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Il tempo libero

La rivista « Esprit » ha dedicato un fascicolo (1959, n. 6) ai problemi del tempo libero. Ne pubblichiamo in estratto i saggi principali.

« Che la società faccia lavorare gli uomini, va bene; ma che organizzi i loro divertimenti, q u e s t o proprio no. Ma allora co­ me può essere che il citta­ dino delle società industria­ li si imponga le estenuanti costrizioni del lavoro mec­ canizzato e riservi allo sva­ go il suo desiderio di liber­ tà? si può essere in parte schiavi e in parte uomini liberi? è possibile accumu­ lare in sé le qualità più op­ poste, sostituire -— secondo le ore — una personalità all’altra? ».

Questo è uno dei tanti in­ terrogativi che « Esprit » pone al lettore nei riguardi del tempo libero.

Realtà intensamente vis­ suta, ma a malapena cono­ sciuta, questa del tempo li­ bero. Teorici e sociologi hanno rivolto la loro atten­

zione soprattutto sul lavoro e sulla sua organizzazione sociale ed a malapena inco­ minciano ad interessarsi del tempo libero, vedendolo come un tempo morto. Ma i pro­ blemi che l’argomento pone sono complessi. « Esprit » si propone due scopi : dare una prima « misura » del tempo libero nella società attuale e delineare qualche ipotesi, sulla cui riflessione sia possibile impostare delle ricerche. Il tempo libero — sempre più — esiste di per se stesso ; ma nello stesso tempo coinvolge il lavoro e la cultura, se non la tota­ lità di una civiltà, e ci spinge a riconsiderare certe idee tradizionali ed a sol­ levare dei problemi nuovi. A questo proposito ci pare utile riprendere l’intelligen- te saggio di J. Dumazedier Réalités du loisir et idéo- logies.

Realtà dello svago e ideo­ logie.

Oggi, nelle nostre società evolute, lo svago è una real­ tà familiare. Ciononostante l’idea dello svago è ancora lontana dall’essere integrata

nei sistemi di pensiero che guidano le riflessioni degli intellettuali o l’azione dei militanti, siano di sinistra o di destra, fautori o av­ versari dei sistemi capita­ listi o socialisti. Si ragiona ancora sulla società come se questa « nozione nuova » non esistesse.

« Noi ci proponiamo di dimostrare — dichiara Du­ mazedier — che questa sot­ tovalutazione teorica dello svago rischia di partorire dei sistemi di pensiero in­ completi fin dalla nascita ». « Nel XX secolo non è serio formulare una teoria gene­ rale della società, senza aver riflettuto sulle inci­ denze dello svago sui pro­ blemi che essa prospetta. E ’ venuta l’ora di trattare se­ riamente queste ” futilità ” che allarmavano Valéry ».

« Denis de Rougemont (in ” A rts ” , 10 aprile 1957 : L ’ère des loisirs commence) descrive ” l’era degli sva­ ghi ” come una nuova età dell’oro, dove tutti i pro­ blemi sociali scompaiono co­ me per incanto. Roger Cail- lois al termine di un bril­ lante saggio, Les jeu x et les hommes (Gallimard, 1958),

propone non solamente una sociologia dei giochi, ma una sociologia delle società partendo dai loro giochi. In­ fine il concetto di ” svago di massa ” , messo in voga da certi pensatori ameri­ cani, diviene una prospet­ tiva paradisiaca o demo­ niaca sull’avvenire dell’uo­ mo. Insomma tutti questi autori, le cui analisi sono spesso penetranti, hanno il merito di rivelare la nuova importanza di questa realtà contemporanea : ma purtrop­ po sono anche gli stessi a semplificarla, a deformarla ed a svisarla ».

Lo svago « è una realtà fondamentale ambigua : ha degli aspetti molteplici e contraddittori » : questo po­ trà essere rilevato mettendo in luce i cambiamenti fon­ damentali sopraggiunti nel tempo libero da quando so­ no state elaborate le prin­ cipali ideologie su cui si sono cristallizzate le ten­ denze della nostra società. « A l tempo in cui il gio­ vane Marx preparava il ” Manifesto ” , la durata del lavoro nelle fabbriche era legalmente di novanta ore, realmente di ottanta ore. Oggi la durata legale è di quaranta ore, la durata rea­ le di circa quarantacinque. Veramente queste quaranta ore guadagnate sul lavoro non sono state tutte occu­ pate per le attività dello svago, ma le inchieste socio­ logiche ci hanno mostrato che gli operai e gli impie­ gati dispongono in media di venticinque ore settimanali per gli svaghi. Il fatto im­ portante è che ormai il la­ voro non si identifica più con l’attività, la giornata feriale non è riempita dal solo lavoro, poiché essa com­ porta due o tre ore di sva­ ghi. La settimana lavora­ tiva tende a ridursi a cin­

