do- menica” e della “Cronaca Bizantina” e che avrebbe trovato il suo più geniale interprete in Giulio Aristide Sartorio. La mostra romana si inseriva come una singolarità all’in- terno del sistema delle esposizioni nazionali, dove per tutto il corso degli anni ottanta il dibattito sul linguaggio nazio- nale proseguì stancamente nei settori della pittura e scultu- ra storiche e celebrative tra il declino dell’accademismo di stampo purista, le persistenti suggestioni tardoromantiche e il naturalismo positivista, mentre si assisteva alla nascita di un’arte carica di nuove istanze sociali e al crescente suc- cesso della pittura di paesaggio.

All’Esposizione Nazionale di Torino nel 1880 i premi con- feriti a Nicolò Barabino e a Francesco Jacovacci – quest’ul- timo per Michelangelo davanti al cadavere di Vittoria Colon-

na comprato dal re per 20.000 lire – testimoniavano il saldo

primato del genere storico, ancorato ai temi più sfruttati della tradizione ottocentesca. La selezione di quattro qua- dri – il notissimo Gli ossessi, Una tentazione di sant’Antonio,

Ritratto di signora, Vexilla regis prodeunt – un po’ raff azzo-

nata, come riconosciuto dallo stesso pittore, valse però a Morelli consacrato “principe” vivente degli artisti italiani, il Gran Diploma di Gran Maestro, scatenando ancora una volta lo spirito polemico di Adriano Cecioni, che pure par- tecipava all’Esposizione con il gruppo in gesso de La madre, severamente criticata per quei due “piedacci mostruosi da servente in ciabatte” che cozzavano con la visione borghese di una maternità ideale (cat. 104). Accanto alle ammiratis- sime opere di Michetti, alla cordiale osservazione sociale di Giacomo Favretto, ai paesaggi di Filippo Carcano e all’in- compreso Le Nubi di Antonio Fontanesi, si distinguevano

Il ritorno dal Bois e Tipi napoletani (ora noto come Le porta- trici d’acqua) di Giuseppe De Nittis, alla sua ultima parte-

cipazione a una mostra italiana, che portava all’esposizione una ventata di impressionismo parigino con le sue inedite variazioni cromatiche.

Nelle sale della scultura Achille d’Orsi, che pure era insi- gnito della Croce della Corona d’Italia per il realismo alla Gemito di A Posillipo, esponeva Proximus tuus suscitando un dibattito vivacemente politico che lo costrinse a interve- nire per respingere l’interpretazione politico-rivoluzionaria della sua opera28. Ma se lo scultore rifi utava ogni rischiosa compromissione con ideologie socialisteggianti, i tempi era- no ormai maturi per il “canto del doloroso poema sociale”29 che Teofi lo Patini interpretava nei toni di un realismo cupo 9. Belle Arti: Pittura - L’Erede, quadro di Teofi lo Patini, di Castel di Sangro

(da una fotografi a dei signori Muggia e Calzolari), in L’Esposizione Italiana del 1881 in Milano, Milano 1881

– quasi d’ascendenza seicentesca – con L’Erede, sostenendo le ragioni umanitarie e politiche di un soggetto di dolorosa denuncia delle condizioni di vita delle popolazioni rurali nel meridione, che fu accolto trionfalmente all’Esposizione Na- zionale di Milano del 1881 e di nuovo a Torino nel 1884, dove fu acquistato per le collezioni della Galleria Nazionale. Con la rassegna milanese del 1881 la città lombarda si can- didava a “capitale morale” e moderno centro industriale, esibendo una strepitosa Galleria delle macchine, principale attrazione di una mostra che intendeva celebrare il primato della borghesia imprenditoriale. Nella sezione delle Belle Arti, favoriti dalla penna di Luigi Chirtani e reduci dai suc- cessi dell’anno precedente a Torino, primeggiavano Mosè Bianchi e Filippo Carcano: il primo con un’intera parete di paesaggi chioggiotti, mentre il secondo, ormai ricono- sciuto maestro della giovane scuola lombarda, con L’ora del

riposo durante i lavori dell’Esposizione, dipinto recensito con

grande favore da Virgilio Colombo, aff ascinato dalla ve- rità di un soggetto che toccava “il colmo dell’attualità”30, ma sul quale alcuni decenni dopo si sarebbe abbattuto il giudizio sferzante e parziale di Roberto Longhi, critico verso l’“impressionismo per contabili” del pittore. Ancora a Torino nel 1884 le preferenze del re andavano a opere di

