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Stefano Ussi, La cacciata del Duca d’Atene, da L’Esposizione Italiana del

TORINO, FIRENZE, ROMA

2. Stefano Ussi, La cacciata del Duca d’Atene, da L’Esposizione Italiana del

3. Gli Iconoclasti, quadro a olio del Prof. D. Morelli di Napoli, da L’Esposizione Italiana del 1861

tutto ignorato Donne che imbarcano legna a Porto d’Anzio di Nino Costa (cat. 77). Odoardo Borrani, Vincenzo Cabian- ca e Telemaco Signorini vennero sbrigativamente defi niti “eff ettisti” da una critica insoff erente alla loro ricerca spe- rimentale di valori, tinte, luci attraverso la pittura di mac- chia, mentre dalle colonne della “Rivista Contemporanea” Camillo Boito censurava “l’indirizzo pericoloso menante al realismo o al naturalismo, come alcuni dicono, alla copia insomma gretta e materiale della verità, senza scelta, senza pensiero”9.

L’esposizione si chiudeva con “il gran rifi uto” delle medaglie loro assegnate da parte di un eterogeneo gruppo di artisti, da Morelli a Fontanesi, Celentano, D’Ancona, Pagliano, Abbati, fi no al pittore di fi ori Luigi Scrosati, in polemica con la commissione dei giurati, accusata di parzialità10. Fi- lippo Palizzi si era rifi utato persino di partecipare perché, come scrisse a Pagliano il 26 ottobre del 1861: “L’Esposi- zione è un caos di Passato, Presente, ed Avvenire”11.

“ARTE NON FORIERA, MA NOSTRA, E DELL’EPOCA NOSTRA”

Se è vero che il più urgente bisogno dell’arte nostra è quello di formare una scuola nazionale che non distrugga le varietà locali, le quali formano una ricchezza preziosa in Italia; la via più effi cace ad agevolare un tale scopo dovrebbe essere quel- la di promuovere tutto ciò che ravvicina e pone a confronto le nostre scuole, ancora troppo segregate. Una Esposizione nazionale italiana che di tempo in tempo avesse luogo nelle principali città d’Italia alternativamente, sarebbe utilissima, come utilissimi sarebbero i concorsi nazionali12.

Con queste parole Pasquale Villari tracciava un bilancio della partecipazione italiana all’Esposizione Universale di Parigi del 1867, nella prospettiva di individuare tra gli arti- sti o le diverse tendenze quali potessero considerarsi di re- spiro nazionale, in grado di porsi in sintonia con le esigenze della società in trasformazione, in una prospettiva europea. A dieci anni dall’esposizione fi orentina, fu l’Accademia di Parma a promuovere un congresso artistico e, in parallelo a questo, una rassegna agricola-industriale oltre a una mostra di belle arti “compiute dal 1862 in poi”, all’interno del pro- gramma dei festeggiamenti del monumento a Correggio. Tra le questioni discusse al I Congresso Artistico, oltre a quella particolarmente sentita della riforma dell’Accade- mia13, ricoprì un’importanza centrale la proposta di solle- citare il governo affi nché istituisse “un turno biennale di esposizioni nazionali artistiche, da avvicendarsi alternativa- mente in tre città, che il Governo stesso vorrà designare, nell’Italia settentrionale, centrale e meridionale, stanzian- do all’uopo una somma annua di L. 150.000”14. Nasceva così un sistema di esposizioni circolanti a livello nazionale, supportato da una politica di premi e di acquisti uffi ciali destinati a collezioni pubbliche con un chiaro intento pro- mozionale, che si affi ancava al mercato artistico gravitante – nei centri più vivaci – attorno alle Società Promotrici. L’11 settembre 1871, “in memoranda coincidenza” con l’ingresso delle truppe del Regno d’Italia nel territorio di Roma, si aprì l’esposizione dalla quale sarebbe dovuto emergere il ri- conoscimento uffi ciale di una precisa linea stilistica, ma che scontava l’assenza di Domenico Morelli e Filippo Palizzi, Enrico Gamba, Francesco Hayez, Stefano Ussi, Luigi Mus- sini, Federico Faruffi ni e, sul fronte della scultura, di Dupré e di Vela, che inviava soltanto il notissimo Busto di Dante. Scorrendo l’elenco dei premiati si intuisce la temperie del dibattito tra i sostenitori di un verismo integrale in 4. La Musica Sacra, quadro a olio del Prof. Luigi Mussini, da L’Esposizione

grado di tradurre la realtà del quotidiano – espressione di di- verse realtà regionali, ma capeggiata dai toscani –, e la linea, infi ne vincente, tracciata da Camillo Boito, che riconosceva all’arte il compito di “destare nell’animo con la fi nzione del naturale un sentimento non ignobile”15. Mentre a Silvestro Lega, presente con ben otto dipinti, spettava solo la me- daglia d’argento16, Gaetano Chierici trionfava con un re- pertorio di composizioni edifi canti ispirate alla ritualità del mondo familiare, cui si affi ancavano i premiati Gerolamo Induno col suo poetico Addio e Luigi Busi con la struggente