que giorni, con due ” dome­ niche Gli anni lavorativi non si susseguono più senza interruzione, ma sono sepa­ rati da tre settimane di ” ferie ” . La vita lavorativa non termina più esclusiva- mente per malattia o morte, ha un termine legale, che assicura un diritto al riposo. Così per un lavoratore l’ele­ vazione del livello di vita è raddoppiato da un crescente aumento di bilancio di ore libere. Anche se la situa­ zione del salariato nel pro­ cesso produttivo è su per giù lo stesso di cento anni fa, le sue risorse sono mu­ tate e così pure le sue pro­ spettive giornaliere, setti­ manali e annuali: un tempo nuovo è nato per i suoi atti e i suoi sogni ».

« E ’ un luogo comune —• sostiene Dumazedier — a f­ fermare che le distrazioni sono più numerose, più fre­ quenti, più complicate di cento anni fa, di cinquanta o anche di venti anni fa. L’industria degli svaghi in­ venta continuamente per un pubblico sempre in attesa. Ma ciò che interessa sotto- lineare è che il macchinismo ha aumentato lo ” squili­ brio ” tra il lavoro e lo sva­ go ». In meno di cinquanta anni lo svago si è affer­ mato non solo come un di­ ritto, ma come un valore.

Qui l’autore del saggio ricorda gli scritti del pro­ testante Max Weber su « i tipi ideali che hanno ispi­ rato i fondatori del capita­ lismo, per i quali il lavoro giustifica il guadagno e ogni attività inutile alla società è una attività minore. Que­ sta sociologia idealista ri­ flette le tesi di Ricardo sull’accumulazione necessa­ ria del capitale. In una prospettiva opposta, Marx ha la stessa idea fondamen­ tale del lavoro: il lavoro è

l’essenza dell’uomo. L’ascesa dello svago minaccia tanto i valori di Marx quanto quelli di Ricardo... ».

« Siamo dunque entrati nell’era degli svaghi? La espansione del tempo libero in quantità e qualità con­ tinuerà e sarà più rapida nella ’’ civiltà del 1975 ” ? » : è una domanda che l’autore, giunto a queste constata­ zioni, non poteva non porsi. Ponendo questi interrogativi l’A. non « desidera fare la parte della Cassandra, ma di giocare il ruolo del so­ ciologo della previsione, in­ dicando la direzione gene­ rale » della evoluzione, le disparità che la frenano, le ambiguità che la compro­ mettono, le alternative che si offrono alla scelta delle nazioni, degli studenti, delle università, per rispondere alle situazioni. E ’ un fatto, per esempio, che l’aumento del tempo libero provoca l’abbassamento delle ore pro­ duttive. Se dunque la tecni­ ca non viene in aiuto al diminuire delle ore di la­ voro dell’uomo con l’accre­ scimento della produttività

(mediante il progresso della meccanizzazione e della or­ ganizzazione), il livello di vita ineluttabilmente decre­ sce. Per Sauvy, una delle cause dello stagnamento del livello di vita francese — posteriore al 1936 — è stata la diminuzione della setti­ mana e dell’anno di lavoro.

In avvenire è probabile che una politica di espan­ sione economica d’aiuto ai paesi sottosviluppati possa limitare gli effetti della meccanizzazione o della au­ tomazione sulla durata del lavoro.

Il tempo libero può fun­ zionare da regolatore auto­ matico, come accade presso certi paesi dell’A frica (e non solo quelli) dove la gen­

te smette di lavorare quan­ do ha guadagnato la somma prevista. Ma può ' accadere anche — ed il più delle volte — che lo svago com­ porti delle accresciute ne­ cessità, la cui soddisfazione richiede del lavoro supple­ mentare, legale o illegale : necessità della vespa, del­ l’auto, della televisione, del­ la casa di campagna, della barca, ecc.

