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Capitolo V: Gli oggetti della comunicazione

V.1 Euripide

Δέλτος. Γραφαί. Ai versi 715-721 Fedra, venuta a sapere che Ippolito è stato dalla nutrice informato del suo sconvolgimento amoroso per lui, afferma di aver trovato una soluzione alla sua situazione disperata e ai versi 725-731 rende esplicita la propria intenzione di darsi la morte, ma anche il desiderio che essa sia di insegnamento per Ippolito. Queste parole sono la premessa non solo per il suicidio di Fedra, ma anche per la scelta da parte della donna di lasciare una lettera con indicazioni menzognere sul conto di Ippolito stesso.

È Teseo a notare la tavoletta che pende dalla mano del cadavere di Fedra. Ai versi 856-865 il marito, dolente, fa delle congetture sul possibile contenuto della lettera ed esprime la sua intenzione di togliere il sigillo e leggere il messaggio lasciato dalla

(Clem.Al. Strom. 1.16.76.10). Questo atteggiamento sospettoso si registra ad esempio negli storici come Erodoto, Tucidide e in minor parte anche in Senofonte (Ceccarelli (2013: 127-128, 155)).

321 Si tratta di metonimia anche per il termine πεύκη, che identifica propriamente la pianta del pino, ma

viene utilizzato anche per individuare tutti quegli oggetti che con il legno del pino vengono realizzati, fra i quali le tavolette per la scrittura.

322 Ad esempio Aesch. Pers. 783 e Soph. Tr. 493.

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defunta: τί δή ποθ’ ἥδε δέλτος ἐκ φίλης χερὸς/ ἠρτημένη; θέλει τι σημῆναι νέον;/ ἀλλ’ ἦ λέχους μοι καὶ τέκνων ἐπιστολὰς/ ἔγραψεν ἡ δύστηνος, ἐξαιτουμένη;/ θάρσει, τάλαινα· λέκτρα γὰρ τὰ Θησέως/ οὐκ ἔστι δῶμά θ’ ἥτις εἴσεισιν γυνή./ καὶ μὴν τύποι γε σφενδόνης χρυσηλάτου/ τῆς οὐκέτ’ οὔσης τῆσδε προσσαίνουσί με./ φέρ’, ἐξελίξας περιβολὰς σφραγισμάτων/ ἴδω τί λέξαι δέλτος ἥδε μοι θέλει. Lette tra sé e sé le parole scritte da Fedra, Teseo emette un lamento ed afferma βοᾶι βοᾶι δέλτος ἄλαστα (verso 877). Nelle sue parole il messaggio di Fedra diviene un canto che si esprime attraverso le lettere incise sulla tavoletta: οἷον οἷον εἶδον γραφαῖς μέλος/ φθεγγόμενον τλάμων (versi 879-880). L’eroe, disperato, vinta la ritrosia, riferisce ad alta voce le parole scritte dalla sposa ai versi 885-886: Ἱππόλυτος εὐνῆς τῆς ἐμῆς ἔτλη θιγεῖν/ βίᾳ, τὸ σεμνὸν Ζηνὸς ὄμμ’ ἀτιμάσας.

Nel corso del dialogo con Ippolito non viene citata esplicitamente la presunta prova ai danni del giovane costituita dalla lettera lasciata da Fedra, ma si fa allusione ad essa ai versi 944-945, quando si afferma che la colpevolezza di Ippolito è chiaramente (ἐμφανῶς) denunciata dalla defunta. Solo quando ormai la condanna all’esilio è per Ippolito decisa, Teseo chiama in causa la tavoletta come prova inconfutabile (1057- 1058). Ulteriore riferimento alle parole scritte da Fedra si ha nell’iperbole con cui il messaggero che porta notizia delle precarie condizioni di Ippolito, ormai in fin di vita, afferma la sua fiducia nell’innocenza del giovane: τὸν σὸν πιθέσθαι παῖδ’ ὅπως ἐστὶν κακός, οὐδ’ εἰ […] τὴν ἐν Ἴδηι γραμμάτων πλήσειέ τις/ πεύκην· […] (versi 1251- 1254). Ultima menzione delle parole scritte dalla suicida si ha per bocca di Artemide, che compare a sciogliere il dilemma come deus ex machina, al verso 1311: ἣ δ’ εἰς ἔλεγχον μὴ πέσῃ φοβουμένη/ ψευδεῖς γραφὰς ἔγραψε καὶ διώλεσεν/ δόλοισι σὸν παῖδ’· […] (versi 1310-1312).

