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Uno scorcio fuori dalle regole

4.6 I problemi della medicalizzazione dei corp

Sebbene non tutti gli intervistati hanno sollevato tale argomentazione, ritengo che una riflessione sulla problematica della medicalizzazione dei corpi sia doverosa per acquisire una più ampia visione circa la situazione delle persone non-binarie a Bologna e più genericamente in Italia.

Le differenti prospettive con cui essa mi è stata presentata sono quella di Christian e quella di Sarah. Essendo una tematica particolarmente delicata e complessa, tenterò in questa sede di delinearne una prima visione a partire dall’esperienza di Sarah per poi ampliarne la prospettiva attraverso le parole di Christian.

Già durante i primi minuti dell’intervista con Sarah emerge un sentore di disagio provato per il suo corpo ripercorrendo le fasi della presa di coscienza riguardo la propria situazione. Infatti, lei stessa mi ha raccontato di come sin da piccolina si immaginasse nel proprio futuro con un corpo maschile ma non come uomo. Durante gli anni a venire, sulla scia di una comprensione del sé, ha scoperto che l’operazione a cui avrebbe voluto sottoporsi in Italia non era possibile. Questo ha motivato Sarah a impegnarsi nella necessità di spingere ulteriormente la sua linea attivistica nel tentativo di modificare la situazione attuale.

Il perché di questa impossibilità a sottoporsi a certi tipi di operazioni mi viene meglio spiegato da Christian a partire da una più ampia riflessione:

«Ce il non-binary in un’associazione come il MIT non può non esistere. Le persone che sono non-binary al MIT non possono andarci, perché al MIT le psicologhe ti fanno un test di vita reale, il real life test in cui tu devi dimostrare di essere abbastanza trans. Quindi se sei una ragazza con il capello corto e magari gli dici che sei pansessuale e magari... insomma, loro ti tengono li sei mesi, un anno in più! Perché pensano che tu sia confusa. Ce loro devono avere la loro…come posso dire, gli stereotipi. E quindi le persone non-binary fuggono da li!

E purtroppo non c’è un altro posto in cui possano andare a parlare. Ce dovrebbero andare privatamente da degli psicologi a 80 euro a seduta. Ce non esiste un posto, un consultorio in cui possano parlare le persone non binarie. Eh, questo è un problema!»78

Per regolare l’accesso a operazioni di adeguamento medico ed eventualmente per caratteri sessuali con una motivazione riguardante l’identità di genere è stato creato il protocollo ONIG dall’omonima associazione il cui acronimo sta a significare “Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere”. Andando sul sito web dell’associazione è possibile trovarvi e scaricare un file così denominato “Standard sui programmi di adeguamento nel disturbo dell’identità di genere”. Questo documento elenca le regole e i passi da seguire durante quello che viene chiamato “adeguamento nel disturbo dell’identità di genere” ossia il percorso di transizione che un individuo sceglie di compiere per raggiungere il corpo desiderato in base alla propria identità di genere.

Dopo una fase zero, tesa a informare il soggetto circa tutte le terapie e le procedure del percorso, quest’ultimo prende propriamente inizio con l’affiancamento al paziente di uno specialista per il supporto di tipo psicologico (o psichiatrico) con cui andrà a delineare un programma adeguato al proprio caso specifico. Nel sito viene specificato come questo percorso abbia una doppia valenza:

- La prima di tipo diagnostico per “valutare correttamente la situazione e la "realtà" della condizione transessuale”79

- La seconda di tipo supportivo per aiutare la persona ad affrontare tutto il percorso.

Dopo i primi sei mesi dell’affiancamento psicologico il paziente inizia la terapia ormonale, su giudizio dello psicologo. A questo punto entra in gioco quello che è stato chiamato il real life test, test di vita reale

«[…] dove devi dimostrare agli altri di conformarti a un genere scelto, c’è scritto proprio così, tramite “consono abbigliamento, consono comportamento, consona espressione di genere”. “Consono” ma chi cazzo lo decide che è consono? Gli psicologi!»80

Nel parlare di questo specifico test Christian ha apertamente dimostrato tutta la sua frustrazione al riguardo spiegandone le numerose ragioni. La prima motivazione come si legge sopra è la restrizione del metro di giudizio al quale le persone sono sottoposte: per poter procedere con il percorso si deve essere ritenuti sufficientemente femminili (nel caso degli MtF) o sufficientemente maschili (nel caso degli FtM). Si capisce facilmente che la valutazione alla quale i pazienti sono sottoposti è del tutto randomica poiché basata sulla personale concezione dei ruoli di genere da parte dello specialista psicologico che segue il caso.

I miei interlocutori mi hanno riferito la loro perplessità, spesso tramutata in completo rinnego, circa l’utilizzo del genere, e conseguentemente tutto ciò che lo riguarda (ruolo, comportamenti, abbigliamento etc…), come metro di giudizio per valutare la loro idoneità ad intraprendere il percorso di transizione.