Ma che accade se una nazione può diminuire le ore di lavoro elevando il livello di vita dei suoi cit­ tadini o di quelli delle zone sottosviluppate di cui si era presa cura? Ci saranno tre possibilità di scelta: « alzare l’età di inizio al lavoro, prolungando il pe­ riodo scolastico, anticipare l ’età della pensione, o ac­ crescere il tempo libero del­ la popolazione attiva. E piuttosto che dedicarsi al messianismo dell’era degli svaghi — afferma polemi­ camente l’autore — ci sem­ bra più importante fare in modo che questi veri pro­ blemi siano messi all’ordine del giorno del Parlamento, dei Sindacati o delle Uni­ versità, in ciascuno stadio dello sviluppo tecnico e so­ ciale ».

Di grande interesse ci sembrano i dati che l’autore sottopone allo studioso, dati che verificano le nuove di­ sparità e le nuove inegua­ glianze nascenti da questi problemi, senza con ciò sop­ primere i vecchi problemi sociali, ma ponendoli in ter­ mini nuovi.

In Francia lavorano circa diciannove milioni di per­ sone. Se si eccettua qual­ che migliaio di grossi finan­ zieri, habitués del baccarat e dalla vita multipla, si può affermare che la stragrande maggioranza dei sette mi­ lioni di piccoli imprenditori che lavorano nella fattoria

o all’officina, nella boutique o neWatelier dalla mattina alla sera, è ancora dominata dal pensiero del danaro, più che da quello dello svago. Presso il coltivatore, il pic­ colo conjmeretante o l’arti­ giano il « lavoro non è mai finito... ».

Nelle nuove generazioni si fanno avanti nuove ten­ denze, « ma sono più fonte — secondo l’autore — di malintesi e di conflitti che di soddisfazione: sono del­ le zone sociali dove lo svago e il tempo libero si chia­ mano ” pigrizia ” ».

Fra i dodici milioni di sa­ lariati francesi, solo un mi­ lione di essi, addetti all’agri­ coltura, beneficiano di una legge che limita l’anno la­ vorativo a duemila e cin­ quecento ore; e non ovun­ que questa legge è ap­ plicata.

Circa un milione e mezzo di impiegati di alto e medio livello, occupati nella ammi­ nistrazione, nell’industria o nel grosso commercio, hanno il tempo libero roso dal la­ voro o dai pensieri che esso lascia. D ’altra parte l’ecces­ sivo affaticamente dei diri­ genti è una delle malattie del secolo. Le donne che han­ no un lavoro professionale ed un lavoro domestico, han­ no la settimana di settanta ore invece che di quaranta; e sono circa tre milioni. Che resta? La maggioranza dei salariati, operai ed impie­ gati, sei milioni circa, costi­ tuisce il grosso della « nuo­ va classe dello svago », quel­ la piasse che mai Veblen avrebbe supposto quando descrisse la « leisure class » borghese del 1895 negli Sta­ ti Uniti, e che Marx non aveva previsto, cinquant’an- ni prima.

E questo dà la misura dell’evoluzione dei tempi, della creazione dei nuovi ambienti sociali e di nuove morali.

Ma che cosa è lo svago? Bisogna ben analizzare or­ mai questa « nozione nuo­ va », come prima l’autore l’ha chiamata. Certo Marx né Ricardo erano in grado di rendersi conto di tale « nozione » : né la real­ tà operaia di allora lo po­ teva permettere : dopo tre­ dici ore di lavoro giorna­ liero non restava che quel riposo definito da Marx come la « riproduzione del­ le forze di lavoro ». Oggi il riposo è sostituito da un fascio di attività diverse, le quali non appartengono a necessità quali il lavoro o a obbligazioni quali i doveri familiari e sociali. Oggi si pone un terzo tipo di atti­ vità che appare quanto mai sconvolgente nei riguardi della nostra società indu­ striale e democratica. A l­ cuni studiosi, molto sbriga­ tivamente, le assimilano agli « hobbies » : ma una tale identificazione avverte Dumazedier — è più diver­ tente che utile. L ’analisi va condotta più a fondo. Le grandi dottrine sociali del XIX secolo hanno tutte, più o meno, previsto l’evento dello svago. Ma nessuna di esse ha previsto l’ambiguità di questo fenomeno. Per Marx, ad esempio, lo svago

è « lo spazio dello sviluppo umano » ; per Proudhon è il tempo delle « libere com­ posizioni » ; Engels reclama­ va la diminuzione delle ore di lavoro « affinché resti a tutti sufficiente temno libero per partecipare agli affari generali della società » : è possibile constatare come tutti si siano lasciati andare alPillusione intellettualisti­ ca. Una certa identificazione dello svago con l’istruzione popolare sembra ancora fa ­ miliare alla sociologia sovie­ tica d’oggi. Ed anche in Francia vi è una certa ten­ denza alla educazione « per­ manente ». In America lo

svago invece è considerato dai sociologi « un’attività li­ bera, non pagata, che dia una i m m e d i a t a soddisfa­ zione ».

