Esistono due diverse tipologie di oggetti del riconoscimento, come due sono i tipi di riconoscimento possibili in tragedia. Alcuni oggetti sono funzionali ad una forma di riconoscimento interna alla vicenda tragica e consentono l’ἀναγνώρισις tra i personaggi. È proprio in questo primo gruppo che si sono individuati gli oggetti significativi di cui tratteremo: il ricciolo di Oreste ed il tessuto realizzato da Elettra nelle Coefore eschilee, il sigillo paterno nell’Elettra sofoclea e gli oggetti contenuti nella cesta in cui era stato esposto Ione nell’omonima tragedia euripidea.
Altri oggetti sono, invece, funzionali al riconoscimento immediato da parte del pubblico dei personaggi che compaiono sulla scena, conformemente alle convenzioni del teatro tragico. La ghirlanda, ad esempio, rende possibile agli spettatori identificare un personaggio come messaggero, come accade con Teseo nell’Ippolito di Euripide o con Creonte nell’Edipo Re sofocleo. Analogo è il caso di un oggetto come il bastone che consente di distinguere un personaggio anziano, come si può vedere con Edipo nelle Fenicie o con i membri del coro dell’Agamennone eschileo. Quanto, invece, agli oggetti che identificano un singolo personaggio e non una categoria ricordiamo ad esempio le corna che Io reca sul capo nel Prometeo Incatenato, che consentono al pubblico di riconoscere senza esitazione la fanciulla, o le armi che Eracle porta con sé nell’Alcesti e che consentono l’immediato riconoscimento del personaggio non solo da parte degli spettatori, ma anche da parte del coro207.
III.1 Eschilo a) Coefore
Πλόκαμος . Βόστρυχος. Χαίτη κούριμη208. Ἀγλάισμα. Πλόκος. Κουρά κηδείου τριχός./ Ὕφασμα. Vari sono gli indizi sui quali si basa il riconoscimento di Oreste da
207 Aristotele (Arist. Po. 1452 a34, 1454 b20-1455 a20) affronta la questione dell’ἀναγνώρισις e ne
individua tre diversi tipi: riconoscimento di un oggetto inanimato, la presa di consapevolezza da parte di un personaggio delle azioni di un altro personaggio e, infine, la forma di riconoscimento che interessa in questo studio: il riconoscimento di personaggi. Quest’ultima tipologia di riconoscimento viene ulteriormente suddivisa per ordine crescente di efficacia. Abbiamo, dunque, il riconoscimento che si compie attraverso gli oggetti, svelati piò o meno appositamente, quello che si compie grazie allo svelamento da parte di uno dei personaggi della propria identità, il riconoscimento che avviene per mezzo del ragionamento e infine quello che si realizza attraverso il naturale sviluppo degli eventi stessi come accade nell’Ifigenia in Tauride.
208 Χαίτην di verso 180 è correzione risalente al Victorius (edizione del 1557) del καὶ τήν tradito da M.
Garvie (1986: 90-91) riferisce al termine l’aggettivo κούριμος nell’espressione χαίτην κουρίμην, sulla base di Eur. El. 521 (κουρίμης […] τριχός) e di Fr. 3,4 Snell di Agatone (κουρίμου χάριν τριχός). Altri,
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parte di Elettra e due di questi hanno consistenza di oggetto materiale. Il primo di essi viene menzionato al verso 7; si tratta del ricciolo che Oreste dedica al padre e che dobbiamo immaginare venisse adagiato sulla tomba contemporaneamente alle parole pronunciate dal giovane209. Elettra, giunta per versare libagioni sulla tomba, nota il ricciolo dopo aver compiuto il rito al verso 168: ὁρῶ τομαῖον τόνδε βόστρυχον τάφῳ210. Al verso 193 la ciocca di capelli diviene agli occhi della fanciulla un ornamento (τόδ’ ἀγλάισμα) che ella spera appartenere ad Oreste. Al verso 195 Elettra esprime il proprio desiderio che il ricciolo possa parlare dirimendo così la questione. Nel momento in cui la fanciulla nota il secondo degli indizi (στίβοι ποδῶν, versi 205- 206), Oreste e Pilade escono dal proprio nascondiglio e si fanno avanti (verso 212). Il figlio di Agamennone, constatato l’atteggiamento scettico della sorella (versi 225- 228), incoraggia Elettra a verificare gli indizi accostando la ciocca di capelli al suo capo:σκέψαι, τομῇ προσθεῖσα βόστρυχον τριχός,/ σαυτῆς ἀδελφοῦ σύμμετρον τῷ σῷ κάρᾳ (versi 229-230)211.