Mosè Bianchi, Calderini, Carcano, De Albertis, Delleani, Gignous, cui si aggiunse I due cuginetti dell’ormai scompar- so Tranquillo Cremona, nel quale si riconosceva il caposti- pite di una linea di ricerca che dalla Scapigliatura lombarda giungeva all’attualità. A Venezia nel 1887 l’esposizione in lutto registrava commossa la scomparsa di Giacomo Fa- vretto – che lasciava incompiuto Il Liston moderno – ma già facevano la loro apparizione gli “ingegni potentissimi”31 di Conconi e Previati. Molte delle opere rimaste invendute furono inviate alla successiva mostra bolognese, che si sa- rebbe inaugurata a un intervallo di tempo troppo breve per presentare novità di rilievo e dove la pubblicistica si con- centrava su I funerali di Britannico del modenese Giovanni Muzzioli32. Le opere di grande formato, com’era consuetu- dine, furono riunite nel salone centrale: accanto all’ormai abusato tema risorgimentale dell’Assalto alla breccia di Porta

Pia del fi orentino Carlo Ademollo trovavano posto i sog-

getti maremmani di Fattori – Il riposo, Il salto delle pecore e

La marcatura dei puledri in Maremma (cat. 58) – e i dipinti

del ferrarese “un po’ bizzarro” – stando al giudizio sconcer- tato di Matilde Serao33 – Gaetano Previati. Qui era espo- sta anche l’immensa tela di Giovanni Segantini Alla stanga (cat. 142), presentata ancora incompiuta già a Milano nel 10. Filippo Carcano, L’ora del riposo durante i lavori dell’Esposizione del 1881, 1881, olio su tela. Milano, Galleria d’Arte Moderna.

1886, a Venezia nel 1887 e insignita dalla medaglia d’oro ad Amsterdam. Forte di questo successo l’autore aveva posto delle precise condizioni e vincoli per l’allestimento dei suoi dipinti, sollevando il problema del collocamento e della leg- gibilità dei quadri, che solitamente venivano allineati su più fi le, in diverse condizioni di illuminazione. Si trattava di una scelta che faceva prevalere la personalità dell’artista sui criteri generali e che aveva avuto un importante precedente all’E- sposizione Nazionale di Milano del 1881, quando Michetti aveva chiesto un’intera parete foderata in tela azzurra per le sue tempere. La vicenda dell’acquisizione di Alla Stanga da parte del governo – che si concluse solo dopo una fi era tratta- tiva, ma a un prezzo di gran lunga inferiore rispetto a quello richiesto dall’autore34 – segna un caso signifi cativo all’inter- no del sistema delle esposizioni nazionali, collocandosi in coincidenza con l’allargamento del mercato dell’arte italiana verso la dimensione europea soprattutto grazie all’attività di promozione della galleria dei fratelli Grubicy. In quella stessa primavera del 1888, infatti, Vittore Grubicy a Londra prepa- rava la Italian Exhibition in Earl’s Court, dove Segantini era ben rappresentato da ventitré opere avviandosi a quel succes- so internazionale che, tuttavia, non troverà più il riscontro di un acquisto uffi ciale in Italia, dove l’artista continuò a regi- strare l’indiff erenza dell’ambiente uffi ciale nei suoi confronti. Lo dimostra anche la tiepida accoglienza alla successiva Esposizione Nazionale di Palermo del 189135 di un’ope- ra chiave del suo percorso, Le due Madri, che era apparsa solo pochi mesi prima alla I Triennale di Brera, dove era stata collocata in un allestimento – pubblicitariamente ge- niale – di fronte alla monumentale e discussa Maternità di

Gaetano Previati. La stessa sorte toccò allo sconvolgente

Piazza Caricamento a Genova di Plinio Nomellini e alla Te- sta di frate di Pellizza da Volpedo, entrambe ignorate da una

Commissione che invece premiava con la medaglia d’oro Erulo Eroli, interprete delle ultime ambizioni del genere storico con lo sterminato dipinto I vespri siciliani. A rac- cogliere i maggiori consensi nella pittura di paesaggio fu l’accattivante naturalismo di Francesco Lojacono con Pa-

lermo (tre studi dal vero), Autunno, L’Estate e Dall’ospizio marino, questi ultimi due acquistati rispettivamente dal re

per la Villa Reale di Monza e dallo Stato36 (cat. 85). Il pri- mato per la quantità e il rilievo di impegno monumentale dei pezzi esposti spettò alla scultura, ben rappresentata dalle opere di Ettore Ximenes e Domenico Trentacoste, cui si affi ancavano quelle già presentate con successo in altre sedi espositive e quindi già note al pubblico e alla critica, come Il

minatore di Butti (cat. 76) o La vedova di Bazzaro (cat. 57).

11. Venezia - Le corone deposte sotto i quadri del pittore Giacomo Favretto