La lettera di Fedra, contrariamente a quanto accade nelle due Ifigenie, non viene né recitata né letta ad alta voce; di essa viene, invece, data lettura silenziosa da parte di Teseo. L’uomo, sconvolto per il contenuto della tavoletta, riesce, dopo un momento di esitazione, a superare la propria ritrosia e ad esprimere a parole i terribili fatti mettendone a parte il coro, che lo aveva interrogato in proposito, e, quindi, il pubblico. Egli tuttavia non legge direttamente la lettera, ma ne dà una parafrasi, tanto che quello dell’Ippolito viene considerato dagli studiosi, tra cui Knox324, uno dei primi esempi

324 Knox (1968: 433-434).

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in letteratura di lettura silenziosa. Il messaggio di Fedra doveva essere tale da scatenare una reazione immediata e violenta in Teseo, che senza alcun dubbio e senza esitazione lancia sul figlio una maledizione fatale. Proprio in ragione di questo fatto la critica tradizionalmente interpreta il personaggio di Fedra come desideroso di vendetta nei confronti di Ippolito a motivo del suo rifiuto325. Dal momento che indagare più a fondo le intenzioni di Fedra può consentirci di far luce sulla funzione della lettera stessa nel contesto della tragedia, non sembra superfluo chiedersi fino a che punto il testo euripideo supporti l’interpretazione della donna come personaggio desideroso di vendetta. Dal testo apprendiamo chiaramente che Fedra aveva inizialmente pensato alla morte come forma di resistenza alla propria passione amorosa (versi 400-401) e che solo in un secondo momento, quando cioè la nutrice rivela ad Ippolito i sentimenti della matrigna nei suoi confronti e Ippolito minaccia di rivelarli a Teseo, ella vede nel suicidio l’unico strumento possibile per proteggere il buon nome proprio e dei figli (versi 599-600). Il suicidio, tuttavia, non è più strumento sufficiente, infatti, qualora Ippolito denunciasse Fedra presso il padre, la memoria della donna risulterebbe comunque infamata (versi 687-688): si rendono necessari a Fedra καινοὶ λόγοι. Ai versi 715-721 la donna afferma di aver trovato un modo per uscire dalla sciagura preservando il proprio onore e, poco dopo, ai versi 728-729, dà voce ad una delle formulazioni più controverse della tragedia: […] ἀτὰρ κακόν γε χἀτέρωι γενήσομαι/ θανοῦσ’, ἵν’ εἰδῆι μὴ ’πὶ τοῖς ἐμοῖς κακοῖς/ ὑψηλὸς εἶναι· τῆς νόσου δὲ τῆσδέ μοι/ κοινῆι μετασχὼν σωφρονεῖν μαθήσεται326.

325 Pettine (1958: LXIII-LXVIII, 165-166) parla di un orgoglio ferito che esige vendetta. Halleran

(1995: 210-211) sostiene che Fedra, divenuta strumento per il compiersi dei piani di Afrodite, considera Ippolito suo nemico e cerca vendetta su di lui. Roisman (1999: 116) afferma «here her need to hide what she has done converges with her desire for revenge».

326 Vari sono gli elementi problematici in questi versi; in particolare ci si chiede che cosa si intenda per

σωφρονεῖν e di quale malattia si stia parlando. Il fatto che Fedra si proponga di insegnare ad Ippolito la σωφροσύνη, della quale il giovane ritiene le donne siano poco capaci (versi 667-668) e che pensa di possedere in maniera perfetta (versi 79-81), ci porta ad individuare il duplice e diverso significato che i due personaggi attribuiscono al termine. Se è chiaro che Ippolito intende la σωφροσύνη nel senso di castità e temperanza, discusso è come Fedra intenda il termine. Susanetti (1997: 85) lo considera riferito alla saggezza del comprendere gli altri e alla consapevolezza della fragilità dell’uomo, mentre ad esempio Mueller (2011: 170-171) parla di una moderazione nel parlare che avrebbe compimento nella scelta di Ippolito di non rivelare la verità sulla passione della matrigna nei suoi confronti. Ippolito riconoscerà ai versi 1034-1035 che Fedra è stata in grado di praticare la σωφροσύνη nel senso in cui egli la intende, mentre lui stesso non ha saputo inizialmente dar prova di questa virtù nel significato datole dalla matrigna.