fra i quali Martina (1975: 23), preferiscono riferire l’aggettivo al successivo χάριν, come riferimento alla κουρὰ πένθιμος che risulta gradita ad Agamennone.
209 Oreste recide e offre in realtà due riccioli, l’uno per il fiume Inaco, l’altro per il defunto padre ed è
solo quest’ultimo che pone sulla tomba di Agamennone. Della pratica di dedicare una ciocca di capelli ad un familiare defunto parleremo in seguito; quanto, invece, all’uso di dedicarne una al fiume del proprio luogo natale, si ritiene che essa fosse legata al raggiungimento dell’età efebica. I versi 6-7 della tragedia, non conservatisi in M, sono citati in Σ in Pind. Pyth. 4.145 p. 119, 15-16 Drachmann II.
210 Segue una discussione tra Elettra e coro sulla provenienza del ricciolo nel corso della quale esso
viene più volte menzionato o individuato con pronomi personali e dimostrativi: v. 172, v. 174, v. 180, v. 187.
211 I versi 226-230 risultano particolarmente problematici. L’ordine dei versi restituitoci da M (Laur.
32.9, 138r) è il seguente: κουρὰν δ’ ἰδοῦσα τήνδε κηδείου τριχὸς/ ἀνεπτερώθης κἀδόκεις ὁρᾶν ἐμέ / ἰχνοσκοποῦσά τ’ ἐν στίβοισι τοῖς ἐμοῖς/ σαυτῆς ἀδελφοῦ συμμέτρου τῶι σῶι κάραι. σκέψαι τομῆι προσθεῖσα βόστρυχον τριχὸς· Il testo che si è scelto di riportare in questo studio è, invece, quello di Page (1972), che, rispetto all’ordine tradito, inverte i versi 227 e 228 tra loro e così anche il 229 e il 230. Ad aver portato alla prima inversione è una struttura sintattica insolita, che non sembra avere paralleli: nell’ordine conservatoci dai manoscritti il verso 227 è sia preceduto sia seguito da subordinate realizzate con il participio, entrambe qualificanti il soggetto della frase principale.
Spinta all’inversione viene anche dalla necessità, nel caso in cui si mantenesse l’ordine di M e il verso 229 facesse parte della medesima frase del 228, di intendere il κάρα di verso 229 come sineddoche per indicare l’intera persona di Elettra e non come riferito propriamente alla testa e alla capigliatura della fanciulla. Una volta operata l’inversione e posto un punto fermo dopo il verso ἀνεπτερώθης κἀδόκεις ὁρᾶν ἐμέ, Page sceglie di seguire Bothe (1831: 165) ed invertire anche il 229 e il 230 per evitare l’asindeto che si verrebbe a creare; lo studioso inoltre sceglie di correggere con il Pauw il συμμέτρου in σύμμετρον per sciogliere il nesso σαυτῆς ἀδελφοῦ συμμέτρου, che è difficile sussista senza il τοῖς ἐμοῖς dell’originario verso 228. Altre soluzioni sono state proposte per risolvere la problematicità che nasce dall’ordine tradito. Interessante è la proposta di Lloyd-Jones (1961: 173-175) che conserva l’ordine tradito e, posto punto fermo dopo verso 229, ipotizza una lacuna tra i versi 228 e 229, lacuna che doveva necessariamente contenere un verbo principale. Interessante anche la soluzione di Blank (1981: 98-101) che, mantenendo l’ordine di M, pone punto fermo al verso 227 e anticipa il verso 230 dopo il 227.
