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Uno scorcio fuori dalle regole

4.7 L’espressione del sé

Vorrei dedicare quest’ultimo paragrafo per presentare le tecniche adottate da alcuni dei miei interlocutori per esprimere se stessi in una realtà che non le accetta totalmente.

Che si tratti di autorappresentazioni o invisibili metodi di modificazione del sé, queste persone hanno tentato di autorappresentarsi e di proporre una certa immagine di se stesse rincorrendo un’autodeterminazione ancora non del tutto accessibile per loro, o quantomeno non riconosciutagli.

82 Sarah, 17/12/19, Bologna. 83 Christian, 19/12/19, Bologna.

Per Massiel l’espressione del sé passa attraverso le sue abilità artistiche.

In seguito ai propri esperimenti sociali e introspettivi, di cui si è attraversata l’analisi precedentemente, la stessa ha compreso il malessere provato nell’essere vista e percepita come uomo:

«M: Ho capito che non volevo essere uomo definitivamente. perché finora ho sempre avuto i dubbi che io devo o no fare un transito. Che ancora dico... sono contenta così e tutto parte ad una roba che io chiamo “Transiti mentali” che era quello che avevo parlato là. Che alla fine ho deciso che, per non fare la cosa così complicata non lo porto a livello fisico ma lo faccio solo di testa. E lo lascio soltanto al momento sessuale, non coinvolge la mia vita pubblica, non dovrò fare da uomo anche con le mie amiche o con coloro che mi hanno conosciuta come donna per poi presentarmi come uomo, perché è quello il fatto che non è una vergogna ma è un non voler tradire, come se... ce non voglio…

S: …tradire te stessa (?)

M: Ce è come se non volessi fingere. Mi sentivo finta quando mi travestivo. Dicevo “No!”»84

«Lo chiamo transito mentale perché non lo porto a livello fisico ma in testa. Parlo per me e magari anche per altri, ma quando si ha un rapporto sessuale e si fa parte della comunità LGBT a volte capita che ti senti più uomo, più donna e fai questi… non definirsi in un genere. E ti chiedono “Ma sei tu l’uomo?” “Ma sei tu la donna?”. No non si fa così, si sente anche un po’ a movimento, non si definisce, per quello la mia necessità di trasformare questo in un opera. L’acquarello mi ha permesso di fare tutti questi volti che sono tutti io, che sono tutti autoritratti delle persone che io immagino di essere, in diversi momenti.»

Allora ho cominciato con dei disegni che rappresentavano me, essendo io, tipo... che sono io rappresentata proprio li, il disegno, matita a colore, molto... l’effetto quasi fotografico in cui parto ad essere io, poi mi sposto ad essere un po’ più donnina a fare le cose da donna e poi maschile. Aspetta te le faccio vedere da qui…»

(prende il telefono e mi mostra alcuni suoi disegni sul profilo personale di Instagram) «…qua ce le avrei. Però quello era troppo… il border delineato, ce mancavo io quello che sono e poi quello che piano piano… Troppo cinematografico secondo me, non avevo mai utilizzato l’acquarella per bene, perché avevo paura che a scuola,

l’accademia in Colombia ci hanno insegnato “l’acquarella è il medio più difficile” allora avevo paura, dipingevo l’olio... Allora aspetta…»

(mostrandomi il suo telefono)

«…questi sono i disegni che ti dico più o meno, sono io che mi frego la barba, da questa parte in qua comincio a truccarmi come se fossi una donna poi mi cominciano a crescere i capelli, però io avevo imparato un po’ alla classica, pittura ad olio… così. Dopo mi son trovata che questo non mi piaceva perché era troppo fermo e mi obbligava a fare troppi segni per farti capire una cosa, cioè il transito il movimento, quello che sentivo io, quel bisogno di cui ti ho parlato, “Cacchio! Ho accettato certe cose fuori, ma dentro di me ancora non ce la faccio a distaccare del femminile e del maschile” Allora ho cominciato a prendere le immagini delle persone che conosco a fare un transito con l’acquarella si mischia tra loro ma sempre prendendo la figura molto fisica, ce un ritratto troppo formale. E penso che ci sia stato un salto li. Poi la mia ragazza mi ha regalato gli acquerelli e ho cominciato a capire un po’ di presa a disegnare ho fatto uno schizzo e si asciuga e ho cominciato a lavorare mi sono permessa di rivederlo il giorno seguente e ho detto “Aspetta! Questo invece di essere un errore a me serve, perchè mi sta permettendo di fare tanti tanti….

S: Strati?