La malattia di cui si parla nel verso consiste come sostiene tra gli altri Barrett (1964: 297) nella sofferenza generata dalla passione amorosa, sia essa reale o attribuita al personaggio in maniera menzognera. Ippolito costretto a subire le conseguenze dell’accusa di una passione empia nei confronti della matrigna sperimenterà questa sofferenza in prima persona. Come afferma Susanetti nel luogo

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Mentre all’inizio della tragedia (versi 21-22, 48-50) viene espressa da Afrodite l’intenzione di punire Ippolito e di vendicarsi di lui, dato il disprezzo del giovane nei suoi confronti, Fedra non parla mai esplicitamente di un proprio desiderio di vendetta, piuttosto sottolinea che i fatti che si stanno preparando saranno fonte di apprendimento per Ippolito, che potrà imparare la σωφροσύνη. La scelta della donna di legare Ippolito alla propria sorte, invertendo i ruoli e le colpe, sembra, quindi dovuta non tanto ad una cieca brama di vendetta, quanto, come si ribadisce più volte, al tentativo strenuo di difesa delle proprie εὐδοξία ed εὔκλεια327.

Stabilire se, nelle intenzioni di Euripide, Fedra abbia agito per desiderio di vendetta o meno rimane questione interpretativa, tuttavia, aver preso in considerazione la possibilità che le intenzione della donna nello scrivere la lettera fossero diverse dall’interpretazione che delle sue parole viene data da Teseo ci consente alcune riflessioni sull’oggetto materiale di nostro interesse328. La lettera, infatti, acquisisce nella tragedia una forza comunicativa eccezionale che non è condivisa da nessuno dei personaggi della tragedia: le parole in essa racchiuse determinano l’azione di Teseo con una forza e perentorietà che sarebbero state precluse alla stessa Fedra se fosse stata ancora in vita. La tavoletta, sebbene sia stata scritta per mano di Fedra e rappresenti il veicolo delle sue parole, acquisisce tuttavia una tale indipendenza dal volere della donna da poter essere considerata come un agente autonomo e in questo gioca un ruolo decisivo la sua consistenza materiale che impedisce di ridurla al solo contenuto. Questo aspetto risulta evidente nelle parole con cui Teseo parla della lettera dopo averla letta: la tavoletta grida (βοᾶι, verso 877) ed emette un canto (γραφαῖς μέλος φθεγγόμενον, 879-880) che si rende visibile (εἶδον, verso 879) al solo Teseo. Si fa ricorso, pertanto, oltre che ad una personificazione della lettera anche ad una

sopracitato, infatti, l’amore di Ippolito per Fedra se non corrisposto nella realtà, troverà però compimento nella menzogna dell’accusa formulata da Fedra stessa.

327 Così anche Barrett (1964: 14): «she (Phaedra) is a virtuous woman who attempts to conquer her

love, and when she finds herself too weak to conquer it determines to die rather than involve herself and her children in dishonour; even her calumny of Hippolytos acquires an honourable motive, as her one means of defending her children against a disgrace they do not deserve».

328 Teseo al verso 857 ricorre al verbo σημῆναι nel chiedersi che cosa la tavoletta gli voglia indicare e

segnalare (cfr. Hdt. 1.78.2 per l’uso del verbo). La lettera in quanto segno necessita di un’interpretazione da parte di chi la recepisce e allo stesso tempo sembra essere investita di una volontà propria in quanto portatrice di un certo messaggio come dimostra il fatto che essa sia più volte personificata (Eur. Hipp. 865, 877, 879-880). Mueller (2011: 153) si chiede giustamente «Has Theseus projected his desire to know onto the unresponsive medium of the deltos? Or, is the tablet itself magically animated?».