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A questo punto egli introduce il terzo degli indizi, la veste tessuta da parte di Elettra per lui bambino: ἰδοῦ δ’ ὕφασμα τοῦτο, σῆς ἔργον χερός,/ σπάθης τε πληγάς, ἒν δὲ θήρειον γραφήν (versi 231-232). Quest’ultimo indizio risulta decisivo al riconoscimento una volta avvenuto il quale gli oggetti che sono stati ad esso funzionali vengono dimenticati.
Come si è anticipato, dei tre indizi che portano al riconoscimento tra Oreste ed Elettra due hanno le caratteristiche di oggetti di scena. Il primo è il ricciolo che Oreste depone sulla tomba di Agamennone secondo una pratica che è variamente attestata in tragedia212. Il secondo è l’ὕφασμα lavorato da Elettra e dato ad Oreste prima del suo allontanamento dalla casa paterna. Sulla natura di questo tessuto molto si è discusso. La prima ipotesi è che esso fosse una veste indossata da Oreste stesso al suo apparire in scena, possibilità che sembra confermata dall’Elettra euripidea, nella quale il personaggio omonimo si mostra scettico di fronte alla possibilità che l’abito realizzato per Oreste bambino possa essere da lui indossato ancora in età adulta213. Probabilmente in risposta alla critica euripidea, lo scolio al verso 231 suggerisce un’alternativa: con il termine ὕφασμα Eschilo non vorrebbe indicare una veste, ma intenderebbe identificare le fasce nelle quali Oreste era stato posto da piccolo214. L’ipotesi dello scolio è stata ripresa anche da studiosi moderni, tra i quali McClure, che ritiene che le fasce siano un oggetto che compare di frequente nelle scene di riconoscimento. La studiosa afferma che, intendendo in questa maniera il termine ὕφασμα, si creano efficaci richiami al sogno di Clitemnestra, che immagina di aver generato un serpente e di averlo avvolto in fasce, e si stabilisce una contrapposizione rispetto al ritorno ad Argo di Egisto, anch’egli portato via dalla città natale stretto in fasce215. C’è, inoltre, chi sostiene che gli spettatori vedessero Oreste tirar fuori dal suo bagaglio la veste ricamata per mostrarla ad Elettra a mo’ di prova, evitando così il problema dell’impossibilità per un individuo adulto di indossare un abito realizzato per un bambino 216.
212 Oltre che nell’Elettra di Sofocle e di Euripide si hanno esempi in Soph. Ai. 1173-1175; Eur. Tro.
1182-1184; IT 172-173, 703; Or. 96, 113.
213 Così ritengono ad esempio West (1980: 20), Garvie (1986: 88).
214 Lo scolio (Σ in Aesch. Cho. 231 p. 21,10-11 Smith I) parla proprio di παιδικὸν σπάργανον. 215 McClure (2015: 224). Quanto alla presenza delle fasce in scene di agnizione, esemplare è il caso
dello Ione; le fasce erano segno di riconoscimento anche nella Περικειρομένη di Menandro. Per il sogno di Clitemnestra: Aesch. Cho. 527-533; per Egisto esiliato in fasce: Aesch. Ag. 1605-1606.
216 Ad esser di questa opinione è Roux (1974). Lo studioso spiega la critica euripidea nell’Elettra con
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Come ben esemplificato dalla questione dell’ὕφασμα, la scena del riconoscimento delle Coefore eschilee è stata fin dall’antichità letta ed interpretata in relazione all’analoga scena dell’Elettra euripidea, talvolta perdendo di vista la sua funzione all’interno della tragedia. Se sembra innegabile che Euripide abbia costruito il dialogo tra il vecchio pedagogo ed Elettra avendo in mente la modalità del riconoscimento in Eschilo e rivolgendo ad essa una polemica217, si deve ricordare e ribadire l’autonomia di ciascuna delle due scene rispetto all’altra. Operare un confronto del diverso approccio dei due tragediografi al medesimo momento narrativo è utile alla comprensione delle due scene nella misura in cui l’interpretazione proposta per il testo eschileo non si trasformi in una risposta alla polemica euripidea.