Visita di cordoglio. Giovanni Fattori partecipava con La bat- taglia di San Martino e Il Principe Amedeo ferito a Custoza,

che ottenne la medaglia d’argento, ma rimase invenduto e, infi ne, fu acquistato per la Pinacoteca di Brera, in occasio- ne di un’altra Esposizione Nazionale, quella che si svolse a Milano nel 1872, grazie all’appoggio della giuria della quale facevano parte anche Hayez e Gerolamo Induno.

Se la pittura di paesaggio – per usare l’espressione di Gio- vanni Camerana – rappresentava un “terreno scottan- te come dorso di vulcano, troppo viva e attuale la pugna, scabroso il tema”17, sul fronte della genere storico Saverio Altamura si imponeva all’attenzione di pubblico e critica con Il Trionfo di Mario sui Cimbri18, che infrangeva i canoni accademici della pittura di storia “liscia e fi nita”, adottando una tale violenza espressiva che “alcune parti non sembra[- va]no che sbozzate”19.

In polemica con gli elogi di rito delle relazioni uffi ciali che concludevano l’esposizione, Telemaco Signorini, tra i giu- rati incaricati all’assegnazione dei premi, nel suo personale commento negava l’esistenza di un’identità nazionale nella

pittura contemporanea “che non presentò in questa mostra un carattere unitario, ma regionale”20.

Il dibattito sarebbe ripreso durante il secondo Congres- so degli Artisti e con la nuova edizione dell’Esposizione Nazionale, che – come decretato nel convegno parmense – si svolse a Milano nel 1872, proseguendo ininterrotto nel corso dei due decenni successivi. Anche in quest’occasione non mancarono assenti illustri, questa volta con una scar- sa o ininfl uente presenza dei toscani e una preponderante compagine di artisti lombardi, mentre l’auspicato ritorno a esporre di Domenico Morelli – cui anche Giuseppe Verdi affi dava il compito di risvegliare l’arte nazionale (“arte non foriera, ma nostra, e dell’epoca nostra”) – si risolveva con l’invio di un ritratto e di due opere, Salve Regina e Cristo

deposto dalla croce, la cui matrice spirituale e simbolista le

rendeva inadeguate a rispondere alle esigenze di rappresen- tanza del nuovo stato laico. Oltre al già citato Il Principe

Amedeo ferito a Custoza di Fattori – che presentava anche

tre dipinti di paesaggio – la storia risorgimentale, sempre amatissima dal pubblico, era rappresentata dalla superba re- torica di Michele Cammarano con Una carica di bersaglieri

alle mura di Roma (cat. 55) e da Eleuterio Pagliano nella tela

immensa della Presa del cimitero di Solferino, entrambe di proprietà della casa reale. Erede della tradizione morelliana, Pagliano trionfava all’esposizione con ben sette quadri, tra cui L’origine della Compagnia della Misericordia (di proprietà di don Giacomo Poldi Pezzoli), La morte della fi glia del Tin-

toretto (del sig. Giulio Mylius) e La fi glia di Silvestro Aldo- brandini ricusa di ballare con Maramaldo, nel quale la critica

riconosceva una garbata ricostruzione in costume, ormai priva della tensione ideale della pittura di storia. “Volere o non volere la pittura di genere è la pittura alla moda. Sto- ria, mitologia, battaglie, paesi marine, il genere ha invaso tutto”, scriveva Yorick riguardo all’esposizione registrando il successo di una pittura di genere che comprendeva in un confi ne sempre più sfumato la Distruzione della Biblioteca di

Alessandria di Tullo Massarani, ma anche Pindaro che esalta un vincitore dei giuochi olimpici di Giuseppe Sciuti (cat. 14),

fi no alle tele neosettecentesche di Gerolamo Induno, come

Capitolo primo.

Il successo della pittura di genere nelle sue diverse decli- nazioni esplose all’Esposizione napoletana del 1877, con la prevalenza di temi pompeiani e, più in generale, romani: dai

Parassiti di Achille d’Orsi, letti in chiave morale, ai nume-

rosi travestimenti antichi intessuti di riferimenti politici fi n troppo scoperti, fi no alle “pompeiane fuggenti, sacerdotes- se al tempio di Iside, saltimbanchi, fi oraie e clientes [che] si 5. Eleuterio Pagliano, La fi glia di Silvestro Aldobrandini che ricusa di ballare

con Maramaldo, in Yorick, Tra quadri e statue, Milano 1873