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forte sinestesia tra dimensione visiva e uditiva e attraverso la tavoletta si esprime, come ci fa notare Mueller329, il paradosso di una voiceless voice.

b) Ifigenia in Tauride

Δέλτος. Ἐπιστολαί. Γραφαί. Γράμματα. Δέλτου (Δια)πτυχαί. La lettera viene menzionata per la prima volta da Ifigenia al verso 584: θέλοις ἄν, εἰ σῴσαιμί σ’, ἀγγεῖλαί τί μοι/ πρὸς Ἄργος ἐλθὼν τοῖς ἐμοῖς ἐκεῖ φίλοις,/ δέλτον τ’ ἐνεγκεῖν, ἥν τις οἰκτίρας ἐμὲ/ ἔγραψεν αἰχμάλωτος, οὐχὶ τὴν ἐμὴν/ φονέα νομίζων χεῖρα, τοῦ νόμου δ’ ὕπο/ θνῄσκειν τὰ τῆς θεοῦ, τάδε δίκαι’ ἡγουμένης; (versi 582-587). La fanciulla ha scoperto che gli stranieri giunti presso la terra dei Tauri sono Greci e che almeno uno di loro, di cui non conosce ancora il nome, proviene da Argo. Propone pertanto di salvarne di due uno e che questi in cambio possa acconsentire a recare ai suo cari la lettera che aveva per lei scritto un prigioniero, preso da pietà, prima di essere sacrificato. La tavoletta viene nuovamente menzionata al verso 603 da Oreste, che decide di privarsi della possibilità della salvezza a favore dell’amico Pilade, e poco dopo, al verso 615, ad essa si riferisce Ifigenia.

Ai versi 636-637 Ifigenia esprime, quindi, la propria intenzione di andare a prendere la tavoletta all’interno del tempio e dobbiamo immaginare che alle sue parole si accompagnasse un reale movimento della fanciulla. La lettera viene di nuovo menzionata al verso 641 quando Ifigenia, parlando tra sé e sé, dà voce alla propria speranza che il messaggio giunga a destinazione presso i propri cari e al verso 667 da parte di Oreste che riflette sull’identità della fanciulla e sul suo interesse per le sorti di Argo. Al verso 725 Ifigenia torna in scena, uscendo dalla porta del tempio, e reca in mano la lettera: Δέλτου μὲν αἵδε πολύθυροι διαπτυχαί,/ ξένοι, πάρεισιν· […] (versi 727-728). Nell’intervallo di pochi versi, quindi, Ifigenia e i prigionieri fanno più volte

329 Mueller (2011: 149). La studiosa (2011; 2016: 170-184) propone un’interpretazione particolare per

la tavoletta scritta da Fedra che tradizionalmente viene pensata come un messaggio d’addio, come

suicide note. Mueller la considera invece formulata sul modello delle defixiones utilizzate in ambito

giuridico per ridurre al silenzio i propri avversari e rendere debole e inefficace il loro intervento in tribunale. Fedra, anticipando il fatto che potrebbe venir chiamata a render conto delle accuse eventualmente rivoltele da Ippolito, ricorre ad ogni mezzo possibile per salvare la propria reputazione. Quella delle defixiones era una pratica diffusa, a cui l’imputato ricorreva quando non si sentiva adeguatamente tutelato dalla pratica legale. Dopo essere state scritte le defixiones venivano deposte in luoghi di massimo contatto con il mondo dei morti ed in particolare accanto ai cadaveri di chi era morto di morte violenta in quanto più adatto a mettere in atto la maledizione. Mueller sottolinea la corrispondenza fra la pratica in uso ed il caso illustratoci nell’Ippolito, con la tavoletta appesa al polso di Fedra, che si è data la morte di propria mano. La studiosa vuole sottolineare come la lettera, interpretata come defixio, acquisisca un’efficacia ed una capacità di intervento che vanno al di là delle possibilità di Fedra stessa che l’ha scritta e pensata.