Ai fini del nostro studio, di particolare interesse è il fatto che, mentre in Eschilo gli oggetti funzionali al riconoscimento compaiono visivamente sulla scena e si fanno tangibili, in Euripide essi vengono solamente menzionati da parte del vecchio pedagogo, che è l’unico a poterne rivendicare esperienza diretta218. I tre σημεῖα eschilei sono ad uno ad uno rifiutati da parte di Elettra, che li critica su base razionale, ritendendoli infondati, e ne mette perfino in dubbio l’esistenza. L’unico indizio che viene dalla fanciulla ritenuto affidabile è la cicatrice di Oreste, che Elettra ha modo di vedere di persona. Invece di cercare di giustificare le scelte eschilee e di sottrarle all’attacco euripideo, si vuole qui sottolineare il diverso sistema culturale al quale i due tragediografi si richiamano. Se la critica euripidea ai mezzi del riconoscimento impiegati in Eschilo si spiega alla luce della mentalità ‘laica’ e della concezione etico- civile di Euripide, le scelte eschilee risultano, invece, perfettamente coerenti nel contesto della concezione religioso-familiare del tragediografo. Esse si pongono, inoltre, nel solco di una tendenza propria dei popoli primitivi, che ha persistenza nella
testo scritto, cosa che dava la possibilità ad Euripide di puntualizzare quanto lasciato oscuro dal predecessore.
217 Ci sono studiosi fra i quali lo stesso Garvie (1986: 87) che ritengono non vi sia un’intenzione
polemica da parte di Euripide nei confronti di Eschilo («There is no reason to see it as a serious polemic. As many have remarked, it is the Old Man who is criticized by Electra, rather than Aeschylus by Euripides.»). Paduano (1970: 386) al contrario afferma che la presenza del nesso polemico con Eschilo è sicura.
218 La scena, infatti, non si svolge più di fronte alla tomba di Agamennone, presso la quale il pedagogo
si era recato, ma presso la povera e umile dimora di Elettra. Gli studiosi si sono chiesti se si dovesse pensare ad una presenza materiale del ricciolo sulla scena anche nell’Elettra dal momento che il pedagogo ai versi 520-521 invita Elettra ad avvicinarlo alle sue ciocche. Tuttavia, oltre all’assenza di un deittico al verso 520 (σκέψαι δὲ χαίτην προστιθεῖσα σῆι κόμηι) e all’uso del futuro ἔσται al verso 521 che, come opportunamente illustrato da Denniston (1960: 115), fa pensare che il pedagogo suggerisca ad Elettra di recarsi presso la tomba e una volta là verificare le sue parole, da sottolineare è che in Euripide significativa è proprio l’assenza dell’oggetto dalla scena (Raeburn (2000: 160)).
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tradizione letteraria greca, per cui la somiglianza di piedi e capelli era indizio sicuro nello stabilire la parentela tra due individui219. Se si tentasse, invece, di spiegare i τεκμήρια eschilei alla luce della verosimiglianza non si potrebbe che concludere con Euripide che essi risultano inadeguati e insufficienti.
In Eschilo, contrariamente a quanto accade in Euripide, è a Elettra, e a Elettra solamente, che gli indizi parlano, in quanto la fanciulla è accomunata ad Oreste dall’appartenenza allo stesso γένος. La somiglianza tra il ricciolo offerto sulla tomba e i capelli di Elettra e ancor di più la corrispondenza tra le impronte del giovane e il piede della fanciulla portano ad identificare in Oreste l’artefice dell’offerta proprio nell’ottica della συγγένεια. Come dice Martina «solo la chioma di Oreste può essere ὁμόπτερος alla sua (di Elettra), in quanto solo tra Oreste e Elettra esiste συγγένεια»220. In quest’ottica tutti e tre gli indizi ricevono la propria legittimazione e risultano necessari. Se, infatti, il primo degli indizi chiama in causa Oreste, suscitando, tuttavia, molteplici dubbi in Elettra sulla possibilità che il giovane sia tornato o che al contrario abbia mandato la ciocca attraverso terzi, il secondo indizio conferma la presenza di Oreste ad Argo, mentre il terzo risulta decisivo al riconoscimento vero e proprio tra fratello e sorella221.