Non soddisfatto dalle de­ finizioni più o meno intel­ lettualistiche od etimologi­ che, 1’ « autore ricorre ad una definizione e m p i r i c a , frutto di una accurata ri­ cerca sull’evoluzione dello svago e sulle sue funzioni, condotta su un campione di mille persone tra operai e impiegati, ripartite tra le regioni francesi del Nord, del Centro, del Mezzogior­ no e dell’Est. « Siamo giun­ ti — egli dice — a questa definizione, banale ma com­ pleta e funzionale: lo svago è un insieme di occupazioni alle quali l’individuo può dedicarsi di buona lena, sia per riposarsi, sia per diver­ tirsi, sia per accrescere di­ sinteressatamente le sue co­ noscenze e la sua forma­ zione, per sviluppare la sua partecipazione sociale volon­ taria dopo essersi liberato dai suoi obblighi professio­ nali, familiari e sociali ».

In realtà la definizione prende significato, qualora venga precisato l’uso di cer­ te parole; l’autore se ne rende conto e punta sul chiarimento di tre concetti: ricreazione, divertimento e sviluppo. Ognuno di questi concetti presiede ad una ben precisa sfera della realtà quotidiana dell’uomo.

La ricreazione libera l’uo­ mo dalla fatica, lo ricarica dal deterioramento fisico o nervoso provocato dalla con­ tinua tensione degli obblighi sociali e s o p r a t t u t t o del lavoro.

Il divertimento libera in­ vece l’uomo d a l l a noia. G. Friedmann ha molto in­ sistito sull’effetto nefasto della monotonia dei compiti parcellari sulla personalità

del lavoratore; e Henri Le- febvre ha messo in evidenza le « alienazioni » dell’uomo d’oggi, che provocano sen­ timenti di disagio e di fru ­ strazione ed esplodono in bisogni di « rottura » con l’universo quotidiano. Que­ sta rottura porta ad una vera e propria patologia so­ ciale che si esprime in in­ frazioni quotidiane alle nor­ mali regole sociali, giuridi­ che e morali. Da qui sorge la ricerca di una vita « com­ plementare », il desiderio di un comportamento deviato, contrario a quello della vita di tutti i giorni, una fuga che si manifesta mediante:

а) una attività reale (cambiamento di posto, di ritmo, di stile, attraverso viaggi, giochi, sports, ecc.);

б) una attività fittizia (una sorta di rifugio in una vita immaginaria per procacciare soddisfazione a quello che Hoffman e Dosto- jew skj chiamano il nostro « doppio » ; un processo di identificazione e proiezione attraverso il cinema, il ro­ manzo, il teatro, ecc.).

Infine lo sviluppo della personalità, che libera l’uo­ mo dai limiti della specia­ lizzazione del lavoro e delle conoscenze pratiche dell’am­ biente quotidiano. E ’ un de­ siderio di partecipazione so­ ciale più ampia, di comple­ tamento culturale, di atteg­ giamento attivo nei riguardi dei mezzi di informazione (stampa, cinema, radio, te­ levisione).

Queste tre funzioni sono solidali e sono strettamente unite le une alle altre anche quando si oppongono le une alle altre. Esse esistono in scala variabile in tutte le situazioni e tra tutti gli uomini, possono succedersi o coesistere, manifestarsi al­ ternativamente o simulta­ neamente.

Proseguendo n e lla sua analisi sulla struttura dello svago, l’autore giunge a stabilire cinque tipi umani, che hanno origine dal tipo di svago cui si dedicano : il nuovo « homo faber », il nuovo « homo ludens », il nuovo « homo imaginarius », il nuovo « homo sapiens » ed infine il nuovo « homo socius ».