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riferimento alla lettera stessa, ormai visibile agli spettatori, individuandola talvolta anche attraverso aggettivi e pronomi dimostrativi con funzione deittica330. Allo scambio di giuramenti tra le due parti, segue l’ipotesi, ventilata da Pilade, che la lettera possa andare perduta per cause di forza maggiore (verso 756); la soluzione di Ifigenia risulta determinante per lo scioglimento del momento critico e per il riconoscimento e consiste nel recitare331 il contenuto della lettera in modo che il prigioniero possa memorizzarlo e riferirlo anche in assenza del supporto materiale: τἀνόντα κἀγγεγραμμέν’ ἐν δέλτου πτυχαῖς/ λόγωι φράσω σοι πάντ’ ἀπαγγεῖλαι φίλοις. /ἐν ἀσφαλεῖ γάρ· ἢν μὲν ἐκσώσηις γραφήν/ αὐτὴ φράσει σιγῶσα τἀγγεγραμμένα· /ἢν δ’ ἐν θαλάσσηι γράμματ’ ἀφανισθῆι τάδε,/ τὸ σῶμα σώσας τοὺς λόγους σώσεις ἐμοί(versi 760-765). Ifigenia finisce ai versi 786-787 di esporre il contenuto della lettera e lo esplicita con le parole […] αἵδ’ ἐπιστολαί,/ τάδ’ ἐστὶ τἀν δέλτοισιν ἐγγεγραμμένα (versi 786-787). A questo punto Pilade consegna al legittimo destinatario la lettera stessa dicendo ἰδού, φέρω σοι δέλτον ἀποδίδωμί τε,/ Ὀρέστα, τῆσδε σῆς κασιγνήτης πάρα (versi 791-792). Oreste, presa la tavoletta, riconosce che ormai essa ha portato a termine il proprio compito tanto che con il verso 793 si ha l’ultimo riferimento alla missiva: la lettera è poi dimenticata e non riceve più menzione nel testo.

La lettera costituisce, nel contesto della vicenda del salvataggio di Ifigenia dal sacrificio in Aulide e del suo trasferimento nella terra dei Tauri, una trovata originale euripidea332. Questo oggetto assume nell’Ifigenia in Tauride grande centralità in

330 Eur. IT. 731-733: ἐγὼ δὲ ταρβῶ μὴ ἀπονοστήσας χθονὸς/ θῆται παρ’ οὐδὲν τὰς ἐμὰς ἐπιστολὰς/ ὁ

τήνδε μέλλων δέλτον εἰς Ἄργος φέρειν. Eur. IT. 735: ὅρκον δότω μοι τάσδε πορθμεύσειν γραφὰς/πρὸς Ἄργος, οἷσι βούλομαι πέμψαι φίλων. Eur. IT. 744-745 {Ιφ.} δώσω, λέγειν χρή, τήνδε

τοῖσι σοῖς φίλοις. {Πυ.} τοῖς σοῖς φίλοισι γράμματ’ ἀποδώσω τάδε.

331 Molto discusse sono le ragioni per cui Euripide abbia deciso di presentare un’Ifigenia incapace di

leggere e scrivere; come, infatti, la stesura della lettera viene affidata ad un prigioniero compassionevole così la fanciulla non ne legge il contenuto, ma lo recita. Diversi sono i pareri degli studiosi. La critica di fino Ottocento e della prima metà del Novecento era dell’idea che mettere in scena una donna dell’età eroica alfabetizzata sarebbe stata una stranezza per il pubblico (Wecklein (1888: 67), Platnauer (1938: 110)). Kyriakou (2006:198-199) ritiene invece che l’analfabetismo di Ifigenia non possa essere spiegato ricorrendo all’idea di verisimilitudine, considerate anche le capacità attribuite in questo senso a Fedra e Clitemnestra rispettivamente nell’Ippolito e nell’Ifigenia in Aulide. La studiosa spiega la scelta euripidea con la volontà del tragediografo di sottolineare la situazione di miseria in cui Ifigenia si trova e rendere più gravoso e pieno di ostacoli il suo tentativo di comunicare con il fratello. Qualunque sia la ragione della scelta euripidea ne deriva il fatto che Oreste e Pilade ed il pubblico stesso vengono a conoscenza del contenuto della lettera non in maniera diretta, ma attraverso la mediazione della memoria di Ifigenia.