219 A questo proposito va ricordato Hom. Od. 4.148-150, passo nel quale Elena e Menelao riconoscono
Telemaco come figlio di Odisseo sulla base della somiglianza con il padre che si manifesta anche nelle caratteristiche comuni di piedi e capelli. Così in Hdt. 1.119 Astiage uccide il figlio di Arpago e ne imbandisce le carni per il padre tagliandone testa, mani e piedi e offrendoli dopo il banchetto al padre perché attraverso di essi riconosca il figlio e comprenda di averne mangiato le carni. Ugualmente in Aesch. Ag. 1594-1597, versi particolarmente problematici, Atreo nell’imbandire le carni del figlio di Tieste sembra tagliargli mani e piedi per renderlo irriconoscibile al padre. Quanto agli ultimi due esempi riportati si tenga in considerazione la possibilità che mani e piedi potrebbero esser stati tagliati perché se lasciati avrebbero immediatamente rivelato che la portata era costituita di carni umane. Non si dimentichi, inoltre, che il motivo del ricciolo come indizio per il riconoscimento tra Elettra e Oreste compariva già in Stesicoro (PMG 217.10-13).
220 Martina (1975: 17).
221 La paternità eschilea dei versi 205-210 e dei versi 228-229 è stata ripetutamente messa in dubbio.
Eliminando questi versi verrebbe meno il secondo degli indizi che servono al riconoscimento. L’ipotesi che questi versi siano interpolati è stata avanzata da Schütz, per poi essere ribadita con forza da Fraenkel (1950: 815-821). I punti problematici sono vari. La prima questione riguarda la funzione del καὶ γάρ di verso 207, che sembra preparare la spiegazione delle ragioni per cui le impronte viste da Elettra sono a suo dire uguali alle proprie, mentre invece introduce una nuova constatazione sul fatto che ci siano due diversi tipi di impronte. La seconda questione riguarda il fatto che le parole εὔχου τὰ λοιπά con cui Oreste apre il proprio intervento al verso 212 si riferiscano non alle ultime parole di Elettra, ma a quanto ella aveva affermato ai versi 201-204, che nel loro carattere di preghiera costituirebbero una perfetta conclusione al discorso della fanciulla. La proposta di inautenticità di questi versi porta con sé anche l’inautenticità dei versi 228-229, nei quali si torna a parlare delle impronte, versi che sono, come illustrato in precedenza, di per sé problematici. L’inautenticità di questi versi ha conseguenze anche sull’Elettra euripidea in quanto se i versi 518-544 della tragedia euripidea fossero autentici essi confermerebbero l’autenticità dell’intera scena delle Coefore. Pertanto, Fraenkel (1950: 821-826) si vede nella necessità di considerare anche i seguenti versi interpolati, rifacendosi ad una proposta di Mau (1877: 296-301). Non potendosi affrontare in questa sede la questione in maniera distesa mi limito a dire che, sebbene le ragioni degli interpolatori mostrino i punti problematici del testo eschileo, non
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III.2 Sofocle a) Elettra
Σφραγίς πατρός. Oreste nel dare istruzioni al pedagogo sul piano per ottener vendetta della madre afferma che, mentre il pedagogo entrerà nel palazzo portando la falsa notizia della morte di Oreste, quest’ultimo e Pilade si recheranno alla tomba paterna per onorare il defunto. In questo contesto, al verso 52, viene per la prima volta menzionato il ricciolo che non comparirà mai sulla scena come oggetto materiale, ma sarà argomento di confronto tra Elettra e la sorella Crisotemi. È proprio Crisotemi a tornare a parlare del ricciolo al verso 901, nel raccontare ciò che ella, recatasi presso la tomba paterna, ha visto. La fanciulla, raccolta la ciocca (versi 905-906), ne aveva riconosciuta la somiglianza con la propria capigliatura e, attraverso un ragionamento simile a quello di Elettra nelle Coefore eschilee, era giunta alla conclusione che dovesse appartenere ad Oreste. Elettra rifiuta questo indizio in quanto le è giunta notizia da fonte apparentemente affidabile della morte del fratello. Il ricciolo, rifiutato come indizio del ritorno di Oreste, viene, quindi, dimenticato222.