M: Strati! Capas! Non mi veniva. Tanti strati e di mettere ogni volta… allora nasce da li. Ho cominciato a fare i volti piccoli in cui bagnavo tutto e veniva un volto al giorno seguente “Mhh, ma non era questo il volto che avevo pensato la volta scorsa era più così” allora miglioravo. Perché l’acquarella è una delle poche tecniche che tu non puoi, ce se fai un errore non lo puoi migliorare perché devi già sapere, si comincia al reverso, al contrario, cioè: nell’olio metti tutte le ombre e poi alla fine le luce. Nell’acquarello tu già devi sapere dove ci sono le luci perché salvi lo spazio e poi alla fine vai piano piano andare avanti. Allora ho detto che sono degli errori che mi stanno permettendo questa maniera perché lo avevo pensato più maschile più femminile, allora ho cominciato ad andare con gli strati con quello che pensavo fossero i volti delle persone che io voglio essere ogni volta che sono sempre diversa.

[…] nascono da quella necessità di cambiare i volti tutto il tempo perché lo penso sempre diverso. Penso che non sarà mai un ritratto finito in realtà, perciò le mie opere non sono firmate, non hanno la firma, non possono essere... la firma si concepisce “è finito questo quadro questa opera” …»

Attraverso i dipinti ad acquarello Massiel trasporta il proprio essere, le proprie persone. In questa dimostrazione artistica, attraverso una tecnica specifica, Massiel è stato in grado di convertire le sue inquietudini per elaborazione di immagini. Il suo lavoro è un riflesso del tentativo di illustrare l’inquietudine per la sua condizione di persona non-binaria, che si traduce in questo caso nell’identificazione come persona in transito e priva della necessità di identificarsi ed etichettarsi in uno stato preciso del genere per sconfinare dall’incarceramento identitario. 85

Un ulteriore modo per poter affrontare la rappresentazione del proprio sé mi è stato mostrato da Laura che trova nel gioco di ruolo Dungeons & Dragons86 una forma di sfogo ed espressione identitaria

nella creazione del proprio personaggio. Mentre racconta di questo suo interesse mi illustra come la realizzazione della propria identità o semplicemente del proprio sé possa essere raggiunta con questo gioco di ruolo:

«Certe persone realizzano magari di essere trans, queer, quello che è appunto magari ruolando un personaggio che lo è. […] Ruolando87 in D&D pensi “ah magari faccio un personaggio…” magari questa è femmina “ma dai, un maschio! Così, no?” e poi

magari realizza che è trans. […] io ho fatto questo personaggio che in realtà non so neanche io se è maschio o femmina, biologicamente diciamo. Questo tra l’altro è un bardo, si veste da danzatrice del ventre, un po’ tutto bardato, tipo Timon nel re leone, no? E quindi ha un’espressione di genere abbastanza maschile, come me ultimamente in effetti però lo sto già facendo lì. Mi piace perché mi permette di impersonare qualcuno che si avvicina molto a come vorrei essere io.»

Il confine tra il personaggio del gioco e la persona che “ruola” non è sempre di facile gestione dal momento che le reazioni del giocatore spesso coincidono con quelle che potrebbe avere il proprio personaggio. Spesso infatti, quando si è ancora agli inizi è più facile iniziare ad utilizzare un alter ego.

Un’ulteriore forma di rappresentazione del sé passa, nel caso di Giuseppe, attraverso l’esposizione del proprio sé e del proprio corpo ai riflettori di macchine da presa e anche all’associazione ideologica con immagini figurative e simboliche.

«G: Ho fatto un documentario, un docufilm ispirato alla mia vita di merda andato su Rai3. La storia è tutta incentrata sul non-binarismo ma hanno tagliato tutte le parti in cui se ne parla.

85 Note del diario di campo dei giorni 23-24/10/19. 86 https://dnd.wizards.com

Quelle sono foto che ho fatto per il docufilm. L’espressione di genere spesso cambia. Io nel film dico di sentirmi una sirena, che secondo me è la figura più non-binaria a cui si possa pensare.

S: Perché?

Perché è femminile però poi se la si guarda bene ha una mente molto maschile. Poi c’è anche di mezzo il pesce. Se vogliamo fare il paragone non-binarismo sirena, questa mezza umana e mezza pesce è non-binaria.»88

I modi per esplorare il proprio genere e le modalità con cui ci si percepisce possono essere svariate e totalmente differenti l’una dall’altra, ma al contempo, tutte egualmente valide. Possono essere approfondimenti di ricerca per risolvere un quesito o un dubbio personale ma possono anche assumere la forma di una presa di posizione contro delle ideologie monolitiche che tendono ad incastonare la realtà in categorie impermeabili, rinnegando poi la più complessa moltitudine del reale.