332 La vicenda del salvataggio di Ifigenia dal sacrificio in Aulide prima di divenire argomento della

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quanto crea le premesse per il riconoscimento della protagonista e di Oreste che trova apprezzamento nella Poetica aristotelica333. Su di essa si concentra l’attenzione degli spettatori per i circa duecento versi che intercorrono tra la sua prima menzione al verso 584 e le parole con cui ai versi 793-794 Oreste sottolinea la perdita di interesse per la missiva stessa, una volta che essa è servita al suo scopo. Se la lettera può essere annoverata tra gli oggetti della comunicazione, essa non assolve però alla propria funzione in maniera tradizionale: il destinatario non apprende il messaggio veicolato leggendolo di persona, ma ascoltandone le parole dalla bocca stessa del mittente. L’oggetto della comunicazione a distanza diviene, quindi, strumento di una comunicazione diretta e istantanea e rende possibile in tal maniera il riconoscimento. La parola prende il sopravvento sul testo scritto, ma proprio quando questo avviene maggiore si fa l’insistenza sulla lettera come oggetto materiale a sottolineare l’identità tra messaggio scritto e messaggio espresso a parole. È proprio Ifigenia a sottolineare questa identità dopo aver finito di recitare il contenuto della missiva dicendo […] αἵδ’ ἐπιστολαί,/ τάδ’ ἐστὶ τἀν δέλτοισιν ἐγγεγραμμένα (versi 786-787). Se la lettera, dunque, tecnicamente fallisce, in quanto testo scritto, la propria funzione di comunicazione, il messaggio giunge ugualmente a destinazione334. Ben presto la parola stessa e con essa la dimensione aurale vengono a loro volta sostituite dall’azione: Oreste nel ricevere la lettera reagisce avvicinandosi alla sorella per abbracciarla invece di affidare alle parole la propria risposta.

c) Ifigenia in Aulide

Δέλτος. Γράμματα. Πεύκη. Δέλτου Πτυχαί. Ἐπιστολαί. Γραφαί. La scena si apre con Agamennone che, uscito dalla propria tenda, si rivolge ad un vecchio servo ed è proprio quest’ultimo che menziona per la prima volta al verso 35 la lettera che il re stava scrivendo e che nel momento in cui si svolge il dialogo reca in mano335. Il servo stesso con le proprie parole ricrea per il pubblico un’immagine viva della scena che si deve immaginare essersi svolta nella tenda, rendendolo partecipe del tormento

di Proclo (vv. 135-143). Ne abbiamo testimonianza inoltre anche attraverso il Catalogo delle donne esiodeo (Fr. 23a) e forse l’Orestea di Stesicoro (Fr. 215 PMG).

333 Arist. Po. 1454b 30-36, 1455a 16-20.

334 Ad un certo punto (Eur. IT. 773: [..] μὴ λόγοις ἔκπλησσέ με.) si verifica la situazione paradossale

per cui la lettera invece di permettere il riconoscimento lo ritarda in quanto Ifigenia vuole finire di recitare la lettera e Oreste non riesce ad interromperla.

335 Il servo utilizza un deittico per indicare la lettera. Eur. IA. 34-36: […] σὺ δὲ λαμπτῆρος/ φάος

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interiore di Agamennone. Egli racconta come il re abbia cancellato il contenuto della tavoletta, lo abbia riscritto, vi abbia apposto il sigillo per poi strapparlo e abbia gettato a terra la lettera versando lacrime: […] σὺ δὲ λαμπτῆρος/ φάος ἀμπετάσας δέλτον τε