Nel caso del protocollo ONIG si fa riferimento a persone che vogliono transitare partendo da un sesso specifico a cui corrisponde un genere altrettanto specifico ad un altro sesso/genere. Questa restrizione nei mezzi di giudizio costringe i soggetti di tali processi ad adottare tattiche per evitare di prolungare l’intera durata del percorso o di essere considerati inadatti per continuare. Ren stesso, in una conversazione che non ho avuto modo di registrare, mi ha confessato di come sia altamente diffusa la pratica di mentire circa il proprio orientamento sessuale, o preferenze e passioni personali agli specialisti psicologici e legali che vengono assegnati per intraprendere il percorso o addirittura ai giudici durante il processo di riassegnazione del nome (che prevede la sostituzione del nome assegnato alla nascita con quello d’elezione, ovvero selezionato dalla persona stessa) nel tentativo di rispettare e rientrare il più possibile all’interno degli stereotipi di genere; donna con i capelli lunghi,

vestita con abito, truccata; uomo con un taglio corto e senza alcuna colorazione, giacca e pantaloni; entrambi eterosessuali81.

Vorrei in questa sede proporre un’ulteriore riflessione riguardo questa tematica: le fasi del protocollo sono ritenute necessari e di fondamentale importanza, tanto da renderne il superamento imprescindibile per il proseguo dell’intero percorso, specialmente quello riguardante l’accompagnamento psicologico del paziente. Se non si è ritenuti sufficientemente stabili e determinati, in base a valori incalcolabili (come quello del genere appunto) non è concessa la possibilità di entrare nella fase successiva. Ma è lecito, a questo punto, chiedersi perché il cambio di sesso sia considerato qualcosa di così altamente bisognoso di attenzioni psicologiche? Perché la totale convinzione da parte di queste persone debba essere messa a giudizio, approvata e certificata? Come si ha avuto modo di vedere ripercorrendo solo alcuni dei racconti di presa di coscienza dei miei intervistati l’inadeguatezza del proprio essere, del proprio corpo, non è un qualcosa che si inizia a percepire, e conseguentemente a rifletterci, solo in fase adolescenziale, ma una realtà che si presenta sin dall’infanzia. Non è mia intenzione alzare una polemica dal momento che non solo non ritengo mi competa ma poiché non è questa la giusta sede in cui, eventualmente, poterlo fare. Vorrei proporre piuttosto una riflessione ai fruitori di questo elaborato.

Ogni singolo soggetto è differente; ha una storia di vita personale e mai totalmente comunicabile con l’altro per la profondità della stessa; ha attraversato situazioni differenti reagendo in diversa maniera rispetto a come avrebbe potuto fare un’altra persona. Ognuno di questi elementi ritengo vada sempre tenuto a mente nell’affrontare una tematica come questa. Il servizio psicologico, a detta dei miei interlocutori, è utile e necessario fino a quando non si trasforma in un obbligo che piega la persona a sottostare a certe aspettative per poter raggiungere qualcosa che in realtà è sempre stato. C’è caso e caso.

Certo, pur cambiando la visione del sé, con un io che si modifica, eppure queste persone non diventano qualcun altro, lo sono sempre state semplicemente vogliono poter accedere ad alcuni determinati servizi (esempio ne sono le operazioni di rimozione o di costruzione di parti del corpo legate ai caratteri sessuali dello stesso) per raggiungere anche a livello fisico questo loro stato.

«Ma non se ne parlava, proprio perché ce o sei una cosa o sei n’altra, oppure sei una cosa che vuole diventare un’altra. Che poi diventare sempre presa in una concezione estetica e.… nel senso “diventare” è una parola sbagliatissima, in questo caso. Ce nel momento in cui si parla di uomo/donna e persone che sono in un percorso di transizione il diventare non esiste; ce tu sei sempre quella persona, sei sempre stata magari una

persona FtM, ok? Sei sempre stato uomo, ci stai arrivando ma puramente da un punto di vista estetico, non da un punto di vista identitario. Sei sempre stato così. Quindi per me il diventare per me è un concetto completamente sbagliato, però rende l’idea. Ce da un punto di vista visibile, da un punto di vista estetico, da un punto di vista superficiale una persona può diventare. Da un punto di vista identitario, una persona è sempre così. Non è mai cambiata…»82

Il problema è lo stigma sociale delle persone trans, delle persone che hanno dei problemi con i loro corpi e la loro identità di genere, concepite come dei rari malfunzionamenti dell’ingegnoso macchinario messo in moto da madre natura.

«Ma sì ma perché qui c’è anche il gender: noi siamo solo teorie. Nell’immaginario delle persone le persone trans stanno al margine di un marciapiede, al bordo della strada di notte. Ce nel senso ci sono le lavoratrici sex worker e dovrebbero esser riconosciute, chiaramente. Però ce, non mi puoi immaginare come… ce innanzitutto noi FtM non esistiamo, c’è l’invisibilizzazione totale, se tu entri in un negozio e chiedi delle persone trans al 90% ti diranno il trans riferendosi alla trans, ce il trans proprio neanche esiste, e comunque è l’uomo che si è messo su le tette per andare a battere, cioè… il problema è culturale. Come anche il discorso dei bambini; “Difendiamo i bambini! Difendiamo i bambini” oh ma i bambini siam stati anche noi e chi ci pensa ai diritti dei bambini T? Ce qua pensano tutti che sbocciamo a 18 anni, che ci porti magicamente la cicogna a 18 anni allora sei trans.»83

Ovviamente se tale percorso si iscrive in una dinamica profondamente binaria l’esclusione delle persone che ad essa non si conformano è automatica. Le persone non-binarie non rientrano nei debiti parametri concettuali e valutativi per poter accedere ad un’operazione del genere o anche ad un inizio di terapia ormonale; vengono però accusati di essere persone trans senza il coraggio di ammetterlo. L’idea dello spettro di genere all’interno del quale una persona possa collocarsi liberamente non è concepita. Le opzioni sono due solamente, in mezzo il nulla.