Nella scena del riconoscimento vera e propria la prova dell’identità di Oreste consisterà nel sigillo paterno (versi 1222-1223), che, mostrato da Oreste ad Elettra, susciterà l’immediata reazione positiva da parte della giovane.
Nell’Elettra sofoclea il riconoscimento tra Oreste ed Elettra viene a lungo posticipato, dando modo al tragediografo di indagare approfonditamente il personaggio di Elettra. Esso ha luogo quando ormai il disegno di vendetta di Oreste sta per giungere a compimento. Per ottenere l’effetto di ritardo, Sofocle fa in modo che la possibilità di
ritengo sia necessario pensare ad un interpolatore che abbia inserito il motivo delle impronte lasciate da Oreste, che risulterebbe, dunque estraneo al testo originario. È forse possibile pensare ad una soluzione meno drastica spostando con Weil (1860: 26), seguito da vari studiosi tra cui Taplin (1977: 337-338), i versi 201-204 dopo il verso 211. A questo proposito è, tuttavia, interessante l’interpretazione di Solmsen (1967: 4, 8) che nota che sia la scoperta del ricciolo, sia quella delle impronte si configurano come una risposta alla preghiera rivolta da Elettra agli dei e immediatamente precedente al ritrovamento di ciascuno degli indizi. In questo modo lo studioso conferma l’ordine dei versi tradito. Anche per quanto riguarda il passo euripideo non vedo la necessità di espungere i versi 518-544 in quanto interpolati e a questo proposito rimando a Lloyd-Jones (1961: 177-181) e Cropp (1988: 137-138). Solmsen (1967: 16) offre un punto di vista interessante anche a questo proposito: il rifiuto da parte di Elettra degli indizi eschilei porta ad un ritardo nel riconoscimento e lo posticipa, come era già successo nella scena del primo incontro tra Oreste e la sorella durante il quale si giunge più volte vicini al riconoscimento senza raggiungerlo.
222 Il ricciolo più che servire per il riconoscimento tra Oreste ed Elettra, nel fallimento del messaggio
di cui si fa portavoce, è funzionale ad esasperare una situazione già difficile per la protagonista, che si decide a compiere da sola un gesto estremo ed eroico, dimostrando la grandezza della sua figura (Martina (1975: 188)).
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un incontro tra fratello e sorella, che si affaccia ai versi 80-81, quando Oreste sente dei lamenti e ipotizza provengano da Elettra, non si realizzi. Anche il dialogo che si svolge a partire dal verso 871 tra Elettra e la sorella Crisotemi avrebbe potuto anticipare e agevolare il riconoscimento. Crisotemi reca, infatti, notizia del ritorno del fratello, ipotizzato sulla base degli indizi visti presso la tomba paterna: le libagioni versate di recente e il ricciolo reciso. Sofocle, tuttavia, rende l’incontro fallimentare, facendo prevalere sulla notizia positiva di un ritorno di Oreste quella negativa della sua morte223. Non a caso a sostituire il ricciolo come τεκμήριον veritiero ed affidabile è, nel seguito della tragedia, proprio l’urna funeraria, simbolo stesso dell’inganno. La centralità dell’urna come oggetto scenico, nella sua complessità di significati224, fa sì che il momento vero e proprio del riconoscimento tra Oreste ed Elettra, tanto atteso, si svolga con grande rapidità e che l’oggetto al quale si fa ricorso come prova risulti se non inutile, sicuramente di secondaria importanza225. Ad essere portato da parte di Oreste a dimostrazione della veridicità delle sue parole è il sigillo paterno, che, costituendo «the heraldic device of the family line»226, rappresenta la casa stessa. Elettra lo riconosce immediatamente in quanto esso è simbolo dell’autorità paterna,