γράφεις/ τήνδ’ ἣν πρὸ χερῶν ἔτι βαστάζεις,/καὶ ταὐτὰ πάλιν γράμματα συγχεῖς/ καὶ σφραγίζεις λύεις τ’ ὀπίσω/ ῥίπτεις τε πέδῳ πεύκην, θαλερὸν/ κατὰ δάκρυ χέων, καὶ τῶν ἀπόρων/ οὐδενὸς ἐνδεῖς μὴ οὐ μαίνεσθαι (versi 34-42). Ai versi 98-103 il capo della spedizione rivela di avere già scritto in precedenza, spinto da Menelao, una prima lettera indirizzata alla moglie Clitemnestra pregandola di far venire Ifigenia con la scusa di false nozze, in realtà con l’intenzione di sacrificarla per propiziare la partenza dal porto di Aulide. Nel frattempo, tuttavia, è avvenuta una trasformazione nell’animo di Agamennone che viene presentata come un atto di riscrittura. Ai versi 107-109 il re afferma di aver riscritto (μεταγράφω) la lettera per rimediare al proprio errore: […] ἃ δ’ οὐ καλῶς/ ἔγνων τότ’, αὖθις μεταγράφω καλῶς πάλιν/ ἐς τήνδε δέλτον. […]. Ciò che era stato compiuto οὐ καλῶς (verso 107) diviene ora ben fatto (καλῶς, verso 108), inviare Ifigenia (πέμπειν, verso 100) diviene μὴ στέλλειν (verso 119). È proprio questa seconda lettera che il re ordina al servo di consegnare immediatamente alla sposa in Argo, dandogliene prima lettura ai versi 115-123: πέμπω σοι πρὸς ταῖς πρόσθεν/ δέλτους, ὦ Λήδας ἔρνος […] μὴ στέλλειν τὰν σὰν ἶνιν πρὸς/ τὰν κολπώδη πτέρυγ’ Εὐβοίας/ Αὖλιν ἀκλύσταν./ εἰς ἄλλας ὥρας γὰρ δὴ/ παιδὸς δαίσομεν ὑμεναίους 336. Il sigillo di Agamennone presente sulla lettera darà alla sposa conferma dell’autenticità del messaggio in essa contenuto (versi 155-156).

Al verso 307 veniamo a sapere che Menelao, dopo aver intercettato il servo mandato dal fratello, ha aperto la lettera che a quello era stata affidata. Nei versi successivi la missiva diviene oggetto di contesa tra il servo, fedele ad Agamennone, e lo stesso Menelao, che la rivendica per sé non volendo che il messaggio che essa racchiude giunga a destinazione. Nel successivo dialogo tra i due fratelli ‒ Agamennone è nel frattempo comparso ‒ è proprio la lettera, materialmente presente sulla scena, il

336 Sono in particolare i versi 115-116 e 119-123 a riportare il contenuto della missiva, letta ad alta voce

da Agamennone; il sovrano fa una breve pausa dopo il verso 116 e il servitore interviene brevemente, per poi lasciare modo ad Agamennone di concludere la lettura. Le parole di Agamennone, come sottolinea Rosenmeyer (2001: 83-84), si pongono chiaramente in continuazione con il messaggio precedentemente inviato allo stesso destinatario; mancano, infatti, i dati riguardanti il mittente che avevano carattere informativo e le formule conclusive. La lettera sembra ad alcuni studiosi, tra i quali Monaco (1965: 342), ricorrere ad un tono ricercato; è possibile vederlo dalla formula con la quale ci si rivolge a Clitemnestra (verso 116) e dalla perifrasi per designare Aulide (versi 120-121). L’intento è quello di creare un distacco e di escludere la confidenzialità. Lo stesso obiettivo viene raggiunto andando ad identificare Ifigenia come figlia della sola Clitemnestra, invece che di entrambi i genitori (verso 119).

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motivo principale del confronto e su di essa viene richiamata in maniera chiara l’attenzione da parte di Menelao al verso 322: τήνδ’ ὁρᾶις δέλτον, κακίστων γραμμάτων ὑπηρέτιν;

Menelao stesso, ripercorrendo i fatti accaduti per sottolineare l’incoerenza di Agamennone, torna a parlare delle due lettere (versi 360-364), illustrando il proprio punto di vista sulla questione e in particolare sottolineando il carattere volontario della prima scelta del fratello di far venire la figlia per il sacrificio. Il dialogo tra i due fratelli degenera in scontro e la lettera viene dimenticata e rimane con ogni probabilità

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