Il nuovo « homo faber »

sorge in reazione alla ci­ viltà dominata dalla divi­ sione del lavoro: dà luogo ad un genere di svago in cui prevale il lavoro ma­ nuale individuale e disinte­ ressato ; il suo valore sta nel compensare il lavoro parcellare e a cottimo, soli­ tamente monotoni, della vita industriale o amministrati­ va. Si cerca in tal modo di ridimensionare e di porre al suo giusto posto — nella nostra cosiddetta « civiltà del lavoro » — il lavoro ma­ nuale. Il giardinaggio, la piccola officina o la costru­ zione della propria casa so­ no esempi tipici. Il nuovo « homo faber » però è indif­ ferente ai problemi che vanno al di là della sua vita privata : è un buon padre di famiglia ed anche un buon marito, ma un citta­ dino indifferente ai proble­ mi culturali e sociali. E ’ un isolato, si ripiega sulle pro­ prie attitudini artigianali come se non fosse « mai stata inventata la stampa o il cinema, né ci fosse la divisione del lavoro o la lotta di classe ».

Un « homo faber » — fa comprendere Dumazedier — che si arrabatta a creare il vuoto intorno a sé.

Il nuovo « homo ludens »

nasce dal posto preponde­ rante che ha il gioco nella cultura di milioni di lavora­ tori. Il gioco non è soltanto o r m a i, com e affermava

Freud, il segno dell’universo infantile, l’espressione di una fuga dall’azione impe­ gnata: esso è divenuto una esigenza della cultura popo­ lare in seguito alla conqui­ sta del tempo libero. Il tu­ rismo e lo sport hanno mutato profondamente i gu­ sti della gente e gli stadi livellano le classi. Può acca­ dere, come temeva Lefebvre, che questa intensa parteci­ pazione al « divertimento » conduca ad un rifiuto di qualsiasi sforzo culturale e ad una indifferenza per ogni responsabilità sociale.

Il nuovo « homo imagi- narius » può avere la sua origine nella reazione al­ le ideologie dominanti così pesantemente razionaliste. « Esse — dice Dumazedier —• non danno sufficiente spa­ zio alla immaginazione. Ne­ cessita quindi di reintegrare l’immaginazione nella realtà dell’uomo. Ma il meccanismo di proiezione e di identifi­ cazione suscitato dalla fin­ zione finisce per impigri­ re ogni senso selettivo, cri­ tico e autocosciente. L ’im­ maginazione può deformarsi dando luogo ad una confu­ sione tra mondo reale e mondo fittizio. Allora la personalità si aliena nella astrologia; la vita per pro­ cura rimpiazza la vita re a ­ le. Così la finzione finisce per incoraggiare le azioni inadatte. Questi giochi fit­ tizi, come quelli reali, pos­ sono condurre l’individuo fuori dal mondo « vissuto », in un mondo mitico dove egli è un rifugiato o un esiliato, indifferente ad ogni partecipazione attiva alla vita reale del suo tempo ».

Il nuovo « homo sapiens » è quello che trasforma lo svago in « studio » : condi­ zione necessaria per seguire l’evoluzione rapida e com­ plessa della nostra società.

« Ma — avverte l’autore — si sta delineando anche un nuovo tipo di « homo sa­ piens », plasmato da quelle che il Lazarfeld chiama « le guide di opinione », che leg­ gono e ascoltano per lui e gli riassùmono ciò che ri­ tengono essenziale ».

Lo svago ha suscitato nuove forme di socialità e di raggruppamenti, delineando una nuova figura di « homo socius », prima sconosciuta.

L ’adesione dell’uomo d’og­ gi al sindacato, al partito o ad organismi a carat­ tere confessionale è note­ volmente in ribasso, come constatano ricerche abba­ stanza recenti a questo pro­ posito. L ’adesione invece si fa più intensa e più ampia a quelle organizzazioni che hanno come scopo una atti­ vità di svago. Dice K. Lewin che queste associazioni sono sovente importanti fermenti socio-culturali dell’ambiente.

« Ma esse tendono ad al­ lontanare —- rileva l’autore —• una parte del potenziale sociale dal campo della pro­ duzione e delle lotte susci­ tate dai rapporti sociali e la orientano verso un mon­ do semi-serio, semi-reale e semi-immaginario dove l’uo­ mo può sfuggire alla sua umanità e liberarsi dolce­ mente di se stesso ». Che

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